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Autore: heliodor    25/10/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Cambiamento
 
Valya si voltò di scatto, lo sguardo accigliato e la vista offuscata dalla rabbia. Senza riflettere su quello che stava facendo si gettò sulla figura che sostava all’ingresso, afferrandola e spingendola all’indietro.
“Che ti prende?” chiese questa con voce allarmata.
“Dov’è?” chiese Valya stringendogli il collo con le mani.
“Tuo padre” iniziò a dire l’altra.
“Non lui, ma la spada.”
La vista le si schiarì all’improvviso e vide il viso allarmato di Rann che la fissava.
“Quale spada?”
Valya indicò il baule. “Quella che era lì dentro.”
“Non l’ho presa io” disse Rann.
“Davvero? Chi me lo assicura, dannato ladruncolo?”
“Io non…”
“Zitto” disse Valya strattonandolo.
Rann le afferrò i polsi e strinse ma senza farle male. Con un gesto deciso allontanò le sue mani dal collo e la costrinse a indietreggiare di un passo.
Valya fu tentata di tirargli un calcio, ma si trattenne a stento. La rabbia stava già scemando, lasciando dietro di sé il respiro affannoso e un unico pensiero.
La spada.
“Calmati” disse Rann con tono pacato.
La spada, udì rimbombare nella sua testa. Qualcuno l’ha presa. Qualcuno l’ha trovata e l’ha presa, portandola via da me.
Rann indicò i bauli. “I bauli sono tutti qui. Nessuno li ha toccati, te lo giuro. Maestro Keltel è stato chiaro con me.” Lanciò un’occhiata al baule aperto. “È lì dentro quello che cerchi?”
Valya annuì. “Sì. No. C’era ma adesso non c’è più.”
“Strano” fece Rann avvicinandosi al baule. “Sei sicura che sia questo?”
“Sono sicura” disse seguendolo dentro la stanza, il respiro che tornava normale.
Che ho fatto? Si chiese. L’ho davvero aggredito?
Rann guardò nel baule. “Che cosa c’era?”
“Una spada” disse riluttante.
Il ragazzo si passò una mano sul mento. “Ha un pomello rotondo e un bel disegno sul fodero?”
“Sì” fece Valya con veemenza. “L’hai vista? Dimmi dov’è, ti prego.”
“L’ho vista” disse Rann.
“Dove?”
Il ragazzo indicò il baule. “Proprio qui dentro. Eccola lì.”
Valya corse al baule e quasi incespicò nei suoi stessi piedi per sporsi. Guardò all’interno e, sotto i panni del fagotto, intravide il pomello a forma di sfera e l’intreccio ricamato sul fodero. “È lei” disse trattenendo a stento le lacrime. “Come ho fatto a non vederla?”
“Si vede che quando ho portato su i bauli devo averli smossi un po’ troppo” disse Rann. “Mi spiace di averti allarmata. Non lo dirai a maestro Keltel, vero?”
“No, no” rispose Valya.
“Grazie. È molto importante per te?”
“Cosa?” fece Valya dimenticando pe un attimo la spada.
“Quella” disse Rann indicandola con un cenno della testa.
“Io” disse Valya cercando le parole giuste. “È un caro ricordo di famiglia.”
“Davvero? Maestro Keltel conserva altre spade nei bauli?”
“Sinceramente non lo so” disse Valya guardinga. “Ma una volta gli ho visto prendere e poi riporre un’armatura.”
“Deve essere in uno di quelli sul fondo. Erano davvero pesanti quando li ho portati su.”
“Li hai portati tu da solo?”
Rann annuì.
“Sono tre livelli.”
“Io sono forte” disse il ragazzo.
Valya voleva cambiare discorso. “Stai ancora lavorando alla tua armatura?”
“Tutte le volte che ho tempo. Ma non è molto, visto che c’è tanto lavoro alla forgia, specie dopo l’incendio.” Sul suo viso passò un’ombra.
“Che hai?”
“Niente” disse Rann scrollando le spalle. “Ho solo ricordato una cosa strana successa dopo l’incendio.”
