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Autore: MartinsScrambledEggs    21/10/2020    0 recensioni
Mentre la grande guerra volge al termine, Han, samurai del quinto battaglione, giunge in un piccolo villaggio. Alle porte del villaggio trova ristoro in un piccolo negozio di fiori, gestito dal giovane Raido Namiashi. Questo breve incontro porterà ad Han una nuova consapevolezza sulla propria vita e sul proprio futuro.
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Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Han, Raido Namiashi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Date i fiori ai cavalli

 

Dalla terra riarsa dal sole si alzava una fitta polvere al passaggio del cavallo mandato al trotto. L’ussaro in questione era Han, facente parte del quinto reggimento, un uomo di grande corporatura, aveva da poco compiuto i trenta, ma aveva già tutti i capelli canuti sulle tempie forse a causa delle vicissitudini passate. Era in fuga da quando il battaglione a cui era capo fu sbaragliato dall'esercito nemico e in groppa alla sua cavalcatura aveva percorso decine di miglia. Lungo il viaggio, lui e una manciata di soldati che erano riusciti a trarsi in salvo, avevano dovuto far fronte alle situazioni più disparate e pericolose. Prima di tutto non avevano cavalli a sufficienza e alcuni soldati furono catturati nei prima fatali momenti che seguirono la disfatta, in seguito la mancanza di provviste costrinse Han a procacciarsi il cibo cacciando nei boschi dove avevano trovato nascondiglio per giorni. Scavò le fosse di almeno una cinquina dei suoi e infine si ritrovò da solo, in quanto gli ultimi superstiti avevano deciso di occupare alcune case isolate di contadini.

Sotto il toriogasa la fronte di Han era imperlata di sudore, le parti metalliche dell’armatura luccicavano sotto il sole accecante di settembre e l'elsa della spada tintinnava con ritmo costante contro il parastinchi.

Un piccolo borgo sorgeva a un paio di ri di distanza. Han era diretto lì, semplicemente perché lì il suo cavallo l'avrebbe condotto seguendo l’attuale linea d’aria, perché gli stormi di tortore dal collare s'erano diretti in quella direzione e per altri motivi di poca rilevanza. Si deterse la fronte con un lembo di stoffa del copricapo e bevve qualche sorsata d'acqua dalla borraccia in pelle.

Il paese era incuneato in una distesa di campi brulli, le case piccole e scure erano sparpagliate diffusamente. Non erano rimasti molti abitanti, se non qualche contadino, mucche e capre, le donne e i bambini più piccoli. C'era silenzio, pochi alberi, alcuni di canfora e pochi uccellini, ma grossi corvi solitari che perlustravano la terra rivolta. Han mise il cavallo al passo e lo fermò una volta raggiunto un negozio di fiori. Teneva all'ingresso un’insegna dai colori vivaci, riverniciata di fresco, l’intero edificio sembrava appartenere a un altro tempo privo di conflitti. Si ergeva splendente e ospitale, vivo, tra le piccole abitazioni rurali in legno nero e gli esercizi commerciali dalle serrande chiuse. Le piante più grandi erano disposte ordinatamente in vasi sulla veranda, ma erano così tante da dare ugualmente una sensazione di caos. Molte di queste erano di specie esotiche che mai Han aveva veduto, nonostante i suoi lunghi viaggi. Il negozio pareva prosperare, dove gli effetti della guerra si erano diffusi a macchia d'olio generando mille difficoltà, solo in quel luogo sembravano benefici. I fiori caduchi andavano per la maggiore durante i periodi di guerra, venivano rinnovati talvolta giornalmente dalle madri sulle tombe fittizie dei figli.

Il cavallo rimestò mestamente il morso incrostato di saliva ed erba. Han scese e l'armatura produsse un rumore tale da squassare il silenzio e qualche passero spaventato si levò in volo dai tetti. Il giovane fioraio vide Han dalla porta vetri e uscì sulla veranda, con il pensiero che un così particolare avventore meritasse un’adeguata accoglienza.

Era un tipo alto, smagrito e dal colorito giallastro, i lineamenti gentili lo rendevano piacevole d’aspetto, tuttavia una profonda cicatrice da ustione gli deturpava il lato destro del volto. Aveva un’espressione malinconica ma cordiale, sopracciglia dritte e la rima degli occhi rivolta verso il basso. Tra le dita teneva mezza sigaretta, nera e di fatta artigianale.

"Buongiorno, qual buon vento porta un avventore del vostro livello?"

