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Autore: coopercroft    22/10/2020    1 recensioni
Dopo una vita spesa per il lavoro e a proteggere i suoi familiari, Mycroft si rende conto di non avere nulla per cui vivere. Ma non ha fatto conti con il destino che non ha ancora chiuso la partita con lui.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Togliersi la vita. Interessante espressione: toglierla a chi? Non è certo al morto che mancherà. La nostra morte è qualcosa che capita a chi resta. ~Sherlock~.

La vecchia casa a Pall Mall era immersa nella penombra. Era quasi l'imbrunire, Mycroft Holmes era seduto davanti al camino spento, l'unica luce era quella che filtrava dalle finestre, con le spesse tende di cotone damascato.

Fissava un punto davanti a lui senza in realtà vedere oltre. Il suo elegante portamento era solo un ricordo. Il bel completo blu appariva sgualcito, come avesse affrontato una lunga battaglia. Aveva tolto la giacca sistemandola sulla sedia, abbandonando la cravatta sul tavolo. La camicia bianca ormai sciupata era arrotolata fino ai gomiti.

La sua casa antica aveva preso l'odore stantio della mancanza di aria, del chiuso. Sembrava rispecchiare la sua attuale vita.

Era sempre stato soddisfatto di quella casa ereditata dallo zio Rudy, ma ora non sentiva più nulla per quel posto che aveva tanto amato. Lo trovò decadente.

Si verso due dita di liquore che gli bruciò in gola facendolo tossire. Appoggiò il bicchiere e i gomiti sul tavolo portando le mani bianche al volto.

Erano passati sei mesi dai fatti accaduti a Sherrinford, sei mesi di inferno per Mycroft che non era riuscito a superare il dramma della sorella, rivedeva continuamente le vittime di Eurus. Si sentiva colpevole, angosciato, pieno di rimorsi, per non averla fermata prima. Eppure sapeva la pericolosità di Eurus, ma era sempre sua sorella e aveva tergiversato.

Forse il colpo più grosso lo aveva ricevuto dai genitori, quando gli aveva dovuto rivelare l'esistenza della sorella. Le parole sferzanti della madre lo avevano destabilizzato. Quell'idiota, che Violet gli aveva gettato in faccia, lo aveva ferito più di tutti gli anni passati a mentire.

Lì si era rotto qualcosa, che non era più riuscito ad aggiustare. Benché Sherlock gli avesse dato il suo appoggio, il vaso di pandora si era aperto e le emozioni lo avevano pervaso, e incapace di gestirle, aveva perso il controllo di sé stesso e aveva ceduto.

Il vecchio orologio scandì le ore e lo fece sussultare. Ebbe un moto di paura, come se i morti di Sherrinford fossero tutti lì presenti.

All'inizio era riuscito a mascherare bene il disagio che lo prendeva, ma più il tempo passava, più faticava a resistere.

Si allontanò dai legami familiari che lo circondavano, rimase a lungo solo, si sforzò di trovare scuse per non andare al lavoro.

Placò le domande di Anthea preoccupata, frequentò poco Baker Street, e si isolò consapevolmente sempre di più. Si finse preso da chissà quale progetto di governo. E sparì lentamente senza rumore.

Il corpo e la sua mente reclamavano silenzio, stilava classifiche e brutali analisi di coscienza. Una vita spesa inutilmente, lo pensò con atroce dolore.

Si accorse che il sole lentamente tramontava, ci sarebbe stata poca luce tra poco, ma non gli importò molto.

Sul tavolo di noce, dove era seduto, c’era un foglio bianco con la sua bella calligrafia impressa. Una penna stilografica che gli era stata regalata per Natale, e poco più in là c'era inquietante, il revolver del suo ombrello, con un colpo in canna.

Mycroft lo guardò e tremò, si sentì irrimediabilmente perduto, incapace di reagire, come se qualcuno lo spingesse a fare quello che aveva deciso. Ma era lui stesso che lo esigeva, nessuno lo istigava a farlo.

Voleva finirla quel giorno Mycroft, voleva chiudere il suo viaggio. Era stanco. Si prese il volto fra le mani e rimase così per alcuni minuti.

