Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Tenar80    23/10/2020    2 recensioni
Victoria non dovrebbe essere una ragazza. Ha superato le selezioni per entrare nelle Ali Nere, il corpo militare d'élite che combatte contro gli angeli. Nell'Impero, un mondo steampunk dal sapore vittoriano, quella non è proprio un'occupazione adatta a una ragazza, per di più una trovatella. Ma Victoria è e rimane una ragazza...
Questo è il primo racconto della saga "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lui aprì la mano, lasciando cadere i chicchi che vi teneva, e se la passò sugli occhi.

    – Victoria… – emise, a metà tra un sospiro e un grido strozzato.

    Era cambiato, pensò la ragazza. Si era fatto muscoloso e tarchiato, scurito dal lavoro all’aperto. Lei, di sicuro, era cambiata di più.

    – Come fate a conoscervi? – chiese Thérese.

    Il suo tonto era genuinamente perplesso, ma di certo stava dando voce al pensiero di tutti.

    – Da bambini ogni tanto ci siamo incrociati – rispose Robert, veloce. – Guardate, stanno arrivando i cigni.

    Aveva ragione, quattro grossi uccelli bianchi stavano nuotando verso di loro attraverso lo specchio d’acqua e il garzone cercava di metterci tutto il suo impegno nel richiamarli.

    Thérese e Gloria furono immediatamente distratte dall’arrivo degli animali, ma Victoria era ben conscia di essere diventata molto più interessante agli occhi degli altri. La pupilla dei Morozov che da bambina giocava con il garzone dei Jamenson, quello preso dall’orfanatrofio.

    Di colpo, a Victoria parve molto più chiaro perché il generale le avesse raccomandato di non azzuffarsi. La tentazione di convincere a schiaffoni tutti quanti a farsi i fatti propri era controbilanciata solo dal desiderio di parlare da sola con Robert. Mentre si sforzava di imitare i gesti con cui le altre ragazze si contendevano le attenzioni dei pennuti, sentiva i caldi occhi castani dell’amico accarezzarla. Fu colta da una subitanea e assurda felicità al pensiero che l’avesse re incontrato proprio in quel momento, quando aveva i capelli ben pettinati e lo scomodo abito azzurra a fasciarla. E subito dopo pensò che avrebbe dovuto mentirgli, in qualche modo. Non lo aveva mai fatto. Da che aveva memoria, Robert era il suo miglior amico e l’unico degno rivale. 

    Anche Chris, si rese conto, la stava guardando, uno sguardo che Victoria non seppe interpretare e di cui, per una volta, non le importava molto.

 

    Marina aveva ragione. Nell’abito bianco dai ricami blu Victoria più che un’invitata si sentiva un fantasma che aleggiava alla cena e alla festa. Come ogni fantasma che si rispettasse, era oggetto di occhiate furtive e inquiete e come presumibilmente accadeva ai fantasmi la gente parlava come se lei non esistesse. Il fatto che conoscesse il garzone, il garzone che veniva da Santa Prospera, era un’informazione percolata dai ragazzi agli adulti.

    – Delia, tesoro, sono sicura che tu stia cercando di dimostrare qualcosa e la ragazza sembra davvero deliziosa – sussurrò la contessa alla signora Morozov. – Ma davvero sei tranquilla con i casa con una ragazzina che chissà cos’ha vissuto, che cosa ha visto, che cosa ha fatto…

    Delia la beneficiò di una delle sue migliori occhiate raggelanti.

    – Mio marito ha ucciso angeli per una vita. La villa è adiacente al quartier generale delle Ali Nere. E dovrei avere paura di una tredicenne?

    Se non altro, nessuno le chiese di suonare. Lo fece Marina, esibendosi in un impeccabile Notturno e catalizzando gli sguardi di tutti. Quando poi cedette il piano a Delia, Chris le chiese di ballare. Victoria si chiese se fossero fidanzati. Di certo le rispettive madri gongolavano nel vederli volteggiare. E erano una bella coppia, così come dovrebbero essere le coppie. Lui di una decina di centimetri più alto, affascinante nella divisa dalle decorazioni dorate, lei morbida tra le sue braccia, docile nel farsi guidare tra le note. Chris sembrava del tutto a suo agio nel suo ruolo di cavaliere, senza alcun motivo per il malumore che aveva esibito durante il viaggio. Probabilmente, era lei che non riusciva a capire. Quel mondo non le apparteneva. Lo osservava, come osservava certi quadri d’avanguardia che le aveva mostrato una volta Delia, in cui tutte le figure si mescolavano fino a diventare mere macchie di colore. Li aveva trovati belli, ma non aveva la più pallida idea di cosa rappresentassero. 

