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Autore: Evali    26/10/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Veleno
 
Beitris passò il solito panno bagnato sul corpicino senza vita steso dentro la teca di vetro, perdendosi nei suoi pensieri, mentre lo cospargeva di oli come ogni giorno, per agevolarne la conservazione.
- Il tuo turbamento sta invadendo l’intera casa. Mi ha colpito in pieno mentre facevo colazione – la riscosse la voce di Ephram, quasi spaventandola.
Si voltò a guardarlo e lo trovò all’entrata della stanza, con le braccia conserte, intento ad osservarla con un semi sorriso a ornargli il volto.
Il solito sguardo di chi, per qualche motivo a lei sconosciuto, era convinto di avere il suo destino in pugno.
Odiava quello sguardo, lo stesso che l’aveva sempre irrimediabilmente attratta.
Non era una questione di carisma, no.
Si trattava di tutt’altro. Una strafottenza latente, una sicurezza in grado di penetrare in chiunque gli si trovi dinnanzi, protraendosi fino all’esaurimento. Qualcosa che avrebbe voluto possedere anche lei.
Invidia.
Continuò a oliare il corpicino, ignorando la sua presenza. – Non mi sorprende. Senza Maringlen e Maroine la casa è molto silenziosa – si limitò a rispondergli, sentendolo avvicinarsi alla sua schiena.
Le accarezzò la spina dorsale coperta solo dal tessuto dell’abito largo che ella indossava, fino ad arrivare alle lunghe ciocche lisce e corvine.
- Stai rabbrividendo – le sussurrò il ragazzo.
Non ricevendo alcuna risposta da ella, Ephram continuò. – Sei stata la prima ad approvare il mio piano di farli catturare per convincere la protetta dei servi del Creatore a collaborare con noi. Ora te ne sei pentita?
- No, non me ne sono pentita.
- Dunque continuerai a imbottire di olio il corpo di un ragazzino morto per sopperire alla mancanza di due ragazzini vivi? – quelle parole attirarono totalmente l’attenzione della ragazza, la quale si voltò verso di lui, sfondandolo con il suo sguardo livido di un sentimento sopito e ribollito.
- Ho accettato di portare a compimento questa tua malsana idea perché non avevamo scelta, e perché ero del tutto certa che ce li saremmo ripresi sani e salvi una volta finito tutto questo.
- Ora non lo credi più? Hai smesso di fidarti di me?
Beitris distolse lo sguardo. – Non pretendevo di riaverli senza un capello torto, ma romperle un braccio … è stato troppo. Non sappiamo se in quella fogna buia riceveranno le cure adeguate, non sappiamo se quella iena addomesticata dai monaci accetterà di aiutarci. Potrebbe odiare i ragazzini, potrebbe avere un cuore freddo, duro ed egoista, potrebbero esservi mille e più variabili differenti che porterebbero il piano a fallire. E se anche solo una delle nostre previsioni dovesse non verificarsi …
- … i nostri due bei topolini finirebbero abbrustoliti in mezzo alla piazza del villaggio – confermò Ephram, risalendo con la mano lungo la sua gamba e il suo fianco. – Oh, se i nostri due gemellini sapessero di essere tanto amati … sono certo dormirebbero sonni tranquilli in quella cella buia e umida.
Beitris strinse le dita e le unghie lunghe intorno al polso del ragazzo, arrestando la sua salita. – I tuoi aitanti e servizievoli amanti ti hanno già stancato, Ephram? La fame di donna ha ricominciato ad agitare i tuoi sonni? – gli domandò velenosa.
- Sei annoiata, Beitris. Annoiata e fremente, agitata. Lo vedo e lo sento dall’energia che emani.
- Cos’è oramai che non ci annoia, Ephram? A cos’altro dovremmo arrivare pur di sentire ancora qualcosa? – domandò sospirando, risalendo distrattamente con le unghie sulle clavicole semiscoperte del ragazzo. – Abbiamo provato di tutto, per colmare il dolore, la paura e la frustrazione. Abbiamo esperito qualsiasi sorta di piacere fisico e mentale, ogni possibile eccesso, pur di tenere a bada la rabbia per quello che ci stanno facendo. Cosa ci rimane se non l’amore fraterno, puro e incondizionato? – gli domandò sfiorandogli lo zigomo, persa nei suoi pensieri. – Se svendiamo i nostri fratelli, i nostri compagni, cosa ci rimane?  Io li rivoglio indietro, Ephram. Non voglio rischi. Non sono disposta a rischiare la loro vita, non sono disposta a correre alcun tipo di rischio.
- Li riavremo. Non appena Judith cederà alla nostra richiesta e convincerà i monaci a cambiare il loro metodo decisionale riguardo i condannati, ci adopereremo per riaverli.
- E come pensi di farlo?
- Hai fatto la stessa scenata a Selma, prima della sua partenza con il tuo portentoso amico? Pensi che sia più probabile che ella riesca nella sua utopica impresa di assumere il controllo su di lui e sulla sua polvere nera, piuttosto che una ragazza viziata, una monaca mancata, venga impietosita da due fanciulli condannati a morte, che lei ha il potere di salvare?
- La sostanziale differenza, Ephram, è che Selma non rischia la vita viaggiando con Blake.
- Ne sei sicura? D’altronde, la nostra Selma è una donna molto abile e saggia, che sa il fatto suo e sicuramente ben in grado di difendersi, ma il tuo Blake non è certo da meno, in quanto a ingegno e ad astuzia. Non nutro alcun dubbio sul fatto che sarebbe benissimo capace di tagliare la gola della nostra compagna a sangue freddo se, ad un tratto, ritenesse che ella gli è d’intralcio.
- È una situazione ben diversa, lo sai, Ephram. Conosco Blake.
- Ti fidi di lui a tal punto?
- Dove vuoi arrivare? – gli domandò lasciando che le sue mani le saggiassero le carni sensualmente.
La stanza era illuminata solamente da una candela.
Beitris si lasciò alzare da terra e poggiare con il fondoschiena sul bordo di vetro della teca, mentre con le mani si aggrappava alla nuca del ragazzo, stringendogli i capelli e tirandoglieli fino a fargli male, di proposito.
Era un abitudine difficile da scacciare, quella di cedere al sollievo provocato dal sesso.
Non aveva mai provato davvero a svagare la mente in altri modi, semplicemente perché non ne aveva motivo.
Consumarono il loro rapporto sul giaciglio della stanza, accanto alla teca contenente il bambino senza vita.
Al termine, rimasti sdraiati uno accanto all’altra, Beitris prese a fissare il fanciullino dentro la teca assiduamente, sentendo un moto di disagio e di terrore montarle dentro e risalirle le viscere.
- Li rivoglio con me, Ephram. Li rivoglio – disse improvvisamente, macchiando il silenzio che si era creato tra loro.