La vecchia casa sembrava vegliarlo, piena di rumori minacciosi, lui pensò a tutti gli sbagli fatti, alla vita che avrebbe potuto avere, se non si fosse arroccato in quel suo modo di essere fuori dagli schemi, manipolatore, freddo e solo. Sostanzialmente solo.

Adesso che le emozioni lo prendevano, lo divoravano dentro, la sua incapacità di richiuderle ancora, di affossarle come aveva sempre fatto, lo faceva soffrire in modo atroce.

Ora provava la mancanza di affetti stabili, di sentimenti umani, di calore, di un bacio dato con passione. Ora avvertiva gli stessi sentimenti dei suoi detestati lenti, pesci rossi. Ma lui era il peggiore della specie.

Per anni la sua vita era stata tutta rivolta a proteggere la sua famiglia, a scalare le classifiche di tutti i livelli dello stato che governava. Aveva il potere di fare tutto o quasi. E spesso non gli bastava.

Ma alla fine la cosa che lo addolorava di più era di non essere riuscito a ricucire il rapporto con Sherlock, che dall'adolescenza si era irrimediabilmente interrotto. Il lavoro che lo aveva portato via da casa e il piccolo fratello non glielo aveva mai perdonato. Si era sentito abbandonato, e aveva preso strade difficili.

Così era cominciato quel continuo prendersi e lasciarsi, quelle frasi dolorose che col tempo Mycroft non riuscì più a reggere. Quel sentirsi in difetto per qualsiasi cosa facesse il fratello minore.

Mycroft sentiva, costantemente, ogni volta, che la colpa era sua.

Ma le frasi sprezzanti, l'allontanamento che Sherlock gli impose, l'essere a volte violento, lo avevano fatto chiudere in un atteggiamento sprezzante nei confronti di Sherlock. Il rapporto fraterno si era chiuso nei meandri di frasi svilenti e offensive da entrambe le parti.

Non esisteva fra loro nessun gesto affettuoso. Quegli abbracci che il piccolo Sherlock gli donava erano spariti, come non li avesse mai ricevuti, ne dati. Le emozioni lo presero ancora più forte, strinse con la mano tremante la camicia sopra al cuore, dovette fermarsi di pensare.

Mycroft sollevò la testa e prese la stilografica per lasciare ancora due righe al fratello. Scrisse quello che aveva appena provato, si scusò per il dolore di chi restava e non certo di chi se ne andava.

Fece una breve pausa, aveva la gola secca, si versò dell'altro liquore, lo bevve in un fiato. Si lasciò sfuggire un debole sospiro.

Chiese a Sherlock di perdonarlo per il male che stava per fargli, di continuare senza di lui, ma con vicino John e la piccola Rosie.

 Lui non poteva più proteggerlo era troppo stanco. Il suo compito lo aveva svolto fino alla fine.

La vecchia casa sembrava stringersi insieme a lui, riprese la stilografica e firmò il foglio scritto con tanto dolore.

 

 

Vacillò mentre prendeva il revolver, respirò incerto, in affanno. Resettò la mente, portò la canna sulla tempia. E chiuse gli occhi.

Nello stesso, preciso istante, il cellulare vibrò. Era lì sul tavolo, insistente, che non smetteva di riportarlo indietro.

 

Mycroft sussultò, prima incerto, poi incuriosito guardò quell'ultima chiamata. Posò la pistola trepidando.

Sherlock. Dio! Si ritrovò l'anima in gola. Ansimò di dolore e rabbia, di interessata apprensione che il suo amato fratello, avesse ancora bisogno di lui.

E rispose dandosi un contegno.

"Sherlock, che cosa vuoi? Sono impegnato."

Mycroft cercò di essere l'inespressivo, freddo fratello di sempre.

"Ti cercano tutti, fratellone, sei sparito? Sei a casa vero?"

Sherlock sembrava incuriosito, ma sentiva la voce di Mycroft incrinata, si avvicinò di più alla casa di Pall Mall.

Perché Sherlock era lì fuori, che lo cercava con lo sguardo dalle finestre.

Era da troppo tempo che non si faceva sentire, anche Violet sua madre, chiedeva insistentemente di lui. E Sherlock aveva capito che Mycroft stava male. Lo sentiva nelle ossa, e nel cuore.

"Dove devo essere Sherlock? Sono a casa, sbrigo del lavoro e quindi dimmi cosa vuoi." 

