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Autore: lightvmischief    23/10/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 41

CALUM

«Ho il turno al confine stamattina.» Kayla beve un sorso del suo latte e prende un morso dall’ultima mela rimastaci, appoggiandosi con la schiena al bancone della cucina e stringendosi nelle sue spalle. «Dovremmo tornare entro il tramonto.»

Annuisco, sedendomi al tavolo e prendendo un pezzo di cioccolato fondente. «Cosa dovete fare?» le chiedo interessato, alzando un sopracciglio e appoggiandomi allo schienale della sedia con nonchalance.

Sono passate due settimane dal nostro arrivo al campo e ci siamo subito messi al lavoro per organizzare i turni per rendere questo decadente ammasso di cemento e metallo uno splendente villaggio pieno di vita. Di morte ce n’era già abbastanza. Abbiamo disinfestato tutte le case dai pochi Morti rimanenti e le abbiamo ripulite di tutte le scorte ancora commestibili, immagazzinandole nella base centrale, organizzandole e razionandole per i diversi giorni. Noi del Gruppo Spedizioni siamo stati più fuori dal campo che dentro: siamo andati in ricognizione dei prati coltivabili e li abbiamo ripuliti da tutte le erbacce, tronchi e rami caduti, portando questi al campo per poter riscaldarci; abbiamo raggiunto il fiumiciattolo per provare a pescare qualcosa - impresa più ardua della lista, visto che siamo completamente sprovvisti di una canna da pesca vera e propria -, finendo sbadatamente nell’acqua noi stessi nel solo tentativo. Alla fine, qualcosa abbiamo preso. Siamo andati al confine tra Ohio e Virgina dell’Ovest e abbiamo trovato i famosi campi di pesche citati da Adrienne: su suo ordine, abbiamo potato alcuni rami per poterli piantare più vicino a noi, dato che a cavallo distano più di un’ora e il clima è ancora piuttosto rigido per poter affrontare questo tipo di viaggio più volte al giorno, nonostante siamo ormai a fine marzo.

Questa settimana vorremmo arare i terreni per poter seminare frumento, soia e mais, oltre alle piantine di pesche e i semi di mele, pere e arance - siamo stati incredibilmente attenti a non buttarne neanche uno - . Per il momento, viaggiamo ancora sulle scorte trovate in giro, perciò il compito principale del Gruppo Spedizioni è di trovare e portare al campo qualsiasi cosa sia commestibile o utile. Per fortuna adesso abbiamo i cavalli con noi.

Le persone che invece rimangono all’interno del campo, si occupano di rendere di nuovo abitabili ed utilizzabili tutte le case e costruzioni in tutta la loro integrità, o quasi.

«Legna, principalmente» risponde Kayla, dandomi la schiena per mettere nel lavandino il suo bicchiere. «Tu?»

«Andiamo a New Straitsville.» Alla mia risposta le sue sopracciglia si corrugano in leggera preoccupazione. «Vediamo se riusciamo a trovare dei materiali per la recinzione. Più che altro in ricognizione. Non preoccuparti.»

«Solo… state attenti» dice con un filo di voce e con uno sguardo che parla molto più delle parole uscite dalla sua bocca.

«Sempre.» Mi alzo dalla sedia per raggiungerla e lasciarle un lungo bacio sulla fronte, abbracciandola stretta a me per qualche istante, prima di doverci separare per prepararci alle nostre rispettive giornate.

È stato… diverso vivere assieme a lei in questa settimana: lo stress ad un livello sopportabile, le responsabilità della vita altrui diminuite perchè divise su tutto quanto il gruppo… È stato come conoscerci per la prima volta: più leggeri, meno nervosi, con più energie. In realtà con tutte le cose che dobbiamo fare dentro e fuori dal campo non rimane molto tempo da trascorrere assieme - a meno che veniamo assegnati allo stesso gruppo -, ma la convivenza sta andando per il verso giusto. Ero a dir poco terrorizzato che il sogno scomparisse improvvisamente come una nuvola di vapore quando gliel’ho chiesto e, ad essere sincero anche i primi due giorni in casa con lei. Pensavo che si sarebbe stancata di me e che avrebbe preferito essere lasciata in pace. Ma non è successo - non ancora per lo meno -, anzi per la prima volta vedo la sua vera persona per ore intere e non solo per qualche istante prima che si accorga di aver lasciato abbassate le sue difese, perchè adesso lo sono sempre. Continua a sorprendermi da ogni verso.

