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Autore: MaikoxMilo    22/10/2020    2 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 1: Qui, senza di te

 

 

25 ottobre 2011, tarda serata

 

 

La cena era trascorsa in religioso silenzio, neanche la presenza, generalmente solare, di Milo era riuscita a ravvivare gli animi, che permanevano tetri e lugubri, soprattutto da parte di Michela, la quale, ancora frastornata dall’allontanamento di Hyoga, aveva mangiato pochissimo, chiedendo addirittura un po’ di verdura, cosa assolutamente non da lei, Camus lo sapeva bene, perché in quei mesi di convivenza aveva imparato a conoscere le sue allieve e ad affezionarcisi velocemente, come, in precedenza, era successo solo con Isaac dopo i primi, prudenti, mesi di distacco e, successivamente, con la piccola Sonia. Che fosse causato dall’essere morto più di una volta, o da chissà quale altro prodigio, l’Acquario aveva smesso di domandarselo dopo il loro ritorno dal passato. Ormai era successo, non aveva senso alcuno torturarsi sul perché, era accaduto, e ciò lo faceva sentire bene, sebbene lo mettesse in condizioni ancora più fragili.

Ed essere fragile era una delle sue paure maggiori, ma non avrebbe più potuto tornare indietro e, forse, neanche avrebbe voluto.

La cena era trascorsa in silenzio, nessuno aveva voglia di parlare, tanto meno Milo, orfano di Sonia, affatto abituato all’assenza della ragazza con cui ormai condivideva anni di coesistenza. Camus capiva bene il suo stato, si era sentito così, dopo la morte di Isaac… perso… nel vuoto. Ma a differenza sua, per lo Scorpione era una separazione solo temporanea, la ragazza sarebbe tornata, tempo 40 giorni, insieme a Marta, ma Milo aveva un cocente bisogno di averla intorno, lo faceva sentire bene e… ci era rimasto male per la sua scelta, era chiaro, anche se aveva fatto in modo di nasconderlo all’allieva.

Allievi… tzé! Allievi che facevano di testa loro, sempre, convinti di essere grandi, cacciandosi poi nei guai e…

Isaac…

Quasi si dovette sorreggere alla credenza al ricordo dell’amato allievo, il piatto che stava lavando cozzò irrimediabilmente contro il lavandino, crepandosi e rischiando di rompersi.

Perché andava a pensare sempre ad Isaac quel giorno? Era stato a causa del dialogo con Marta? Perché lei glielo ricordava? Oppure perché anche Hyoga se ne era andato, lasciandolo lì, solo? Era poi solo, in effetti? Sì, lo era, una parte di lui se ne era andata con il biondo, l’altra parte, la preponderante, non si dava pace per avergli permesso di lasciare quella Casa senza più voltarsi indietro.

Sarebbero davvero bastate le sue parole per convincerlo a rimanere? Dopo avergli sputato addosso che, sì, aveva sempre preferito Isaac, che lui era stato un mero sostituto e che la colpa di aver rotto il nido era stata solo la sua, della sua esistenza maledetta, sarebbe bastato un suo intervento per ristabilire tutto?!

La verità era anche un’altra… Hyoga era molto di più per lui, era il suo ragazzo, che aveva fatto crescere a prezzo di immani sacrifici, nonché una parte inestimabile del proprio cuore. I pensieri che Nero Priest gli aveva estirpato con la forza, erano altresì veritieri, ma frutto di momenti di disperazione o debolezza, o anche rabbia. Era stato l’influsso nemico a renderli così esacerbati, lui non era stato in grado di opporsi e non se lo perdonava, perché a causa di ciò aveva inferto un duro colpo all’allievo, che infatti, colpito e affondato dalle sue parole, si era allontanato da lui, forse per sempre.

Una fitta improvvisa al petto. Camus fu costretto a posare il piatto nel lavandino, prima di toccarsi il torace con l’altra mano e cercare di calmare il dolore con il suo respiro. Gli capitava di frequente quel tipo di malessere, che partiva come stilettata per poi dilagarsi dappertutto, ripercorrendo le tre cicatrici che segnavano il suo corpo. Era di breve durata, in genere, ma atroce.

Non quella volta. Camus dovette fare forza con i piedi per andarsi lentamente a sedere, ringraziò mentalmente che non ci fosse nessuno nei dintorni a vederlo così, quindi si permise di piegarsi un poco in avanti nell’estremo tentativo di controllarsi. Aveva difficoltà a respirare correttamente, il dolore si accentuava invece di diminuire, persistendo, la testa aveva preso a pulsargli violentemente… doveva calmarsi nel più breve tempo possibile, altrimenti una delle due allieve avrebbe potuto accorgersi delle increspature del suo cosmo e preoccuparsi, non poteva permetterselo. Rabboccò aria, forzandosi alla calma, serrò le palpebre, sofferente.

“Mmm, ero venuto a chiederti come stavi, ma… temo di avere già una risposta!”

Camus trasalì al suono di quella voce, non aspettandosi qualcuno, men che meno lui proprio in un momento simile. Si lasciò sfuggire un “Porc…!” che riuscì tempestivamente a censurare, prima di alzarsi con tutte le sue forze e fissare con astio il nuovo giunto.

“Efesto! Che diavolo ci fai qui?!”

Si raddrizzò, nonostante la testa continuasse a pulsargli con forza sempre maggiore, dovette divaricare le gambe per non cadere, la sua ferma volontà glielo permise, a scapito però della sua stessa respirazione, che si fece ulteriormente affannosa.

Il dio del fuoco, dell’ingegneria e delle fucine, nonché suo padre, era apparso all’ingresso della cucina, come se nulla fosse, cosa che aveva subito mal disposto l’Acquario, per niente lieto di farsi vedere in un momento di debolezza.

Non si incontravano da mesi, per Camus andava più che bene così, era completamente a favore di quell’assenteismo continuo, invece eccolo lì a riapparire improvvisamente, soprattutto... a carpirlo proprio quando si era sentito male, che disonore!

“Mmm…. Mmh! Sono venuto qui per Marta!” affermò l’altro, con riluttanza, puntando quel suo unico occhio blu, che avevano ereditato i figli, dappertutto nella stanza tranne che nella figura del maggiore.

“Arrivi tardi! Se volevi fare il padre modello avresti dovuto intervenire prima – quasi sibilò quell’ultima parola, dandogli le spalle e appoggiandosi al lavandino – E’ già partita, Shion l’ha spedita in punizione sull’isola di Milos e l-lei… voleva solo proteggermi!”

“Lo so”

“E allora, se lo sai, vattene da questa casa, non c’è nulla che ti deve interessare qui!” affermò ancora, mentre, barcollante, si dirigeva di nuovo verso il divano per stendersi un attimo, poiché il male era diventato atroce, insopportabile, suo malgrado non gli permetteva di rimanere in piedi in posizione eretta.

“Sono venuto qui per Marta...” ripeté meccanicamente il dio, con una punta di nervosismo.

A quel punto Camus, ancora in piedi, gli scoccò un’occhiata gelida, riottosa. Non voleva proprio capire: non era benvoluto in quel tempio, che racchiudeva gli affetti più intimi, e lui di certo, nonostante il legame sanguigno, non lo era.

“Ti ho detto che non è qui, è sull’isola di Milos, se vuoi raggiungerla. Basta che te ne vai da questa casa, oppure...”

“Marta mi ha detto di chiederti come stai...”

Quell’ultima frase sorprese Camus, il quale, tuttavia, poco dopo si girò completamente verso di lui, gli occhi glaciali, le labbra tese in una smorfia di disapprovazione.

“Ma bene, prima non capivi i sentimenti umani, ora non riesci neanche più ad avere un cervello funzionante per ragionare! Hai fatto dei passi da gigante, le mie più sincere felicitazioni!”

“Non trattarmi con sgarbo, figliolo...”

“NON TRATTARTI CON…! - Camus si costrinse a calmarsi, perché il petto gli continuava a fare male, prese due respiri profondi prima di proseguire - E tu come ci hai trattati, Efesto, dimmi, come ci hai trattati in tutti questi anni?! Ed ora pretendi da Marta e me… CHE COSA?!”

“So bene di non essere stato un padre per voi, ma… ci sto provando, Camus, davvero...”

“Oh, lo vedo proprio chiaramente!” commentò ancora aspramente, sedendosi sul divanetto e appoggiandosi allo schienale, lottando con il bisogno di chiudere gli occhi e riposarsi. Non avrebbe ceduto davanti a lui.

“Pff, ed io che pensavo che fosse Marta la più ostica, tu non sei da meno, anzi, fin peggio, forse...”

“Il dialogo deve proseguire ancora per molto o puoi andartene, Efesto? Sono… stanco!” bofonchiò Camus, riuscendo finalmente a trovare una posizione comoda per sprofondare nel divano.

“Non ci sono stato per te quando sei stato ferito da quegli artigli che ti procurano ancora un male atroce, non ci sono stato quando sei caduto vittima della peste… in tal senso, Marta ha ragione!”

Camus lo guardò con severità, in attesa che proseguisse per vedere dove volesse andare a parare. La questione non sarebbe cambiata, né in quel momento né mai, anche se il suo tono di leggero pentimento sembrava sincero.

“Ma ho comunque aiutato tua sorella quando si trovava nel presente, le ho affidato la tua vita, Camus, e lei… ce l’ha fatta, sapevo che ce l’avrebbe fatta, ti ha… salvato!

Quelle parole irritarono ancora di più l’Acquario che, scrollandosi a forza di dosso il malessere si alzò in piedi, un bagliore degli occhi.

“Mi ha… salvato, sì, e hai idea di quanto abbia sofferto, per farlo?! - lo incalzò, spietato, come sempre quando si trattava di difendere la sorellina – Il Mago ha torturato lei, LEI, Efesto! Le ha fatto provare il mio stesso dolore quadruplicato sulla sua pelle, ed io non potevo fare niente, NIENTE, per farla sentire meglio! E’ rimasta traumatizzata, sconvolta, ha ancora i segni di quella sofferenza sul suo corpo, la cicatrice sul braccio, quella che si è procurata qui, nel presente, per salvarmi, e tu… tu non hai mai fatto niente, invece, passi per me, ma per lei! PER LEI!!!”

“Per attingere alla vera forza, che tua sorella sta ricercando per proteggerti… bisogna arbitrariamente passare per il supplizio!”

“Come puoi… come diavolo puoi fare simili discorsi?! E’ TUA FIGLIA!”

“E’ mia figlia, d’accordo! Devo avere il rapporto morboso che avete voi due per dimostrare che mi importi qualcosa di lei?!?”

“M-maledetto, non osare!” sibilò tra i denti Camus, condensando istintivamente l’aria intorno a lui in un gesto di stizza.

Efesto sapeva bene che il tallone di entrambi era il legame che li univa, ma non era lì per trattare di quell’argomento. Sospirò, appoggiandosi completamente al bastone, anche lui si sentiva dannatamente stanco, quasi avvilito.

“Non sono qui per parlare di questo, Camus, ma per te, credimi, per la tua salute...”

“Non è necessario, il più lo ha fatto Marta, colei che ha il rapporto morboso con me e… ah, dimenticavo, è grazie a questo presunto legame patologico che sono ancora vivo!”

Sarcasmo. Gli capitava di frequente quando era indispettito da qualcosa, l’alternativa era il gelicidio, nel vero senso della parola.

“Pensi di mentire a te stesso e agli altri ancora per molto, Camus? - chiese tagliente, Efesto, aggrottando le sopracciglia – Il più lo ha fatto Marta, è vero, ma… tu stai tutto fuorché bene, tua sorella ha ragione...”

“Lei… si preoccupa sempre troppo per me!”

Camus stava incominciando a tentennare. Si ritrasse esaustivamente, come accadeva di consueto quando doveva nascondere qualcosa, nella fattispecie la sua salute.

“Tua sorella dice che stai soffrendo molto, anche se cerchi di nasconderlo. Ci sono periodi in cui stai peggio, altri in cui il malessere è latitante, le cicatrici ti fanno male, vero? Ti continui a trattenere la maglia in prossimità del torace, non è sfuggito ai miei occhi...”