 

    Nonostante tutta quella massa di fiocchi, tornare alla propria stanza fu rassicurante.

    – Ti stai divertendo? – le aveva chiesto Delia, riaccompagnandola in camera.

    – È interessante – aveva risposto lei, sincera.

    La donna aveva fatto uno di quei suoi sorrisi, benevoli più o meno come quelli di una mantide in caccia, come se tutto sommato quella fosse la risposta che si era aspettata.

    Victoria finì di infilarsi la camicia da notte in raso di seta bianco, il suo unico abituale tocco di femminilità, quando sentì qualcosa raschiare alla finestra.

    – Robert! – esclamò, scostando la tenda.

    Ci aveva pensato, in effetti, senza sperarci davvero.

    Si affrettò ad aprire la finestra per farlo entrare.

    Lui scavalcò il davanzale e poi si guardò intorno un poco perplesso, mentre sotto le sue scarpe dalla suola grossa si allargava una macchia sul tappeto bianco che ricopriva il pavimento.

    – Si è messo a piovigginare – commentò. – Sarà meglio che le tolga, prima di inzaccherarti tutto… Non sono mai stato in una stanza tanto…

    – Stucchevole? – completò Victoria. – Neppure io.

    – Ti tengono in una cantina i Morozov? – chiese Robert, mentre armeggiava con le scarpe.

    – No. Ma non ci sono tutti questi fiocchi. 

    Lo invitò a sedersi accanto a sé, sul letto.

    Non lo avevano mai fatto da bambini. Dormendo in camerate era impossibile infilarsi l’una in quella dell’altro o viceversa senza scatenare un putiferio. Neppure loro avevano mai osato. Adesso, di colpo, divenne consapevole di quello che indossava, di come le ricadeva addosso segnando le curve, o l’assenza di curve, del suo corpo. E la presenza di Robert era qualcosa che sovraccaricava i suoi sensi ipersensibili. La pioviggine gli aveva inumidito i capelli e ora odorava di muschio, corteccia e un poco di imbarazzo. Sentiva persino il calore del suo corpo, seduto a qualche centimetro dal suo. Si morse il labbro. Era innaturale sentirsi a disagio con Robert.

    – Raccontami come sei finito qui – disse.

    – Eh, no. Sei tu quella che ha la storia più interessante – protestò Robert. – Pupilla dei Morozov, niente di meno! Ce l’aveva detto madre Carola che ti avevano preso in simpatia per esserti infiltrata alla selezione delle Ali Nere. Ma non pensavamo al punto da trasformarti in una damigella di corte.

    Quindi era quella la versione diffusa a Santa Prospera. 

    Sarebbe stato bello se almeno lì avessero saputo che ne era stato di lei.

    – Non sono mai stata a corte – precisò.

    – Potresti? – domandò Robert, sgranando gli occhi.

    Gli stavano quasi spuntando i baffetti, notò Victoria. Proprio come Chris, Robert, pur essendo suo coscritto, aveva quasi un anno in più. In autunno, appena dopo i suoi quattordici anni, lui ne avrebbe compiuti quindici.

    – Delia Morozov ci va, quando non finisce nei guai per qualche manifestazione per i diritti delle donne. Ma non mi porta mai, né a corte né alle manifestazioni.

    Sarebbe stato surreale in entrambi i casi.

    Poi si rese conto che come lei aveva guardato le labbra di Robert e notato i baffi nascenti, lui stava guardando le sue di labbra. Meglio aggiungere qualcosa.

    – Penso che le sia piaciuto questo, che mi sono infiltrata in una selezione per ragazzi e me la sia cavata – disse, cercando di parlare per riempire il silenzio. – Trasformare un’orfana di Santa Prospera in una dama dell’alta società sarebbe un altro punto a favore dell’uguaglianza delle classi. Non sono molto sicura che ci riesca, però.

    – Quindi sei una sorta di esperimento di una donna ricca? – domandò Robert.

    Il disprezzo per la donna ricca la ferì.