"Il vento del nord." Rispose Han così come gli sembrava meglio rispondere. "Avete dell'acqua per il mio cavallo?"

Il giovane uomo, il cui nome era Raido Namihashi, gettò il mozzicone sul selciato e lo calpestò con tutta la ciabatta. "Certamente, provvedo subito, anche se mi domando come faccia ancora a reggersi in piedi."

L'animale del resto non versava in buone condizioni, le costole gli sporgevano dal fianco e il manto bianco, lo si capiva dalle orecchie, era così sporco di fango da sembrare scuro.

"Dagli dell'acqua e andrà bene, poi lo farò riposare e andrà bene ancora."

Raido andò a riempire un secchio d'acqua e lo porse al cavallo, quello allungò il collo e bevve a lungo.

"Cercava dei fiori? Qui ne abbiamo di tutti i tipi, i recisi sono all'interno." Disse Raido e invitò Han nel negozio.

"Non le dispiace se tengo la spada?" Chiese. Prese posto su un piccolo sgabello accanto al tavolo da lavoro dove il fioraio realizzava le sue composizioni. Dopo due giorni di cavalcata finalmente distese e raddrizzò le gambe.

Raido si accese un'altra sigaretta. Quella non era nemmeno una domanda, ma una formula di cortesia che comunque apprezzò. "Nessun problema, ma temo che i fiori non siano di suo interesse. Sa, qui non passa molta gente, se non donne con i loro figlioli e qualche anziano, tutti di qui, nessuno straniero. Scambiare qualche chiacchiera non farà male. Ho preparato del tè poco fa, ne gradirebbe?"

"Lo gradirei certamente."

Dalla porta finestra entrava un'aria leggera, benefica, e i profumi dei fiori si facevano più intensi rigonfiati dalla brezza. Han inspirò profondamente e quando prese la bevanda calda tra le mani ruvide, sentì distintamente come suggerito da una voce interiore che il viaggio stava concludendosi.

“Potrei vederla?”

Han lo guardò interrogativo.

“La spada intendo, se non le pare una richiesta strana.” Il giovane si passò una mano sul volto proprio lì dove era stato ferito, lo faceva di tanto in tanto secondo un’abitudine consolidata da tempo.

Han posò l’arma sul tavolaccio, sembrava particolarmente pesante.

“Wow…” Esalò Raido in un sospiro. Osservò il fodero intagliato e la soppesò con entrambe le mani. “Non che sia un esperto, ma è di ottima fattura, giusto?”

“Dovrebbe vederne la lama per dirlo.” Han di scatto afferrò l’arma e la sguainò. La lama schizzò in aria, scintillando di riflessi vermigli. Raido sgranò gli occhi: pareva usata di recente.

Han lesse l’incredulità nel suo sguardo e s’affrettò a rinfoderare l’arma. “Sono Han, samurai del quinto battaglione per amore e dovere nei confronti dell’Imperatore nostro signore.” Si presentò, visto che non l’aveva fatto finora, pronunciando quelle parole con estremo rigore.

“Ah!” Raido si batté con un pugno il palmo dell’altra mano. Poi si profuse in un profondo inchino da toccare quasi a terra con la fronte. “Raido Namiashi. Al vostro servizio.”

“Alzatevi.” Han riprese a bere la sua bevanda.

Raido afferrò un altro sgabello, traballava da una delle gambe ma non ne disponeva d’altri, e si mise seduto di fronte l’ospite. “Sapevo eravate dell’esercito, ci scommettevo, non ci voleva molto acume a capirlo.” Disse e rise un poco per l’imbarazzo. “Vede, io ho saputo da fonti certe che il quinto battaglione è stato sbaragliato dal nemico, siete riuscito quindi a trarvi in salvo, perciò mi sapreste dire quindi se un certuno, Shiranui Genma, della fanteria, è tra i superstiti?”

“Non è stato sbaragliato, è un’inesattezza. È stato annientato.”

“Ma no, lei è qui davanti a me, e se fosse solo per una vita, la sua nel caso in questione, non sarebbe annientato.”

Lo sguardo di Han si perse in un punto indistinto della stanza. “Caddero bombe che sconquassarono addirittura le nuvole, divelsero zolle grandi quanto questo negozio e tra la terra vidi con questi occhi le membra a pezzi dei miei compagni. Non è rimasto più niente e quel che è rimasto è distrutto.”

Raido strinse coi pugni la stoffa dei calzoni sopra le ginocchia. “Quindi proprio non saprebbe dirmi…”

Han negò col capo con decisione. “Non conosco questo nome.”

