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Autore: Gaia Bessie    27/10/2020    4 recensioni
In un mondo in cui incontri la tua anima gemella in punto di morte e sotto forma di uno spettro, Hermione incontra Fred.
[Fred/Hermione | Soulmate!AU | Partecipa all'iniziativa "Gioco di scrittura" del gruppo Facebook Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Fred Weasley/Hermione Granger
Note: AU, OOC, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Immagina le cicatrici
 
Vidi un ragazzo in una sala d'attesa
Con qualche rosa in mano come in un film
Pensai che fosse una bella sorpresa
Ma lui era ogni giorno lì
(…)
Facciamo un viaggio che ne dici?
Immagina le cicatrici, strade di Parigi
Le lacrime e il Tamigi, sarò lì a fianco a te
Dai credimi che passerà
 
 
I corridoi del St. Mary’s Hospital sono bianchi da far male, una ferita in ogni sguardi che s’apre e si consuma, come s’apre e si consuma il taglio sulla gamba di Hermione, ogni volta che riesce a convincersi che si sia finalmente cicatrizzato. È il guaio di ogni ferita: quando pensi di non aver più sangue da versare, quella si squarcia sui propri bordi e ne erutta ancora, senza che tu sappia bene da dove riesca a prenderlo.
La coscienza è una ferita simile, che si slarga sui pensieri e duole sopra di essi, deformandoli: un’infermiera le ha detto che è l’aria dell’ospedale, quell’aria viziata e allucinogena che ti permette di vederle.
Le anime gemelle passano per i corridoi, come alla stazione della metropolitana, affollandola: sono solo fantasmi, ma chiunque può vederli – e, se solo circondati da un vago bagliore aureo, riconoscere la propria. Lei, quel famoso splendore dorato, non l’ha mai visto: non s’è mai ferita gli occhi di fronte a un viso che ha sognato, quand’è nata, e che aspetta per tutta la vita. Perché loro stanno lì, negli ospedali, a cercare il proprio amato morente – perché l’amore è morte e rinascita – e poter trascorrere gli ultimi momenti di vita insieme.
Hermione non ha notato nessuno, che la cercasse, solo una massa indistinta di spettri che sbirciavano nella sua camera, alla ricerca. E un ragazzo ancora giovane, ancora bello, seduto a gambe incrociate in sala d’attesa.
Si tratta dell’unica anima gemella che rimane immobile, senza vagare nei corridoi, con un vistoso mazzo di rose rosse spettrali come le sue mani. Lei è passata di lì ogni giorno, in sedia a rotelle, è sempre l’ha scorto lì, ad attendere un mezzo miracolo.
E le rose, che pensava fossero una sorpresa meravigliosa per un’anima gemella in punto di morte, gli sono sempre rimaste tra le mani, senza poter mai appassire. Morto lui e morti i fiori: scopri di essere l’anima gemella di qualcuno quando muori improvvisamente, nell’età in cui avreste dovuto incontrarvi, e passi il resto dell’eternità in una ricerca insensatamente dolorosa, che a volte nemmeno trova la propria degna conclusione.
«Stai aspettando qualcuno?» un giorno, gli parla, nelle sue scorribande in giro per l’ospedale. «Ti vedo qui ogni giorno, non vai mai per i corridoi».
Il ragazzo ride e scuote il capo: i capelli un po’ troppo lunghi, che l’esistenza spettrale ha scolorato in un indefinito grigio, gli tagliano lo sguardo come la lingua ne seziona le parole. «Oh, sì» risponde. «Aspetto che sia lei a trovarmi, non ho di certo intenzione di fare io tutta la fatica».
Hermione ride, in un suono che le riempie la cassa toracica di silenziosa speranza, annichilendo per un momento il dolore pulsante della gamba. È il primo morto con cui parla in grado di fare una battuta divertente, di non lamentarsi del proprio fato infelice: perché le persone si sposano, fanno figli, e solamente in punto di morte si rendono conto che tutto ciò l’hanno fatto con qualcuno che non li completa perfettamente.
«Tu come mai ti avventuri fin qui?» domanda il ragazzo, indicando con un cenno del capo la sedia a rotelle. «I medici te lo permettono?».
Lei sorride, estraendo dalla tasca il proprio badge dell’ospedale. «Sono un medico anche io, ho appena iniziato la specializzazione in quest’ospedale» rivela. «Quindi mi lasciano fare quel che voglio, generalmente».
«Voi medici siete avvantaggiati, è sleale» commenta lo spettro, con aria esasperata. «Avete più possibilità di trovarci, stando qui tutto il giorno».
Hermione vorrebbe dirgli che lei non ha ancora trovato nessuno, ma quel ragazzo sembra così triste e frustrato, con il proprio mazzo di rose – è consapevole che comunque lei non potrebbe mai prenderlo? – tra le mani, che non riesce a peggiorare ulteriormente la situazione.
«La troverai» lo rincuora. «Devi avere pazienza».
Lui la guarda e annuisce, tornando a sorridere, forzatamente. «Mi chiamo Fred» si presenta, posando il mazzo di rose sulle proprie ginocchia. «Tu… come ti sei fatta quella?».
Indica la vistosa fasciatura sulla gamba e lei impallidisce, nel ricordo della lama che le trapassava le carni, scheggiando il femore.
«Incidente d’auto» commenta, piano. «Un ragazzo un po’ troppo brillo mi è venuto addosso, ha fatto a pezzi la macchina… e questo è il risultato».
Lo spettro deglutisce vistosamente, cercando di prendere quel fiato che non può arrivargli ai polmoni, e si sfiora il viso, improvvisamente più pallido, per quanto uno spettro possa davvero sembrar pallido.
«Il ragazzo un po’ troppo brillo che ti è venuto addosso» inizia, incerto. «Sai che fine ha fatto?».
Hermione lo guarda, incerta, non riesce a comprendere il perché di quella domanda che la fa rabbrividire fin dentro le ossa.
«Credo sia morto» ammette. «È stato un brutto incidente, è morto sul colpo, mi hanno detto. Non ha sofferto, è stato come addormentarsi».
Il ragazzo sorride, amaramente. «Come addormentarsi» ripete. «Beh, non proprio, fa abbastanza male, morire. E quelli che ti dicono che non ha sofferto non hanno davvero capito un cazzo».
Lei spalanca gli occhi, ma lo spettro sta ridendo, mentre si porta una mano alla t-shirt che indossa, alzandola leggermente. Lì c’è un cuore che ha smesso di battere, e una leggera rientranza delle costole che si sono rotte nell’impatto, frantumandosi.
«Eri tu?» domanda Hermione, sottovoce. «Tu… quella sera, io mi ricordo di averti visto, prima dell’impatto. Avevi i capelli rossi?».
Fred ride, in un rumore raschiato e innaturale, mentre mette a posto la propria maglia e riprende il mano il mazzo di rose, rischiando di pungersi con quelle spine spettrali.
«Sono morto con queste in mano» ride, indicandole. «Quindi mi toccherà portarmele dietro finché non la troverò».
Sospira, ma si vede che è arrabbiato. «Li stavo portando alla mia ragazza. Ha poco più di vent’anni, non so nemmeno quanto l’avrà ferita, sapermi morto» mormora. «Si chiama Asteria, come quel ristorante greco in Green Lanes1».
Lo dice con una dolcezza che fa sorridere.
«Aspetto che venga qui, io so che è lei» continua. «La sto aspettando».
Hermione sorride, non ha il coraggio di dirgli che s’è appena illuminato d’oro come un tramonto.
 