    – No, non hanno figli, i Morozov.

    Da quel che ne sapeva nessuna delle gravidanze di Delia era andata molto avanti. Deformazioni non compatibili con la vita. Una cosa che capitava spesso a quelli delle Ali Nere che riuscivano a lasciare  il servizio attivo e mettere su famiglia. Troppo sangue d’angelo. Un’altra simpatica cosa da tenere a mente, in futuro.

    – Credo che, potendo scegliere, le sarebbe piaciuta una figlia in grado di battere i ragazzi sul loro terreno.

    – Sei stata fortunata – commentò Robert.

    – Sì.

    Se i Morozov non fossero stati, beh, i Morozov la cosa avrebbe potuto evolvere in maniera molto più sgradevole.

    – Tu come ti trovi qui? – chiese.

    La mano di Robert era vicinissima alla sua. Si sfioravano, quasi. Era grande, larga tre volte la sua, abbronzata. Di sicuro sul palmo e le nocche c’erano dei calli da lavoro. La mano di Victoria era bianca e sottile. Del suo corpo, le mani le erano sempre piaciute più di tutto i resto. Erano sottili, con dita che potevano correre sui tasti di un pianoforte o impugnare con sicurezza un’arma. Ne teneva le unghie curate, anche se lunghe non sarebbero state comode, e di tanto in tanto ci metteva dello smalto trasparente. Viste da sopra erano in tutto e per tutto delle mani di ragazza, ma  il costante esercizio con le armi le aveva segnate con dei calli. Se Robert si fosse azzardato a prendergliela, se ne sarebbe accorto?

    Robert, però, non osò e si limitò a sospirare.

    – Lavorare in una grande tenuta dà delle opportunità – disse. – Quindi, rispetto agli altri, anch’io sono stato fortunato.

    – Perché, cos’è successo agli altri? – chiese Victoria, spostando lo sguardo di scatto dalle mani al viso di Robert.

    – Avrai saputo di Tara…

    – No.

    Non sapeva nulla di Tara o di Robert o di chiunque altro da due anni.

    Erano stati la sua vita. Lei, Tara e Robert erano stati inseparabili per tutta l’infanzia. E poi se n’era semplicemente andata. Non era mai tornata a Santa Prospera dopo la prova del sangue. Avevano mandato a prendere le sue cose e le avevano portate a Villa Morozov. Una minuscola sacca che spariva a confronto con il baule che si era portata dietro per quei due giorni di fine decade in cui erano racchiusi undici anni di vita. Anche gli affetti erano rimasti fuori. Aveva scritto un volta, un paio di mesi dopo, le aveva risposto Madre Carola. Sia Robert che Tara se ne erano andati, aveva aggiunto gli indirizzi, ma Victoria non aveva mai scritto. Per la fine dell’anno mandava un biglietto di auguri e una donazione dato che perfino come cadetto riceveva uno stipendio, ma non aveva ricevuto in cambio se non un generico ringraziamento. Perché non aveva scritto ai suoi amici?

    – Cos’è successo a Tara? – domandò, sentendo la propria voce tremare.

    Robert si strinse nelle spalle.

    – Pensavo lo sapessi… Non si è parlato d’altro a Santa Prospera negli ultimi mesi.

    – Tu ci vai?

    – Ogni tanto, nei giorni liberi. I ragazzini più piccoli sono ancora là e è bello vedere che per loro sono ancora un eroe.

    Lo era stato, molto più di Victoria. Lei era l’ultima della classe in cucito e cultura generale, pessima nei turni di cucina, si accapigliava, graffiava e mordeva. Robert era il migliore in tutto quello che faceva, l’ultimo a entrare nei rifugi, il ragazzo che tutti i bambini volevano essere.

    – Dimmi di Tara – sussurrò.

    Fu lei a prendergli la mano. Non voleva addentrarsi da sola in quella storia. Robert mise anche l’altra mano sulla sua e la strinse appena.

    – È stata presa a lavorare in un grande albergo del centro, proprio in Piazza della Virtù. Faceva la cameriera, i turni erano lunghi ma le piaceva.