A ciò, Ephram si alzò dal giaciglio, si rivestì e uscì dalla stanza senza dire nulla.
 
Dopo la notte trascorsa dormendo tra quattro mura, riparato dal gelo, Blake raggiunse l’atrio della casetta della famiglia che li stava ospitando, composta dal tavolo, dalla cucina, dal caminetto e dall’entrata. Una fioca luce mattutina illuminava l’ambiente, invaso da un profumo nuovo e invitante al naso del ragazzo.
- Siete già sveglio? – lo riscosse la voce della padrona di casa, impegnata a cucinare e a tenere d’occhio tre fuochi sotto tre pentole diverse. Ella gli sorrise di sfuggita, riprendendo a concentrarsi sulle pietanze in preparazione, mentre Blake prendeva posto sul tavolo.
- Sono abituato ad alzarmi presto. Stavo osservando quanto questo atrio sia simile a quello di casa mia.
- Davvero?
- Sì. L’unica differenza è la disposizione della cucina, del camino e la presenza di una poltrona davanti al camino.
- Com’è il luogo in cui vivete? – gli domandò aggiungendo delle spezie su una delle pentole.
- Non avendo visto il vostro villaggio salvo casa vostra, non saprei confrontarli. Vi è molto verde, ed è davvero esteso.
- Beh, se desiderate, oggi vi sarà tempo di fare una visita nel nostro villaggio.
- No – si affrettò immediatamente a risponderle il ragazzo, facendo voltare la donna parzialmente verso di lui, sorpresa da tale risposta. – Intendo dire che non vi è bisogno. Preferiamo adoperarci qui, senza distrazioni – aggiunse.
- D’accordo, come volete. Spero abbiate riposato bene, voi e vostra madre. I letti nella stanza degli ospiti sono i più comodi che abbiamo.
- Sì, grazie, ho riposato molto bene, sicuramente meglio rispetto a ieri. Dormire a terra e in balia del gelo notturno è un’esperienza che preferirei non ripetere troppo spesso.
Selen sorrise tra sé in risposta, mentre aggiungeva delle uova al suo preparato. – Vi ho preso dei vestiti di mio marito, per cambiarvi. Temo che quelli di mio figlio sarebbero corti per voi, mentre quelli di mio marito … non so, avete un corpo molto diverso dal suo. Tuttavia, potreste provarli e valutare se sono comodi per voi. Altrimenti andrò a recuperarne altri in mattinata.
- Non fa niente. Ho già un cambio di vestiti nel mio sacco.
- Vi prego, non rifiutate. Offrire ospitalità per noi significa anche provvedere in ogni modo possibile alle esigenze dei nostri ospiti. Se non vi procurassi neanche un ricambio di vestiti che razza di padrona di casa sarei?
- Allora, d’accordo. Quelli di vostro marito andranno bene.
- Questa mattina arriverà la lavandaia per prendere gli abiti sporchi e lavarli. Le darò anche i vostri.
- Cosa state preparando? – le chiese poi, affilando lo sguardo per guardare meglio cosa bollisse sul fuoco.
- Uova, funghi e carne di pollo – gli rispose ella porgendogli il piatto colmo e fumante davanti al viso, guardandolo in aspettativa. – Avanti, assaggiate.
A ciò, Blake prese una forchettata dal piatto e assaggiò, assaporando quelle pietanze nuove, dal gusto tanto intenso. – È davvero molto buono. Che cosa sono? – domandò indicando le diverse varietà di funghi presenti nel piatto.
- Non avete mai assaggiato i funghi? Nel nostro villaggio ve ne sono un’infinità! – esclamò gioviale la donna, abbassando gli occhi sul piatto ancora fumante. – Avanti, mangiate.
- E voi?
- Io mangerò più tardi, non temete. Sono davvero lieta che vi piaccia.
A ciò, Blake continuò a mangiare con calma, volgendo le iridi blu verso la finestra di tanto in tanto, osservando la nebbia e le nuvole schermare la luce del sole in procinto di alzarsi.
- Come avete fatto a diventare bravo con i numeri?
Blake venne nuovamente riscosso dalla voce di Selen, rendendosi conto di essere osservato da lei.
- Non lo so con esattezza. È sempre stato così, sono sempre stato particolarmente portato con i calcoli – le rispose semplicemente.
Quella costante sensazione di non poter dire una parola di troppo in quella terra straniera che non conosceva le sue vere origini lo stava lentamente nauseando, in contrasto con la voglia di finirsi quei funghi fino all’ultimo boccone.
- Sono felice che aiuterete Gerda. Sapete, è una bambina molto vivace, che odia stare seduta a imparare qualsiasi cosa. Non a caso, è stata dura impararle a scrivere. Anche suo fratello è così, ma, a differenza sua, Gerda è anche molto dolce e sensibile.
- Lo immagino. Ho un fratello anche io. Non ci somigliamo affatto – rispose Blake accennando un sorriso nostalgico, mentre il suo pensiero andava a Ioan. Non aveva trascorso neanche due giorni lontano da lui e già gli mancava come il respiro.
Improvvisamente calò un placido silenzio tra loro, contaminato solamente dallo scoppiettio del fuoco nel camino.
Ad un tratto, qualcuno bussò vigorosamente alla porta, riscuotendo i due.
- Perdonatemi – gli disse Selen, per poi alzarsi e andare ad aprire la porta, accogliendo in casa una fanciulla imbacuccata da capo a piedi, la quale posò il cesto che aveva tra le mani e si tolse guanti e cappello non appena entrò in casa, liberando i vaporosi capelli aranciati e scoprendo il viso lentigginoso. – Fuori si gela, signora Selen! Non potete immaginare quanto sia più freddo rispetto a ieri! Mi raccomando, avvertite la piccola Gerda che, se vuole raccogliere i funghi, le conviene farlo subito dopo pranzo, prima che arrivi l’aria gelida da tempesta da neve!
- Lo farò, Isa, grazie. Ecco le monete che vi devo per oggi e per la volta scorsa.
- Non preoccupatevi, signora Selen, sapete che per voi lo faccio volentieri.
- Buon Dio, avete le mani freddissime, scaldatele un momento davanti al camino.
- Oh, siete gentile, signora Gerda, ma non posso, questa mattina ho un sacco di lavoro da fare. A proposito, dove sono gli abiti che devo … - la fanciulla si bloccò, così come le sue parole le rimasero incastrate in gola non appena si accorse della presenza del ragazzo sconosciuto seduto al tavolo della cucina. – Lui chi è…? – domandò non riuscendo a fare a meno di nascondere la sorpresa e arrossendo d’imbarazzo per essersi espressa in maniera tanto confidenziale e libertina in sua presenza. – Non è certo un abitante del nostro villaggio. Non l’ho mai visto – aggiunse, quasi come se egli non potesse udirla.