 Mycroft cercava di recitare bene la sua parte, ma era contento di sentire la sua voce. Dopo sarebbe riuscito a chiudere i suoi conti con tutti, serenamente.

Sherlock lo vide seduto al grande tavolo, lo vide incurvato sulla sedia e tremò di paura. Il revolver era appoggiato sul tavolo. Non gli ci volle molto a capire.

Lo intrattenne al cellulare, con una scusa banale ed entrò piano in casa, lui lasciava sempre aperto, sapeva come entrare.

"Sherlock per Dio!  Arriva al dunque! "Mycroft si stava irritando, trovava inutile conversare su delle cose futili.

Sherlock era entrato senza far rumore, gli fu rapidamente alle spalle.

"Credo che prenderò in prestito una cosa Mycroft. Questa!" 

 Sherlock alle sue spalle afferrò la rivoltella, mentre Mycroft si girò di scatto e se lo trovò davanti. Rimase immobile col cellulare in mano che quasi gli cadde.

Mycroft impallidì e non respirò più. Sherlock credeva sarebbe svenuto, prese un bicchiere d'acqua dalla cucina e glielo porse costringendolo a bere.

"Piano fratello, respira, razza di idiota, cosa stavi per fare!" 

 Mycroft tremava e non riusciva a smettere, soprattutto per la vergogna di avere Sherlock, lì davanti.

Il fratello minore cercò di calmarlo, si sedette di fronte a lui, lo prese per le mani e le strinse così forte che Mycroft si lamentò. Era furioso e allo stesso tempo sconvolto. Alzò la voce quasi gridando.

"Se avessi tardato pochi minuti, avrei trovato il tuo amato cervello sparso sul tavolo. Cristo! Cosa ti è preso? Mycroft!"

 Sherlock implorava una risposta sensata.

 "Mi volevi condannare a ricordarti morto in questo modo, con il tuo sangue disseminato ovunque. E per quale misterioso motivo vuoi chiudere la tua vita fratello."

"La mia vita è stata una faccenda ignobilmente inutile, Sherlock!"

Mycroft scattò in piedi lasciando la sua stretta. Gli occhi ridotti in due linee sottili, si morse irrequieto le labbra sanguinando. Portò le mani sulle tempie stringendole tanto forte che divennero bianche.

"Inutile? Ma come sei giunto a questo, per Dio? La tua vita inutile. Sei stato presente in ogni attimo della mia vita. Gesù, fratello, sei tu lo sconsiderato adesso." 

 Sherlock rifletté per alcuni secondi.

"È stato per Eurus, vero? Per quello che lei ha fatto! E per mamma e papà! Per quello che hai visto nei loro occhi. Ma lo sai che era la scelta giusta da fare! Ti ho appoggiato."

 Sherlock si rabbuiò in volto. "Ma in parte è anche colpa mia, nel averti pensato sempre forte." Ora se ne rendeva conto con amarezza.

Mycroft continuava a rimanere muto, preso nel contorto giudizio di sé stesso.

"Vestiti! Prendi il cappotto usciamo da questa casa." 

Sherlock ebbe un moto di rabbia. Si avvicinò a Mycroft che si lasciò guidare. Il fratello minore lo aiutò a mettere il Crombie nero e gli aggiustò la sciarpa.

"Fa freddo fuori e tu hai bisogno di schiarirti le idee. Semmai nei hai una che funzioni lì dentro." Mycroft continuava nel suo desolato silenzio.

Presero la porta che dava sul retro, che portava nella campagna e seguiva una mulattiera. Era illuminata da qualche fioco lampione, perché era giunto il buio.

L'aria sferzò il viso contratto di Mycroft, che rabbrividì per il freddo. Si alzò il bavero e ficcò le mani in tasca. Non lo faceva mai per non rovinare i suoi costosi cappotti, ma ora niente aveva importanza.

Un pensiero lo assalì. Poteva già essere morto da un'ora, sentì lo stomaco rivoltarsi, il dolore salire fino a farlo gemere dalla disperazione.

Sherlock lo prese sotto braccio e quasi lo forzò a camminare.

"Non pensare a nulla fratello mio, respira e seguimi. Forza."