“È un ragazzo alto all’incirca come me, con il vizio del fumo. Quando non può fumare si porta sempre uno stecchino alla bocca. Tiene i capelli lunghi fin qua.” Disse indicandosi le spalle.

“Non ricordo nessuno soldato del genere. In generale faccio fatica a ricordare i volti, soprattutto quando sono così tanti e tutti insieme” Un tizio con lo stecchino sempre tra i denti se lo ricordava, scherzosamente veniva ripreso mentre montava a cavallo perché se il cavallo azzardava una sgroppata o s’impuntava rischiava di trafiggersi la gola con quello. Ormai non aveva più senso parlarne, perché era morto di colite ulcerosa una settimana prima del bombardamento. “La guerra ti cambia, è sufficiente un giorno sul campo, forse l’amico che descrivi non riusciresti a riconoscerlo tu stesso.” Concluse e gli occhi gli sfavillarono di una luce ardente.

Raido abbassò lo sguardo e un profondo solco gli attraversò la fronte.

“Dovresti saperlo com’è, ne porti i segni.”

Il fioraio si riscosse e si coprì il volto istintivamente per una manciata di secondi.

“Vorrei fumare.”

Raido gli passò febbrile il pacchetto e l’accendino, ancora in preda di un forte imbarazzo. “Ecco, ecco, non faccia complimenti.”

Han poggiò il cappello di paglia sul tavolo. Il suo volto era nero e gli occhi gazzuoli rilucevano inquieti. Con gesti abituali si accese la sigaretta e il fumo lo avvolse come le spire di un serpe in ampie volute. Sembrava aspettasse che lui continuasse il discorso, aveva voglia di parlare anche se ormai sentiva di non poterlo più fare in modo onesto con nessuno.

“Vorrei raccontarle una cosa, di questa ferita per l’esattezza. In verità non ho mai preso parte alla guerra, ecco vede, non c’è nessuna storia eroica a riguardo e forse così rischierò di tediarla di più, o forse di meno perché le storie di grandi gesta piacciono spesso soltanto a chi le racconta. Io le dico solo che venni assoldato come tutti i ragazzi che avevano appena compiuto la maggiore età. Mi era stata affidata un’arma e facevo parte della fanteria, all’occasione mi facevano preparare con altri compagni i carri per le ripartenze da un villaggio all’altro, sistemavo gli approvvigionamenti e gli armamenti ovviamente. Fatto sta che mentre caricavo una pesante cassa questa mi si ruppe tra le mani e mi cadde addosso una granata difettosa, questa iniziò a girare ai miei piedi vorticosamente come una trottola, restai come paralizzato mentre gli altri urlavano e solo all’ultimo mi allontanai e mi buttai a terra, fu troppo tardi. La cosa di buono è che la carica esplosiva di quell’arnese era bassa, come le dicevo era difettoso, e solo per questo non mi tolse la vita.”

Han fece un lungo tiro.

“Così finii in infermeria, senza passare da nessun campo di battaglia, e ci restai per oltre tre mesi a causa delle ustioni e ferite riportate, fui classificato come mutilato di guerra e congedato. Non mi opposi anche se potevo ancora brandire le armi. Una volta ritornato a casa cercai di raggranellare qualche soldo, anche se ricevevo già un piccolo sussidio. Mia madre rilevò questo negozietto di fiori dagli Yamanaka, il padre era un generale di guerra e una volta morto la famiglia finì in disgrazia, perciò riuscimmo a ottenere l’attività con poco. Non nego che gli affari vadano piuttosto bene, le vedove comprano spesso fiori e se anche hanno pochi soldi sono sempre abbastanza per un fiore. Mia madre è morta di tisi l’anno scorso e questo negozio è tutto ciò che mi è rimasto. Ho ventidue anni e ho sempre vissuto in tempo di guerra, non so cosa sia la pace. Ricordo però mia madre che un giorno mi disse per rincuorarmi, sa era una donna incredibilmente gentile e grata anche durante la malattia, di sopportare con serenità il peso delle mie colpe perché rispetto a quello che la vita mi ha riservato sono di poco conto. Di certo lei potrà dirmi che altri l’avranno avuta più dura, ma non voglio mettermi in competizione, e abbia pietà di mia madre che era in buona fede dicendo quelle parole si riferiva ai figli di tutti.”

“Non dirò nulla della tua povera madre, anzi forse farò una preghierina per lei, ma una simile disposizione d’animo non si confà con l’etica di un samurai.”