- Difatti provengo da un villaggio lontano da qui. Sono solo di passaggio – le rispose Blake diretto, accennandole un sorriso cordiale.
- Oh, capisco. Perdonatemi per essermi mostrata irriguardosa, ordunque – si affrettò a dire la ragazza, rivolgendogli un impacciato e accennato inchino.
- Non scusatevi. Non siete stata irriguardosa.
- Isa è la lavandaia, Blake. Ella è anche una persona importante per noi, poiché è la promessa di mio figlio Austen. Questa mattina è qui per prendere i nostri vestiti e rilavarli adeguatamente. Vi dispiace? – gli disse Selen facendo virare lo sguardo sui cenci che il ragazzo stava indossando oramai da quando era partito, quasi due giorni prima.
- Certo. Vado a cambiarmi – acconsentì egli rialzandosi in piedi.
- Vi ho lasciato gli abiti di mio marito ripiegati davanti alla porta della vostra stanza.
- Posso chiedervi dove posso fare un bagno?
- Vi è una teca di legno, del sapone e acqua pulita a volontà nel retro dell’abitazione – rispose Isa anticipando Selen.
- Oh buon Dio no, non di prima mattina! – si affrettò a dire Selen guardando prima Isa, poi Blake. - Solitamente ci laviamo lì, sì, essendo nascosto e lontano da occhi indiscreti; tuttavia, di prima mattina i nostri lupi non sono stati ancora né nutriti né abbeverati, potrebbe essere pericoloso.
- Avete ragione, signora Selen, non ci stavo pensando – spiegò mortificata la fanciulla.
- Potete recarvi al ruscello che costeggia la foresta, a cinque minuti da qui – disse Selen rivolgendosi a Blake, il quale preferì non fare domande per il momento. Egli si dileguò dal cospetto delle due donne, le quali restarono a guardarlo fin quando non uscì dall’atrio.
 
Quella mattina, il giovane Maringlen venne svegliato dalla sensazione di otto zampette che solleticavano la pelle nuda ed esposta al freddo del suo braccio. Aprì gli occhi gradualmente, non facendo troppa fatica, trovando quasi lo stesso buio del sonno, nella veglia, di quella cella nera e gelida.
Piccoli fiocchi di neve continuavano a scendere dalla finestrella sul soffitto.
Percependo una sorta di insensibilità sulla spalla, si voltò verso la sua destra, trovando sua sorella addormentata con la testa abbandonata in cima al suo braccio.
Maringlen la scosse lievemente per svegliarla; dopo di che, ritornò con gli occhi sul loro nuovo compagno di cella.
Il ragno che stava placidamente percorrendo il suo avanbraccio era dello stesso colore e della stessa forma di quello del giorno prima.
- Maroine – sussurrò, richiamando la ragazzina, la quale era ancora impegnata a stropicciarsi gli occhi insonnoliti. – Maroine, guarda chi abbiamo qui … - glielo mostrò, avvicinandole il braccio al viso.
- Sarà velenoso? – domandò Maroine strabuzzando gli occhi.
- Non credo. Mi avrebbe già morso altrimenti.
- Dovresti comunque stare attento. Non ho mai visto un ragno come quello.
- Sei diventata fifona tutt’un tratto?
Maroine lo spinse in risposta. – Quando ti morderà e urlerai di dolore io ti ignorerò.
- Che nome potremmo dargli? – domandò Maringlen ignorandola, facendo salire il ragno sul dito dell’altro arto.
- Credi che, se lo addomesticassimo e se fosse velenoso, morderebbe gli altri per noi?
Tale proposta attirò Maringlen, il quale rivolse un sorriso furbo a sua sorella. – Non sarebbe una brutta idea, se ci trovassimo messi troppo alle strette.
- Se resteremo troppo tempo qui senza mangiare, saremmo costretti a mangiarlo – disse Maroine facendo salire il ragno sulla sua di mano, questa volta. – Credi che il suo veleno ci ucciderebbe se lo mangiassimo …?
- Verranno a portarci del cibo – rispose Maringlen. – Ne sono sicuro. La pupilla dei monaci vuole sapere qualcosa da noi.
- A proposito di lei … - cominciò Maroine abbassando lo sguardo totalmente sul ragno, intento a percorrerle la spalla. – Ha scoperto il mio segreto – gli rivelò.
A ciò, il ragazzino la guardò in silenzio, non lasciando trasparire nulla.
- Mi ha promesso che non lo dirà a nessuno – aggiunse Maroine.
- Non possiamo fidarci di nessuno, Maroine.
- Sarebbe successo in ogni caso! Il mio braccio sarebbe peggiorato se non mi avesse spogliata e non mi avesse medicato.
- Ora ha qualcosa tramite cui ricattarci.
- Lo so!
- Perché stai urlando?!
- E tu perché diavolo non riveli di essere innocente?! – esclamò la ragazzina, scattando in piedi, facendo cadere il ragno a terra.
Maringlen la guardò, rivolgendole uno sguardo, per quanto possibile, rassicurante. – Padre Cliamon è venuto a trovarmi quando non c’eri.
- Davvero?? E cosa ti ha detto??
- Che farà di tutto per farci uscire.
- Davvero ha detto questo?? E tu cosa gli hai detto?
- Nulla.
- Maringlen, avresti potuto dirgli che non sei stato tu a farmi del male! Almeno a lui!
- Non mi fido di nessuno, Maroine. Di nessuno. Solo di te.
- Lo so – rispose la ragazzina calmandosi e risedendosi a terra. – Ma se continuerai così, non avremo alcuna possibilità di salvarci. Dobbiamo provare ad ingraziarceli.
- Lo so. È quello che vorrei fare, ma … - il ragazzino si bloccò. – Fin quando non saremo certi che c’è davvero una possibilità di salvarci entrambi, io non dirò nulla.
- Per quale motivo …?
Maringlen le si avvicinò e le accarezzò una guancia. – Fino a prova contraria, sei tu quella che è stata attaccata e legata. Io sono stato trovato con l’arma che ti ha ferita, in mano.
- Maringlen, non starai pensando di …
- Se confessassi di averti legata, drogata e colpita, tu saresti innocente. Totalmente innocente.
- Ma lo siamo entrambi! Ti avverto, se ti azzarderai a dire questo, io dirò tutto il contrario!
- Devi essere tu quella a muovere la loro compassione, ad ingraziarti il loro affetto. Io dovrò apparire distante, scontroso e difficile da avvicinare. In questo modo, nella peggior possibilità, sarò io a …
Maroine gli tappò la bocca con due mani, fulminandolo inferocita. – Se dirai ancora un’altra parola, ti uccido.