«Kayla!» le grido dalla porta d’ingresso prima di uscire, vedendola sulle scale. «Stasera appuntamento galante?» 

Lei scoppia in una bellissima risata fragorosa, riprendendo la sua discesa degli scalini. «Ne sarei onorata.» Mi chiudo la porta alle spalle con un sorriso da ebete sul viso, ora pronto più che mai per affrontare la mia giornata.

Faccio un salto da Mali e mia madre prima di andare a prendere i cavalli, chiedendo consiglio alla prima su cosa sarebbe potuto piacere a Kayla per stasera.

«Wayne ha trovato un proiettore a batterie l’altro giorno. Se trovi qualche dvd in giro, potresti farle una bella sorpresa» risponde, intrecciando i suoi capelli sempre più lunghi in una treccia alta. «Apprezzerà anche il solo pensiero, fidati» dice, facendomi l’occhiolino e dandomi una strizzatina alla spalla.

«Sono fortunato ad averti!» le dico entusiasta della sua idea, facendo poi il giro della cucina per salutare nostra mamma alle prese con le piante secche e le erbacce del loro giardino, intanto che ha ancora qualche minuto libero prima di iniziare il suo turno con Margaret, Matthew e Dylan.

«Buona giornata, mamma. Ti voglio bene!» È ormai diventata un’abitudine salutarla in questo modo; dopo lo spavento di qualche settimana fa, temendo di averla persa per sempre, ora voglio essere sicuro che sappia quanto bene le voglia nel caso qualcosa dovesse andare storto. Non voglio avere rimpianti su questo.

Mi dirigo alla stalla improvvisata sotto il portico della chiesa ormai caduta a pezzi: il tetto laterale è letteralmente l’unica cosa rimasta in piedi. Ci trovo Elyse e Tasha, ognuna che sta preparando il proprio cavallo per affrontare il viaggio di oggi verso New Straitsville: un piccolo villaggio a nord ovest del nostro campo, a circa tre quarti d’ora di distanza a cavallo. Non sappiamo cosa ci aspetta, non sappiamo se troveremo qualcosa di utile, ma prima o poi ci saremmo andati comunque.

«Avete tutto quanto?» ci chiede Elyse, assumendo subito l’incarico di Generale, anche se involontariamente.  «Acqua? Armi?»

Annuisco, mostrandole orgogliosamente la mia katana dietro alla spalla e salendo poi sul cavallo dopo aver sistemato lo zaino. Tasha le fa un cenno di assenso e, una volta pronti, usciamo ufficialmente dal campo, salutando Tracey sul portico di casa sua che ci intima di fare molta attenzione.

Il viaggio è tranquillo e anche silenzioso. Sono in coda al gruppo ed è Elyse a farci strada: deve essersi impressa a memoria tutti i dettagli della cartina, compresi i nomi delle strade da imboccare. Il vento sferza ancora gelido sulla mia faccia, facendo ondeggiare i miei capelli di lato e all’indietro.

Non c’è segno di Vaganti in mezzo ai campi o per la strada, ma quando butto lo sguardo sugli alberi in lontanza il mio cuore perde un battito alla vista di due corpi penzolanti dai rami di due alberi adiacenti, il cappio al collo e il vento che li muove a destra e a sinistra, quasi stessero ballando un walzer assieme. Dev’essere successo molto tempo fa. La scena mi fa salire un groppo alla gola e tolgo in fretta lo sguardo, provando a scacciare l’immagine dalla mia testa.

«Non scendiamo da cavallo per ora,» ordina Elyse, girando la testa per farsi sentire in modo chiaro da Tasha e me, «vediamo cosa c’è là più avanti.»

«D’accordo, capo!»

Pochi minuti dopo raggiungiamo la prima costruzione dopo infiniti campi aridi e incolti: c’è un grosso cartello verde che riporta le parole “Campeggio Begley” e la prima cosa che notiamo è la fila di quad pieni di fango secco parcheggiati davanti a una casupola rossa con la scritta scrostata di Reception. Le sterpaglie infestano l’intero luogo e basta dare un’occhiata veloce per capire quanto velocemente la natura si sia ripresa tutto ciò che era suo: infatti, ci sono grossi cespugli e rami ovunque e persino alcuni alberi spezzati che sono andati a sfondare il tetto di alcuni bungalow e roulotte. 