***
 
Sta morendo.
È quel che significa l’incontro con l’anima gemella, che stai morendo: Hermione non sa quando e in che modo le si fermerà il cuore – attualmente perfettamente in salute – ma sa che accadrà, è inevitabile. E non gli ha nemmeno detto di essere lei e che, quando esalerà l’ultimo respiro, anche lui sparirà, diretto in chissà quale non luogo che dovranno sperimentare insieme.
Fred è ancora lì, in quella sala d’attesa ad aspettare una fidanzata che sicuramente lo starà piangendo, sotto un mare di coperte spiegazzate, che forse lo starà persino cercando. Senza sapere che non sono destinati ad appartenersi.
Hermione lo sa, che Fred rimane giorno e notte in quella sala d’attesa, aspettando la sua piccola porzione di miracolo. Che non avrà. Così, una sera, zoppica con le stampelle – che finalmente le hanno concesso di usare – fin lì. Lui la sta aspettando, ed è in lacrime.
«Sei tu, non è vero?» le chiede, pianissimo, tormentandosi i capelli un tempo rossi. «Per questo sei venuta a parlarmi. Tu sei lei».
Hermione annuisce, disorientata. «Mi dispiace» riesce a mormorare. «So cosa vuol dire pensare di amare un’altra persona».
Anche lei ha una casa, riflette, un fidanzato che vive in America e con cui vorrebbe costruire una famiglia: eppure, è costretta a lasciare tutto questo per una stupida legge universale, che le fa sapere che deve morire. Tutti lo devono fare, ma morire a nemmeno trent’anni, in nome di un amore mai colto, mai sperimentato, che vita è?
«Io non la penso così» s’impunta Fred, ostinato. «Io l’amo per davvero e non m’importa se tu sei lei, io l’aspetterò finché non verrà a prendermi».
Hermione sospira, ma non dice niente: la comprende, quella cupa ostinazione, anche lei vorrebbe essere attaccata a Ron in quel modo – ma in lei predomina anche una dolorosa rassegnazione, che le fa dire morirò, ormai che altro potrei fare.
«E adesso dovremo andar via» sussurra Fred, ha un sorriso ironico sul volto. «Fa quasi ridere, non è vero?».
Lei sospira, ma non dice niente, di fronte a tanta rabbia sterile, amara, che gli corrompe il volto, in maniera innaturale. Non sembra una persona abituata alla rabbia, ma con un sorriso perenne inciso sulla bocca, che adesso s’è perso in una strada priva di inizio o fine, che dovranno percorrere insieme. Anche se lui non vorrebbe.
«Mi dispiace» sussurra Hermione, sfiorandogli le dita spettrali – e riuscendo a toccarle. «Avresti potuto avere il tuo lieto fine, sarebbe stato bello».
Lui ride, in un suono rancoroso e raschiato. «Certo che lo sarebbe stato» non riesce a sopprimere un sorriso che spontaneamente gli nasce sulle labbra. «Non conosco niente, di te».
Lei prede il mazzo di fiori, toccando quelle rose ancora belle, immortali, con la punta delle dita e pungendosi con quelle spine spettrali.
«Mi chiamo Hermione Granger» risponde, piano. «Ho ventotto anni, mi sto specializzando in neurochirurgia».
«Questo non m’interessa» la interrompe Fred, contrariato. «Voglio sapere qualcosa di te. Almeno posso morire sapendo che non dovrò amare una sconosciuta».
Lei sospira. «Ho un fidanzato, si chiama Ron» prosegue. «Non ha un lavoro, fa il musicista in una band che sta girando il mondo».
Fred ride, nell’osservare la sua espressione contrariata. «E a te questa cosa della band non va a genio» commenta. «Si vede lontano un miglio, che avresti voluto trovargli un lavoro serio e rispettabile, sposarlo e avere due bambini perfettamente educati e adorabili».
Lei spalanca la bocca: le ha raccolto i desideri e i sogni più nascosti dentro di sé come fossero fiori di campo, ne ha accarezzato lo stelo e li ha strappati con una semplice flessione delle dita. E, adesso, si rigira tutto – pensieri, desideri, sogni – tra le dita macchiate di linfa, e li guarda con una comprensione spiazzante.
«Mi sarebbe piaciuto» ammette, infine. «Avere una casa insieme, e non un appartamento sopra un ristorante cinese, magari un bel giardino e nel weekend…».
«Avreste portato i bambini al parco o a pranzo dai nonni» completa Fred, con un vistoso sbadiglio. «Capisco perché abbia scelto la band, alla moglie perfetta con una famiglia da copertina».
«E tu, invece?» domanda Hermione, irritata. «Cosa facevi?».
«Spettacoli di stand-up comedy» risponde lo spettro, con un sorriso malinconico. «Facevo ridere tutti quanti ma, soprattutto, facevo ridere lei».
A Hermione si stringe il cuore, di fronte a quella confessione. «Dovevi amarla molto» pigola, incerta. «Se l’hai aspettata qui per giorni, senza parlare con nessuno prima di me».
«Era buffa, con la fossetta sul mento e tutto il resto» commenta Fred, perso nei propri pensieri. «Era scappata di casa, da un matrimonio perfetto, con marito perfetto e figlio perfetto come avresti voluto tu. E aveva solamente ventiquattro anni, sai?».
Hermione sente una fitta strana, al petto, nel sentirlo parlare con così tanta devozione della sua fidanzata.
«Era bella?» domanda, con un filo di astio che non riesce a spiegarsi.
Lui annuisce. «Se vuoi, posso mostrartela» commenta, tendendole la mano. «Ho scoperto che posso proiettare i miei ricordi».
Hermione lo sfiora, e vede una folla scossa dalle risate per delle battute che sente a stento: tutta l’attenzione di Fred, infatti, persino nel ricordo è catalizzata su una giovane donna seduta a un tavolino, in primissima fila. Ha i capelli di un castano morbido, delicato, raccolti in una treccia un po’ sfatta – ha persino i vestiti stirati male, spiegazzati, che celano un corpo esile come un tratto di matita.
Hermione, guardandola, si ritrova a pensare – contaminata dai pensieri di Fred – che abbia una risata deliziosa, con i denti candidi e la fossetta sul mento e tutto il resto. Quando apre gli occhi, è una marina, sono d’un azzurro indicibilmente tempestoso che non le lascia scampo, costringendola a sbattere gli occhi.
Poi, il ricordo scompare e Fred è ancora più mogio, sebbene sorrida ripensando a quel volto familiare.
«Saremmo andati a Parigi, se non fossi… beh, se non fossi morto» mormora Fred, cercando di sembrare allegro. «Era il suo sogno, spero… che troverà qualcuno con cui andarci».
«Tu a Parigi?» domanda Hermione, provando a immaginarselo. «Tra quelle stradine, la Senna… non so se ti sarebbe piaciuto».
Lui ride. «Sarei dovuto sopravvivere al nostro incidente» sussurra. «T’immagini le cicatrici?».
Adesso le ha sul cuore, ma Hermione non riesce a farglielo notare.
«Credimi» sussurra, invece. «Prima o poi passerà».
 