I due fratelli procedevano lenti, senza parlare, nel buio della sera. Mycroft insicuro, incespicava vicino a Sherlock, si stringeva nel cappotto, abbattuto.

 Non poteva sorreggersi con il suo amato ombrello che Sherlock aveva requisito.

Le mani strette in un pugno nelle tasche. Sollevava la testa di tanto in tanto, guardando il fratello minore. E non riuscì più a trattenersi. Si fermò improvvisamente.

Mycroft sentì salirgli una sofferenza violenta che gli offuscò la vista. La sua mente così unica cominciò a vacillare, improvvisamente assente, era fisicamente distrutta.

 Si nascose il volto con le mani, smarrito. Sentiva le gambe cedere. E sarebbe crollato se non ci fosse stato suo fratello.

Sherlock lo afferrò e lo tenne stretto, lo fece appoggiare al muretto. Poi lo abbracciò con tutto l'amore che poteva dimostragli. Myc affondò il volto sulla sua spalla e soffocò la disperazione, mentre diceva cose sconnesse, chiedendogli di perdonarlo.

Sherlock avvertì tutta l'angoscia del fratello e rabbrividì.

Non era più l'altero, freddo governo britannico, il Mycroft, scaltro e risoluto. Ora era solo suo fratello Myc, schiacciato dalla sofferenza e da un peso portato troppo a lungo. Pieno di dubbi e smarrito.

Quando si calmò, Sherlock lo fece camminare ancora per qualche tratto, stemperando l'ansia che lo avvolgeva. Gli porse un bianco fazzoletto per asciugarsi il volto umido, Mycroft lo afferrò esitando, mormorando un timido. "Grazie"

"Stasera vieni da noi a Baker Street, prendi dei vestiti, starai con noi per qualche giorno.'"

Mycroft non protestò, sapeva che era instabile e rimanere da solo poteva portarlo a riprovarci. Guardò il fratello e annuì senza parlare.

Il bel viso di Sherlock si addolcì. Aiutò il fratello maggiore ancora stordito a prendere coraggio, mentre il giovane Holmes realizzò quanto fosse andato vicino a perderlo per sempre.

La luna apparve e illuminò il volto teso di Mycroft, i suoi lineamenti una volta così decisi ora erano appena accennati. La stanchezza lo segnava. Eppure Sherlock vide una luce nei suoi occhi grigi, che lo rincuorò.

Entrarono in casa, Sherlock prese il foglio sul tavolo e lo diede al vecchio Holmes.

"Se queste erano le tue ultime parole Myc prendilo, mettilo via non voglio nemmeno vederlo." Era irritato e allo stesso tempo addolorato.

Mycroft lo infilò dentro la giacca senza parlare. Ancora non riusciva a dire niente. Si limitò a salire insieme a lui in camera a prendere alcuni vestiti. Ma era mentalmente affaticato, incapace di prendere qualsiasi decisione e Sherlock lo dovette aiutare.

Gli mise un cambio dentro il borsone, cercò di coinvolgerlo, ma Myc non reagiva.

Sembrava lontano come la sorella. Sherlock tremò, temendo che suo fratello andasse oltre, come Eurus. Allora perse la residua pazienza che gli era rimasta, e sferrò due sonori ceffoni al fratello.

"Ora metti qualcosa in quella borsa! Mycroft fa quello che ti dico!" 

 Lui si scosse dolorante, le guance rosse, sembrò scuotersi, prese a connettere si massaggiò il viso e finalmente parlò.

"Per Dio fratello, mi hai fatto male. Hai delle mani pesanti." 

 Sherlock fu contento di risentire la sua voce. Quella che molte volte aveva giudicato fastidiosa, ora gli sembrò dolce.

"Te ne darei mille se servisse a farti ragionare." Sherlock gli sorrise finalmente rasserenato.

"Dio, fratello prima, mi abbracci poi mi riempi di schiaffi. Ma devo dire che mi ha fatto bene."

Mycroft increspò le labbra e gli restituì un debole sorriso.

A Sherlock sembrò di toccare il cielo con un dito. Mai il volto sorridente di suo fratello gli era stato così caro.

Salirono silenziosi nel taxi. Sherlock portava il borsone del fratello, che gli pesava come una intera vita. Si sedettero vicini, Sherlock avvisò del suo arrivo con il fratello al seguito.