«Non fermiamoci. Perlustreremo la zona nel ritorno.»

Ritorniamo allora sulla strada principale, trottando e lanciando sguardi a destra e a sinistra: ora si cominciano a vedere i primi Vaganti per le strade. Il rumore degli zoccoli dei nostri cavalli mi sembra improvvisamente triplicato nelle mie orecchie mentre rimbomba sull’asfalto in questo piccoli villaggio. 

«È meglio continuare a piedi» suggerisco a Elyse, arrivandole a fianco con il mio cavallo, attendendo la sua opinione sulla situazione. 

«Potremmo fermarci in quella biblioteca» dice moderando il tono di voce Tasha, scendendo con un agile balzo dal suo cavallo, trascinando con sé il proprio zaino e stringendo bene nel palmo della mano la sua mazza di legno chiodata. Se non la conoscessi, mi incuterebbe molto più timore dei Vaganti stessi.

«Sì, Tasha. Andiamo lì» conclude infine Elyse, copiando i suoi stessi movimenti e prendendo le briglie tra le mani, tirando il proprio animale dietro di sé.

Le finestre e le porte di vetro della struttura sono completamente frantumate, lasciando intatta solo la loro struttura di ferro dipinta di rosso. Sembra quasi implosa. Non è difficile quindi entrare e legare i nostri cavalli al bancone interno.

«Facciamo il punto della situazione» esordisce Elyse, più a se stessa che a noi, appoggiando lo zaino sul ripiano del bancone di marmo bianco ed estraendone un foglio e una penna, cominciando subito a fare brevi schizzi della strada percorsa con a lato delle brevi annotazioni.

«C’è ancora un sacco di roba qui dentro...» sussurra con aria nostalgica Tasha, accarezzando i dorsi dei libri come se avesse paura si possano spezzare sotto al suo tocco. «Vado… vado a vedere se trovo qualcosa per i bambini.»

«Stai attenta» le dice Elyse con il tappo di un evidenziatore, appena trovato, tra i denti.

«Io guardo se trovo qualche manuale» la avviso, ricevendo un cenno distratto del suo capo mentre continua a tracciare linee ed evidenziare la sua cartina improvvisata, con un ciuffo rosso di capelli che le finisce in mezzo agli occhi, ondeggiando ad ogni suo movimento.

Magari riesco a trovare anche qualche dvd, come mi ha suggerito questa mattina Mali. Sarebbe magnifico riuscire a soprendere Kayla per una volta. Gli scaffali sono pieni di polvere e devo nascondere la bocca nell’incavo del gomito per camuffare i miei colpi di tosse senza fare troppo rumore. La luce entra audace da ogni buco della biblioteca e ogni minimo movimento fa innalzare le minuscole particelle di polvere nell’aria. Faccio danzare i miei polpastrelli sulle copertine dei libri del reparto fai-da-te, prendendone tra le mani quelli che più ci saranno utili in questo momento - sembra comunque che una biblioteca non sia molto frequentata di questi tempi, perciò saranno ancora tutti qui ad aspettarci la prossima volta che torneremo - e passo ad un altro scaffale, lanciando sempre delle occhiate di sicurezza a Tasha ed Elyse.

Mi sono già abituato al rumore dei minuscoli vetrini sotto alle suole delle mie scarpe che quasi non me ne accorgo quando sento il rumore di un passo che non è il mio. Poi, sento metallo freddo contro la mia nuca scoperta. Merda.

«Non voglio farti del male, davvero… ma, ti prego, non fare gesti bruschi.» La voce maschile trema, balbetta quasi e anche la sua presa sulla sua arma è completamente esitante.

«Non ti conviene proprio. Butta quel tubo, ragazzo» lo riprende subito Elyse da dietro, la voce dura e risoluta. 

«Adesso mi giro lentamente. Non c’è bisogno che nessuno si faccia del male qui, okay?» Non appena sento il metallo staccarsi definitivamente dal mio collo mi giro lentamente, preparando già i libri come un’arma. L’esperienza mi ha insegnato a non fidarmi di nessuno.