***
 
«Perché ti stai truccando?» le domanda la mattina dopo, vedendola armeggiare con mascara e fondotinta, sullo schermo del cellulare. «Ci sono solo io, qui».
Lei sorride, ha le labbra impiastricciate di un terribile gloss rosato, che la fa ritornare indietro a un’adolescenza con il viso ben nascosto tra le pagine dei libri.
«Lo so» risponde, semplicemente. «Forse non posso essere bella come lei, ma faccio del mio meglio».
Lui sospira, come fosse esausto. «Non devi farlo per me» mormora. «Io ti trovo carina anche senza tutta quella roba in faccia».
Hermione ride, facendogli pensare che è così che è più bella: con il sorriso in volto e quella rassegnata quiete che le addolcisce l’anima, smussandola di tutti quegli spigoli usciti dall’incidente. Non c’è più rancore, in lei – anche se ricorda continuamente che sta per morire – ma solamente una tiepida accettazione della realtà.
«Davvero?» domanda. «Asteria era ben truccata, nei tuoi ricordi».
Lui ride. «Oh, sì» confessa. «Era la sua passione, lavorava per divenire truccatrice di teatro. Non devi sentirti in competizione con lei, a quanto pare sono obbligato ad amare anche te».
«Puoi davvero amare due persone?» domanda, laconicamente, dando voce al dubbio che la dilania dalla sera precedente. «Non… io amo Ron, ma è come se qualcosa l’avesse cancellato».
Come un colpo di spugna, persino i bei ricordi sono svaniti, e lei si sente come se non desiderasse più quella casa, quella famiglia che tanto aveva sognato. Adesso c’è un’esistenza spettrale che le tiene compagnia, cullando sogni e veglia, cancellandone i desideri passati: dovrà morire, ma cos’è quel senso di pace che lentamente l’avvolge?
Fred sospira, sfiorandone la fronte e accarezzandone i pensieri con quella mano inconsistente, freddissima. «Puoi amare due persone» risponde, scrollando le spalle. «Amo il passato, amo il presente. Non abbiamo un futuro, né nel presente né nel passato, quindi che cosa importa?».
«Immagino non importi niente» commenta Hermione, suo malgrado. «Nemmeno il fatto che sei la mia anima gemella riuscirà a fartela dimenticare, non è vero?».
Lui affila lo sguardo, mascherandolo con un sorriso bonario. «Mai» conferma, semplicemente. «Ma penso di poter amare anche te, se t’impegni».
Le strizza l’occhio, strappandole un sorriso.
«Oggi mi faranno uscire di qui» commenta, cambiando argomento. «Ci sarebbe un posto dove ti piacerebbe andare?».
«Parigi» risponde immediatamente Fred, senza un secondo di esitazione. «Potremmo andare insieme».
Non le dice la verità fondamentale, ovvero che non è possibile che lei riesca a essere dimessa da quell’ospedale. Ma sognare è gratuito, e allora che sognino in quel conto alla rovescia che li separa dalla cancellazione della loro impronta dalla terra.
T’immagini le cicatrici? Forse saranno simili alle vie di Parigi, forse alla Senna, ma comunque non vedrà mai niente di tutto questo – ed Hermione non conoscerà mai quelle cicatrici, così come lui non vedrà mai quelle di lei.
«Mi piacerebbe» mormora lei, guardando fuori dalla finestra. Forse, lo sa anche lei. «Farà caldo, dovrò mettere una gonna e…».
S’indica la gamba ancora fasciata, sorridendo leggermente: somiglierà al Tamigi, la sua, alle strade di Londra?
Fred la sfiora, con quelle mani freddissime, causandole un brivido lungo la colonna vertebrale. Sorride, sinceramente, prima di dar voce a un pensiero comune.
«T’immagini le cicatrici?» domanda lei, anticipandolo. «Sarei ridicola, io… non penso mi piacerebbe, guardarla».
«A me sì» risponde lui. «Perché vorrebbe dire che siamo sopravvissuti un altro giorno, quindi potremmo ringraziare qualcuno che sta lassù».
Hermione ricambia il sorriso – e silenziosamente anche quella frase – sfiorandosi la ferita e ritrovandosi la mano sporca di sangue e pus. Ha visto l’infermiera scuotere il capo, durante la medicazione mattutina, e sia lei che Fred hanno sentito il sangue congelarsi nelle vene.
Si tocca il volto, scoprendolo accaldato.
«Fred» lo chiama, ha gli occhi sporchi di pianto. «Tu pensi che io… secondo te sto morendo?».
Lui è seduto sulla sponda del letto, e le sfiora il viso con una mano, cercando di rinfrescarlo e ha la gola bloccata su una risposta silenziosamente affermativa. Ma non possono bruciare anche i sogni, e le speranze.
«Ti terranno qui» mormora. «Io sono sicuro che riusciranno a fare qualcosa e, allora, vedremo Parigi per davvero».
E te le immagini, quelle cicatrici? Nel cuore ferito di lui, che la dimenticanza lentamente spolpa e dilania, nella mente di lei che s’accorge come si sia già insensatamente attaccata a lui.
Lei se le immagina, le cicatrici, le sente pulsare sulla sua gamba, dilaniandola. Sente a stento i medici che parlano sopra la sua testa – amputiamo, non amputiamo. Se non amputiamo morirà. Fissa la sala otto immediatamente, è un’emergenza – e Fred che mormora qualcosa, cullandone i sogni.
Perché sono sogni, non è vero?
«Insieme» sussurra Fred, chinandosi su di lei. Le sfiora la fronte con le labbra, scoprendola bollente. «A Parigi2».
Hermione ride, ma ha perso il controllo persino sul proprio viso, e ne risulta una contrattura innaturale e dolorosa.
Insieme, a Parigi: t’immagini le cicatrici?
Lei non riesce a pensare, sente solamente Fred che si china su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie, in un contatto che si perde in un mare d’oblio.
«Insieme» riesce a ripetere, ma le parole suonano incomprensibili, e nessuno dà segno di udirle. «A Parigi».
Lui annuisce, cercando di sorridere: è seduto su un letto che si muove, come una zattera in mezzo all’oceano – no, alla Senna – e a lei viene il mal di mare.
Uscendo dalla camera, si rende conto che Fred ha dimenticato sul pavimento il mazzo di rose, che lentamente ha cominciato a sfiorire.
 