“Urgh, come dicevo, lei si preoccupa sempre troppo per me! Sto bene, posso fare quello che facevo prima, non sono… debole!” sibilò ancora, cercando di imprimere la sua fierezza negli occhi del padre.

Fare ciò che faceva prima... gli riusciva, anche se con estrema difficoltà, e solo quello contava, in fondo, la riuscita dei suoi compiti, dei suoi doveri, il proteggere le persone che amava. Null’altro.

“Chi ti monitora mi può assicurare che è davvero così?”

“Nessuno, non occorre!”

“Camus...”

“Non mi monitora nessuno, non ne ho bisogno!” ripeté, ostinato.

“Mi stai dicendo che nessuno ti controlla, malgrado le tue condizioni così precarie?!”

“Questo tuo interessamento perché Marta te l’ha fatto notare sta diventando imbarazzante!” si oppose, fermo, massaggiandosi la fronte, deviando argomento. Si sentiva davvero sfinito. Il dolore si era infine attenuato, ma dopo ogni crisi una stanchezza colossale lo investiva, stordendolo.

Efesto, capendo che non avrebbe ottenuto ulteriori spiegazioni, decise di soprassedere, non prima di aver fatto, zoppicando, il giro del divano per avvicinarsi al figlio. Camus non si mosse, ma i suoi occhi attenti erano su di lui, lo seguivano.

“Allora lascia che ti parli di un’altra questione, visto che sulla tua salute sei inossidabile, del legame che hai con Marta e che prende il nome di CIMP”

“Questo cosa potrebbe mai…?”

“Vi vedete nei sogni dell’altro, giusto? Non solo il presente… anche il passato!”

“N-noi… sì”

Camus sembrava di nuovo titubante, come se rivelargli più del dovuto rovinasse la magia del rapporto che aveva con la sorella, o forse perché presagiva il seguito. Efesto scelse di andare dritto al punto.

“Non mi interessa cosa vedete uno dell’altra e viceversa, ma… devi cercare il modo per spezzare questo potere, Camus, o distruggerà tua sorella!”

“Co-cosa?!”

Ci fu una lunga pausa di sguardi, le pupille del Cavaliere dell’Acquario traballarono, quelle del dio invece si fecero un poco meste.

“Devi farlo… per lei!”

“Perché diavolo dovrei…? Dammi una ragione, Efesto!”

“Le fa del male… lei vive ciò che vivi, o hai vissuto, tu...”

“Lo so, accade lo stesso a me, è per questo motivo che la vedo nei ricordi, è piccola, anzi, piccolissima, ed io… io… non voglio...”

“Non vuoi smettere di vedere i suoi ricordi perché è un po’ come se la vedessi crescere, è così?”

Camus tacque, il viso si era colorato di rosso, si vergognava a confermarlo ad Efesto ma era davvero quella la ragione. Un potere che lo spaventava, ma che, al contempo, lo faceva sentire vicino alla sorellina. Era stato grazie a quello che Marta lo aveva salvato dal giogo del Mago, era grazie a quello che lui aveva conosciuto Stevin, rivisto i nonni che ormai erano deceduti, chissà cos’altro avrebbe potuto fare se avesse imparato a controllarlo, ma proprio in quel momento saltava fuori che avrebbe dovuto rinunciarvi per sempre, annullare quella meravigliosa dote.

“Per-perché?” chiese solo, fremendo.

“Tu pensi che Marta abbia acquisito quel potere quest’estate, donandoti il sangue… non è così, il potere lo aveva già prima, la trasfusione ha solo incrementato questa sua attitudine innata”

“CO-COSA?!”

Efesto non diede peso al tono strozzato del figlio, aveva semplicemente assunto un’espressione grave, pesante.

“Questo potere… la ucciderà, Camus! Se le vuoi bene come dici, devi trovare il modo per spezzare il legame!”

“E come… come faccio? Ma, ancora di più, come fai a saperlo?!”

“...”

“Ehi, non pensare di volatilizzarti come sei apparso, mi devi delle spiegazioni, Efesto, ciò che sostieni è assai grave!”

“Il 20 novembre del 2009...”

Camus trasalì al mormorare di quella data, impressa a marchio nella sua testa. Quel gelo, l’agonia, il respiro sempre più flebile e poi… l’orgoglio per Hyoga, per ciò che era diventato, l’affidare tutto a lui, la promessa di rimanere al suo fianco per continuare a vegliarlo.

“...non sei solo tu ad essere morto! Marta c’è andata molto vicina, sono dovuto intervenire io!”

Si sentì quasi mancare, dovette coniugare tutte le sue forze per non cadere in ginocchio. La sensazione di aver subito un pugno nello stomaco, terribile. Rabboccò aria, avvicinandosi a lui e prendendolo per il bavero della veste senza troppi complimenti. Era furioso.

“Parla! Parla, Efesto, cosa successe a Marta?! Perché non me l’hai mai detto?!?”

“Ipotermia...” lo accontentò placido il dio, mentre Camus si ritrasse ancora una volta. Quasi inciampò contro il bordo del divano. Aria, gli mancava aria, il cuore gli accelerò nel petto.

“Non è possibile...” sussurrò, gli occhi vitrei, la gola improvvisamente secca.

“Lei non lo ricorda, io sì...”

“Ha subito… ha subito gli effetti del colpo di Hyoga come li ho subiti sul mio corpo?!”

“Ti ha sentito morire, Camus, sebbene non si ricordasse nitidamente di te… dopodiché sì, ha subito quello che hai passato tu. Antoinette, vostra madre, si mise in contatto con me, disperata, riuscimmo a salvarla allora, ma… se non spezzerai il legame, ciò si potrà ripetere! Il Mago può arrivare a te tramite lei, e farne ciò che vuole. Dici che l’ha torturata, nel passato, quando tu eri al limite, ebbene non ne dubito, non immagini neanche cos’altro le può fare per mezzo di questa dote che condividete”

“No… NO!”

“Può entrare dentro di lei, ridurla in pezzi, centimetro per centimetro, violarla in mille e più modi che neanche ti immagini, o forse… sì…”

Camus sussultò livido, mentre il dio continuava ad avvicinarsi a lui, incombente, quasi spietato. Si ritrovò ben presto a tremare, un insetto nella tela del ragno, mentre la mente veniva sforzatamente ricondotta a quei momenti, a quei…

Provò una nausea crescente, l’impellente bisogno di dare di stomaco, ma si trattenne.

“Tu lo nascondi agli altri, persino a te stesso, ma… quello che il Mago ha fatto… ripetutamente… a te, può ripeterlo anche con lei, se non è già successo, magari anche lei tenta di celarlo a te, siete fatti della stessa pasta, del resto!”

“BA-BASTA!”

“Se le vuoi bene… trova un modo per spezzare il legame, altrimenti tua sorella...”

“BASTA, EFESTO!”

Il suo cosmo ebbe un impulso, mentre una sferzata di vento colpiva il dio, facendolo cadere a terra, il bastone scivolò diversi metri più in là. Efesto sapeva di aver esagerato, sapeva di essere stato brusco, ma non gli riusciva di mostrarsi preoccupato in altra maniera che così, in un modo che sia Camus che Marta non comprendevano, rendendoli sempre più distanti e diffidenti.

Preoccupato, già… lo era per davvero! Come si era rammollito, in quell’ultimo periodo, quale vergogna per una divinità, ma Hermes era diventato così forte, da quando aveva deciso di provare i sentimenti, così… brillante… impossibile non rimanerne abbagliati, impossibile non chiedersi cosa mancasse a lui, e darsi delle risposte.

Si alzò faticosamente in piedi, rimanendo in silenzio. Il potere di suo figlio stava crescendo di giorno in giorno, lo sapeva bene. La Creazione, dopo millenni, anzi miliardi di anni che si era smarrita nell’immensa vastità del Creato, si era rifugiata infine in lui, nel suo grembo, che la custodiva, unica speranza di opporsi al Mago, unica luce, in un Universo che rischiava di collassare di giorno in giorno.

Camus gli aveva dato di nuovo le spalle, si reggeva a stento in piedi, scosso, il petto palpitante. Si era appoggiato alla parete per celarsi, il suo corpo preda dei brividi. Non l’avrebbe più raggiunto, lo sapeva bene, ma il suo obiettivo era stato saldato: per preservare Marta, per impedirle di diventare vittima del Mago, Camus avrebbe fatto di tutto, anzi di più, per tentare di spezzare quel legame che li univa.

“Figliolo… - tentò comunque un approccio, vedendolo stravolto – So cosa ti ha fatto passare Fei Oz Reed e...”

“NON LO SAI! NON LO PUOI SAPERE!” gli urlò contro Camus, voltandosi verso di lui, il furore negli occhi, come di bestia ferita, ci sarebbe mancato davvero poco per fargli perdere il controllo. Lo avrebbe attaccato? Probabilmente. Del resto, rassomigliava paurosamente ad un animale sanguinante: per difendersi avrebbe potuto mostrare tutte le sue risorse.

 

Purtroppo lo so, figliolo, non è solo un sentore il mio, so cosa quel mostro ti ha fatto, so cosa hai dovuto vivere nel passato, e so che hai resistito con tutte le tue forze, prima di crollare. Il tuo corpo è intatto, al di là di quelle ferite, è il tuo spirito ad essere stato piegato più volte. Sei stato profanato… e l’atto, pur al momento solo spirituale, ha inciso pesantemente sulla tua stessa essenza. Ti farà di peggio, se si impossesserà di te, di molto peggio… dobbiamo impedirglielo con ogni mezzo!

 

Continuò a tacere, aspettando che si calmasse, almeno per il momento.

“Efesto… - lo richiamò poco dopo il figlio, in tono più sicuro ma ugualmente tremante – Tu diglielo a Marta… e non mi interessa se sei mio padre, non rivedrai la luce del nuovo giorno!” lo minacciò, senza mezzi giri di parole, gli occhi saettarono ancora più torvamente.

“Lo scoprirà da sola, se non bloccheremo il suo potere...”

In verità Efesto era più che convinto che lei e Milo, come minimo, avessero intuito cosa comportasse realmente la possessione del Mago, ma quello era il momento meno adatto per farglielo notare. Indugiò ancora.

“E… e come spezzo il legame?”

“Questo ancora non lo so, mi sto muovendo io in prima persona per scoprirlo”

“Le farà… del male?”

“Più o meno come rimuovere un rene senza anestesia...”

Gli occhi di Camus si erano spalancati al limite dell’umano possibile, il suo corpo aveva ripreso a tremare, forse più forte di prima.

“E’ l’unica strada, Camus, vivrà di peggio se...”

“Non voglio farle del male… non voglio fare del male alla mia sorellina! Come puoi chiedermi una cosa simile?!?”

“E’ per un fine superiore, credimi, pensi che mi diverta a dire questo? Ma, se non corriamo ai ripari, il vostro legame… la ucciderà!”

“Mi… mi stai dicendo di farle provare un dolore straziante, peggio di quello che ha già patito fino ad ora, te ne rendi conto, Efesto?”

“Preferisci vederla agonizzante per poi morire?!”

“Urgh, no, dannazione, NO! - rabboccò di nuovo aria, rendendosi conto che il suo sconvolgimento era perfettamente percettibile all’esterno senza alcun filtro - La-lasciami solo ora, ho… ho bisogno di… di silenzio!”

Ci fu una lunga pausa, la situazione parve congelarsi. Il Cavaliere dell’Acquario si era di nuovo voltato dall’altra parte, fissava un punto vuoto con gli occhi quasi incavati, il cuore che pesava come un macigno. Efesto capì che non avrebbe più parlato.

“Come preferisci...” si congedò, sparendo in un istante, veloce come era venuto.