Il ragazzo che mi trovo davanti però non sembra davvero offrire la minima minaccia, perchè tutto il suo essere urla con forza che è completamente fuori luogo: le spalle alzate a coprirgli il collo, il braccio che fa da scudo davanti alla pancia, lo sguardo che vaga dappertutto meno che sul mio, la testa leggermente china…

Lascio andare un sospiro di sollievo: ne avevo veramente abbastanza di essere sorpreso alle spalle dai nemici.

«Visto? Non c’è bisogno di agitarsi» riprendo, sentendo i muscoli di mani a braccia rilassarsi man mano che i secondi passano. Faccio cenno ad Elyse di abbassare il fucile che, con non poca riluttanza, rimette sulla sua spalla. Tasha esita ancora un istante prima di lasciare cadere il braccio con la mazza a lato del suo corpo. «Sei solo?»

«Vuoi saperlo così mi puoi uccidere senza problemi?» chiede con la voce sul punto di rompersi e il suo corpo che comincia a tremare.

«Cosa? No. No! Rilassati.» La sua figura è veramente troppo esile per quello che dovrebbe essere il suo corpo nella sua età: credo che abbia intorno ai quattordici, quindici anni dal suo viso. «Sembra che tu abbia bisogno di una mano, uh?»

«Cosa te ne dà l’idea?» chiede sarcastica Elyse, alzando gli occhi al cielo e tornando al bancone con nonchalance.

«Calum, abbiamo già abbastanza bocche da sfamare...»

«Lo… so. Lo so, giuro. Ma potrebbe darci una mano al campo. Non mi sembra una minaccia» dico a Tasha, parlando come se lui non fosse qui con noi. In effetti non sembra molto presente. Magari sta decidendo se continuare a vivere ciò che resta della sua vita in modo miserabile oppure non poi così tanto miserabile. Ci siamo passati tutti.

«Avete un po’ d’acqua?» chiede incerto, come risvegliandosi dalla sua trance di pensieri. Lo vedo mettere istintivamente una mano alla cintola, appoggiando il palmo su un vecchio walkie talkie senza fili. Mi faccio un promemoria mentale di chiedergli dove l’ha trovato, più avanti.

Annuisco e gli passo la mia bottiglia, cominciando a fargli domande: da quanto tempo è qui, cosa gli è successo, dove trova da mangiare…

«Uccelli, prevalentemente. Da cotti non hanno un brutto sapore» dice sconsolato, alzando le spalle.

«Questo è… nuovo. Più o meno. Non ti ho ancora chiesto, come ti chiami?»

«Leon.»

«Piacere di conoscerti, Leon. Io sono Calum.»

Dopo qualche istante per raccattare le nostre cose e sistemare negli zaini quelle nuove, uno spuntino veloce offerto anche a Leon, ripartiamo in groppa ai nostri cavalli e seguiamo il consiglio del nuovo ragazzo di fare un salto al Dollar General - il supermarket “tutto a un dollaro” della cittadina -. L’unica cosa utile che trovo è una piccola cornice per foto: ho pensato che incorniciare la polaroid che aveva scattato Lynton e appenderla in casa potrebbe essere una sorpresa ancora più bella per Kayla. Sembrano passati anni da quella giornata.

Facciamo un salto veloce anche alla caserma dei pompieri - che mi sorprende ci sia in un villaggio così piccolo - nella speranza di trovare munizioni e armi, per poter costruire un nostro arsenale nel caso ci sia il bisogno, ma rimaniamo molto delusi nello scoprire che è stato saccheggiato fino all’ultimo proiettile ed attrezzatura utile.

«Sarebbe stato troppo facile» commenta Elyse, con un tono a metà tra l’amarezza e l’accettazione. «D’accordo. È ora di tornare a casa. Torneremo con gli altri al campeggio per raccogliere i materiali.»

«Sì, concordo. Non è comunque stata una mattinata persa» aggiungo, facendo cenno con il capo a Leon seduto dietro di me e ai nostri zaini pieni di libri di istruzioni e alcuni romanzi.

«Spero tu abbia ragione su di lui» dice secca Elyse, senza lasciare spazio per ribattere e dare comando al suo cavallo di ripartire verso la strada di casa.