***
 
Che vuoi che sia
Ti trucchi un'altra volta
Andiamo via
Il cielo in questa stanza sembri te
Non vedi che va meglio qui con me
Mi prenderò io cura di te
(…)
E poi passati un po' di giorni lo rividi ancora
Sai, qualche volta il tempo passa
E porta via una storia
Lasciando solo quella stanza vuota
E a terra qualche petalo caduto da una rosa
 
 
«Sei sveglia?» la voce di Fred suona stupita, nel vederla aprire gli occhi. «Hermione, sei ancora viva».
Lei si alza di scatto, così velocemente da farsi girare la testa, e si guarda attorno: la stanza è ancora dolorosamente bianca, ma lei riesce a vederla, a sentire la federa del cuscino, a raggiungere la propria borsa su una sedia lì vicino.
E ha ancora braccia e gambe, è dolorosamente viva: qualunque cosa abbiano fatto, è stato un miracolo – ci andranno per davvero, a Parigi, con più cicatrici del previsto, ma passeggeranno sulla Senna e penseranno che è meno bella del Tamigi. O forse no, sarà più bella, ma saranno troppo impegnati a guardarsi per accorgersene.
«Mio Dio» sussurra, sfiorandosi le braccia. «Pensavo che sarebbe finita, Fred. Invece siamo ancora qui, come… come è possibile?».
Lui sorride. «Hanno fatto un miracolo» risponde, sfiorandole la fronte con la propria. «Sono riusciti a tenerti qui».
Lei ride, come non riuscisse a crederci, e infatti quasi non ci crede: vedranno Parigi, insieme, e vivranno. Non è vero che le anime gemelle devono sparire per forza dalla terra, senza lasciare impronta del loro passaggio, loro possono ancora vivere per altri giorni.
«Solo…» Fred abbassa lo sguardo, con fare comprensivo. «Mi dispiace per la tua gamba. Era solo una gamba, ma… beh, mi piaceva parecchio».
Hermione si china in avanti, scostando di stacco il lenzuolo. Un urlo le lacera la trachea, bruciandola.
 