Camus avrebbe potuto rifare il giro del divano e sedersi lì, ma si lasciò semplicemente scivolare a terra, la schiena a contatto con il muro, le ginocchia piegate verso il viso, la fronte nascosta tra esse. E stette lì immobile, per un tempo che parve infinito. Vinto, inerme, come si percepiva già da un po’. Poteva farlo, poteva cedere, tra quelle quattro mura domestiche, perché non c’era nessuno lì in cucina con lui, Marta era via, Milo era tornato alla sua dimora, Michela e Francesca dormivano e Hyoga…

Una fitta al petto gli spezzò il respiro, mentre un singhiozzo strozzato gli percosse il torace, che fremeva sotto il peso degli ultimi eventi. Hyoga era lontano, Efesto, proprio lui, sapeva cosa aveva subito nel passato ad opera del Mago, qualcosa che aveva sforzato di celare a tutto e tutti, qualcosa di terribile, che lo aveva minato in profondità. Cosa restava di lui? Di ciò che era stato Camus dell’Acquario?! Di ciò che era stato Camus, lo Sciamano… avrebbe poi potuto tornare lontanamente simile a quello di prima? Come Cavaliere, Shion non gli aveva risparmiato incarichi difficili, malgrado ben sapesse del suo stato di salute cagionevole, di questo gli era grato, ma… sarebbe riuscito a fare lo stesso come Sciamano? Sarebbe riuscito a convergere tutte le sue energie psico-fisiche per curare nuovamente le persone? Rammentava distintamente che il processo era sempre stato più che dispendioso per il suo fisico pienamente in salute, figurarsi in quel momento che… scosse bruscamente la testa, rifiutando l’idea di essere così debole. Si rannicchiò su sé stesso, massaggiandosi le tempie.

Marta era più che intenzionata a seguire fieramente le sue orme, da quanto lo stimasse, del tutto immeritatamente, pensava; avrebbe quindi dovuto portarla in Siberia e farle conoscere Elisey, l’unico, oltre a lui, che avrebbe potuto insegnarle qualcosa, ma -Camus si ritrovò a sospirare, meditabondo- l’idea non gli piaceva per niente, avrebbe voluto farne a meno, soprattutto evitare di farle conoscere quel vecchio pazzo squinternato dalle idee malsane e dai modi fin troppo spicci e sgarbati.

I pensieri si susseguivano l’un l’altro frenetici, non dandogli requie, Camus decise di scrollarseli a forza di dosso. Aveva bisogno di una doccia fredda, di non pensare, anche se per pochi, brevi, minuti, per cui, alzatosi in piedi, si diresse verso il bagno, togliendosi velocemente gli abiti per fare una doccia. Freddissima. Come gli piaceva tanto. Anche se era fine ottobre, anche se, per le persone comuni, cominciava già a fare freddo. Quella concezione comune era data dal fatto che gli altri non avessero la più pallida idea di cosa fosse per davvero il gelo, non quello siberiano, no, un’inezia a confronto di quello mortale, che privava barbaramente del respiro. Ciò che aveva provato lui, per far crescere Hyoga e che, conseguentemente, da quanto aveva scoperto quello stesso giorno, aveva fatto subire anche a Marta. La sua Marta. Il pensiero lo trafisse, acuminato, si sentì mancare. Scrollò il capo, rigettandolo. Non sarebbe più capitato. Mai più!

Uscì ancora gocciolante, strizzandosi i capelli, prima di fissarsi brevemente allo specchio, in quel riflesso che, ormai da molto, non aveva più nulla di Camus dell’Acquario. Solcò le cicatrici, più scure della sua pelle, una ad una, con due dita, provandone un’intensa sensazione di fastidio, si morse il labbro inferiore, trattenendo un gemito. Arrivò al taglio più in basso, lo tracciò più velocemente, perché gli procurava un dolore maggiore al tatto. Esso era il più lungo dei tre, arrivava poco sotto al capezzolo sinistro, ed era ancora paurosamente ruvido, a differenza degli altri che, dopo tutte le pomate utilizzate su insistenza di Marta e degli altri, cominciavano finalmente ad essere più lisci e meno segmentati.

Per un solo, intenso, istante, passando così sulle lacerazioni, si rammentò delle delicate mani di Seraphina su di lui, delle sue dolci cure e delle sue dita leggere che gli avevano solcato la pelle nel distribuire l’unguento, facendolo sentire al sicuro, protetto, persino nell’inferno di dolore che stava attraversando.

 

Mi manchi da morire… anche se sei sempre al mio fianco sotto un’altra forma. Una parte di me, quando ancora ero Dégel, avrebbe voluto un altro futuro. Avrei voluto far di meglio per noi, per te, perché lo meritavi… e invece sei stata tu a dover salvare la mia anima, rinunciando a tutto. Ti sono immensamente grato, Sefi! Ora io… avrò cura di te, che hai scelto di rinascere come mia sorella. E’ cambiato tutto tra noi, era il prezzo per salvaguardarmi, eppure, malgrado questo, sei, e rimarrai sempre, la persona più importante della mia vita, la mia… lucciola!

 

Il cuore si trovò molto presto ad accelerare in petto a quei ricordi, il respiro si accentuò, costringendolo a serrare le palpebre per non rinvangare memorie che gli facevano male. Il calore provato in quei momenti… era così difficile rinunciarvi! Rigettò tutto disperatamente indietro, ancora, con enorme sforzo, le palpebre avevano preso a pizzicare e un magone si stava già creando dentro al suo petto. Insostenibile.

Si asciugò, si vestì altrettanto velocemente, indossando la canottiera e i pantaloni con cui era solito dormire, apprestandosi poi a fare il consueto ‘giro della buonanotte’, soprannominato così da Michela.

Quella sera sarebbe stato più breve del solito, visto la mancanza della metà degli elementi -altra fitta al petto!- ma lo avrebbe fatto comunque, perché ormai era una sorta di rito sincerarsi delle condizioni dei propri allievi, come faceva i primi anni anche con i soli Hyoga e Isaac, ancora bambini. Sorrise tra sé e sé, mentre saliva le scale. Erano tutti parte del suo cuore, ognuno aveva un posto speciale e insostituibile. Costituivano la sua famiglia, i suoi pilastri, le fondamenta della sua stessa esistenza. Così era, così sarebbe sempre stato!

Si diresse prima in camera di Francesca, dove bussò per precauzione, avendo notato che la luce era ancora accesa. Nessuna risposta, ciò lo spinse ad aprire lentamente la porta. La ragazza dormiva profondamente in posizione prona, il cellulare ancora in mano adagiato sul cuscino, l’espressione serena di chi aveva appena letto qualcosa di davvero bello, probabilmente un messaggio di quella spina nel fianco di Death Mask, a giudicare della beatitudine che la contraddistingueva. Camus non volle indagare ulteriormente, né intromettersi, semplicemente le prese con dolcezza il cellulare dalle mani, posandolo sul comodino, prima di chinarsi su di lei e massaggiarle i capelli lunghi e scuri, ritmicamente. Francesca non era molto più piccola di lui, come amava sottolineare la ragazza più volte, eppure l’istinto di protezione che nutriva nei suoi confronti era lo stesso che provava per le più giovani, malgrado fosse consapevole della poca differenza di età. Avrebbe compiuto 21 anni il 30 novembre, lui sarebbe entrato nel ventitreesimo anno di vita con l’avvento del 2012. Era matura, prudente e giudiziosa, forse non c’era davvero bisogno di angustiarsi così per lei, come un padre verso una figlia, ma l’esperienza, il fatto stesso di essere un Dorato Custode aveva reso Camus così, così protettivo verso le persone che rendevano la sua vita splendente. Essere Cavaliere di Atena obbligava a vivere la propria vita con il piede costantemente sull’acceleratore, ed era per quel motivo che lui si sentiva così stanco e vecchio, nonostante fosse nel fiore degli anni della giovinezza, nonostante i suoi coetanei vivessero ancora un’esistenza ricolma di gioie e spensieratezza.

Camus la parola spensieratezza non immaginava neanche cosa potesse significare. Tolto dalle braccia di sua madre e dalla sorellina a quasi 6 anni, dirottato in un mondo troppo grande per lui, investito della carica di Cavaliere d’Oro ancora da bambino, e poi… l’addestramento per diventare Sciamano, la Siberia, l’asprezza stessa della vita, l’enorme perdita del suo maestro, e ancora… gli allievi, di nuovo altre perdite, la scomparsa di Isaac, la guerra, il conflitto civile, la propria morte, la resurrezione…

Era davvero quello il periodo più felice della sua vita, come aveva detto alla stessa Marta quella mattina, eppure alla felicità insperatamente raggiunta si affiancava un’angoscia sempre più frequente per il futuro, la paura che ciò che aveva di più prezioso gli fosse in qualche modo strappato. Ancora. E ancora. Perché la vita lo aveva avvezzato a privarlo costantemente dei propri affetti.

Tremò a quel pensiero, la mano si fermò sulla schiena di Francesca, ancora profondamente addormentata, del tutto inconsapevole dei pensieri che torturavano il suo maestro e che Camus non avrebbe MAI fatto trasparire fuori da sé, non a loro, alle luci che illuminavano la sua esistenza fino a quel momento maledetta. Sorrise di sbieco, prima di raddrizzarsi e sistemarle meglio le lenzuola del letto, prima di spegnere la lampada e dirigersi fuori dalla porta, non prima di averle regalato un’ultima occhiata ricolma d’affetto.

Si diresse verso la camera di Michela, entrando senza bussare, perché le luci erano spente e dalla cadenza del respiro della ragazza intuiva che avesse preso sonno da poco. Vi entrò facendo il minor rumore possibile e subito fu colpito dalla luce naturale che penetrava da fuori e che rifletteva il viso umido della più piccola delle sue allieve. Camus le notò subito, le lacrime che le imperlavano le guance un poco rotondette, ne capì il significato e, più ancora, l’origine. Si era addormentata piangendo, era evidente, e ora stava lì, rannicchiata su un fianco, con un’espressione irrequieta, lamentandosi debolmente nel sonno. Camus le si sedette a fianco, concedendo alle sue dita di regalarle carezze soffici e delicate, anche qui, come avrebbe fatto un padre, ciò di cui Michela, stante il suo temperamento, aveva più bisogno in una simile situazione. Infatti la ragazza, avvertendo su di sé il suo tocco, dopo aver strizzato le palpebre, le aprì, guardandolo stancamente negli occhi.

“Scusami, non volevo svegliarti, torna pure a dormire, ci sono io qui, ti farò compagnia fin quando non ti riaddormenterai” le sussurro dolcemente Camus, solleticandole le gote, prima di passare ai capelli.

Michela si acquietò un po’ a quelle coccole, rannicchiandosi vicino a lui come a richiedere attenzioni maggiori. Ricacciò a forza le lacrime, ben sapendo che al suo maestro non piacevano affatto.

“Papà… - Camus si era quasi del tutto abituato a come lo chiamava quando erano in confidenza, tuttavia sussultò impercettibilmente – Mi manca tanto, lo sai?”

Capì immediatamente a chi si stesse riferendo.

“Anche a me, Michy...”

A quel punto una scintilla passò negli occhi della ragazza, che ritrovò un poco di vitalità. Le sue labbra si piegarono bruscamente.

“Io proprio non capisco, perché se ne è andato?! Nessuno lo ha cacciato!”

“E’… è difficile da spiegare...”

“Avete litigato?”

Il discorso si stava facendo arduo per Camus, davvero arduo. Strinse la mano libera a pugno, discostando lo sguardo nuovamente dolente.

“Sì… - i suoi occhi navigarono smarriti per tutta la stanza, prima di serrarsi – Gli ho detto cose che… che non avrei mai voluto dirgli!”

“Ma le pensavi?”

“Alcune sì...”

“E lo hanno fatto soffrire?”

“Sì, tremendamente, è per questo che se ne è andato...”

“Ho capito, allora non ritornerà più...” biascicò Michela, afflitta, discostando a sua volta gli occhi, quasi sul punto di piangere di nuovo.