Non voglio sentirti. Non voglio sentire mai più un discorso simile, Maringlen, sono stata chiara??
A ciò, Maringlen annuì e Maroine gli lasciò la bocca libera.
- Vedo che siete già ben svegli e attivi – li riscosse la voce di un monaco sconosciuto, intento a guardarli con un ghigno a metà tra il divertito e l’incuriosito. – Guarda, guarda, due bestioline serve del Diavolo rinchiuse tra le sbarre. Nessuna grande novità, a quanto vedo.
I due, in risposta, digrignarono i denti come due felini minacciati.
Il monaco rise di gusto, mentre un altro ragno uguale a quello presente nella cella gli si avvicinò.
Egli lo schiacciò immediatamente, continuando a guardare i due. – Fosse per me, vi lascerei morire di fame qui. Il rogo vi consumerebbe troppo presto, mentre la fame … vi farebbe impazzire – disse, per poi allontanarsi e lasciarli nuovamente soli.
 
- Madre, quando avremo finito con tutte le compere potremo far visita al monastero per chiedere dei due ragazzini imprigionati?
- È la terza volta che menzioni questa storia, tesoro. Deve averti davvero colpito – commentò Heloisa scegliendo quali tipi di mele comprare in una delle bancarelle.
Il piccolo Ioan reggeva tre sacchetti contenenti rispettivamente fichi, cavoli e cicoria. – Potremmo portare loro del cibo!
Heloisa si voltò a guardarlo, rivolgendogli uno sguardo intenerito mentre gli accarezzava i capelli. – Non so se ce lo permetteranno, Christopher. È vietato visitare le segrete per chi non è un monaco. Tuttavia, chiedere ai monaci di portare loro del cibo potrebbe essere fattibile.
Gli occhioni di Ioan si animarono a quelle parole.
I due si diressero verso la cattedrale dei servi del Diavolo, poco prima di scorgere padre Craig uscire dalla cattedrale dei servi del Creatore.
- Padre Craig! – attirò la sua attenzione Ioan agitando la manina, andandogli incontro, seguito da sua madre.
- Ehi, piccolo! Cosa ci fate voi qui?
- Facciamo compere – rispose Heloisa. – E voi?
- Ero venuto a pregare.
- Vorremmo chiedere ai monaci di portare del cibo ai ragazzini imprigionati. Credete che lo faranno? – domandò speranzoso il bambino.
- Oh, beh, tentar non nuoce. Ah, ecco, una mia conoscente molto vicina ai monaci sta uscendo proprio ora dalla porta – disse padre Craig individuando le figure di Judith e di padre Cliamon, richiamandoli con un gesto della mano. 
Non appena la ragazza si avvicinò al gruppetto, Heloisa sgranò gli occhi.
Nei suoi setosi capelli rossi, nei suoi occhi grandi e neri, nel suo portamento aggraziato e deciso riconobbe la bambina che aveva incontrato dieci anni prima, l’infausto giorno in cui aveva scoperto che anche i messaggeri del Signore possono macchiarsi di peccati imperdonabili.
- Heloisa, questa è Judith, e questo è padre Cliamon.
- Molto lieta – rispose Judith rivolgendole uno sguardo che fece comprendere ad Heloisa di esser stata riconosciuta a sua volta. – E tu devi essere il piccolo Ioan, invece – disse volgendo gli occhi addolciti sulla figura del bambino, il quale ricambiò il sorriso.
- Come fate a conoscere il nome di mio figlio? – domandò Heloisa.
- Gliene ho parlato spesso io – si affrettò a risponderle padre Craig, per non costringere Judith a rivelare informazioni che non gradisse rivelare.
- Ah. Le avete parlato anche di Blake, dunque? O di me e di Rolland? – chiese Heloisa, apparentemente disinteressata all’argomento.
- Ovviamente.
- Volevamo domandarvi se poteste portare un po’ di cibo ai giovani prigionieri – disse diretto Ioan. – Qui con noi abbiamo del cavolo, delle mele, dei fichi e un po’ di cicoria.
- Accidenti, quanto cibo. Basterebbe a sfamare un esercito – commentò padre Cliamon.
- Avevamo già intenzione di portare loro da mangiare, a breve. Tuttavia, un po’ di cibo in più di certo non dispiacerà loro – rispose Judith con cortesia, poco prima che una dolorosa fitta al ventre la fece piegare su se stessa.
Gli altri quattro, allarmati, si avvicinarono a lei, padre Craig e padre Cliamon la ressero in piedi trattenendola per il busto.
- Judith! Judith, cara, state bene?? – le domandò padre Cliamon.
- Sto bene, grazie – rispose ella cercando di regolarizzare il respiro e di non far caso alle ulteriori fitte che le colpirono il ventre.
Dinnanzi a ciò, osservando le sue reazioni e il suo viso, Heloisa sembrò realizzare qualcosa. Il suo bel volto si distese e i suoi occhi si abbellirono di una luce di solidarietà e di gioia. – Signorina Judith. Conosco quelle sensazioni. Conosco bene i dolori che si presentano in questi casi, poiché li ho vissuti ben due volte – disse avvicinandosi alla ragazza e poggiandole delicatamente una mano sul ventre.
Prima che Judith se ne rendesse conto, la mano di Heloisa saggiò il lieve gonfiore del ventre della giovane donna, nascosto agli occhi dal corpetto scuro e stretto.
- Dovreste indossare degli abiti più larghi durante la gravidanza, sapete? – le disse comprensiva. – Aspettate un bambino, Judith. Ne eravate già a conoscenza, vero? Non temete, comunque. Queste fitte sono normalissime in questa fase iniziale, nulla di preoccupante. Io ne ho avute talmente tante!
Judith si sforzò di sorriderle cordiale, mentre sostituiva la mano di Heloisa con la sua, poggiata al proprio ventre. – Sì, ne ero già a conoscenza.
- Dov’è il vostro promesso? Egli non dovrebbe lasciarvi sola in questo periodo così delicato – le disse la donna premurosamente.
A tali parole, Judith raggelò, ritrovandosi impreparata.
- Egli non è qui – si limitò a risponderle.
- Oh, capisco – si rabbuiò Heloisa. – Ad ogni modo, sapete chi è, vero? Sapete di chi è questo bambino?
L’invadenza di quella donna nei confronti di Judith stava turbando padre Cliamon, il quale assistette, per la prima volta, al silenzio tombale della sua protetta dinnanzi a qualcuno. Anche padre Craig sembrava aver momentaneamente perduto l’uso della lingua in quella circostanza.