***
 
Niente più cicatrici, non c’è più posto per loro. Le ha odiate così tanto che, adesso, quasi le rimpiange e, in un certo senso, le sente ancora incidere una pelle tagliata via, deformare un muscolo asportato e un osso segato in frammenti minuscoli.
Fred continua a fare battute sulle persone con una gamba sola, cercando di farla ridere, ma lei non riesce nemmeno ad ascoltarlo: continua a cercare di muovere la gamba sinistra – lei la sente – ma il lenzuolo rimane sempre lì, piatto e immobile.
Vorrebbe strapparsi a mani nude, a questo punto, pur di non dover sentire quel crampo a una gamba che non esiste, quel dolore pulsante di una cicatrice tagliata via. A che servirà andare a Parigi, in quello stato?
No, lei non se le immagina più, le cicatrici. Non vede più le strade di Parigi, la Senna, se sarà bella o no quanto il Tamigi.
«Ho rinunciato a lei, per te» la voce di Fred buca i suoi pensieri, morbida e piena di rimpianto. «Potresti almeno combattere».
Lei ci prova, lo giura, certo che ci sta provando: ma le sembra di scivolar via come acqua di scolo e non riuscire a fare niente per impedirlo. Forse è annegata nella Senna o nel Tamigi, mentre una mappa di nuove cicatrici le si disegna nel cuore – e Fred non riesce a tirarla via da lì, nemmeno gridando, nemmeno pestando i piedi.
«Hermione!» la chiama, urlando, cercando di scuoterla. «Ti prego, svegliati. Non puoi continuare a lasciarti scivolare via».
Lei si lascia sfuggire un sospiro, che è doloroso tenere nei polmoni, ma non riesce a dire una parola. Fred le prende la mano, cercando di riscaldarla – ma è fredda quella mano, quindi cosa potrebbe riscaldare? – e di costringerla a ritornare sulla terra, in qualche modo. Ma Hermione tace e ingoia singhiozzi, lacrime silenziose le scivolano sulle gote, sporcandole, sfregiandole: t’immagini le cicatrici?
«Hermione» ripete, scuotendola. «Torna da me, per favore. Dobbiamo andare insieme a Parigi, ricordi?»
«Insieme» sussurra lei. «A Parigi».
Ma sono sogni ingenui, ormai, lontani: non ci crede nemmeno più, come potrebbe credere a qualcosa di così dolce, smussato, rispetto a quella realtà affilata come un coccio di vetro?
«Esatto» risponde Fred, prendendole la mano. «Quindi scuotiti, Hermione, svegliati».
Hermione spalanca gli occhi, perplessa. «Svegliati?» domanda. «Che vuol dire, svegliati?».
Si guarda attorno, vede tutto bianco – e sogna le rose, ormai appassite, ancora abbandonate sul pavimento.
 