***

«Sono tornata!» Sento Kayla chiudere la porta dietro di sè e salire le scale a passi pesanti: dev’essere stata una giornata stancante per lei.

La luce del giorno sta lentamente scemando, colorando il cielo di un rosso-violaceo che riflette sulle finestre della cucina, facendola minuto per minuto piombare nel buio. Accendo più candele del solito questa sera e subito l’intera stanza si profuma di rose, creando un più che piacevole tepore. Finisco di preparare i morbidi cuscini e le coperte linde a terra contro la porta finestra e piazzare il proiettore davanti al muro. Mancherebbero soltanto due calici di vino e poi tutto quanto sarebbe perfetto.

«Com’è andata a New Str-... Wow.» Kayla si blocca sotto allo stipite della porta  con le braccia a mezz’aria e uno sguardo più che stupito. Il suo volto è illuminato dall’insieme di luce di tutte le candele, regalandole una sfumatura calda sulle guance. Sembra una visione.

«Sorpresa?» le dico con un sorriso da adolescente sulle labbra, aspettando una sua qualsiasi reazione. Spero positiva. Non so ancora come possa reagire alle sorprese e spero solo che non le odi. Alzo tra le dita la custodia del dvd che ho preso dalla biblioteca: un film di animazione uscito prima dello scoppio della pandemia zombie. La vedo corruciare le sopracciglia e piegare di lato la testa, facendo muovere le labbra ma senza far uscire una parola. «Che c’è? Non dirmi che non ti piace-»

«È al contrario.»

«Ah.»

Scoppiamo a ridere, entrambi con una punta di imbarazzo tra di noi. Giro - finalmente dal lato giusto - la custodia e Kayla, senza dire una parola, si siede accanto a me.

«Come facevi a saperlo?» mi chiede con un’emozione immensa nella voce, come se stesse per scoppiare a piangere. «Ero andata a vederlo tre volte al cinema con la mia famiglia. Ebony lo amava.»

«Oh, mi- mi dispiace. Non volevo riaffiorare- non lo sapevo.»

«No, Calum, no. Io… sono veramente senza parole» dice, guardandosi intorno. «In modo positivo.»

Lascio andare un respiro di sollievo, forse fin troppo rumoroso perchè Kayla se ne accorge e si lascia andare ad una risata appena accennata, mentre io sento i muscoli delle mie spalle e della mia schiena rilassarsi contro il muro.

«Pura fortuna» ammetto, facendo spallucce ma con un sorriso sornione sulle labbra. Non credo di aver sorriso così tanto da moltissimo tempo. «Okay, ora rilassati e buona visione!» dico euforico, trascinandomi sulle ginocchia per inserire e far partire il film.

La visione spazia da momenti felici e musicali - con tanto di partecipazione e trasporto da parte di Kayla che non sa cantare per nulla - a momenti carichi di emozioni e tristezza per i protagonisti del cartone animato. La serata è una delle più belle della mia vita.

Verso la fine della proiezione, Kayla si appisola sulla mia spalla, la stanchezza della giornata che ha vinto su di lei. Qualche minuto dopo i titoli di coda, mentre cerco anche io di tenere gli occhi aperti e convicermi ad alzarmi, sistemo i cuscini in modo da non far svegliare bruscamente Kayla e appoggiarla su di essi. Mi alzo lentamente, tentando di fare il meno rumore possibile. Purtroppo, però, la mia missione fallisce miserabilmente quando faccio accidentalmente cadere a terra con un rumore sordo ed assordante la custodia di plastica del dvd, facendo trasalire Kayla che si alza con uno scatto fulmineo.

«Scusa, non era previsto» sussurro, ridacchiando appena. Quando non recepisco nessuna sua risposta, ritorno con lo sguardo sulla sua figura: ha le braccia attorno al suo corpo tremante, lo sguardo assente. «Kayla?»

«Io non volevo...» mormora così sommessamente che faccio fatica a capire ciò che dice.

Qualcosa non va. «Kayla, va tutto bene. Siamo a casa. Sediamoci, okay?» le dico con tono dolce, come se stessi parlando a Margaret, e le sfioro appena le braccia. Fa un balzo all’indietro, facendomi spaventare immensamente, ma il suo sguardo adesso è presente. Respira affannosamente, le spalle che si alzano e si abbassano assieme al suo petto mentre si guarda attorno quasi spaesata, come se non si ricordasse più di essere qui. «Ehi, ehi, sono io. Sono Calum.»