John fece poche domande sapeva che quella scelta era stata dettata dalla necessità. Certo non sospettava il pesante perché.

Mycroft guardava fuori dal finestrino, si stringeva nel cappotto quasi avesse bisogno di protezione. Aveva portato con sé il laptop, residuo del suo potere, già vuotato da rapporti compromettenti. Non avrebbe lasciato nulla dietro di sé che nuocesse alla sua famiglia.

Sherlock lo guardava ogni tanto, non sapeva bene cosa fare con suo fratello. Non lo riconosceva più, certo non era il Mycroft di sempre. Era così immerso nel suo mutismo, da farlo esasperare. Lo scorse appoggiare la fronte sul vetro e lo chiamò.

"Mycroft, girati per favore, puoi guardarmi? A cosa stai pensando fratello."

Lui scosse la testa, poi finalmente disse qualcosa.

"Nulla fratellino, non penso a nulla, non sarà facile affrontare la compassione generale che vorrete affibbiarmi. Ma bada fratello che io non la voglio. Io avevo deciso Sherlock, lo capisci? Io ero sicuro della mia scelta."

"Anche prima quando ti sei lasciato andare, quando avevi capito l'errore che stavi per fare?" Sherlock lo avrebbe picchiato per la sua testardaggine.

 "Guardami ora, dimmi che non ti fa piacere vedermi e parlarmi. Ed essere vivo! Stupido!"

Mycroft grugnì sofferente. E abbassò la testa.

"Forse hai ragione fratellino, ma a cosa mi condanni adesso? A fingere di stare bene? A credere che tutto tornerà come prima? A forzare un sorriso mentre dentro mi piego alla vostra volontà?" Mycroft si strinse il volto fra le mani. "Dio! Sherlock dimmi cosa devo fare perché io, non lo so! "

Mycroft tornò a guardare la strada buia, mentre gli saliva prepotente la nausea.

Sherlock, se ne accorse fece fermare il taxi lo prese per le spalle e lo spinse fuori, appena in tempo perché Mycroft vomitò anche l'anima.

"Va meglio fratello? "Sherlock gli teneva la fronte, mentre piegato in due il vecchio Holmes cercava di controllare il suo stomaco sottosopra.

Faceva freddo, tutti e due tremavano Sherlock lo guidò verso l'auto dove il tassista li fissava perplesso.

"Tra poco saremo a casa e John si occuperà di te. Mycroft fammi un favore, cerca di stare tranquillo. Troveremo una soluzione insieme. Te lo giuro fratello non ti lascio. A costo di legarti."

Myc annuì oramai allo stremo. L'unica cosa che voleva era un letto su cui distendersi. Sherlock lo fece risalire, chiamò John che scendesse in strada per dargli una mano. Mycroft era appoggiato con la testa sulla sua spalla e respirava pesantemente. Teneva un fazzoletto stretto nella mano e lo stropicciava senza sosta.

Finalmente vide John sulla strada vicino a Baker Street.

Scese non gli disse una parola, solo un "aiutami ti prego."

John non ebbe bisogno di altro, prese in consegna Mycroft pallido come un lenzuolo. Lo sorressero entrambi. Il taxi fu pagato velocemente, salirono con il vecchio Holmes che non collaborava per niente.

"Dimmi cos'ha, che possa intervenire."

"Mettiamolo nella camera degli ospiti, poi ti spiego."

Mycroft si animò quel tanto da riconoscere John, ma la nausea lo limitava. Lo stesero nel morbido letto e lui si lasciò andare.

John prese la sua valigetta e cominciò a visitarlo. Sherlock lo aiutò a spogliarlo, prese il borsone e tirò fuori il pigiama.

"Ha vomitato e non smette di agitarsi." Il fratello minore era preoccupato.

"Va prendere queste medicine e queste fiale, porta qui tutto." John si occupò di Mycroft lo chiamò, ma lui non rispose subito. Poi ebbe un attimo di lucidità e lo guardò con aria di sfida.

"Vuoi sapere cosa ho fatto, mio buon Watson? Tanto te lo dirà mio fratello. Ho cercato di spararmi. Volevo mettere fine alla mia vita, se Sherlock non fosse arrivato, ora staresti preparando il mio funerale."