***
 
Quando si sveglia, la sua gamba è ancora lì, e Fred sta sfogliando una rosa con aria distratta, seduto su una poltroncina rossa.
«Hai ancora la febbre» commenta, atono. Sembra che anche lui abbia cominciato a sfiorire, come il fiore che gli sta lentamente morendo tra le mani. «Hai urlato qualcosa sulla tua gamba e… beh, su Parigi».
Hermione sospira, stremata: sono ancora lì, quelle cicatrici che non sono immaginazione né cieca speranza, ma realtà tangibile e dolorosamente infettata che le piagano la gamba e la mente, facendola contrarre per il dolore.
«Sai, è passata un’infermiera» Fred ha il volto contratto di dolore. «Ha detto che non possono fare niente, è il protocollo. Perché tu mi hai visto».
Perché anima gemella significa morte, in questa vita, e rinascita: Hermione l’ha sempre saputo che, nel momento esatto in cui Fred s’era illuminato dello splendore di un sole morente, allora, le sarebbero rimasti sempre meno respiri da esalare, pensieri da formulare e cieli rosati da vedere. Guardando il soffitto se lo immagina rossosangue, il cielo sopra di lei, a osservarla mentre il fiato diviene sempre più corto e la febbre comincia a masticarla dalle gambe al cervello, che ribolle nella scatola cranica.
«Lo sapevo» sussurra Hermione, sorridendo, ma anche sorridere è uno sforzo che le drena via ogni energia. «Sono le regole, Fred».
Perché amare è morte, in questa vita, ma anche rinascita: forse non ci sarà una seconda Parigi nel mondo dei morti ma, se dovesse esistere qualcosa del genere, ci andranno insieme.
E te le immagini, le cicatrici? Forse rimarranno addosso anche a lei, in quella seconda vita o seconda morte che li aspetta, per divorarli, forse il Tamigi o la Senna scorreranno placidamente anche lì sotto.
«Non è giusto» mormora Fred, con aria stanca. «A cosa serve, ritrovarti, se non possiamo avere nemmeno un po’ di tempo insieme?».
Ritrovarsi, ha detto, e non trovarsi: perché è una ricerca cieca, sorda e persino muta, in cui ogni passo è compiuto nell’errore e nella sciocca certezza che la persona che scegliamo di metterci accanto sia quella giusta. In questo momento, Asteria Greengrass piange in un letto dalle coperte sfatte e macchiate di fondotinta e mascara, ma Fred pare essersene dimenticato: o, forse, è solamente una minuscola incrinatura del suo cuore, un fastidio minimo in una valle di sterminato dolore – se ne ricorderà ancora, o ha già dimenticato?
«Ma saremo insieme anche » sussurra Hermione, facendogli segno di avvicinarsi. «Forse, le anime gemelle sono semplicemente troppo per il mondo, e deve mandarle in un altro posto».
Fred ride, ma è una risata secca, amara, che gli deforma il volto come l’ennesima incrinatura. «Solo perché pensi che esista un paradiso» commenta, sfiorandole la fronte con la punta delle dita. «Ma che senso avrebbe, crederci, è solamente l’ennesima storia inventata3».
Lei sorride, a fatica, e un brivido la scuote, costringendola a stringersi maggiormente in quella coperta che ormai le sembra leggera come carta velina.
«Pensavi che lo fossero anche le regole sulle anime gemelle» sussurra, socchiudendo gli occhi. «Ma cosa rimane, di inventato, in questo mondo?».
Fred pensa che lo vorrebbe tanto, che fossero tutte storie campate in aria e nulla di più: che possano prendersi per mano e andare a Parigi, o anche solamente attraversare il London Bridge con il Tamigi che rumoreggia lì sotto, chi lo sa, andare dove portano i piedi e niente di più. Sarebbe bello, si dice, ma non sarà permesso – perché è duro e crudele, questo mondo, duro e affilato come un respiro che squarcia i polmoni – a nessuno, nemmeno a loro. Ha visto persone sparire, nella sala d’aspetto dell’ospedale, forse s’erano illuminate d’oro e, pochi giorni dopo, scomparivano in un turbine di lacrime e speranze infrante: anziani, bambini, adolescenti e persino qualche suo coetaneo. Tutti spariti senza una spiegazione e senza un perché, in giorni che profumavano di rose un po’ appassite.
«Il paradiso» risponde, piano. «Sei sciocca, se pensi in un lieto fine, in questo mondo».
Lei sorride, ma scuote il capo con lentezza dolorosa. «Io ci credo» sussurra. «Che ci manderanno insieme da qualche parte. E forse non sarà Parigi, ma sarai con me e allora cosa importa?».