“Cosa si confà con l’etica di un samurai?” Disse con voce sottile, quasi fuori di sé. Si era lasciato andare troppo nel racconto e ora provava una forte vergogna. “Essere l’ultimo superstite di un battaglione annientato? Viaggiare su un cavallo sfinito per miglia? Cosa?”

Raido si era alzato in piedi senza nemmeno accorgersene. Il suo sguardo era turbato e cerchi scuri gli marchiavano gli occhi. “Scusi, mi sono fatto prendere dalla foga…”

“Le tue osservazioni sono giuste, non c’è niente che mi accomuni più a un samurai se non quest’arma, l’unica che mi sono permesso di brandire. E quell’animale.” Indicò il cavallino che con lo zoccolo destro pestava il terreno assecondando un tic nervoso. “Me lo porto dietro da diciannove di questi anni, mi dissero che ormai era carne da macello ma non volli ascoltare nessuno. E vidi giusto perché le sue zampe non ci hanno mai tradito e quello sa evitare i proiettili prima che mi colpiscano.”

Raido arrossì in volto e cadde in uno stato febbricitante. Sentiva come se fino a quel momento avesse vissuto in una bolla scura e silenziosa, la quale non gli permetteva di vedere al di fuori, ma al con tempo anche di non venir colpito, si trattava insomma di un buon compromesso, ma ora Han agghindato come un samurai e rosso nell’armatura ma anche nelle sclere degli occhi gli pareva un demone venuto appositamente coi suoi lunghi artigli per trarlo fuori dal suo anfratto.

“Può indicarmi un fiore per ogni stato d’animo?” Suggerì Han quasi riuscisse a comprendere i pensieri del giovane uomo che aveva davanti e volesse in qualche modo salvarlo.

***

Quella domanda per qualche motivo lo aveva colto alla sprovvista. Il linguaggio dei fiori, sebbene fosse una conoscenza (anzi, forse sarebbe meglio dire una credenza), popolare su di lui esercitava un'influenza particolare. Anche se era un fioraio non aveva mai parlato del linguaggio dei fiori con altri, soprattutto perché trovava la sua interpretazione piuttosto intima.

“Beh? Non ne è in grado?”

Questa insinuazione fece riscuotere Raido.

“Sì che ne sono in grado, è solo...”

“Solo?”

“Solo che è complicato. Un fiore può avere molteplici interpretazioni di significato. Io posso darle le mie, ma non è detto che siano quelle corrette. È una cosa molto... personale.”

“Beh gli stati d'animo non sono forse una cosa personale?”

Raido non rispose, il samurai non aveva tutti i torti. Gli fece cenno per farsi seguire all'interno del negozio.

L'interno del negozio era perfettamente aderente alla personalità del suo proprietario: discreto, raccolto. Non per questo meno d'impatto. I fiori erano disposti su ordini di scaffali che ricoprivano quasi interamente le pareti. Non c'era alcun cartellino ad indicare il nome della varietà, pertanto era sottointeso il fatto che per conoscere quel che si stava guardando era necessaria la presenza del proprietario.

“Questo è... non è molto ma...”

“Io lo trovo bellissimo. La rivedo nell'organizzazione del negozio in un certo senso.”

Raido abbassò gli occhi e si grattò una tempia, in evidente imbarazzo. Non era abituato a ricevere complimenti e quando succedeva non sapeva mai bene come comportarsi. La sua cicatrice aveva l'effetto di respingere gli altri, campeggiava sul suo viso come una lettera scarlatta, un peccato mortale che non aveva mai commesso. Aveva desiderato di poter tornare al momento in cui gli era stata inferta, di poter essere vile ed egoista, di poter mandare al diavolo l'esercito, la guerra, il capovillaggio...

Tuttavia il passato non si può cambiare e quindi decise di allentare il rapporto con le persone, dedicandosi alle piante. Uno dei motivi che spingevano Raido a preferire i vegetali agli esseri umani era che più lui si impegnava nel coltivarle, meglio queste crescevano, cosa non valida per i rapporti interpersonali. Anche se era solo non ci si sentiva. Aveva la sua motivazione per alzarsi dal letto ogni mattina: la cura dei suoi fiori.

“Questo cos'è?” chiese Han.

“Si tratta di un fiore esotico, non esiste nella flora spontanea del nostro paese. Nell'isola da cui viene lo chiamano fiore di luna.” rispose Raido senza mai guardarlo negli occhi.