A ciò, padre Cliamon agì d’impulso. – Il padre è vostro figlio Blake – disse, venendo immediatamente fulminato dagli sguardi allibiti di padre Craig e della stessa Judith. – Non lo sapevate, signora Heloisa? Vostro figlio e Judith sono in rapporti intimi da un po’ di tempo, oramai. Mi sorprendo che egli non vi abbia menzionato nulla. Ma, d’altronde, Blake e Judith sono giovani, in balia del loro primo amore, nulla era programmato. Come biasimarli? Eppure, nonostante io immagini la sua iniziale e comprensibile sorpresa nel ricevere la notizia, non mi spiego per quale motivo Blake sembri essersi volatilizzato nel nulla. Dov’è finito vostro figlio, Heloisa?
Per tutto il tempo in cui il monaco aveva parlato, Heloisa era rimasta ferma, immobile, il volto incolore e gli occhi strabuzzati.
- Heloisa …? – la richiamò allarmato padre Craig.
La donna ebbe un parziale mancamento, il suo corpo perse per un attimo coscienza e si sbilanciò all’indietro, prontamente afferrato da padre Craig, il quale la rialzò in piedi. – Non sapete ciò che dite … - sussurrò ella riappropriandosi della voce. – Non può essere. Non può esser stato tanto incosciente e sconsiderato … così come non potete esserlo stata voi! – esclamò verso Judith questa volta. – Mettere al mondo un figlio deve essere una scelta ragionata, condivisa e consapevole!
- Ora basta – intervenne nuovamente padre Cliamon. – Lasciateci il cibo e tornate alla vostra abitazione, figliola. Avrete modo di parlare con vostro figlio quando egli tornerà da voi – la esortò, prendendo Judith per le spalle e allontanandosi al suo fianco, lasciando gli altri tre soli.
- Non ne avevi alcun diritto – gli sussurrò serafica la ragazza.
- Ho dovuto.
- Vi è una possibilità su un centinaio che il bambino sia suo, padre. Non dovevi prenderti tale libertà e infangare l’onore di Blake senza alcuna motivazione.
- Se non fossi intervenuto sarebbe stato il tuo onore a venire infangato.
- E che lo fosse! – esclamò la ragazza divincolandosi dalla sua presa.
- Judith, cara … volevo solo aiutarti. Se ciò che ho fatto ti ha turbata tanto, ti chiedo umilmente scusa – le disse sinceramente il monaco.
- Non è da me trascinare gli altri nella fossa con me, in momenti di difficoltà.
- Devi salvaguardarti, Judith. Tu e il bambino avete bisogno di assistenza nel momento in cui egli o ella nascerà. Sai bene che una donna, senza alcun aiuto esterno, non può occuparsi di un figlio da sola, senza incappare in serie difficoltà. Tu lo sai meglio di chiunque altro.
Sai bene che noi monaci siamo la tua famiglia e lo saremo sempre, nel caso in cui decidessi di far crescere tuo figlio all’interno del monastero. Lo cresceremo nel migliore degli agi, come abbiamo fatto con te.
Eppure, preferirei, in ogni caso, che tu venga sostenuta e appoggiata da una figura maschile che possa far da padre al bambino, in futuro.
- E credi, dunque, che io debba forzare Blake ad occuparsi con me del bambino in quanto genitore, solamente perché è l’unico che possa anche solo avvicinarsi alla definizione di un amico per me che non sia un monaco?? Abbiamo sedici anni, padre Cliamon. Sedici! Non erano questi i miei piani, e di certo non sono neanche i suoi! – parlò chiaramente la ragazza, cercando di calmare il clamore che sentiva risalirle da dentro. - Egli non sa neanche che porto un bambino in grembo – aggiunse, facendo sgranare gli occhi al monaco.
- Egli non sa nulla?
- No, padre, perché dovrebbe? E volevo continuasse a non sapere nulla, prima che riempissi sua madre di tali menzogne, coinvolgendo entrambi. Preferirei che lo sapessero meno persone possibili.
- Per quale motivo?
Judith abbassò la testa, rabbuiandosi.
Sapeva di potersi ciecamente fidare dell’uomo dinnanzi a lei, ma sapeva anche di doversi perennemente mostrare cauta.
Padre Cliamon non le avrebbe mai fatto del male di propria volontà.
Senza che ella disse nulla, il monaco sembrò improvvisamente e tremendamente comprendere.
- Ti conosco sin da quando eri alta la metà di ora, Judith. Quello sguardo non mi piace.
Judith si tolse il guanto e posò la propria mano sul suo ventre, carezzandolo piano. – Non voglio questo bambino.
- Non hai scelta, lo sai! – esclamò padre Cliamon facendo fuoriuscire tutta la sua preoccupazione. - Insomma, nessuna donna ha mai avuto scelta, Judith …! Non puoi scegliere di non volerlo … non puoi.
- Padre – lo richiamò con voce rassicurante la ragazza, carezzandogli una guancia. – Il fatto che nessuno abbia mai preso una scelta simile prima d’ora non preclude che non possa prenderla io.
- Uccideresti una vita, Judith. Uccideresti la tua vita … una vita nata dal tuo sacro ventre.
- Non ho scelto io di avere un figlio, padre. Non ero cosciente quando il concepimento è avvenuto. Sarebbe meglio che mio figlio vivesse con una madre che non sarà mai adatta ad essere madre e soffra a causa mia, o che non venga al mondo affatto?
Li vedi tutti i bambini vagabondi che implorano per un tozzo di pane, nel nostro villaggio.
Povere creature abbandonate a loro stesse, nate da rapporti illegittimi o orfani, i quali finiscono o alla Taverna, o vengono obbligati a prendere l’abito monacale solamente per non soffrire dei terribili morsi della fame.
Quelle povere anime perdute, non credi meritino più di questo…?
Padre Cliamon fece per controbattere, ma dalla sua bocca schiusa non uscì alcun suono.
Rimasero in silenzio, riflettendo.
- Ad ogni modo, non temere – lo tranquillizzò Judith, per quanto possibile. – Non ho ancora preso la decisione. Debbo ancora riflettervi su. Il fatto che qualcuno sia già a conoscenza della mia gravidanza non è un problema irrisolvibile, poiché la morte spontanea dei bambini nel grembo materno è molto comune nel nostro villaggio, soprattutto tra le giovani madri. Tuttavia, non deve saperlo nessun altro. Su questo ho bisogno di avere la tua parola – disse, stavolta perentoria.
A ciò, padre Cliamon annuì sommessamente.
- Bene. Più avanti, prenderò la mia decisione.
- Più attenderai, più il tuo bambino crescerà, e quando sarà troppo grande, non riuscirai più a liberartene – la ammonì il monaco.
- Con ciò sarò solo io a fare i conti, padre. Io e nessun altro. Presto, accingiamoci a raggiungere le segrete ora. Dobbiamo portare questo ricco banchetto alla nostra coppia di giovani prigionieri – concluse la ragazza voltandosi e incamminandosi verso le segrete, con un macigno al posto del cuore e la testa fluttuante.