    Victoria chiuse per un istante gli occhi. Gli alberghi di Piazza della Virtù. La sartoria dove aveva fatto fare i vestiti che indossava, la preferita di Delia, era in Piazza della Virtù. Nei giorni di vacanza a volte ci andavano insieme, Delia e lei. Victoria indossava un abito femminile anonimo e pregava sempre di non incontrare altri cadetti. A volte si fermavano a bere una cioccolata in una sala da the. Sarebbe stato così facile fare una deviazione e vedere Tara. Lo avrebbe fatto, se lo avesse saputo?

    – Poi, un anno fa circa, è rimasta incinta – continuò Robert, senza guardarla. – Non mi ha mai detto chi fosse il padre… Comunque, è una cosa che capita. Aveva risparmiato. Forse l’avrebbero ripresa a lavorare. In qualche modo sarebbe riuscita a tirare avanti, o almeno così diceva… Ma quando è nato il bambino lei lo ha portato a Santa Prospera. Aveva piume nere sulla schiena e sulle braccia.

    Victoria trattenne il fiato. 

    Gli impuri primari, figli di genitori umani, erano rari. Sempre che l’amante di Tara non fosse stato un impuro. In ogni caso gli impuri potevano essere solo schiavi. I bambini nati con tratti angelici o demoniaci andavano consegnati alla nascita o poco dopo. Le madri di solito venivano pagare. Per una ragazza nelle condizioni di Tara poteva essere quasi un vantaggio, se non si aveva il carattere di Tara. Aveva sempre desiderato in modo spasmodico qualcosa di suo. Una sorellina o un fratellino, quando erano molto piccoli, poi aveva iniziato a fantasticare di diventare madre.

    – Le suore non possono accogliere impuri – sussurrò.

    – No. L’hanno convinta a consegnarlo… Era la fine di Piovoso. Il dieci di Ventoso si è gettata in un canale con le tasche piene di sassi e al collo tutto il denaro che le avevano dato per il bambino.    

    Il singhiozzo che uscì dalla gola di Victoria stupì in primo luogo lei. Non piangeva mai. Piangere non era ben visto a Santa Prospera. Una cosa inutile, per bambini piccoli o ragazzini deboli. Eppure adesso le lacrime le uscirono senza che potesse fermarle. Robert le passò un braccio intorno alle spalle e poi le adagiò con delicatezza la testa sul suo petto. Odorava di umidità, erba e sudore. Non c’era luogo migliore in cui piangere.

    – Non è stata l’unica a morire – continuò Robert, sommesso. – Marcus è andato a lavorare in fabbrica. Una pressa si è portata via la sua mano e poi l’infezione tutto il resto. Adelide è andata a fare la lavandaia e ha preso una malattia polmonare e se n’è andata in due decadi. Ma Tara era l’unica che poteva essere salvata.

    Poteva essere salvata…

    Non aveva cercato la sua amica. Perché? Se solo lo avesse fatto… Eppure, anche mentre singhiozzava nella casacca di Robert, Victoria stava piangendo l’amica che aveva perso. La ragazzina dai seni grossi che correva su per la collina, con indosso gli abiti di tela grigia di Santa Prospera. Non riusciva neppure a immaginarla diversa, con i capelli lunghi, vestita da cameriera, incinta… Tara avrebbe compiuto quel Fiorile sedici anni… In quei due anni, Victoria era stata a cinque funerali di Ali Nere, morti in combattimento o per le ferite. Nessuno di loro aveva meno di diciotto anni.

    Robert le stava accarezzando i capelli, piano.

    – Non potevi fare nulla – le sussurrò, chinandosi nei suo capelli.

    Adesso Victoria era di colpo consapevole del proprio corpo, vestito solo della camicia da notte, premuto contro quello di lui.

    – Non lo saprò mai se potevo fare qualcosa – mormorò. – Non ero lì.

    – No. Ma sono contento che tu sia qui, adesso.

    La stanza era buia, ma Victoria ci vedeva abbastanza da vedere gli occhi di Robert, così vicini, con le pupille dilatate al massimo. Sentiva il suo fiato sul viso, caldo, odoroso di tutto ciò che lei non conosceva. Rompere la distanza fu l’unica cosa possibile. Lasciare che le labbra si incontrassero, si toccassero. 

    Quello non era il primo bacio di Robert. Sapeva come cambiare le posizione delle mani in un abbraccio del tutto diverso. Sapeva come premere le sue labbra per schiuderle. Di colpo, Victoria non era sicura che fosse quello che volesse. Ma c’era un’urgenza, nel bacio all’improvviso avido di Robert, che non si poteva ignorare.