“C’entra mio padre?”
Lui scosse la testa. “No, certo che no. Riguarda maestro Quynn.”
Valya lo ricordava, lo vedeva ogni tanto a palazzo aggirarsi come uno spettro, senza mai fermarsi a parlare con qualcuno per scambiare solo una o due parole. Li aveva accolti alla forgia quando erano arrivati e le era parso che tra lui e suo padre le cose non andassero bene.
“Mi ha fatto parecchie domande” disse Rann.
“Su cosa?”
“Sul posto da dove vengo, sul perché sono venuto in città, quello che faccio dopo aver lavorato alla forgia.”
“Gli hai detto dell’armatura?”
“Certo che no, ma lui non me l’ha chiesto.”
Dalkon avrebbe potuto riferire a suo padre che era stata con Rann nelle palazzine abbandonate il giorno dell’incendio e non voleva essere rimproverata per quella sciocchezza.
Rann rimase in attesa.
“Ora puoi andare” disse Valya cercando di non sembrare troppo scortese. “Devo controllare delle cose.”
“Certo” fece Rann imbarazzato. “Io devo comunque tornare alla forgia.”
“Non dire a mio padre che sono passata. Non vorrei che si preoccupasse anche di me con tutto il lavoro che ha da fare.”
E che comunque non gli impedisce di passare intere giornate in città, pensò Valya. Chissà cosa ci andrà a fare?
Rann uscì chiudendosi dietro la porta.
Valya attese un po’, poi l’aprì e lanciò un’occhiata fuori, assicurandosi che il corridoio fosse vuoto. Tornò al baule e trasse un profondo sospiro prima di infilarci dentro le mani.
 
Sulla via del ritorno, la spada avvolta nel fagotto e nascosta tra le pieghe della gonna, Valya tornò a respirare serena.
Le sale del palazzo erano vuote e per quello ringraziò l’Unico e gli Dei.
Se avesse incrociato qualcuno era certa che si sarebbe tradita.
Non devo fare errori, pensò. Se qualcuno mi scoprisse finirei di sicuro nei guai. Potrebbero riferire a mio padre che cosa stavo facendo nella sala d’arme e…
Scacciò quel pensiero concentrandosi su quello che voleva fare.
Che doveva fare.
Si era detta che lo stava facendo per mettere al sicuro la spada. In quella stanza, dentro quel baule, dove chiunque poteva entrare e rovistare tra le sue cose, avrebbe corso il serio pericolo che gliela portassero via.
A quel pensiero qualcosa gemette dentro di lei, come un dolore silenzioso che si propagava dalle viscere e poi in tutto il corpo.
Non posso permetterlo, si disse. Non posso, non…
“Vai in giro a quest’ora?” domandò una voce facendola trasalire.
Valya si girò di scatto, pronta a colpire. Senza nemmeno rendersene conto la mano corse alla spada, sfiorandone la liscia consistenza del metallo del pomolo.
Brynna, il viso assonnato e l’espressione stranita, la fissava dall’altra parte del corridoio.
“Olethe lo sa che giri per il palazzo da sola?” le domandò la serva.
Valya cercò di dominare la paura che sentiva.
Forse Brynna aveva notato la spada e sarebbe andato a dirlo in giro?
È una gran chiacchierona, aveva detto Izora usando le poche parole che conosceva della loro lingua.
“Non riuscivo a prendere sonno” disse trovando la prima scusa che le venne in mente.
Brynna la guardò annoiata. “Non farti vedere da Olethe o si arrabbierà.”
“Faccio altri due passi per conciliare il sonno e poi me ne torno in camera.”
“Faresti bene a tornaci subito o…”
“Ho detto che ci andrò dopo” disse con tono brusco.
Brynna la fissò accigliata. “Attenta a come ti rivolgi a me, ragazzina.”
Valya sentì qualcosa scattarle dentro, come il meccanismo di una balestra che veniva caricato al limite della sua tensione. “Attenta tu” disse protendendosi verso la ragazza.