Non ti voglio. Non per colpa tua, non per colpa di nessun altro.
Ho cominciato a parlarti nonostante io non ti consideri ancora reale.
Nonostante io non sappia di chi tu sia, non importa saperlo, perché sei mio.
Ti immagino maschio, con gli occhi furbi e la propensione a farmi innervosire.
Non ti voglio, per nessun motivo in particolare, e continuerò a non volerti.
Sento il tuo respiro, è come se lo sentissi, mischiato al mio.
Non avere paura. Saprò io come fare, come fare a sistemare le cose.
 
Gerda prese altri tre chicchi di mais e li mise insieme al gruppo con minor numero di chicchi.
- Bene. Ora quanti ne sono rimasti nel secondo gruppo? – le domandò Blake, paziente.
La bambina vi rifletté su, concentrata. – Sette?
- Conta meglio.
La bambina ricontò nuovamente e si illuminò. – Nove!
- Esatto.
- Ho sbagliato di pochissimo!
- Stai andando molto bene infatti – le disse il ragazzo sorridendo. – Ora, dato che nel primo gruppo ci sono ventitré chicchi, nel secondo nove e nel terzo quindici, se io spostassi due chicchi dal terzo al primo gruppo, poi aggiungessi dieci chicchi spostandoli dal terzo al secondo e infine ne spostassi sei dal primo al terzo, quanti chicchi ci sarebbero in ogni gruppo? Devi indovinarli senza contarli – le ordinò Blake facendo tutti gli spostamenti che aveva appena indicato, mentre la bambina chiudeva gli occhi e contava mentalmente.
- Non ce la faccio, è troppo difficile per me … - fece per arrendersi.
- Ricorda che, se qualche calcolo ti sembra troppo difficile, ti basta sommare o sottrarre delle quantità che ti risultano più semplici da sommare e sottrarre al totale, per poi togliere o aggiungere al risultato finale la quantità che ti serve per raggiungere il numero scomodo.
A ciò, seguendo tale metodo, Gerda riprovò a fare i conti mentalmente e a occhi chiusi, per poi esclamare dopo qualche minuto. – Lo so! Lo so!
- Sono tutt’orecchie.
- Nel primo ce ne sono diciannove, nel secondo sempre diciannove e nel terzo nove!
- Mi complimento con te! Ora puoi aprire gli occhi – le disse Blake sorridendole incoraggiante.
- Voglio che mi insegnate qualcosa di più difficile ora!
- Difficile, eh? – disse il ragazzo pensandovi su. – Ti hanno mai insegnato le proporzioni, mia giovane dama?
La bambina negò con la testa, emozionata e impaziente.
Blake prese un foglio e iniziò a scrivere, bagnando la piuma con l’inchiostro messogli a disposizione da Selen.
- Ecco – le disse una volta terminato di scrivere. – La proporzione funziona tramite l’equivalenza.
- Che cosa vuol dire?
- Come vedi scritto, qui come fattori abbiamo tre valori e una “x”, che corrisponde ad un numero di cui non conosciamo il valore. I quattro fattori sono divisi a coppie, e in mezzo vi è un uguale, questo segno che vedi qui. Il nostro scopo è calcolare il valore del numero sconosciuto. Vuoi sapere come facciamo?
- Sì!
- Moltiplichiamo il primo valore, che in questo caso è sei, con l’ultimo valore, il nove. Poi, una volta saputo il risultato, lo dividiamo per il valore rimasto.
In tal modo, otterremo il valore della x – disse scrivendo i calcoli appena menzionati, tracciando un bel ventisette alla fine del foglio.  
- E a che cosa serve la proporzione?
- Ad un sacco di cose, a dir la verità. La usano i mastri, coloro che lavorano con i metalli per calcolare a che temperatura fondare i diversi metalli di differenti quantità; è utilizzata anche da coloro che studiano la medicina, per capire quali dosi sono giuste per malati di diversa età, peso e altezza oppure … è anche usato dagli assassini – le disse rivolgendole un sorriso sornione e divertito.
- Gli assassini …? – sussurrò la piccola spalancando gli occhioni ingenuamente intimoriti da tale informazione.
- Ma certo. Non ti hanno mai detto che gli assassini, per sapere quanto veleno usare per uccidere la loro vittima, fanno sempre questi calcoli? – le disse arrochendo lievemente la voce, scandendo ogni parola con lentezza, tanto da far spaventare la piccola.
- Oh, Blake, non parlatemene più, vi prego!
- Oh, mi spiace, mia signora, vi ho spaventata? Eppure, credevo foste tanto impavida da sopportare qualche piccola storia dell’orrore.
A ciò, la bambina si animò, punta nell’orgoglio. – Io amo le storie dell’orrore! Anzi, vi dirò di più, le ascolto sempre!
- Non ne sarei del tutto convinto – le rispose il ragazzo sorridendo teneramente e scompigliandole i capelli, decidendo di smettere di tormentarla.
- Gerda, non rimanere a trastullarti per tutto il pomeriggio – irruppe improvvisamente la voce di Austen, imperiosa, giungendo nell’atrio e avvicinandosi al tavolo nel quale erano seduti i due.
- Austen, Blake mi stava insegnando a fare dei calcoli difficilissimi! Sono molto brava, sai? – lo informò entusiasta sua sorella.
- Non sai quanto mi faccia piacere sentirlo – pronunciò il giovane tra i denti, con voce pungente e irritata, facendo voltare Blake a guardarlo.
Il fatto che ora, quel ragazzo che considerava niente meno che un forestiero e uno sconosciuto, indossasse i vestiti di suo padre, doveva aver aumentato esponenzialmente il suo odio immotivato nei suoi confronti, pensò Blake. – Avete bisogno di qualcosa, Austen? – gli domandò, innervosendolo ancor di più.
- Fuori sta per arrivare la tempesta di neve e mia sorella non ha ancora adempiuto ai suoi doveri, aiutando nelle faccende di casa. Ella sa cosa deve fare, prima che faccia troppo freddo e buio, vero, Gerda?
A ciò, la bambina abbassò lo sguardo, incupendosi. – Sì. Devo raccogliere i funghi nella foresta qui accanto. Ma non ne ho affatto voglia.
- Gerda! – la riprese sin troppo violentemente suo fratello. – Non azzardarti a disobbedirmi.
Blake posò lo sguardo prima su uno poi sull’altra. - Non vedo il bisogno di scaldarsi tanto, in ogni caso - commentò. - Posso accompagnare io Gerda, se lei non ha voglia di andare.
La bambina sembrò illuminarsi totalmente a tali parole, saltando quasi dalla sedia. – Lo fareste davvero??
- Certo.