    Si irrigidì, quando la mano di lui le cercò i seni attraverso la veste da notte. Non era sicura di voler essere toccata in quel modo. Ma se non lo accettava da Robert, da chi altro?

    Con fermezza, lui la spinse con la schiena sul letto, ma il movimento lo sbilanciò. Urtò con un piede il mobiletto accanto, da cui cadde la lampada spenta, ornata dall’immancabile fiocchetto.

    Il rumore paralizzò entrambi.

    – Cazzo – mormorò Robert, a mezza voce.

    Un istante dopo, sentirono qualcosa che si muoveva nella stanza accanto.

    – Chi ci dorme di lì? – sussurrò il ragazzo.

    – Delia Morozov.

    – Cazzo!

    – Vai sotto il letto, presto! – gli ordinò Victoria.

    Nell’aria pesante dei loro respiri, i due ragazzi seguirono l’aggirarsi di Delia Morozov nella stanza accanto. Sarebbe venuta a controllare cos’era accaduto? Victoria cercò di immaginarsi le reazioni della donna. Non pensava che sarebbe davvero inorridita. Forse avrebbe fatto finta. Forse neppure. Ma in un qualche modo le era grata per quell’interruzione. Ritrovare Robert era stata una gioia così inattesa che tutto aveva preso a turbinare troppo in fretta. Troppo facile finirne risucchiata. Senza capire davvero cosa desiderasse da quell’incontro. Con il sospetto che i suoi desideri e quelli del ragazzo non collimassero fino in fondo.

    Dopo qualche minuto i rumori cessarono e il viso di Robert riemerse da sotto il letto.

    – Forse è meglio che tu vada. Non sono sicura che si sia riaddormentata – gli sussurrò Victoria.

    Lui rimase un istante a guardarla.

    – Forse sì – ammise. – Tu sei qui anche domani notte, vero?

    Victoria annuì, senza sapere con certezza se fosse una semplice risposta o un invito.

 

    Il mattino seguente i ragazzi furono invitati a fare un giro in barca del lago. Victoria, tuttavia, non riuscì davvero a godersi il paesaggio, o a irritarsi per le battutine di Marina.

    – Qualcosa non va? – le chiese Chris, mentre si dirigevano verso il prato dove era stato allestito un picnic.

    – No – mentì.

    Chissà. In un altro momento, con altri abiti, magari avrebbe potuto raccontargli di Robert, così come lui aveva spiegato perché bisognasse andare proprio in quel caffè e non in un altro. Ma non nell’abito color limone dalla gonna a balze, mentre indossava un ridicolo cappello dotato di una decorazione a fiori ancora più ridicola e di un lungo nastro giallo. In quell’abito si poteva parlare solo di fragole, di limonata troppo calda e di spettacoli con cani ammaestrati, a giudicare dai discorsi delle altre.

    – Ogni volta che mi rivolgi parola, Marina sembra che debba bere una sorsata di aceto – aggiunse.

    Chris sogghignò.

    – Allora sappi che non ti darò pace per tutta la giornata.

    Victoria distolse lo sguardo. 

    Con altri abiti, in un altro momento, avrebbe risposto con una qualche battuta. Ma all’ombra del cappello, trafitta dallo sguardo verde di Chris, rischiava di arrossire.

    – È successo qualcosa – disse invece, guardando gli adulti che avevano già raggiunto il pic-nic.

    La posa di Morozov aveva quella sua tipica rigidità di quand’era all’erta, con il bastone puntato a terra come se fosse un’arma con cui pugnalare a morte il suolo. Con la mano libera stava leggendo un foglio e tutti gli sguardi dei presenti erano rivolti verso di lui, in attesa. D’istinto, Victoria lo avrebbe raggiunto con tre falcate, mettendosi sull’attenti, anch’essa pronta all’azione. Dovette mordersi le labbra fino quasi a farle sanguinare per imporsi di continuare a camminare a piccoli passetti che non mettessero in difficoltà le scarpette di raso che racchiudevano i suoi piedi.

    – Un attacco angelico questa mattina all’alba a Merwick, un distretto industriale quindici chilometri a nord della capitale – stava dicendo Havoc Morozov, quando finalmente lo raggiunsero.

    – Danni? – chiese il colonnello Jamenson.

    – Feriti tra i nostri? – chiese in contemporanea suo figlio.