Hermione sospira, come se avesse difficoltà a respirare, e tossisce leggermente, coprendosi il volto con una mano.
«E forse farà caldo, dovrò mettere dei vestiti più leggeri» s’indica una gamba, divertita. «E t’immagini le cicatrici?».
Lui pensa che potranno essercene così tante da deformarla, ma sarebbero comunque meno dolorose di quel senso d’incertezza che lo dilania, che gli mastica l’anima frammentandola e rendendola l’ennesimo bolo disgustoso e inutile che potrebbe dover mandare giù, cercando di non farsi soffocare da esso.
«Non voglio immaginarmele» sussurra Fred, con quel suo sorriso amaro. «Preferirei vederle, Hermione. Preferirei portarti a Parigi, presentarti mio fratello George, mia madre, la mia famiglia».
Lei sta piangendo ma a stento se ne rende conto, in un fiume di lacrime che le annebbia sguardo e cuore, di fronte a quelle parole: non riesce a dirglielo ma, illuminato dalla luce del sole in caduta libera, i capelli di Fred sembrano nuovamente indicibilmente rossi.
«E avere una casa nostra» continua lui, con la voce incrinata. «E perché no, dei bambini che sarebbero educatissimi con te, per poi fare scherzi ai figli dei vicini appena volterai l’occhio. E faranno i compiti e mangeranno le verdure, ma tu non ti accorgerai che le nascondono in tasca per buttarle nel gabinetto, dopo cena».
Lei ride, ma ormai è dolorosa anche quell’azione, sembra che potrebbe spezzarle le costole e perforarle un polmone, lasciandola agonizzante su quel letto. Andrebbe bene, se non fosse che Fred la sta guardando con una tale speranza che, morire in quel momento, sarebbe solamente l’ennesima ferita che potrebbe infliggergli.
«E tu passerai le giornate a far loro prediche sulla responsabilità e l’educazione» mormora Fred, con disarmante dolcezza. «E loro un po’ ti odieranno, ma sarai sempre la loro preferita, perché sarai la loro mamma».
Sospira, tornando a sedersi sulla poltroncina, riprendendo il mazzo di fiori e posandoselo sulle ginocchia.
«Te lo chiedo per tutto questo, Hermione» le dice Fred, disperato. «Combatti. Non ti aiuterà nessuno, ma devi riuscire a sopravvivere, in qualche modo».
«Mi si è infettata la ferita, Fred» risponde lei, a fatica. «Non ho nemmeno bisogno di vederla, ho la febbre e… mi fa male, da morire. Senza i medici non potrò resistere chissà quanto, avrebbero dovuto… curarmi, o amputare».
E te le immagini, allora, le cicatrici?
«Ti prego» mormora lui, tenendosi la testa tra le mani. «Mi sento scivolare via anche io, insieme a te, e non posso combattere per tutti e due».
Lei lo guarda: è pallido, per quanto sia possibile notarlo in uno spettro, e una macchia più scura s’allarga sui pantaloni – è sangue, pus? – come una ferita invisibile, una cicatrice che si riapre. Ma non è suo, quello squarcio, ed Hermione lo avverte con terribile chiarezza. È suo.
C’è una connessione profondissima, tra le anime gemelle e, a quanto pare, risiede anche nel condividere i dolori: una lacrima silenziosa le sfiora il viso, sporcandolo e, se guardasse in basso, s’accorgerebbe che le tremano le mani.
«Mi dispiace» sussurra. «Non pensavo ti avrebbe fatto male».
Fred scuote il capo, inquieto. «Sono io che devo prendermi cura di te» risponde, atono. «Non il contrario e poi… non fa nemmeno così male, sai?».
È solamente un’altra ferita nel nostro cielo, pensa lei, mentre il sole cede alla luna la propria resa: a cosa servirà, resistere un giorno ancora, se la promessa di un paradiso rimane sempre più invitante di una giornata in più piena di dolore?
Fred torna a sedersi sulla sponda del letto, ma non le chiede più di resistere: ha capito anche lui che se ne sta andando, e non può trattenerla.
«Cosa vedi?» le chiede, con curiosità, vedendola chiudere gli occhi. «Perché intravedi qualcosa, non è vero?».
Hermione sospira, scossa dai brividi: non riesce più ad aprire gli occhi, ma il sorriso di Fred l’ha scolpito in mente, incancellabile. Eppure, quando si guarda attorno vede solamente…
«Bianco» sussurra, sconfitta. «Vedo solo bianco».
E, in un angolo della sua mente, vede ancora il mazzo di rose di Fred: è totalmente appassito e puzza di marcio.
 