- Non vorremmo che vi disturbaste a tal punto – gli disse Austen cercando di mantenere un minimo di parvenza di cortesia, a fatica.
- Non ho nulla da fare al momento. Si tratta della foresta a cinque minuti da qui, giusto? Quella che costeggia il ruscello in cui mi sono fatto un bagno questa mattina. Non è distante, non mi recherà alcun disturbo accompagnarla – rispose semplicemente.
- Bene! Allora andiamo immediatamente! Presto, prendete il vostro mantello, Blake! – esclamò la bambina alzandosi in piedi e accorrendo a cambiarsi per indossare dei vestiti più pesanti, adatti ad uscire all’esterno.
A ciò, Blake si alzò a sua volta, dirigendosi verso la sua stanza per recuperare a sua volta degli indumenti più pesanti, facendo per sorpassare Austen, il quale lo afferrò per un polso, attirando la sua attenzione.
Blake lo degnò del suo sguardo, attendendo che parlasse.
- Quando i vostri vestiti e quelli di vostra madre saranno asciutti, ve ne andrete immediatamente da qui – gli sussurrò rabbioso.
A ciò, Blake, sfilò con impeto il braccio dalla sua presa, rivolgendogli uno sguardo di indifferente superiorità. - Sarà fatto.
Pochi minuti dopo, si ritrovò in mezzo alla foresta in compagnia della più piccola di casa, la quale gli stava spiegando tutte le tecniche per distinguere i funghi velenosi da quelli commestibili, elencandogli tutte le varie tipologie di sua conoscenza.
- Dunque, nel vostro villaggio non crescono funghi? Proprio nessuno nessuno?? – domandò la bambina, abbassandosi per raccogliere un porcino, porgendolo a Blake, il quale lo infilò nel cestino insieme agli altri.
- Di alcun tipo – confermò il ragazzo, osservando la cura e la dimestichezza con la quale la piccola svolgeva quel compito apparentemente banale, apprendendo da lei. – Dunque, se non ricordo male dalle tue indicazioni, uno dei tipi da evitare presenta un lungo gambo bianco candido, con la testa piatta e le striature, giusto? – domandò Blake trovandone uno che corrispondeva esattamente alla descrizione.
- Esatto! Ma non temete, tutti i funghi velenosi hanno un effetto temporaneo solitamente. Non se ne trovano mai di mortali, a meno che non vengano ingeriti in grande quantità. Una volta, quando ero più piccola e meno esperta a riguardo, ne ho mangiato uno e sono stata per giorni con un terribile mal di pancia! Poi sono guarita. Vi ricordate tutti i tipi che vi ho elencato? – domandò infine la piccola, a mo’ di interrogazione.
Blake sorrise in risposta, raccogliendo alcuni funghi chiodini accanto ad un grosso tronco. – Posseggo una buona memoria, sai?
- Allora elencatemeli!
- Vi sono i porcini, i più gustosi per i più; i chiodini, adatti per gli stufati; i prataioli, dalla testa larga e schiacciata; i pioppini, adatti ai pasticci di uova; gli ovoli, i più buoni da mangiare crudi; i finferli, dalla testa ondulata e, infine, i morchella, che somigliano alle spugne.
- Mi complimento con voi, mio signore! – esclamò fiera Gerda, rivolgendogli un piccolo inchino. – Sapete, sono un po’ triste di non avervi fatto visitare il mio villaggio oggi, sono sicura sareste piaciuto a tutti. Tuttavia, sono anche felice di ciò.
- Per quale motivo?
- Isa mi ha detto che oggi pomeriggio si terrà l’impiccagione di un condannato.
A tali parole, Blake si bloccò, prendendo a guardarla. – Impiccagione?
- Sì, da noi i criminali e i peccatori vengono impiccati. Sembrate sorpreso. Nel vostro villaggio come vengono uccisi coloro che peccano contro Dio?
Le loro carni bruciano alla luce del sole, squagliandosi, emettendo fumi che giungono al cielo, sino a togliere il respiro al dio che lo abita, un dio non nostro.
Il ragazzo sorrise tra sé al pensiero di un dio in grado di respirare, di soffocare.
- Lapidazione – rispose dopo qualche istante di pausa.
- Lapidazione?
- Sì, lapidazione. I condannati vengono presi a sassate a morte.
- Oh … non ho mai assistito ad una lapidazione – rifletté la bambina, poco prima di raggelare alla vista del suo accompagnatore, intento a raccogliere un particolare tipo di bacche. – No, fermatevi!! Non quelle!! – esclamò saltandogli quasi addosso per raggiungerlo, dando uno schiaffo alla mano contenente le bacche, facendole cadere tutte a terra.
Blake la guardò sorpreso da tale reazione.
- Il veleno di queste bacche è letale – spiegò la piccola, riprendendosi dallo spavento.
- Dici davvero? – domandò Blake osservando quelle piccole e succose biglie viola. – Credevo fossero ciliegie.
- Molti forestieri sono morti mangiandole, credendo fossero ciliegie.
- Sono pericolose anche se ingerite in piccola quantità?
- Una o due bacche solitamente provocano effetti minori, come la visione di cose che non esistono. Ma con più di due bacche … il corpo diventa immobile e muore lentamente – spiegò Gerda allontanandosi gradualmente dalla pianta di bacche. – A volte, le donne del nostro villaggio le raccolgono e bevono una o due gocce del suo succo, per sembrare più colorite e belle. Per questo l’abbiamo chiamata Belladonna.
- Capisco – rispose il ragazzo, osservando la piccola procedere per cercare altri funghi, mentre egli si adoperava a raccogliere una generosa quantità di quelle bacche letali e a porsele dentro una delle tasche dei suoi indumenti.
Quando i due raggiunsero nuovamente la casa, Blake venne attirato da dei rumori provenienti dal retro dell’abitazione, somiglianti a dei feroci ringhi.
- Cosa vi è là dietro? – domandò alla bambina.
- Oh, non li avete ancora visti?
- Che cosa?
- Venite con me, ve li mostro – gli disse ella prendendogli la mano e conducendolo nel retro della casa.
Giunti sul luogo, Blake notò che vi fosse una grossa fossa nel terreno. Gerda lo condusse lì vicino e, non appena il ragazzo vi si affacciò, sgranò gli occhi vividi.
In quella profonda fossa vi erano rinchiusi almeno una dozzina di lupi, maschi e adulti, apparentemente molto feroci. Solamente una recinsione in legno posta sopra la fossa divideva i predatori da loro.