«Io… Mi dispiace.» Ha le lacrime agli occhi e le basta solo poggiarli sui miei per scoppiare a piangere e sedersi a terra, abbracciandosi le ginocchia al petto. «Non volevo sparargli, non volevo ucciderlo-»

«Kayla, prendi un bel respiro, d’accordo?» Le prendo le mani, stringendole tra le mie e istruendola a seguire il mio respiro, proprio come quando abbiamo ritrovato sua sorella in quella casa abbandonata, appena qualche mese fa. «Cosa è successo?» provo a chiederle, tentando di distrarla e farla uscire da questo improvviso attacco di panico. Mentirei se dicessi che so cosa sto facendo.

Le tremano le mani in un modo assurdo, ma minuto dopo minuto - che sembrano infiniti per il mio cuore preoccupato - riesce a riprendere il controllo di sè. Comincia a raccontarmi della sua uscita con Margaret, quando ancora stavamo in quel palazzo a Parkersburg e stavamo letteralmente morendo di fame. Mi dice di come sono incappate nell’abitazione di un uomo pronto a tutto pur di proteggere le sue scorte, di come l’abbia aggredita e di come lei, inevitabilmente, abbia premuto il grilletto, vedendo il suo corpo afflosciarsi sul suo. Di come si senta una di loro, una dei Morti.

«Ti sei solamente difesa. Non puoi fartene una colpa. Avevi troppe responsabilità, eri stanca, affamata, con una bambina da proteggere. Hai fatto ciò che doveva essere fatto.»

«Continuo a ripetermelo anche io, ma non mi fa stare meglio.»

«Perchè non me lo hai detto?»

«Perchè non volevo che la tua idea di me cambiasse,» risponde sinceramente, lasciandomi spiazzato, «soprattutto, non dopo tutto ciò che siamo riusciti a costruire insieme. Non volevo rovinare quello che abbiamo.»

«E guarda dove ti ha portato. Non puoi tenere dentro te un peso così grande e pensare di poterlo sostenere tutto da sola.» Il tono di voce mi risulta più duro di quanto volevo. «Ti conosco, Kayla. Tu non sei un’assassina, non sei come loro. Non potrai mai esserlo» le dico e non per compiacerla o per alleviare i suoi sensi di colpa, ma perchè sinceramente lo penso: a tutte le volte che ha salvato la vita a me o a Wayne, Elyse, qualsiasi membro del nostro gruppo anche quando non ci conosceva per niente e non aveva nessun obbligo a farlo. A quanto diventa protettiva come una mamma con i suoi cuccioli non appena si affeziona. E soprattutto, so che non farebbe mai del male a un altro uomo o donna che sia ancora vivo. Nonostante l’avesse appena accoltellata, non è riuscita a far del male a Jordan, oltra la pura e semplice difesa.

Resta in silenzio per molti minuti con le palpebre abbassate sugli occhi e per qualche istante penso che si sia addormentata. «Non l’abbiamo mai detto ad alta voce, ma sappiamo benissimo che tutto questo è temporaneo:» dice, alzando la testa e guardandomi dritto negli occhi, «tardi o prima, uno di noi due morirà, uno del gruppo o uno dei bambini. Posso sperare che sia per cause naturali, ma sappiamo entrambi cosa c’è là fuori. Qualsiasi cosa succeda, non oltrepassiamo la linea. Una volta è già troppo.»

Annuisco, facendole una promessa e sperando di mantenerla. Ma il solo pensiero di poterla perdere mi fa rabbrividire e impazzire il cervello. Mi è già bastato lo spavento della mia famiglia ed ero devastato, l’unico pensiero che mi faceva andare avanti era la pura e semplice probabilità. A questo pensiero penso ancora a quanto sia forte questa ragazza e a come sia andata avanti nonostante tutto. Non è una promessa solo per lei, ma anche per me stesso. C’è una linea netta che separa i Morti dai Vivi: non oltrepassarla significa ricostruire di nuovo una civiltà. Per me, per Kayla, per la mia famiglia, per il gruppo, per l’intera umanità rimasta.

 
   
 
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