 

No, non ritornerà, hai ragione… ero l’unico che avrebbe potuto fermarlo, e non l’ho fatto, l’ho lasciato andare via, non l’ho fermato… perché?!? Per orgoglio, per vergogna? Per cosa?! Per cosa sto rischiando di perdere di nuovo il mio Hyoga, per cosa, esattamente?! Per l’ombra di Isaac?!? Lui ormai è morto, ma la sua essenza continua a rimanere al mio fianco, a volte quasi mi sembra di sentirlo, ma… è morto, MORTO! Ed io ho permesso a Hyoga di allontanarsi, al mio amato allievo, al mio successore, dopo tutto ciò che gli ho già fatto passare! I suoi traumi sono stati causati da me, ed io… io, invece di dirgli di rimanere qui, nella Casa di cui anche lui è il degno custode, gli ho rivolto quelle parole spietate. Oh, Atena, perché?! Avevi ragione, Milo, me ne sarei pentito, me ne sono pentito già nell’esatto momento in cui lui è uscito dall’undicesimo tempio, e ora non so più che fare per recuperarlo, so solo che lo vorrei qui, con tutto me stesso, e che invece è lontano, troppo!

 

“Papà, tu gli vuoi bene, vero?”

La voce compassionevole di Michela lo riscosse dai suoi pensieri, nello stesso momento la mano della giovane allieva si mosse a cercare la sua tra le coperte, nell’oscurità, gliela strinse, e quel gesto, da solo, riuscì a rasserenare un poco il suo cuore.

“Sì, moltissimo… è come un figlio per me, vorrei… vorrei che lo percepisse, che lo capisse… Ho amato Isaac, l’altro allievo che ho perso, ma lui non è da meno, fa parte del mio cuore, così sarà per sempre!”

“Ma lui lo sa?”

“Credevo lo sapesse… ora non so più niente. Non è mai stato facile esprimermi con lui, ma… pensavo lo sentisse, dentro di sé, a quanto pare sbagliavo ed io non sono riuscito a dimostrarglielo a sufficienza...”

Tornò a coccolare Michela mentre, a fatica, pronunciava parole che gli dolevano nel cuore. Una serie di fraintendimenti, ecco cosa era stata la loro storia in quegli anni, incomprensioni su incomprensioni, difficoltà su difficoltà, che avevano acuito le distanze quando invece avrebbero dovuto vederli uniti sotto uno stesso tetto nel tentare di recuperare il nido che gli era stato strappato. Ad entrambi.

“Hyoga ti vuole molto bene, Camus! Mi parla spesso di te, di ciò che sei stato per lui. Lo hai fatto crescere, ti vede come un padre, pensa che mi ha confessato che un paio di volte, da piccolo, specie quando era assonnato, si rivolgeva a te con il termine ‘papà’!”

“Da-davvero? Voglio dire, te lo ha… riferito?”

Quel termine lo inorgogliva e lo riscaldava, ma anche, facendogli punzecchiare il cuore, lo amareggiava: ricordava a sprazzi i frangenti in cui era accaduto, solo uno era ben nitido nella sua mente, il più terribile, quando l’altro allievo era già scomparso tra i flutti. Rammentava invece perfettamente la prima volta che era stato il suo Isaac a chiamarlo così, l’intensità di quel momento, la sofferenza insostenibile provata, Zima... A quell’ultimo pensiero si bloccò, rabbrividendo, si tastò il torace con una mano, perché il peso della colpa si era incancrenito e gli pesava sullo sterno. Senza neanche accorgersene, senza averne l’intenzione, aveva fatto mancare un sacco di cose a Hyoga; cose che invece aveva riservato ad Isaac. Non era stato affatto un comportamento da maestro, tanto meno da padre. Gli si mozzò il fiato, gli occhi si fecero dolenti.

 

Padre… quale padre snaturato abbandona il proprio figlio disperso in mare?! Quale padre si comporta come me?! Ero così fiero di loro, dei miei ragazzi… ma questo termine, io, non lo merito! Ho permesso ad Isaac di diventare il Kraken, e ad Hyoga di sostenere tutte le mie aspettative, le colpe, i doveri… No, non sono un padre, s-sono solo un...

 

“E’ così anche per me, sai? Mi piace il termine ‘papà’, lo sei… per me… Camus!”

“Michy… non credo di meritare quell’appellativo!” gli sorrise teneramente l’Acquario, comunque emozionato dal tono con cui aveva professato quell’ultima frase. Le punzecchiò il naso, come si faceva con i bambini, come aveva già fatto con Isaac, qualche volta, in un momento intimo tra loro, come aveva fatto con… si fermò. Rendendosi maggiormente che, con Hyoga, tutte quelle manifestazioni di sincero affetto erano state assai rare quando il ragazzo era cosciente, più facile e più agevole quando lui era stato male o, ancora, quando dormiva profondamente ma, per ovvie ragioni, il biondo non lo poteva ricordare. Perché era così difficile, con lui?! Era forse perché, come sosteneva Marta, erano così simili da non riuscire ad acciuffarsi?! Da non riuscire a… capirsi?!

“Ma a te piace, questo termine, Camus! Ti brillarono gli occhi quando vieni chiamato così” insistette Michela, scrutandolo con profondissimi occhi.

“Mi… piace, sì, ma… non lo merito!”

“E’ ciò che sei, è ciò che sento, quindi continuerò ad appellarti con questo termine, Camus!”

“Michela...” gli era uscito un tono a metà strada tra il rassegnato, stante la testardaggine dell’allieva, e l’emozionato. Le lisciò i capelli, sorridendole.

“Papà, se potete… - riprese la giovane poco dopo, gli occhi lucidi - non per me, ma per voi stessi, provate a parlarvi, a chiarirvi… Hyoga ha bisogno di te e anche tu hai bisogno di lui, vero?”

“Sì, ho bisogno di lui, del… del mio ragazzo!”

“Ehehehe, è il mio ragazzo, papà, questo non dimenticarlo!” soffiò lei, cercando di smorzare la tensione, sorridendo a sua volta, mentre, accogliendo una nuova dose di coccole, si crogiolava nel tocco di Camus, che proprio in quel momento aveva preso ad arrufarle dolcemente i capelli.

“Lo so bene, birba! E ti prometto che… - prese una breve pausa, cercando le parole giuste da adoperare. Il suo cuore ne era colmo, ma esprimerle era sempre stata una impresa titanica per lui – che non so ancora come, ma… ma riporterò Hyoga qui, chiariremo, in qualche modo, e stavolta gli dirò davvero cosa è sempre stato lui per me!”

Rabboccò aria, sempre più emozionato, dirigendo il suo sguardo fuori dalla finestra, nel buio inframezzato da una tenue luce che era fuori. Già, avrebbe chiesto scusa a Hyoga, in un modo o nell’altro, perché il suo posto era lì, al Santuario con lui. Avevano sofferto e si erano inseguiti anche fin troppo.

“E questa è una promessa!” si disse ancora, gli occhi nuovamente luminosi.

 

 

* * *

 

 

27 ottobre 2011, mattina

 

 

Stefano si rendeva conto che le gambe non lo avrebbero sostenuto oltre, né per compiere un passo in avanti, né indietro, né tanto meno per rimanere fermo, perché, lo sentiva, ancora pochi secondi e avrebbero ceduto.

Si ritrovò ad ingoiare a vuoto, un fastidioso ronzio nelle orecchie, mentre le voci al di fuori di lui parlavano animatamente tra loro senza interpellarlo, eppure era lui il fulcro di quella discussione, lo sapeva bene. Si sforzò ancora una volta di guardarsi intorno, si sentiva spaesato, intimorito, solo. Non vi era alcuna presenza amica al suo fianco, niente, nessuno, eppure non si dava per vinto, continuando a cercare un qualche segno di Marta che lo potesse tranquillizzare. Tutto inutile, la ragazza non c’era, per la prima volta dopo tanto tempo si accorse che, proprio come da piccoli, si sentiva sperso in mezzo ad una folla di sconosciuti, privo della sua presenza rassicurante. Quasi inconsciamente, i suoi occhi azzurri si posarono sull’unico altro paio di occhi blu che ricordavano così vivamente quelli della ragazza. Marta non c’era, Stefano non sapeva dove fosse, ma suo fratello sì, invece, era davanti a lui, diversi metri più sotto, inginocchiato per terra. Ricambiò quello sguardo spaesato e incerto con uno più brillante e rassicurante. Emanava calma e tranquillità, con quella strana luce negli occhi che lui non aveva mai visto a nessuno. Si sentì un po’ più sollevato, riprese vigoria, riuscendo perlomeno a raddrizzare la schiena, perché -si rese conto- stava rannicchiato su sé stesso come un animale in trappola.

“Dunque… che ne facciamo?” chiese intanto Saga, squadrandolo da capo a piedi con severità, i muscoli rigidi, quasi si aspettasse qualche brutta sorpresa.

“Per il momento resterà qui con noi, Saga, è innocente, come più volte ripetuto da Marta. E’ una vittima, è nostro dovere proteggerlo, quindi andrà ad abitare in una delle Dodici Case...” affermò con decisione Shion, l’unico a non indossare un’armatura d’oro, avvolto da una tunica lunga che Stefano, di tanto in tanto, ammirava di sottecchi per l’eleganza e la preziosità del materiale. Era attratto dalle cose belle, e quella veste lo era di sicuro.

“Dentro le 12 Case?! Ci mettiamo un potenziale nemico nel cuore pulsante del Santuario?!” si oppose ancora Saga, del tutto intenzionato a non cedere su quel particolare che tanto infinitesimale non era. Non si fidava di lui, era evidente, lo si percepiva nei modi bruschi con cui si rivolgeva al ragazzo e dal tono crescente.

“Saga, capisco le tue rimostranze, credimi, ma Stefano non c’entra, era vittima di...”

“Era vittima o è stato spedito qui per fare la vittima?! Non mi convince, Nobile Shion, non abbiamo alcuna prova circa la sua innocenza! E’ stato trovato nel tempo fermo, chi ci assicura che sia davvero un oppresso?!”

“Ha avvertito Marta sulla pericolosità di Nero Priest, per me è una prova più che sufficiente!”

“Non significa niente, Milo! Potrebbe averlo fatto apposta per sorprenderci e poi in un secondo momento attaccarci di soppiatto… ma davvero stiamo basando il nostro giudizio su quanto ci ha riferito Marta?! Io davvero non...”

“Saga, mia sorella lo conosce da anni, più di me e te messi insieme, se Marta dice che è innocente, così è!” intervenne freddamente Camus, scoccandogli uno sguardo gelido in un tono che non ammetteva repliche.

“Camus… non voglio dire che tua sorella non abbia ragione, lei sarà di certo in buona fede, è che… proprio perché lo conosce da più tempo il suo giudizio potrebbe essere ottenebrato!”

“Ragazzi… - intervenne nel dibattito Aldebaran, indicando il ragazzo tremante – Guardatelo, è terrorizzato, vi sembra un nemico dell’umanità? Di Atena? O anche solo un nemico degli animali?! Lo stiamo spaventando a morte solo con la nostra tenuta, ha un cosmo, d’accordo, ma non sa minimamente come usarlo e, cosa ancora più importante, lo vedo paurosamente deperito, rispetto a quando è arrivato qui. La punizione è stata più che sufficiente, non trovate?”

Alcuni dei Cavalieri d’Oro, tra cui Aiolia e Aiolos, si ritrovarono ad annuire, concordando con l’immenso e gentile Toro, ma altri rimasero sulle loro posizioni scettiche, tra cui Shaka e Shura.

“Io invece… sento di dover spezzare una lancia in favore di Saga. E’ vero, non avverto alcun impulso malvagio in lui, ma, complice l’ultima volta, la prudenza non è mai troppa...” si schiarì il custode della Vergine.

“La prudenza non è mai troppa, concordo!” confermò Shura, affilando lo sguardo tagliente verso Stefano, il quale tremò con ancora più forza.

“Ragazzi, ma allora non è cambiato niente da allora! - si intrufolò Milo, punto sul vivo – Saga dice bau e voi lo seguire pedissequamente?! Cosa vi ha insegnato la Battaglia delle Dodici Case?!”

Un colpo al cuore, Saga si ritrovò ad incassare la testa tra le spalle, cercando di ricomporsi. Il Cavaliere dello Scorpione non lo aveva mai perdonato del tutto per ciò che aveva causato, prima fra tutti la dipartita del suo migliore amico. Deglutì.