    Il generale sospirò.

    – Una fabbrica pesantemente danneggiata, tre operai feriti nei crolli. Due dei nostri feriti, uno pare sia grave, e l’altro è Vadez. Lo hanno preso a una gamba, ne avrà per un paio di settimane e questo è un problema.

    Lo sguardo di Morozov si spostò un istante su Victoria, prima di tornare a rivolgersi al colonnello e al conte.

    – Ancora nessun sostituto? – chiese quest’ultimo.

    – Abbiamo un ragazzo in addestramento e un altro con cui potremmo provare.

    – Non mio figlio – puntualizzò il colonnello, con tono piatto.

    – Non è una cosa che dipenda dai ragazzi, il sostenere le Grandi Ali – ringhiò Morozov. – E, credimi, io le ho portate per dodici anni. Non lo vorrei per mio figlio. 

    – Voi certamente lo sapete – si inserì la contessa, per deviare una conversazione che andava facendosi glaciale. – Perché hanno attaccato Mervick? Ci deve pure essere uno schema…

    – Volete saperlo? – borbottò il generale – Secondo me si divertono. Se volessero distruggerci lo avrebbero già fatto. Invece si limitano a fare danni un po’ qua e un po’ là, secondo l’umore.

    – Non capisco – mormorò la madre di Chris.

    – Pensate a una caccia alla volpe. Arriviamo un mattino con i cani e cavalli, uccidiamo tre volpi e lasciamo stare le altre. Magari in un mese in una zona ci sono tre cacce e poi nulla fino all’anno dopo. Cosa devono pensare le volpi? Il nostro mondo è la loro riserva di caccia, né più né meno.

    – Ma noi contrattacchiamo! Li uccidiamo! – protestò uno dei gemelli, forse Theo.

    – Certo. E ogni anno qualcuno muore in incidenti di caccia. Questo non scoraggia gli altri cacciatori, né mette al sicuro le volpi. Anzi, le prede pericolose sono da sempre le più ambite.

    Mentre gli adulti discutevano, Marina si era impossessata della caraffa di limonata e ora veniva a porgerne un bicchiere a Chris.

    – Quando ucciderai un angelo, mi regalerai due delle sue piume? – chiese.

    Il ragazzo bevve la limonata senza risponderle. Di certo, come stava facendo Victoria, si stava chiedendo chi fosse l’altro ferito, se se la sarebbe cavata e come si sarebbero organizzati senza Vadez. 

    – Hai sentito? – le disse poi, restituendo il bicchiere. – Siamo noi le prede, non il contrario.

    – Sei già stato lassù, nella Dimensione Angelica? – gli chiese Gloria.

    – Sì – replicò Chris, scontroso. – È buio, freddo. Non è fatto per gli uomini. È un lavoro brutale quello delle Ali Nere, non è cosa fatta per far piacere alle ragazzine.

    Ignorata da tutti, Victoria si sedette sull’erba.

    Di solito i cadetti terminavano l’addestramento a quindici o sedici anni, ma Vadez aveva un disperato bisogno di un sostituto. Lui non poteva prendersi giorni di riposo in campagna, non aveva licenze e neppure serate libere. Doveva essere pronto all’azione in qualsiasi momento. Da cinque anni, da quando era morto quello che era stato in suo sostituto, non si allontanava mai più di un chilometro o due dal quartier generale. Non aveva diritto neppure ad ammalarsi. Appena possibile Victoria sarebbe stata mandata in battaglia. Entro sei mesi, le era stato prospettato. Con la responsabilità di gestire il collegamento di tutti gli altri, di poterne controllare gli spostamenti. Per la prima volta si chiese davvero se ci sarebbe stato un altro Fiorile, per lei. Ora che sapeva che Tara era morta, anche la prospettiva di una sua scomparsa era più concreta. Qualcosa di possibile. Persino naturale. Come le aveva detto Robert, Tara non era stata l’unica ad essersene già andata. Forse era per questo che Robert baciava in quel modo, per prendersi tutto dalla vita prima che fosse tardi. Forse anche lei doveva rassegnarsi a fare altrettanto.

    – È Andali, il ferito.

    La voce di Chirs la distolse dai suoi pensieri.