“Fiore di luna?”

“Già... è credenza popolare che il fiore di luna procuri delle visioni a coloro che ne respirano i fumi, e il fatto che si apra solo in alcune notti dell'anno ha alimentato un'altra leggenda: che si apra nelle notti in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottiglia. Per questi motivi il simbolo che i popoli indigeni associano ad esso è la magia.”

Han si fece scettico.

“Queste cose le ha inventate.”

“No-non mi permetterei mai.” balbettò Raido.

“Davvero su un singolo fiore si può costruire una serie di credenze tanto complicate e irrealistiche?”

“Così pare...”

“Lei che significato dà a questo fiore?”

“Io?”

Han annuì.

Quello strano samurai lasciava Raido perplesso. Non era bravo a leggere le persone. Non le capiva. Ma ancora meno riusciva a capire questo veterano, così freddo e distaccato ma apparentemente così interessato alla sua personale interpretazione del linguaggio dei fiori.

“Io... credo che rappresenti la timidezza.”

“Eh?”

“Visto che si apre solo in alcuni giorni dell'anno io trovo che si tratti di un fiore timido, non c'è un vero motivo e so che è un significato piuttosto stupido, però a me piace.” si affrettò ad aggiungere.

“Ora che me lo spiega ha senso, ma la semplicità del suo significato rispetto agli altri che mi aveva spiegato mi ha spiazzato.”

Raido abbassò lo sguardo, non sapendo cosa rispondere.

“Questo invece?”

Raido, grato di poter riempire quel silenzio con una nuova spiegazione, esordì:

“Questo è un crisantemo. Può avere molteplici significati che variano sia in base al paese in cui ci si trova sia in base al colore."

"Di che tipo?"

"In alcuni paesi il crisantemo bianco indica il lutto, la morte. Dalle nostre parti però il significato è un po' diverso: gioia e vitalità. In base ai vari colori, poi, può rappresentare un amore trascurato o un amore appassionato."

"Anche in questo caso lo spettro di significato è piuttosto ampio, "

"Come le ho detto il significato dei fiori è una tradizione popolare, ed è la somma di molte persone come me che davano la loro personale interpretazione."

"Lei vi ha trovato un significato diverso?"

"Direi di no, in questo caso sono piuttosto in accordo con il significato attribuitogli nel nostro paese."

Han si aggirò tra gli scaffali, guardandosi in giro. Si bloccò ad un certo punto, lo sguardo fisso e il dito puntato verso un vaso nell'angolo, in cui erano piantati dei fiori candidi.

"Quel fiore, io l'ho già visto!"

"Beh è un giglio, un fiore piuttosto comune, ma è comunque molto bello, è interessato a saperne il significato?"

Il samurai annuì.

"Allora, anche in questo caso i significati sono molteplici e dipendono dal colore. I più utilizzati sono come quelli che vede, bianchi e rappresentano la purezza d'animo, in alcuni villaggi è usanza farne dono in occasione di nascite."

"Sì non ci sono dubbi, è proprio lo stesso fiore del mio sogno..."

Il fioraio sussultò, ma l'altro non se ne accorse.

Il sogno di cui faceva riferimento Han risaliva a poco più di due giorni prima, e più il tempo passata e più nella sua mente i dettagli si facevano nitidi anziché confondersi come ci si sarebbe aspettato, ma Han non avrebbe saputo se davvero la memoria illuminava parti del sogno lasciate in ombra o se invece la sua mente ne stava semplicemente aggiungendo altre ex nuovo.

Non lo aveva mai raccontato a nessuno anche perché era rimasto solo il suo cavallo durante quel viaggio a udirlo e parlarne ora con Raido non gli sembrava conveniente, si trattava di sue cose personali e non vedeva di alcuna utilità dilungarsi tanto.

Nel sogno era bordo di un calessino con un tiro a tre mandato a tutta velocità. Sfrecciava su una terra desolata, grigia se non incolore, e tra le profonde crepe del terreno sfiatavano colonne impressionanti di vapor d’acqueo. In mezzo a quella sorta di nebbia vedeva perciò poche cose anche se poi in quella desolazione non vi era molto da osservare.

A un certo momento all’orizzonte le cose cambiarono e comparvero dei punti scuri che si facevano più grandi via via che si avvicinava finché non divennero chiaramente sagome di uomini e di donne. Avevano i volti intirizziti, magri magri, ed erano vestiti di stracci, parevano gettati nella miseria più nera e avanzavano lentamente, con fatica.