Gerda, tuttavia, sembrava totalmente tranquilla e a suo agio in presenza delle bestie, nonostante queste ringhiassero e abbaiassero ferocemente. – Questi sono i lupi di mio padre. Sapete, egli è un cacciatore. Per questo è fuori casa ora. Egli è in cerca di carni pregiate di cervi che vivono solamente a Nord. Si è affezionato a questi lupi e ha voluto prendersene cura. Li tiene qui, in modo che non possano infastidire nessuno – spiegò con naturalezza. – Tuttavia, ora sono un po’ irrequieti poiché sono affamati. Purtroppo, finché mio padre non tornerà con la carne dei suoi cervi, noi qui siamo parecchio a corto di carne. Non mangiano da giorni – spiegò guardandoli impietosita.
Blake si accorse che, proprio come gli era stato detto, a qualche metro da loro vi fosse la teca di legno e la riserva di acqua pulita che la famiglia di cui era ospite utilizzava per lavarsi.
- Dunque, questa mattina Selen mi ha sconsigliato di farmi un bagno qui a causa dei lupi?
- Di prima mattina sono molto più affamati. Sentono l’odore della carne fin da lontano e sembrano impazzire. Per questo evitiamo tutti di venire qui di prima mattina. Ora, però, sono più tranquilli, perciò se volete farvi un bagno qui potete farlo – gli disse cordiale, poco prima che uno dei lupi selvaggi saltò fino alla recinsione con ferocia, abbaiando e ringhiando a pochi centimetri da loro, venendo rispinto giù dalle sbarre di legno ben fissate e assicurate. D’istinto, Blake prese Gerda e la allontanò di qualche passo, per poi cercare di riprendersi dal lieve spavento.
- Non preoccupatevi, non possono raggiungerci – lo tranquillizzò ella stringendogli la mano. – Presto, ora torniamo in casa e mostriamo a mia madre quanti funghi abbiamo raccolto!
 
Selma raggiunse l’atrio della casa, trovandovi Selen impegnata a preparare la cena.
Guardò fuori dalla finestra, accorgendosi fosse oramai il tramonto.
- Signora Selma – la salutò cordialmente Selen, voltandosi lievemente verso di lei e rivolgendole un sorriso. – Avete riposato questo pomeriggio?
Selma osservò meglio la donna a qualche metro da lei.
Ella doveva avere all’incirca poco meno della sua età, forse poco meno di quarant’anni.
Nel complesso, si poteva dire fosse una bella donna, per gli standard discreti di un qualsiasi villaggio che non fosse Bliaint. Delle piccole rughe di espressione si diramavano graziosamente dai suoi occhi a mandorla, verso le tempie. Non aveva notato di che colore fossero le sue iridi piccole, ma era convinta fossero screziate di grigio.
Nulla di appariscente, ma, nel complesso, i suoi lineamenti dolci, la bocca sottile e delicata, i capelli castani disordinatamente legati e il suo corpo prosperoso seppur magro nascosto dagli abiti di fattura modesta e spenti, la rendevano una gradevole visione ad un comune occhio maschile.
- Sì – le rispose avvicinandosele. – Avete visto mio figlio? – le domandò poi.
- Credo sia ancora fuori con Gerda. Ella gli sta mostrando la stalla dei cavalli – le disse, per poi asciugarsi le mani umide con la pannella che aveva legata in vita.
A ciò, Selma le si affiancò e le sorrise, attirando la sua attenzione. – Non credo di avervi ancora ringraziato per la vostra estrema gentilezza e ospitalità. Ci avete offerto la vostra casa, il vostro cibo e persino i vostri vestiti.
- Oh, signora Selma, non vi è nulla di cui ringraziarci – la tranquillizzò Selen lieta. – Blake sta facendo un ottimo lavoro nell’istruire Gerda. Oggi pomeriggio le ha fatto fare molti progressi!
- Non ne avevo dubbi – rispose Selma accennando un sorriso indefinibile. – Sono lieta che la sua presenza sia gradita – aggiunse.
 A tal risposta, Selen le sorrise ancora, questa volta con un velo di imbarazzo. – Anche la vostra presenza è gradita, signora Selma.
- Oh, ma certo. Tuttavia, Blake è Blake. Ammettiamolo, il suo carisma adombra facilmente chi gli si affianca - le disse, osservando attentamente la sua reazione, vedendola annuire fugacemente e tornare immediatamente con lo sguardo sulla pentola colma di pietanze.
- Data la momentanea assenza di vostro marito, spero che la presenza di Blake non abbia creato delle tensioni e dello scompiglio in casa.
Mi riferisco soprattutto a vostro figlio Austen. E alla sua giovane promessa. Isa è il suo nome?
- Sì. Ad ogni modo, non temete, nessuno scompiglio. Austen e Isa hanno trascorso del tempo insieme qualche ora fa. Credo che l’abbia anche riaccompagnata a casa.
- Bene, me ne compiaccio.
So che desiderate che io e Blake rimanessimo qui in casa vostra. Blake in particolare. Lo leggo nei vostri occhi.
Tuttavia, ahimè, devo informarvi che abbiamo deciso di lasciare la vostra abitazione oggi stesso, proprio come ci eravamo previsti inizialmente.
Tali parole fecero voltare immediatamente la donna verso di lei, la quale la guardò confusa e spaesata. – Ma avevate detto che …
- Non importa cosa avevamo detto – affermò senza indugio. – Ce ne andremo questa sera.
In quel momento, le due vennero attirate da un urlo atroce proveniente dal retro della casa.
- Quella era la voce di Austen … - balbettò Selen sbiancando. – Austen …! Austen!! – lo chiamò a squarciagola spalancando la porta di casa e accorrendo all’esterno, diretta verso il retro.
Quando anche Selma la raggiunse, la visione che le si parò dinnanzi agli occhi la impietrì.
Austen era inginocchiato sul bordo della fossa dei lupi in lacrime, mentre Selen si era buttata su di lui, per consolarlo, gridando sconvolta; Gerda e Blake, accorsi anche loro, in piedi e dall’altro lato del bordo, erano cerulei in volto. Gerda, in lacrime, si aggrappò alle gambe di Blake, abbracciandolo e cercando conforto in lui, mentre egli le carezzava i capelli immobile, con gli occhi luminosi che, come due cristalli nel buio, fissavano spalancati il cadavere sfigurato e smembrato della giovane Isa, in fondo alla fossa dei lupi, divorata dalle bestie affamate.
La recinsione era spezzata.
Il vento gelido scompigliò i loro capelli, portando con sé un alito di morte e decomposizione che non li sconvolse quanto la visione che si erano ritrovati improvvisamente dinnanzi.
A ciò, gli sguardi di Selma e Blake si incrociarono a distanza, pensando all’unisono la medesima cosa:
Non se ne sarebbero più potuti andare via quella sera.
Sarebbero rimasti incastrati lì, chissà ancora per quanto.
Il loro viaggio si sarebbe protratto più di quanto avrebbero mai potuto prevedere.
 
 
   
 
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