    Andali. Aveva diciannove anni, capelli rosso fuoco e anche gli occhi quasi rossi, tanto che veniva preso in giro e chiamato mezzo impuro, dato che gli occhi rossi erano spesso associati agli impuri con le corna. Rideva sempre e spesso, se non era di turno, veniva a giocare a pallone con loro. La sua era una famiglia di operai, era il primo di cinque fratelli, e mandava tutti i soldi della paga a casa.

    – Se la caverà? – chiese.

    Chris si strinse nelle spalle.

    – Pare che la ferita sia brutta. Lo stanno curando col sangue d’angelo concentrato, quindi chissà, se non si avvelena magari ce la fa.

    – Almeno, quando toccherà a me, non lascerò nessuno a casa a piangere – mormorò Victoria.

    – Io penserò intensamente a mio padre che vuole farmi sposare Marina e accetterò il mio fato –sogghignò Chris.

    Nonostante tutto, Victoria si trovò a sorridere.

    – Non può essere così terribile – disse.

    – Scherzi? Tutta la mattina a sentire delle gare di balli per cani a cui ha iscritto il suo bassotto! – disse Chris, con fare tragico. Poi le prese la mano. – Vieni, c’è da provare un nuovo gioco, magari riesco a batterti. Non puoi essere sempre la migliore in tutto!

    Victoria si rassegnò ad alzarsi.

    – Prova con il cucito, se vuoi battermi. O domande di storia – disse.

    – Storia? Bleah! Potresti battermi persino lì – fece Chris, con una smorfia.

    Non era vero. Chris aveva un’ottima memoria. Era il migliore tra i cadetti quando si trattava di studiare. Lo stava dicendo solo per farla sentire meglio.

 

    Il nuovo gioco consisteva nel prendere una palla al volo con una racchetta, distanziati dall’avversario da una rete. Vista l’assenza di contatto, era considerato un gioco adatto anche alle ragazze che, tuttavia, ostacolate com’erano da abiti, corpetti e scarpe da tortura, finivano per essere stracciate dagli scattanti ragazzi in pantaloni e calzature sportive. A Victoria parve una bella metafora di come andava il mondo, una finta concessione di parità per sancire poi l’apparente superiorità maschile già decisa a tavolino.

    Victoria finse di giocare, aggirandosi per il proprio campo curando di copiare la goffaggine degli altri nel muovere la racchetta, fino a che un movimento tra gli alberi oltre la zona di gioco attrasse la sua attenzione. Ne emerse Robert, intento a spingere un carretto carico dei rami fatti cadere dal temporale della notte. Lei gli sorrise e poi si portò un dito alle labbra, incerta. Stava giocando contro Theo, perdendo per quattro punti, ed era comunque la migliore tra le ragazze. Theo tutto sommato non era stato malaccio con lei. Nessuna battuta maliziosa per la sua conoscenza con il garzone o le sue incerte origini, si era limitato a quei discorsi vacui, piacevoli ma senza sostanza, come il cinguettio degli uccelli, che un ragazzo di buona famiglia può intessere con una ragazza. D’altro canto Robert la stava guardando. E anche Chris, anche se in teoria stava spiegando a Marina e Gloria quali fossero i modi migliori per colpire la palla. 

    Dieci minuti dopo, Theo abbandonava il campo, sconfitto con un distacco di tre punti.

    Robert era ancora là, dietro al tronco di una quercia, dove probabilmente solo lei l’aveva visto, del tutto dimentico dei rami caduti o di qualsiasi altra cosa dovesse fare.

    Forse, pensò Victoria, quella era l’ultima volta che lasciava la capitale. Chissà se Vadez se n’era accorto, di quando la sua libertà stava per finire? Si chiese cosa avesse fatto l’ultima licenza, se aveva assaporato l’ultimo bicchiere bevuto con la sicurezza di non essere interrotto. Come dovesse sembrargli la prospettiva di terminare una partita a un gioco ozioso, a tre ore d’auto dalla città, dove persino un attacco angelico non era un problema suo. I Morozov dovevano averci pensato, ed era per quello che l’avevano portata. Decise che si sarebbe goduta tutto. Lo sguardo incredulo di Theo, che adesso andava blaterando di una scarpa scomoda che gli tagliava il tallone, quello di vaga ammirazione di Thérese, quelli acidi di Marina e Gloria, quello aggrottato di Chris e quello nascosto, così difficile da ignorare e da decifrare, di Robert.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Tenar80