“Milo, credimi… sto agendo in favore del Santuario, sono solo preoccupato per… per le ripercussioni che questo ragazzo potrà certamente portare”

“Tu lo hai semplicemente già catalogato come malvagio, Saga, senza cercare di capire, né più né meno. La vuoi la verità? - lo fermò Scorpio, alzandosi in piedi e fulminandolo con lo sguardo nei modi più spietati che possedesse – Fosse per me userei i tuoi stessi metodi nei tuoi confronti, saresti il primo a finire in gattabuia e a non poter neanche parlare!”

Gli occhi di Milo lampeggiarono, mentre gli sguardi di tutti navigavano da uno all’altro contendente, in apprensione. La patata bollente era stata appena lanciata. Tutti si aspettavano una reazione da Saga; una reazione forte, ma sorprendentemente fu invece Camus ad intervenire nel dibattito.

“Fare questo a Saga, che ha già ampiamente espiato le sue colpe?! E di Kanon che mi dici?! Lo lasciamo a piede libero, lui?! Ti ricordo che la colpa è sua, ha seminato lui il male in...”

“Ma per favore, Cam, ancora questa storia?! Ma chi ci crede più, poi?! L’onore di Kanon è ristabilito, si è redento, poiché ha fatto di tutto, se non oltre, per Atena!”

“Ti assicuro che Saga ha fatto uguale nella guerra contro Hades, il problema non è lui, non è stato lui il motore primo, ma quello stronzo di Kanon!”

“CAMUS! - esclamò Saga, anche lui punto sul vivo nel sentir parlare male del suo gemello – Ti sono grato di prendere le mie difese, ma ti ricordo che stai parlando di mio fratello minore! Non mi sembra io abbia mai insultato tua sorella, né voglio farlo, penso che tu, in quanto maggiore, come me, possa capire come ci si senta a udire, per bocca di terzi, simile accuse sul proprio consanguineo!”

“MARTA NON HA PERPETRATO UN SOLO CENTESIMO DI QUELLO CHE INVECE KANON HA...”

“Ok, ok, basta così! Mi sembra di essere a capo del Santuario e dei sommi, e gloriosi, Cavalieri d’Oro, non insegnante di un asilo! Vi siete svegliati tutti male, oggi?! Non siamo qui per decidere la colpevolezza di Stefano, è lampante che rimarrà qui al Tempio, al sicuro, sia per essere controllato sia per essere protetto! E ora… - Shion aveva preso parola, imponendo silenzio che, stante il brusio di sottofondo, oltre che per la discussione appena terminata, non era facile da reperire – Ragazzo, fai due passi in avanti, coraggio!” lo incitò poi, con occhi gentili.

Stefano eseguì docile, il capo chino, a fissarsi i piedi, del tutto incapace di sorreggere lo sguardo degli altri, tutti intenti a scrutarlo, come a carpirne i segreti più oscuri. Alcuni dei Cavalieri sembravano poco più grandi di lui, che di anni ne aveva appena compiuti diciasset… no, diciannove, stante il tempo che era trascorso, ma era impossibile non sentirsi schiacciare dalla loro presenza. La loro corporeità, quei muscoli ben delineati sotto le dorate corazze, sembravano davvero eroi tragici di un’altra epoca, giovani uomini che stavano vivendo il fior fiore della loro età combattendo contro un grosso male per preservare la pace e la giustizia sulla Terra.

“Ragazzo... Stefano, giusto? Possiamo chiamarti con questo nome o preferisci altro?” chiese colui che era avvolto dalla tunica ricamata d’oro, mentre il suo sorriso gentile si posava su di lui. Stava prendendo il discorso alla larga per rassicurarlo, era evidente.

“S-Stefano va bene, o il diminutivo, Ste, o ancora… mmh”

“Sì? Coraggio, non avere timore, parla pure apertamente, nessuno ti nuocerà qui”

Stefano guardò prima lui, i suoi occhi profondi e particolari, del colore della pervinca. Poi si soffermò sui giovani uomini in fondo alle scalinate, li fissò uno ad uno, prima di soffermarsi negli occhi di Camus, che compì un breve cenno di assenso nella sua direzione. Il colore delle sue iridi lo faceva sentire tranquillo, per motivi che in larga parte gli sfuggivano, non poteva di certo essere solo perché erano i medesimi della sua amica, ma non si esplicava altre ragioni. Prese un profondo respiro.

“Stevin… Marta mi aveva soprannominato così, dal dialetto locale della Valbrevenna”

“Il luogo che è stato congelato nel tempo?” chiese delucidazioni Aiolia, un poco allarmato. Era un ragazzo alto, statuario, dai capelli corti e castani e i muscoli ben sviluppati. Non era massiccio, ma neanche esile; uno dei pochi Cavalieri ad avere i capelli corti, pensò Stefano, prima di riscuotersi.

“S-sì, la mia… Valbrevenna. Sono… sono cresciuto a Cerviasca”

“Ed è lì che hai conosciuto Marta, vero?” continuò Aiolia, i suoi occhi lampeggiarono.

“Sì, ricordo la data: 24 giugno del 1999, aveva appena 5 anni!”

“In che rapporti sei con lei? - chiese a bruciapelo Saga, in tono forse un po’ troppo brusco, tanto che Stefano si rizzò sull’attenti – Scusami, non volevo porti la domanda in maniera così tagliente...”

“A-amici… m-migliori amici” rispose placido Stefano, grattandosi la testa a disagio.

“Ma l’hai attaccata, non è forse così? Chi ci dice che non lo rifarai, o che non colpirai anche noi?”

“Saga, santo cielo!”

“Perdonate, Nobile Shion, non sono un tipo che va per il sottile, ho bisogno di risposte e di capire se davvero ci possiamo fidare, non riesco ad esimermi!” provò a scusarsi lui, serio come mai in volto, prima di tornare a concentrarsi sul ragazzo.

“E’ vero, l’ho fatto… ero arrabbiato con lei, e confuso, non sapevo fossero passati due anni, pensavo mi avesse abbandonato, ma… ma ora… sto cominciando a raccapezzarmi”

“Perdona i modi un poco sgarbati, giovane ragazzo, ma è necessario chiarire un punto: che ne hai fatto della tua vita in questi due anni?” intervenne Shaka, alzandosi in piedi e scrutandolo. Stefano si accorse che teneva gli occhi chiusi, eppure era come se lo ispezionasse centimetro per centimetro. Rabbrividì.

“Io non… non lo ricordo bene, ero prigioniero di…”

“Di una tizia che si chiama Nero Priest, questo lo sappiamo, abbiamo avuto il piacere di conoscerla. Altro?” chiese invece Milo, desideroso di trovare elementi per difenderlo senza però averli.

“A-altro non lo so, è tutto molto annebbiato qua dentro...” biascicò Stefano, in tono di scusa. Più tentava di ricordare più un vortice nero lo risucchiava, se lo avesse attraversato avrebbe ricordato cose che lo avrebbero distrutto e… non voleva.

“Capisci perché non possiamo fidarci, ragazzo? Non dai risposte esaurienti, sei confuso, potresti essere chiunque...” interloquì anche Shura, andando, come sempre, al sodo.

“Io… vorrei dirvi di più, davvero, ma… non riesco a ricordare, mi dispiace tanto!”

“E quindi che facciamo? Lo incalziamo finché non rammenterà qualcosa di utile?” chiese retoricamente Milo, non sapendo più che pesci pigliare. Troppi pochi elementi per difenderlo, ma sufficienti per condannarlo, invece. Non sarebbe di certo bastata la buona parola di Marta, per salvaguardarlo.

“Io ero soggiogato da Nero Priest, rimembro nitidamente solo la rabbia, la solitudine, la disperazione, ma non riesco ad andare oltre, come se la mia mente mi impedisse di attingere ai veri ricordi. C’era solo lei e, a volte, questi Cinque Pilastri, che...”

“Aspetta, cinque, hai detto? Sono in tutto cinque?” si interessò Shion, individuando istantaneamente l’informazione mancante.

“Sì...”

“Conosci i loro nomi? E’ molto importante, ragazzo!”

“A-allora… - gli occhi di Stefano si chiusero disperatamente, mentre conduceva la sua mente a frugare nelle sue memorie più recondite, nonostante gli facesse tremendamente male, più o meno come un coltello che lo pugnalava più e più volte in varie parti del corpo – N-Nero Priest, l-la divoratrice di pulsioni; E-Ermete, i-il t-tre volte gr-grandissimo, anf...”

La mano di Shion fu sopra la sua spalla, mentre le gambe di Stefano cedettero, facendolo cadere per terra. Era in evidente affanno.

“Va tutto bene, ragazzo, non sforzarti se ti fa così male...” gli disse premurosamente, in tono gentile.

“N-no, devo… farlo, Marta lo farebbe, al posto mio, anf, anf… - provò ad essere deciso, ma ciò che gli uscì era solo un tono strozzato, denso di patimento – O-oltre a loro… Utopo, il generatore di mondi, e… e Clio, colei che proclama la verità storica, uff. L-l’ultimo, a-anche a sforzarmi più di così, n-non riesco, urgh...”

“Va bene, sei stato bravissimo, Stevin, ora riposati, sei stato più che indispensabile!” gli fece forza Shion, ancora al suo fianco.

Intanto i Cavalieri d’oro si scambiarono occhiate preoccupate gli uni verso gli altri.

“Nero, Ermete, Utopo e Clio… ne hai sentito parlare, Shaka?” chiese un parere Mu, rivolto all’amico.

“Quello che so è ciò che viene detto nei miti, o nei libri, ma non so se sia tutto veritiero quello che si professa su di loro, soprattutto non so se personaggio mitologico e reale corrispondano...”

“Però mi pare di capire che parliamo di pezzi grossi, eh? Non c’è mica tanto da ridere!” commentò anche Death Mask, facendo spallucce.

La discussione continuò a fasi alterne, ma molte domande rimanevano sospese nel vuoto, prive di risposta. Tuttavia, almeno, pensò Milo, tutti sembravano finalmente fidarsi del nuovo venuto, che era stato di sicuro molto coraggioso a sforzare così il blocco della sua mente per dare a loro informazioni così vitali. Tutti tranne Saga, ovviamente.

Il Cavaliere di Gemini non sembrava ancora essersi convinto circa l’innocenza di Stefano, lo si presagiva già dagli occhi, prima ancora dall’assottigliamento delle sue labbra.

 

Ma guarda ‘sta testa di minchia! Dopo quello che ha fatto al Santuario, ad Atena, fa ancora lo splendido, inneggiandosi a difensore della giustizia. Insindacabile. Inopinabile. Devi sfogare le tue frustrazioni su questo ragazzo, Saga? O cosa?! Posso capire che non ti fidi delle parole di Marta, posso capire che la posizione di Stefano sia precaria, ma sciallati, che cazzo, ci ha appena dato i nomi di 4 dei 5 cosiddetti Pilastri, ancora non ti basta come prova?!

 

“Grande Sacerdote… forse io conosco un modo per scagionarlo totalmente ai nostri occhi, o… - Saga tacque un attimo, affilando lo sguardo in direzione del ragazzo – o condannarlo!”

No, evidentemente non gli bastava, a Milo venne una voglia incondizionata di prenderlo a calci in culo. Squadrò un attimo Camus da capo a piedi, un poco teso nella postura ma tutto sommato tranquillo, trovandosi a sospirare tra sé e sé. Il suo migliore amico, per certe cose, era implacabile esattamente come il Cavaliere di Gemini. Aveva bollato Kanon come il traviatore di Isaac, ce l’aveva a morte con lui per avergli strappato l’allievo convincendolo a seguire una strada che non era la sua e non si dava pace per averglielo permesso. Qualunque cosa avesse fatto, o non fatto, il fratello minore di Saga, non l’avrebbe mai perdonato, MAI! Tornò a concentrarsi sulla scena davanti a sé: beh, per lui era lo stesso nei confronti di quell’omuncolo che continuava ad indossare le vestigia dei Gemelli nonostante tutte le azioni perpetrate. Camus, durante la battaglia delle 12 Case, era morto perché quel pezzo di merda aveva ucciso Shion, ci fosse stato ancora lui, o Aiolos, come suo successore, nulla di tutto quello sarebbe accaduto. Strinse i pugni con rabbia.

“Che cosa hai in mente, Cavaliere di Gemini?”