***
 
È di nuovo truccata, indossa una gonna scozzese lunga fino al ginocchio, che viene smossa e sollevata dal vento.
Fred ha una semplice camicia bianca e un rigoglioso mazzo di fiori in mano, mentre s’avvia con lei verso un biancore abbagliante e tiepido, che potrebbe sciogliere le ossa.
Le prende la mano, cominciando a camminare, prima di ridere e indicarle la gamba.
«Adesso te le immagini, le cicatrici?».
Ogni cosa è sparita.
 
***
 
Io che non credo al paradiso
Né a storie inventate
Ma di una cosa sono certo
E un po' mi dà conforto
Che due persone non si possono dividere
Finché esisterà il ricordo
(Irama – Che vuoi che sia)

 

Io questa storia mi ero rifiutata di scriverla, e invece. Invece come vedo una sfida mi ci lancio di testa, fregandomene di quel briciolo di dignità che avrei tanto voluto preservare, e invece nope.
Questa storia nasce dal Gioco di scrittura indetto dal Gruppo FB Caffé e calderotti, con la traccia: Soulmate!AU 2/4 (Hermione/Fred), che immediatamente mi ha intrigata, anche se sinceramente è la prima volta che scrivo una Soulmate!AU e quindi spero di non aver scritto troppe idiozie. Inoltre ringrazio Sia_ per la pressione psicologica, altrimenti col cavolo che scrivevo questa storia.
Non ho molto altro da dire, se non che la storia è ovviamente ambientata a Londra e che qui Fred e Ron non sono fratelli, quindi vi lascio alle citazioni:

1Il ristorante esiste per davvero, cercare su GoogleMaps per credere.
2Dal cartone animato Anastasia.
3Sempre dalla canzone di Irama.

Questo è tutto, grazie per avermi letta.
Gaia

 
   
 
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