Brynna serrò la mascella. “Non credere di poter fare quello che ti pare solo perché sei la protetta della governatrice.”
“Io faccio quello che mi pare perché posso” rispose con tono sfrontato.
“Devi portarmi rispetto” disse la ragazza con tono meno convinto di prima.
“E tu devi portarne a me. Serva.”
L’ultima parola risuonò sulle pareti del corridoio.
“Io servo la governatrice” disse Brynna accigliata. “Non una campagnola ignorante come te.”
Il meccanismo della balestra scattò dentro Valya e prima che potesse rendersene conto, la sua mano partì colpendo la guancia di Brynna.
Lo schiaffo risuonò nel corridoio.
Brynna si portò la mano al viso. “Mi hai colpita” disse indietreggiando di un passo. “Tu mi hai colpita” ripeté con gli occhi sgranati.
“Sì” disse Valya. “E lo farò di nuovo se non sparisci immediatamente.”
“Lo dirò a Olethe” minacciò la ragazza.
“Se lo farai” disse Valya con tono compiaciuto. “Io negherò tutto. Sarà la tua parola contro la mia. La parola di una serva contro la protetta della governatrice e la figlia di un famoso eroe di guerra che serve il regno fedelmente.”
Brynna respirò a fondo. “Te la farò pagare” disse prima di voltarsi e andare via.
Valya fu tentata di inseguirla e darle un altro schiaffo, ma già sentiva la rabbia scemare e la stanchezza assalirla. Decise che aveva perso abbastanza tempo con Brynna e che aveva altro da fare. Con passo svelto si diresse alla sala d’arme.
 
Ore dopo, a notte fonda, distesa nel suo letto, le lenzuola rimboccate fino al collo, fissava il soffitto della stanza. Da sotto le lenzuola trasse la mano con la quale aveva schiaffeggiato Brynna e la fissò in silenzio.
È la mia mano, pensò. È quella di sempre.
Ma nel momento in cui aveva colpito la serva.
La ragazza.
Nel momento in cui l’aveva colpita, le era sembrata la mano di qualcun altro.
Mai nella sua vita aveva schiaffeggiato una persona. Aveva fatto a botte, questo sì. Era capitato un paio di volte con ragazze e ragazzi più grandi e aveva duellato con Rezan, ma con Brynna era stato diverso.
Con lei aveva agito per prima, senza che fosse stata aggredita. E non si sentiva in colpa. Era sicura di aver agito per il meglio.
Quella notte faticò a prendere sonno e quando si svegliò non si sentiva affatto riposata, ma esausta come se si fosse allenata per tutto il giorno.
Seduta al tavolo della colazione con Olethe e le altre ragazze, cercò con lo sguardo Brynna, ma non la trovò.
Forse si è data malata? Si domandò.
Stava per chiedere a Olethe della ragazza quando Brynna fece il suo ingresso.
“Chiedo perdono per il ritardo” disse rivolgendo un leggero inchino a Olethe.
“La colazione fa parte del tempo libero che ti è concesso” disse Olethe severa. “Mangia in fretta se non vuoi sottrarlo ai tuoi doveri.”
“Non ci metterò molto.”
“Sei silenziosa stamattina” disse Olethe rivolgendole la parola.
Valya mise giù i biscotti al miele che stava mangiando senza troppa voglia. “Ho deciso di parlare di meno e fare di più.”
“Me ne compiaccio” disse Olethe. “Le chiacchierone non vanno mai da nessuna parte. Stai iniziando a comprendere qual è il tuo posto.”
“È vero” disse Valya. “Ora so qual è il mio posto.”
In quel momento voleva solo tornare alla sua spada, sentirla tra le dita saggiandone la ruvida consistenza dell’elsa e il peso bilanciato.
Sembra creata per me, aveva pensato la prima volta che l’aveva impugnata. E forse era quella la verità.
Quella spada era fatta per lei e solo per lei.
Poco prima della fine della colazione, le campane iniziarono a suonare.

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