La frase di Shion era stata proferita un tono neutro, ma il loro scambio di sguardi celava una tensione crescente, che gli altri custodi percepivano nitidamente. Assassinato e uccisore. Un tempo.

“Se Shaka mi darà il suo appoggio… un’ispezione!”

Si elevarono mormori sommessi e vibranti, tanto da mettere in allarme Stefano, l’unico a non sapere il reale significato di quella parola che suonava inquietante e lapidale al tempo stesso: non sarebbe stato affatto piacevole, ma, si chiese, in base a quella sarebbe riuscito a dimostrare la sua innocenza? Sarebbe riuscito a dimostrarla a Marta? Avrebbero potuto… tornare amici? Il cuore perse un battito.

“Un’ispezione?! Ora ispezioniamo anche i ragazzini a digiuno di allenamento e che non mangiano da giorni? Bei passi avanti che facciamo, e poi ancora ci domandiamo perché i Cavalieri di Bronzo ci abbiano superato… loro l’avrebbero fatto?!? Secondo me no!” commentò sarcasticamente Milo, sbuffando.

“Un’ispezione cosmica per sondare la sua mente… non sarà una passeggiata per il ragazzo, Saga! Ci hai pensato che il suo cervello potrebbe non reggere?!” gli fece notare Aiolos, nervoso, non sapendo bene se assumersi quel rischio che, da una parte, lo avrebbe scarcerato, ma dall’altra gli avrebbe fatto molto male.

“Ma confermerebbe, di fatto, la sua innocenza, se lo è per davvero non dovrebbe avere problemi, no? Dovrebbe lasciarsi… sondare!” continuò Saga, cercando un qualche tipo di appoggio dai compagni.

“Saga… io posso anche essere d’accordo con te – intervenne Shaka, compiendo qualche passo in avanti – Ma, mi chiedo, se non dovesse funzionare, o andare male, e il ragazzo così impazzire, chi accetterà le conseguenze delle proprie azioni? Chi darà le spiegazioni a Marta, guardandola bene negli occhi, senza tentennamenti?”

“Lo farò io, l’idea è la mia e, in fondo, sono già un demone dentro, no? Anche se ho sempre questa faccia da angelo stampata sul viso… - sbuffò Saga, un poco amareggiato, poco prima di guardare nuovamente Shion – Grande Sacerdote, chiedo il permesso per...”

“Non c’è bisogno di essere così formali, sono io il soggetto interessato, no? Sono io che ve lo chiedo: se pensate che con questo metodo io possa venire prosciolto dalle accuse che mi muovete… fate quello che dovete fare!”

Tutti i presenti guardarono Stefano in un misto di sorpresa e meraviglia. Il ragazzo si era alzato difficoltosamente in piedi, guardandoli uno ad uno, con espressione determinata, dall’alto della posizione su cui si trovata. Persino Saga di Gemini tentennò un attimo a quella presa di posizione.

“Sei coraggioso, ragazzo… i tuoi occhi emanano una luminosità del tutto particolare” lo elogiò Aiolia, accennando un sorriso nella sua direzione.

“Lo trovo eccellentemente impeccabile, non trovate?” chiese retoricamente Aphrodite, muto fino a quel momento, anche se non si era perso un solo secondo di quei momenti sfavillanti in cui un giovane uomo, di bella presenza, lottava contro i rigori di un Santuario austero e spietato, riuscendo comunque ad uscirne con la schiena dritta.

“Tu ti fai troppi film mentali, Aphro!” lo punzecchiò Death Mask, dandogli una gomitata tra le costole nell’aver letto per filo e per segno i pensieri del suo compagno.

“Cosa ci vuoi fare, ho un debole per le persone così!” rispose lui, languido, mettendo in bocca la rosa di fatale bellezza e ammiccandogli.

“Dei, il risvolto romantico no, ti prego… che disgusto!” berciò ancora Cancer, fintamente infastidito.

“Perché, non ti farebbe piacere un’uscita a quattro? Io, te, quel ragazzo, e la tua morosa Francesca?” gli fece l’occhiolino lui, in maniera assai poco virile.

“Dei, NO! Anche questo no!”

Intanto Shaka e Saga si erano avvicinati a Stefano, pur mantenendo una certa distanza, forse temendo un voltafaccia o chissà cos’altro.

“Ne sei sicuro, ragazzo? - domandò il primo, perennemente con gli occhi chiusi – Sarà molto faticoso per te e assai doloroso. Sentirai il cervello come se fosse spaccato a metà, il corpo come se fosse tranciato da un’ascia e, una volta che sarò dentro, non potrò fermarmi fino a quando non avrò ultimato l’ispezione...”

“Conosco il dolore e la fatica… mio nonno mi raccolse sulla riva destra del Brevenna una notte di novembre del 1992, dopo un’intensa alluvione. Non vi era alcuna traccia dei miei, ma mio nonno rifiutò l’ipotesi di un abbandono, ero… ero stato avvolto con cura da delle pesanti coperte e recavo un messaggio, scritto in bella e accurata calligrafia, un poco oblunga, come di scrittore antico, che chiedeva al viaggiatore lontano di avere cura di me, di farmi crescere in un luogo salutare, dove il sole non smettesse mai di riscaldarmi giorno per giorno… mio nonno mi accettò come se fossi davvero suo nipote! - cominciò a spiegare lui, ancora un poco tremante, senza comunque un minimo di esitazione – Crebbi tra le fatiche della coltivazione e dell’allevamento, perché Cerviasca era stata abbandonata, l’unico abitante rimasto era mio nonno Mario. Non ho paura di questa ispezione che dite, so di avervi detto la verità e voglio dimostrarlo! AD OGNI COSTO!”

Saga si morse quasi il labbro inferiore nel guardare Shaka, il quale comunque annuì, dicendosi pronto ad agire, visto anche il benestare di Stefano. Il Cavaliere di Gemini non era più tanto sicuro di fargli subire ciò che aveva in mente. Si era dimostrato nobile e valoroso, genuino, senza alcun filtro, ma ormai la proposta era stata lanciata e accolta, non si poteva più tornare indietro.

“SAGA!”

La voce di Camus lo riscosse, spingendolo a voltarsi verso di lui, un nodo in gola nello scorgere gli unici occhi, oltre a quelli di Aiolos, prima vittima delle sue azioni, che erano capaci, da soli, pur senza un’accusa verbale, di rimembrargli le malefatte passate.

“Mi sono fidato di te, durante la battaglia contro Hades, quando siamo resuscitati come Specter, e del tuo giudizio! Anche ora è così, so che, ciò che vuoi fare, è in buona fede, ma mi ritrovo, ancora una volta, a sottolinearti di usare i guanti di velluto, quando entrerai nella sua mente! – prese una breve, quanto esaustiva, pausa, prima di continuare – Ho promesso a Marta che non avrei permesso a nessuno di torcere anche un solo capello a Stefano, fintanto che lei è lontana, se vedrò anche un suo più piccolo cedimento, reputando la vostra ispezione troppo eccessiva, mi sentirò libero di agire per fermarvi, siamo intesi?”

Aveva proferito quelle parole in tono cordiale, senza un briciolo di cattiveria, ma le sue intenzioni erano chiare a tutti.

Saga si limitò ad annuire, prima di tornare a concentrarsi sul da farsi, senza più alcuna esitazione, non si confaceva ad un Cavaliere.

Stefano avrebbe voluto chiedere spiegazioni per quell’ultima frase, dove si trovava Marta? Perché se ne era andata?! Tuttavia la voce pacata di Shaka, che chiedeva la sua attenzione, rigettò indietro i suoi pensieri.

“Guardami negli occhi, ragazzo...” lo esortò, ricevendo così la sua totale attenzione. Le sue palpebre si aprirono, Stefano ne venne quasi investito, come se, quel semplice gesto, avesse causato uno spostamento d’aria tale da destabilizzarlo, tutto cominciò con brevi, ma intensi pizzichi sulla fronte e le tempie, prima avvertì la sensazione si avere un puntaspilli piantato in testa che, con l’avanzare dei secondi, penetrava sempre di più in lui, lacerandone la pelle e la carne. Si trattenne, e trattenne un conato di vomito: quello non era che l’inizio, non poteva in alcun modo crollare già in quel momento, dal principio.

“Ti possiamo solo consigliare di reggerti forte...” lo avvisò anche Saga, unendosi al compagno per sondare così i misteri della sua mente.

Stefano non si oppose, farlo avrebbe incrementato il dolore, lo presagiva, ma mano a mano che quei due accedevano in lui, più era difficile mantenere un barlume di coscienza, che defluiva spietata. Digrignò i denti, sempre più stremato, prima che tutto l’ambiente circostante, proprio tutto, venisse sostituito da tante piccole luci che gli ferivano la vista. Serrò le palpebre e si tappò le orecchie, prima di urlare a squarciagola, un’unica volta, e finire così per terra, preda di violenti spasmi.

Ciò che vide, prima di svenire del tutto, fu il sorriso dolce di un uomo, di un Cavaliere, che non seppe riconoscere, ma che lo accompagnò nelle vertigini dell’incoscienza.

 

 

* * *

 

 

27 ottobre 2011, sera

 

 

“NO, SCUSATE?! Ripetetemi la stessa cosa ma con più calma, perché devo aver capito sicuramente male!”

La voce acuta di Marta, complice anche il vivavoce del cellulare, risuonò tra le pareti della cucina, frastornando le povere orecchie di Francesca e Michela, che si erano sedute sul divano appena finita la cena.

Dopo un pomeriggio di tentennamenti, le avevano infine riferito la prova cui avevano sottoposto a Stefano. La reazione non era tardata a palesarsi con forza crescente.

“Ripetetemelo ancora una volta, per favore, giusto per esserne sicura: Saga ha voluto fare una… una che, a Stefano?!”

“Un’ispezione cosmica, sai che significa, ce lo ha insegnato il Maestro” disse Francesca, nella maniera più calma possibile.

“E..?”

“Ed è svenuto per il contraccolpo, mettiamola così, ma almeno ora tutti i Cavalieri d’Oro sono certi della sua innocenza!” minimizzò Michela, muovendo le gambe per stiracchiarsi.

Silenzio dall’altra parte, la calma prima della tempesta, poi…

“E’ UNO SCHERZO, VERO? I Cavalieri d’Oro non possono aver accettato una cosa così mostruosa!”

“No, Marta, l’hanno fatto invece… non tutti erano concordi, ma era l’unico modo per fidarsi” riprese il dialogo in mano Francesca, cercando di forzar l’amica a tornare alla calma.

“Ma porc…! - imprecò lei, tra i denti, si sentì un tonfo per terra, la voce di Sonia che chiedeva se stesse bene, la sua risposta furtiva, prima di tornare a sibilare al cellulare – Ditegli a Saga, quando tornerò, di non farsi trovare a meno di due chilometri da me, perché se lo vedo lo ammazzo!”

Le due amiche sussultarono, guardandosi negli occhi.

“Sta volutamente esagerando, vero?!” chiese Michela, guardando con una punta di terrore l’amica. Francesca non ne era così sicura.

“Marta… Saga è Cavaliere d’Oro dei più forti, se non IL più forte!” le fece notare quest’ultima, pratica.

“Lo so, allo stato attuale delle forze mi spezzerebbe come un fuscello, ma posso diventare più forte, MOLTO più forte!” sentenziò ancora lei, caparbia e un poco incosciente.

“Non è una buona idea, Marta, farsi nemico un Cavaliere d’Oro...”

“Non mi interessa! Un giorno massacrerò il Mago per quello che ha fatto a mio fratello, posso anche prendere a calci in culo Saga per quello che ha fatto a Stevin!” continuò, come se niente fosse, furente.

Poi si accorse di essere stata troppo schietta, forse, pertanto riprese parola, con più calma, imbarazzatissima, sentendosi esposta.

“Non… non diteglielo, però!”

“Temo sia impossibile, sei in vivavoce e sta lavando i piatti qui vicino” le fece notare Francesca, quasi intenerita.

“E di sicuro le tue parole lo hanno reso felice, starà ridacchiando sotto i baffi, orgoglioso che la sua sorellina sia così protettiva con lui” rincarò la dose Michela, spiattellando come al solito i sentimenti di tutti, facendo così arrossire di netto entrambi i fratelli.