Han fece fermare il calesse prima di investirli con la furia dei suoi cavalli, e il vapore che ingombrava la vallata si dipanò quel tanto che gli bastava per vedere l’orda di disgraziati crescere. Un particolare a quel punto lo sconvolse a tal punto da costringerlo a brandire la spada, la pancia di un uomo delle frontevie si squarciò d’improvviso con un sibilo e, anziché riversare a terra le budella, dalla ferita germogliarono dei gigli dai lunghi steli di un verde smeraldino. Han levò la spada al cielo pronto a far calare il fendente, ma l’uomo si schiantò a terra con un tonfo e farfugliò: “Date i fiori ai cavalli.” La sua carne si scompose, in un battibaleno divenne polvere e rimasero solo i gigli rigogliosi ben saldi al terreno. E così fu, sotto lo sguardo attonito di Han, per tutte le altre genti, dalle labbra raggrinzite pronunciarono uno seguitatamente all’altro le stesse identiche parole per poi schiantarsi a terra e sparire.

Si era svegliato di soprassalto, madido di sudore, con le mani afflitte da tremendi crampi bloccate alle redini del cavallo e con l’immagine vivida quasi fosse reale di uno sterminato campo di gigli sommerso dai fumi.


 

“Duecento gigli.”

“Come scusi?”

“Una ghirlanda di duecento gigli. E che siano duecento, né più né meno. Verrò a ritirarla tra tre giorni.”

Raido si risolse in una alzata di spalle e segnò l’ordine sul taccuino. Non si aspettava che Han fosse entrato nel suo negozio davvero per portare a termine un ordine, questa sembrava per lo più un’idea sorta all’improvviso, nulla di programmato.

Prima che il samurai s’accomiatasse, Raido gli offrì delle opzioni valide in paese in cui poter soggiornare.

***


 

La notizia della morte di Han arrivò come un soffio suggellato dal vento. Era una mattina fredda, è la terra era ancora indurita dalla gelata notturna. Il cielo azzurrino era privo di nuvole e portava con sé il sentore dell’arrivo anticipato della brutta stagione. Gli stormi si erano levati con l’anticipo di quasi una settimana dai campi coltivati. Raido s’era fatto l’occhio per riconoscere questi indizi del cielo poiché gli tornavano utili nella sua attività, per raccogliere e piantare i bulbi.

Han si era tolto la vita un paio di giorni appresso alla loro chiacchierata in negozio. Sui dettagli della sua morte Raido non aveva voluto soffermarcisi, sapeva solo che era stato eseguito il rituale suicida con somma precisione, la cosa importante però era che era morto, per tutti, con onore. Un eroe d’altri tempi che non potendo accettare la sconfitta del suo esercito aveva scelto di seguire i compagni fino alla fine nella sorte avversa.

Raido passò lo strofinaccio sopra il bancone energicamente e rassettò le sedie. Fuori si udivano gli scampanacci del corteo funebre sempre più vicini. Il paese si era riunito per dare omaggio ai caduti. Ora la gente si sentiva più vicina alla guerra, dopo che un’autorità, o comunque loro lo ritenevano un pezzo grosso dell’armata, come Han aveva scelto come tomba il loro piccolo borgo. Raido aveva deciso di dare il suo contributo al corteo in modo a lui consono.

Quando lo scalpiccio dei muli e cavalli arrivò davanti al negozio, il fioraio uscì all’ombra della veranda ad assistere alla scena.

C’erano smagrite donne con ceste colme di avena e qualche fiore, i bambinetti che correvano con i loro vestiti neri, e i contadini che con ancora in mano gli arnesi del lavoro avevano deciso di seguire il corteo. I ministranti suonavano il campanaccio e i religiosi pregavano sommessamente a capo chino.

All’ombra della veranda tra le sue piante esotiche dalle grandi foglie verdi Raido osservava lo spettacolo. Il suo viso nascosto sotto la tesa del cappello non poteva essere visto. Si accese una sigaretta con i soliti gesti consueti.

Il cavallo bianco di Han sfilò davanti a lui fiancheggiato da quattro ragazzetti di cui uno lo conduceva a piedi per le briglie. L’animale era magro e coperto di cicatrici, ma il manto ora splendeva come neve al sole e la criniera rasata mostrava la linea morbida del collo, ornato da una ghirlanda di duecento splendidi gigli.

Raido inspirò il fumo e un sorriso tremulo e commosso gli mosse le labbra.


 


 

   
 
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