John si fermò senza fiato. Sapeva la volontà di ferro di Mycroft e se aveva detto questo era vero. Lo esaminò e cercò di calmarlo.

Poi pensò al dolore del suo compagno, e si irritò.

"Non hai pensato alle persone che ti vogliono bene? Cristo! Mycroft! "

"Perché devo pensare sempre agli altri John, è tutta la vita che ci penso! Ma io esistevo per voi? Quando mai vi siete preoccupate per me?"

Mycroft si agitò parecchio, John fu costretto a chiamare in fretta Sherlock per farsi aiutare a tenerlo.

"Ora dormirai Mycroft, ti farai una gran bella dormita, le discussioni le faremo in seguito."

Sherlock tenne stretto il braccio del fratello che si dimenava, fu veloce e abile John a infilargli l'ago in vena e finalmente Mycroft si addormentò stremato.

John e Sherlock chiusero la camera e lo lasciarono dormire. Sherlock era distrutto da quello che era successo in quelle ultime ore.

Si sprofondò nella vecchia poltrona. Chiuse gli occhi con le mani giunte sotto al mento. John confuso, si sedette di fronte a lui, ma non disse una parola, sapeva che Sherlock si stava concentrando. La casa era insolitamente silenziosa, Rosie dormiva e la sig. Hudson era andata dalla sorella.

Ed era stato meglio così visto, quello che era accaduto. Mycroft era fuori controllo e John non sapeva nemmeno lui cosa fare.

Il fratello di Sherlock era il fulcro degli Holmes, l'affidabile uomo del governo, dalle decisioni veloci non sempre legali, ma era sempre stato la sicurezza di tutti loro.

Sherlock si scosse, aprì gli occhi e prese a raccontare al suo compagno quello che era successo. Non tralasciando nulla, un racconto doloroso che Sherlock interruppe più volte.

"John, se fossi arrivato pochi minuti dopo, non avrei più un fratello, per Dio! Non potevo aspettarmi una reazione del genere da parte sua. Lui è sempre stato così razionale. Sono spiazzato. Devo decidere cosa fare per tirarlo fuori dal pantano in cui sta affondando."

Sherlock aveva gli occhi lucidi, pieni di sofferenza e rabbia.

"Per adesso possiamo solo sostenerlo, con farmaci adeguati che lo tengano tranquillo, che stabilizzino l'altalena delle sue emozioni. Dobbiamo convincerlo che per un certo periodo li dovrà prendere. Le crisi allo stomaco, sono dovute alla sua mente, che si contorce e traduce tutto in dolore fisico."

"Non sarà facile conoscendo mio fratello." Sherlock sbuffò seccato. "Per un certo periodo sarà difficile lasciarlo solo, non voglio che possa riprovarci."

"Siamo in due e troveremo qualcuno che ci dia una mano." John era convinto di poter aiutare i due fratelli Holmes. Sherlock intanto elaborava una condotta da tenere.

"Poi c'è il problema del posto che ricopre, se vengono a sapere che è sopravvissuto ad un tentativo di suicidio, avranno timore che sia instabile, che i segreti che conosce siano mal riposti. Lo potrebbero obbligare ad entrare in una delle loro case di cura per tenerlo a bada, e non ne uscirebbe più!"

"Quindi cosa vuoi fare? Tenerlo nascosto è quasi impossibile! "

"Potrei trovare un accordo e ricattarli. Nel suo laptop Mycroft ha cancellato tutto per proteggerci, e metterci al sicuro, ma posso farlo ripristinare, con quello che c'è dentro, fermarli. Lo farò dichiarare, momentaneamente incapace, ne prenderò la tutela legale a garanzia. Lo proteggerò in modo chiaro, lo blinderò, non dovranno toccarlo."

"Non lo accetterà facilmente, Sherlock lui è troppo orgoglioso di sé stesso."

"Lo era John! Ora ha bisogno di sicurezze, questo è un modo per tenerlo al riparo da ritorsioni e soprattutto che possa restare con noi. Altrimenti lo perderò di nuovo."

"Dovrai parlargli se sarà in grado di comprendere, ora è decisamente indifeso."

"Vedremo domani mio caro John, vedremo quanto è compromesso!" Il vecchio orologio segnava l'una di notte. Nessuno aveva mangiato quella sera.

 

   
 
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