“I-io non sto sorridendo sotto i baffi!” esclamò Camus, voltandosi verso di loro con le guance un poco arrossate, tuttavia gli occhi luminosi confermavano di fatto ciò che aveva espresso la più piccola delle sue allieve.

Le due ragazze si misero a ridacchiare, non Marta, ancora tesa all’idea di ciò che aveva passato il suo amico d’infanzia.

“Stevin… come sta? Dove è ora?”

Altra nota dolente. Francesca prese un profondo respiro, radunando tutta la pazienza di cui disponesse. Capiva lo stato dell’amica, ma davvero, per come si erano messe le cose, non c’era altra soluzione, la situazione di Stefano era troppo compromessa, soltanto una simile prova lo avrebbe scagionato, cosa che infatti era accaduta.

“Non si è ancora del tutto ripreso, ora sta dormendo… alla Casa dei Pesci” disse in un soffio, aspettando che la notizia attecchisse dall’altro lato del telefono.

Silenzio di tomba…

“Mi pigli per il culo?!” sibilò di nuovo Marta, trattenendo appena l’agitazione.

“No, l’ispezione è stata dura per lui, Shion ha chiesto ad Aphrodite di prendersene cura...” si aggiunse Michela, sul filo del rasoio.

Prendersene cura… in che modo?! Marta rabbrividì, preda di pensieri che sapeva solo lei e, in parte, le sue care amiche.

“Per-perché proprio lì?”

“Preferivi fosse sbolognato da Shura? Ti ricordo che è un altro di quelli che non si fidava di lui...” gli fece notare Francesca, criptica.

“N-no ma… magari la Casa dell’Acquario, o… non so...”

“E’ a tappo perché ci siamo noi...” le spiegò anche Michela, comprendendo bene le ragioni di quella preoccupazione, del resto, loro due, fin da bambini, erano sempre stati così affiatati...

“S-sì, ok, ma non c’era un’altra… un’altra alternativa?”

Marta sembrava davvero preoccupata, tanto da far avvicinare Camus che, con garbo, chiese a Francesca di passargliela. Detto fatto.

“Marta...”

“Ca-Camus...” lo chiamò per nome lei, un poco incerta, cercando al contempo di rendere il suo tono di voce meno tremolante.

“Sei molto protettiva, piccola, e questo ti fa onore… ma non devi temere così per il tuo amico! E’ vero, Aphrodite ha seguito consapevolmente Saga durante la Battaglia delle 12 Case, ma è cambiato da allora, non gli torcerebbe un capello, te lo posso assicurare!”

“Fr-fratellino, lui non merita altra sofferenza, da-davvero!”

Camus addolcì ulteriormente la voce nell’udirla così preoccupata, cercando di abbracciarla con il timbro vocale perché fisicamente non poteva.

“Non gli succederà più niente, te lo assicuro! Anche Saga si è convinto della sua innocenza, ora ci siamo noi, con lui, lo proteggeremo, costi quel che costi, tu pensa solo ad impegnarti nel tuo compito, qui ci penso io, intesi?”

“Me lo prometti?” pigolò ancora.

“Te lo assicuro!”

“Come… sta?”

“Ha avuto un po’ di febbre, glielo ho abbassata io, ora dorme tranquillo, non è in pericolo di vita. Ha avuto una brutta esperienza, ma mi sembra un ragazzo forte, la supererà!”

“Grazie… per quello che hai fatto per lui, ti voglio bene, Cam!”

“Anche io, lo sai! Fai bei sogni, piccola guerriera, questi giorni passeranno in fretta e potrai tornare qui, da noi, e rivedere il tuo amico Stefano!”

Marta produsse un mormorio sommesso, ormai si era tranquillizzata del tutto, grazie all’intervento di suo fratello, non aveva più vene omicide nei confronti di Saga, anche se continuava ad essere in pena, lo si percepiva dal tono tremante.

Michela diede una gomitata nel costato di Francesca più intensa del normale, tanto che la giovane dea si lasciò sfuggire un mormorio soffocato, unito ad un’occhiata obliqua che faceva percepire il suo disappunto.

“Li lasciamo amoreggiare, che ne dici?” chiese furbetta la più giovane, sogghignando.

“Michela… sei sempre la solita!”

“Sono così adorabili!” spiegò, sincera.

Tuttavia la chiamata, dopo le solite, premurose, raccomandazioni, volse presto al termine, Camus ripassò loro il telefono, rimanendo in disparte impensierito, le ragazze salutarono anche Sonia e dopo l’augurio della buonanotte, venne schiacciato il tasto di disconnessione.

Rimasero in silenzio per una serie di secondi, il maestro appoggiato alla parete a braccia conserte, perso come sempre nelle sua mente, le fanciulle sul divano. La stanchezza per gli allenamenti cominciava a farsi sentire. Sbadigliò Francesca, seguita da Michela.

“C’era una cosa che volevo chiedervi...” disse ad un tratto Camus, attirando l’attenzione delle due. Aveva una faccia strana, quasi non sua, come se fosse indeciso se esprimere quello che aveva in mente.

“Sì?” lo incoraggiò Francesca, presagendo già l’argomento da trattare.

“Anche voi conoscete Stevin... voglio dire, Stefano da tempo, vero?”

“Sì, i nonni di Marta… voglio dire, i vostri nonni, Maestro… - si corresse Michela, rendendosi conto, con gli occhioni un poco tristi, che i vecchi Dante e Ines erano anche parenti di Camus – avevano preso una casa in campagna a Carsi, il paese davanti a Cerviasca, è grazie a questo che si sono conosciuti quando ancora erano bambini. Noi invece abbiamo fatto la conoscenza di Stevin nel 2002, quindi possiamo dire di saperne un po’, anche se non come lei, per ovvie ragioni!”

Camus, a quella frase, affinò lo sguardo, rimanendo comunque corrucciato con la schiena appoggiata al muro.

“S-sì, ho fatto alcuni sogni sulla questione, il punto che mi premeva approfondire era un altro… - disse, esitando ancora, non del tutto sicuro di voler ficcare il naso in questioni intime riguardanti la sorella, anche se, a ben vedere, già il condividere i ricordi e le emozioni lasciava ben poco spazio alla privacy – So, a grandi linee, sotto quale luce lo vedesse Marta, ma… per quanto concerne Stefano? Ho… avvertito qualcosa di… molto intenso tra loro, non mi chiaro se fosse… corrisposto!”

Michela e Francesca si scambiarono un’occhiata di circostanza, le loro labbra si piegarono un poco simultaneamente e piegarono un poco la testa di lato.

“V-voglio dire… - al solito aveva difficoltà a raccattare le parole, che gli sfuggivano, ancora di più se si trattava di sentimenti – L-lui, Stefano… ne era in qualche modo… innamorato?” chiese in un tuffo, facendosi coraggio.

“C’era un legame molto profondo, tra loro, Marta lo chiamava ‘la mia persona’, lei ha sempre odiato i maschi, non ci andava d’accordo, ma con lui… con lui era diverso!” la prese alla larga Francesca, arrossendo a sua volta, a disagio nel trattare i sentimenti al pari del proprio mentore.

“Quindi… era ricambiato?” tentò ancora Camus, profondamente a disagio.

“E’ impossibile, Maestro...” abbozzò Francesca, distogliendo lo sguardo e facendo un cenno in direzione di Michela, la quale sbuffò, in evidente apprensione.

“Devo essere sempre io???” le disse, arrossendo.

“Sei la più espansiva...” fu la serafica risposta della dea, un poco corrucciata.

Gli occhi di Camus andavano da una parte all’altra, un poco frenetici. Cosa era tutta quella omertà? Perché si era creato quel disagio, tra loro, cosa c’era di così difficile da esplicare?

“Non credo di… capire!” fece presente, un poco innervosito, producendo un buffo ticchettio con le dita.

“Era dell’altra sponda, Maestro, non poteva che esserci un immenso, incommensurabile, rapporto di amicizia!”

“Dell’altra… cosa?! Che modo di esprimersi sarebbe?!”

Camus non capì subito cosa significasse ‘appartenere all’altra sponda’, non aveva mai udito quell’espressione colloquiale in vita sua, ma comprese il vero significato dal rossore sulle gote delle allieve, che ridacchiavano sommessamente tra loro. Sbatté le palpebre, incredulo: quindi Stefano era come Aphrodite?!?

“Mi state dicendo che...”

Camus…

Non riuscì a terminare la frase che un capogiro rischiò di privarlo dell’equilibrio. Si sorresse con una mano alla parete, con l’altra si prese la testa. Avvertì un brivido lungo la colonna vertebrale, poi i sudori freddi, infine le palpitazioni. Le gambe gli cedettero, facendolo cadere in ginocchio.

“Maestro!!!” il grido delle allieve arrivò a stento alle sue orecchie, che avevano preso a ronzare. La vista gli si annebbiò. Completamente.

“N-no, anf… non… di nuovo!”

Camus…

Di nuovo la sua voce, lo stava chiamando con quel sibilo prolungato che sembrava provenire dal suo stesso cervello. Il suo respiro accelerò, si ritrovò a scalpitare, mentre con una mano corse a coprirsi l’addome che, pur celato dalla maglietta che indossava, fremeva in preda alle tensione, totalmente rigido e dolente, come se qualcuno si fosse insinuato dentro.

Di nuovo la sensazione delle sue mani sul suo corpo, quel loro strusciare sulla sua pelle, senza un minimo di cura, le sue unghie che gli graffiavano i fianchi, per poi salire, scoprendogli interamente l’addome e poi il torace, giusto per averli sott’occhio, per avvertire nitidamente i suoi spasmi, i suoi movimenti sempre più accelerati che -Camus lo sapeva bene- a lui eccitavano tantissimo, per questo si sforzava di non cedere, di non crollare, non gliela avrebbe data vinta. Mai.

Sai anche… che è questa tua encomiabile resistenza ad attizzarmi ancora di più!

“N-no… NO!”

Perché non vuoi ancora accettarmi come parte di te? Siamo una cosa sola, queste ferite sul tuo petto lo dimostrano, è da lì che sono… entrato!

“L-le cicatrici sul petto sono il s-simbolo del legame tra me e Marta, i-il segno di averla protetta, n-non...” provò ad opporsi, mentre sentiva la mano di quell’essere solcargli lo sterno per poi premere proprio su quelle. Un senso di ripugnanza lo invase, ma non era in grado di muoversi. Doveva assolutamente reagire!

Errato, sono il simbolo di qualcos’altro, Camus! Io sono sempre con te, anche se tu mi rifiuti, sempre. Ogni giorno che passa mi faccio sempre più strada in te, arriveremo ad un punto in cui...”

“VATTENE, MOSTRO!!! - urlò Camus con tutte le sue forze, stringendo convulsamente la maglietta in prossimità del petto e scacciandolo con il braccio – Ho scelto io le persone che fanno parte del mio cuore, i miei affetti, le mie luci, tu non c’entri nulla, non saremo mai una cosa sola! Devo avertelo già detto: combatterò! Combatterò oltre i miei limiti per distruggerti, non toccherai più nessuno di loro, MAI PIU’, e ora esci dalla mia mente! SUBITO!”

Silenzio… la sua voce arrogante lo aveva finalmente lasciato, permettendogli di tornare a respirare con regolarità. Riaprì gli occhi, ma intorno a lui non vi era altro che buio. Diruto, stremato… rabboccò aria, che gli mancava, costringendosi a riportarsi alla calma.

Poco dopo si accorse, una volta in più, che l’addome e il torace erano veramente scoperti, e che la maglia che indossava era ammucchiata sopra le clavicole, sgualcita, gli scopriva i capezzoli e le stesse ferite, come se quell’essere lo avesse davvero osato toccare e percorrere con le sue turpi mani. Doveva tranquillizzarsi, il cuore aveva accelerato il suo moto, gli faceva male. Tanto. Troppo. Era un dolore insostenibile.

Infine, con una mano, appena fu in grado di muoverla, andò a tastarsi i jeans, accorgendosi che erano slacciati e aperti; un ulteriore conferma di quello che aveva vissuto…

Ingoiò a vuoto, risistemandosi la maglietta in modo da coprirsi interamente il busto e riagganciandosi i jeans. Stava ancora tremando, avvertiva nitidamente il suo corpo fremere. Era logorato, stremato, spossato... richiuse gli occhi, sospirando, posandosi una mano sull’addome per nasconderlo, sentendosi ancora esposto. Aveva vinto anche quella volta, il Mago non avrebbe avuto ciò che bramava, MAI, ma era… era tanto stanco, ancora di più che la volta precedente, avrebbe voluto solo dormire, scacciare quella sensazione di profanazione che lo colpiva sempre quando veniva attaccato in quella maniera.

Pensò disperatamente a Marta, a Milo, alle luci della sua vita, le ragioni che lo spingevano a non arrendersi; le ragioni per cui non poteva crollare. Devolse tutte le sue forze nel pensare ai loro visi, al calore che avvertiva grazie a loro, al loro sostegno.

“MAESTRO!!!” la voce trillante di Michela lo fece riscuotere del tutto. Riaprì gli occhi, feriti dalla luce, strizzando una volta le palpebre, prima di riuscire a spalancarli completamente. Il suo campo visivo venne riempito dai volti preoccupati delle sue giovani allieve.

“Michela… Francesca...” riuscì a chiamarle, in tono sfinito, sorridendo. Si accorse di essere sdraiato per terra, un cuscino dietro alla sua nuca per sorreggergli la testa. Era completamente vestito, la maglietta integra, i jeans ben ancorati ai suoi fianchi. Non c’era alcun segno di ciò che aveva vissuto nella sua mente. Era tornato a casa. Ancora una volta.

La più piccola era spaventatissima, lo abbracciò di slancio, nascondendo poi il suo volto nel tessuto della maglietta, la più grande, fece lo stesso, con gesto più contenuto ma ugualmente sentito, permettendosi anche di accarezzargli i capelli per rassicurarlo.

“Sei impallidito improvvisamente e le gambe ti hanno ceduto, non… non sapevano cosa fare, non...”

“Sssshhh, va tutto bene, è passato! Ho avuto solo un mancamento dato dalla stanchezza, state tranquille!” le rassicurò, posando le mani dietro le loro teste e sospingendole ancora di più contro di sé per sentirle più vicine. Socchiuse gli occhi.

“Ma!!!” tentò di opporsi Michela, spaventata a morte.

“Sono a casa… - ripeté lui, cercando di essere più convincente possibile – Ci siete voi, con me, e Marta, Sonia e Milo... anche se non presenti al momento, per non parlare di Hyo...” si fermò una nuova fitta al cuore nel rammentarsi che l’allievo non era con lui, che se ne era andato, proprio per causa sua.

“Ad ogni modo… - il tono gli uscì quasi soffocato ma cercò di non curarsene – Finché sarò con voi, andrà tutto bene, lo so!” farfugliò ancora, prima di cedere alla stanchezza colossale che lo aveva investito e perdere coscienza, le voci delle sue allieve sempre più fievoli e distanti.

Non mi arrenderò, finché sarete al mio fianco...

 

Oltre i confini del tempo e dello spazio dell’Universo Omicron, quello di cui faceva parte la Terra e numerosissimi altri pianeti che la mente umana non poteva neanche catalogare, il Mago stava rannicchiato su sé stesso, la mano ancora posata sullo specchio, tramite il quale aveva raggiunto ancora una volta Camus, finendo però per essere buttato nuovamente fuori. Aveva il respiro affannoso, ma sorrideva raggiante, la mano libera a stringersi tra le due cosce, a quel rigonfiamento che lo inebriava, mentre la mente lo riportava alla consistenza della sua palle, così morbida e calda, a quel calore che lui ricercava, a quel potere che gli sfuggiva, a Camus stesso, che desiderava follemente. C’era andato così vicino, quella volta, ancora il rammentare della sua espressione rotta, sfinita, del suo respiro accelerato sotto di lui, lo faceva eccitare come nessun altra cosa presente in tutti le dimensioni mai create. Rise di gusto, avvertendo un’agitazione a stento controllabile.

Nobile Fei...”

Ermete… - si raddrizzò nel percepire il suo arrivo, ricacciando indietro la frenesia che lo aveva pervaso e riempito, persino a lui, che si sentiva costantemente vuoto dentro. Recuperò un tono imperioso nel più breve tempo possibile – Devo averti già detto che nessuno può permettersi di chiamarmi così, o ci aggiungi i due nomi dietro e mi appelli per intero Fei Oz Reed, o va bene il termine Demiurgo, ti è chiaro il concetto adesso o devo essere più… convincente?!”

Un’occhiata gelida, di avvertimento, bastò a far crollare a terra Ermete, preda di violenti spasmi.

Chiedo perdono, Sommo Fei Oz Reed!” biascicò l’altro, quasi latrando, mentre boccheggiava.

Ti perdono, sei a capo dei Cinque Pilastri di Marduk, del resto...”

Sì, Sommo...”

Si girò interamente nella sua direzione, scrutandolo a fondo, notando che teneva un polveroso tomo tra le mani e che i capelli lunghi, spettinati, gli nascondevano parte del volto.

Alzati, e dimmi che ne hai fatto di Nero Priest...”

Oh, beh… - Ermete seguì le sue direttive, permettendosi di contraccambiare lo sguardo – L’ho punita con una rivisitazione del Mito di Prometeo...” disse, tutto orgoglioso.

E sarebbe?”

E’ nuda legata alla roccia con un Crocovo che ad ogni ora le va a mangiare le interiora… ovviamente non può morire, ma stare un po’ lì le servirà da monito per non agire di sua spontanea volontà la prossima volta!”

Crocovo, l’uccello artropode… - ripeté il Demiurgo, ghignando sadicamente – Che spreco di energie...”

Volete la liberi già ora?”

No, la prigionia e il dolore le faranno bene, inoltre abbiamo ancora un po’ di tempo prima di agire”

Capisco...”

Fei Oz Reed era tornato a contemplare lo specchio che ancora rifletteva l’immagine di Camus, privo di coscienza, mentre le allieve si occupavano di lui. Carezzò la sua immagine sostando a lungo sul suo addome. Non poteva più raggiungerlo, aveva esaurito momentaneamente le risorse, ma gli piaceva… il gesto di toccarlo, anche da distanza. Era come rivendicarne il suo possesso, anche se il ragazzo lo rifiutava con tutto sé stesso.

Ancora poco. Ancora poco e saremo una cosa sola, non temere…

A proposito dell’attacco, Sommo Fei Oz Reed, gli altri Pilastri sono pronti, ma continua a non trovarsi il quinto, l’elemento cardine...”

Oh, non ti preoccupare, Lei ha già discorso con me, più volte, è schiva, ama agire in solitudine, ma c’è, sta filando esattamente tutto come deve andare”

Procedo con i preparativi, quindi?”

Procedi...”

Ermete si chinò in segno di riverenza, prima di allontanarsi il più in fretta possibile. La presenza del Sommo, anzi, di Fei, lo Sciamano che si era spinto oltre, lo rendeva agitato, vulnerabile, sebbene lo stimasse con tutto sé stesso.

Fei Oz Reed rimase diversi secondi a contemplare il viso pallido di Camus, stremato dal suo precedente attacco, ai minimi termini. Stava cedendo, lentamente ma inesorabilmente, il suo percorso era già stato ampiamente tracciato, senza possibilità di equivoco. L’intervento di Marta, nel passato, era stato solo in grado di ritardare ciò che poi, in un modo o nell’altro, sarebbe accaduto di fatto, nonostante le resistenze di tutti. Era destino, null’altro. Quando due anime dovevano unirsi e congiungersi, non c’era ostacolo, né volontà, che potesse impedirlo.

Destino…

E Destino era che Camus, così come il suo potere eccezionale, che mai nessuno aveva posseduto per milioni e milioni di anni, in nessuna delle dimensioni esistenti, finisse nelle sue mani, dando origine ad un’unica, onnipotente esistenza. Per Ipsias. Per la sua rinascita.

Si bagnò le labbra, continuando a guardarlo, l’eccitazione nuovamente prorompente, la mano gli corse nuovamente all’inguine, che avvertiva bollente. Sorrise. Non c’era rimedio per quel bisogno che si faceva sempre più potente di giorno in giorno.

Userò il tempo che ti ha concesso in più Marta, frapponendosi tra me e te, a mio vantaggio, Camus… - gli disse, pur consapevole che lui non avrebbe potuto ascoltarlo, perché lo aveva buttato fuori, serviva diverso tempo per ricaricarsi – Ti metterò un po’ alla prova, ragazzo, tu, gli altri Cavalieri d’Oro, i tuoi affetti... Vediamo se, in caso di pericolo delle persone che tu ami, ti decidi, una buona volta, ad usare quel potere inesauribile dentro di te che covi dalla tua nascita: il Potere delle Creazione, il… Principio Primo di Tiamat! Muahahahaha!”

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Siete stufi degli dei greci? Li considerati troppo ripetitivi?! Bene, utilizziamo un po’ di sana mitologia Babilonese (che è un riadattamento di quella Sumerica) per gettare nella padella altra carne sul fuoco, giusto perché queste storie sono già poco incasinate, rendiamole ancora più difficoltose! XD

A parte gli scherzi, è da quando ho finito la seconda storia, Sentimenti che attraversano il tempo, rivelando il Potere della Creazione di Camus, che mi è venuta l’idea di abbinare la dea primordiale Tiamat al Cavaliere dell’Acquario, perché? Perché è il mio Cavaliere preferito e sono di parte? Sì, non lo posso negare, ma anche per svariati motivi che vi saranno chiariti strada facendo. :)

Per il resto… “I Cinque Pilastri di Marduk” è il titolo ufficiale di questa mini-long ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, e quindi parallela.

Chi, come me, è appassionato di mitologia, certamente conoscerà sia Tiamat che Marduk, nonché il poema che li vede combattere, l’Enuma elish, e la correlazione che c’è tra queste due divinità, ma non si immaginerà di certo il loro ruolo nella storia, né gli sviluppi seguenti, che mi auguro di trattare nel miglior modo possibile.

Non si può dire comunque che il primo capitolo parta con leggerezza, visto il focus che ho messo proprio su Camus, su… ciò che vive e ha vissuto ad opera del Mago, argomento non certo leggero, che lui non vuole far trapelare fuori da sé, sebbene Marta e Milo (ed Efesto) sappiano cosa stia passando. Anche questo, questa asprezza e crudezza, in certi casi, è frutto della mia nuova versione di Sentimenti che attraversano il tempo. Nella prima stesura era appena accennato, si capiva appena cosa Camus avesse vissuto, ma con la nuova, e soprattutto qui… beh, direi che c’è poco spazio all’immaginazione: il Mago vuole possedere il Principio Primo di Tiamat, tale peculiarità (ma si vedrà meglio nel capitolo 11 della Melodia della Neve) è custodita nel grembo -il termine non è a caso!- di Camus. E Marduk? Cosa c’entra? Che ruolo ha?!

Non so ancora se mantenere il raiting arancione… glia argomenti diventano sempre più delicati, ma non voglio scendere comunque TROPPO nello specifico, non più di quanto abbia già fatto…

Da questo primo capitolo, esce un’ulteriore informazione interessante, anche se solo accennata: il fatto che il Mago, Fei, prima, fosse uno Sciamano… che ha saputo andare oltre, che significa?

Fei era uno Sciamano…

Camus a sua volta, nella mia versione, è uno Sciamano.

Seraphina era un grandissima Sciamana…

Anche questo non è affatto a caso, immagino lo saprete.

Con queste congetture, prive per lo più di risposta ma motivo di riflessione, vi lascio questo primo capitolo. Non so ancora se pubblicherò prima quello nuovo della Sonia’sside story, o della Melodia della neve, ma ciò che è certo è che ho molto da trattare e che non sarà facilissimo, ma ci proverò comunque! ^_^

Al solito ringrazio tutti coloro che mi seguono e vi ringrazio dal profondo del cuore! :)

A presto, spero!

  
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