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Autore: Child_of_the_Moon    27/10/2020    3 recensioni
"Si sfogarono, piansero, maledirono quel mondo che li aveva torturati, sfiancati, distrutti e trovarono conforto l'uno nelle braccia dell'altro, si cullarono vicendevolmente cantando la loro voglia di volare via, battere le proprie ali e fuggire da quella gabbia troppo stretta per due anime libere come le loro, che avevano solo bisogno di essere loro stesse, dimostrare quanto impenetrabile potesse essere la loro fortezza e dimenticare tutto il dolore che avevano sobbarcato in quegli anni, rischiando di perdersi e andare alla deriva come navi in cui si è aperta una falla, più incapaci di muoversi e raggiungere la terraferma."
Un legame che nasce tra le difficoltà della vita, si rafforza, muta e diventa amore. Si cerca un nido, ma non si riesce a trovare. L'amore a volte può finire ed è necessario volare via.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volare Via


I loro sguardi si erano incrociati fugacemente, come il battito d'ali di un passero in volo in cerca di riparo nel suo confortevole nido, nella grondaia di quella casa laggiù, con il tetto spiovente e le tegole ormai scolorite e bagnate dalla pioggia. Non si aspettava di incontrarla proprio lì, in quel viale stretto e così dannatamente indistinguibile dagli altri viali della città. Monotono e identico a tanti altri, per gli abitanti del paese era solo una stradina di intersezione tra le vie del centro. Ma per lui, anzi per loro, era stata l'unica strada percorribile in quella città dalle dubbie linee, dove mostruose ombre prendevano vita ai margini dei percorsi asfaltati, un luogo dove non esisteva spazio, non esisteva tempo, non esisteva materia, non esisteva pericolo. Esisteva solo nelle pareti della loro immaginazione, quel deserto e piccolo vicolo era il loro ricco e grande nido.

Si erano conosciuti per la prima volta diverso tempo addietro, più precisamente sei anni, su internet, in un forum dedicato ai videogiochi. Era una grande passione di entrambi, amore cieco per un media che guardavano con occhi diversi dalle masse, più innamorati, più affascinati, più profondi. Gli altri adolescenti alla loro età giocavano sì, ma non andavano oltre i titoli più blasonati, non riuscivano a immergersi come loro due nelle trame tessute con minuzia dagli sviluppatori, costruendo castelli di ipotesi e teorie ad ogni minimo dettaglio circa la narrazione, insomma, per gli altri era un passatempo come un altro, un trastullo con il quale svagarsi negli attimi di noia o pausa dallo studio, ma per loro no.
Era stato molto semplice avvicinarsi e legarsi in modo sempre più affiatato, nonostante entrambi avessero un nome fittizio e nessuno dei due aveva la più pallida idea di come era fatto l'altro. Era un gioco alla fine dei conti, nessuno dei due vedeva nulla di sbagliato nell'avere qualche amico online, ormai era la normalità interagire tramite la rete, quindi perché farsi dei problemi? Dopotutto lei amava disegnare e lui programmare: sarebbero stati un team creativo perfetto, in futuro.
Le conversazioni sul forum erano sempre più lunghe, più ricche di argomenti, ma soprattutto più frequenti. Ogni giorno, prima e dopo scuola, fino al mattino successivo, i due trascorrevano le loro giornate a discorrere su ogni argomento inerente quel mondo immenso tanto adorato, ed entrambi perdevano la cognizione del tempo ogni secondo che passava, ogni granello che scendeva dalla clessidra era una parte di loro che veniva trasportata via dalle loro case, come vento tra le dune della sabbia dorata, e li lasciava in uno spazio aperto, sconfinato, a metà fra il sogno e la veglia, una stanza dalle pareti completamente bianche dove nessuna legge fisica o chimica governava su di essa e dove parlavano, parlavano di tutto ciò di cui era possibile parlare, senza mai esaurire le proprie energie, un posto sicuro dove tornare ogni qualvolta mancava la stabilità, ogni qualvolta la tristezza prendeva il sopravvento. Un nido.

Un nido che ormai non trovavano più confortevole nel forum che avevano sistemato con i loro rametti, adattandolo alle loro esigenze, che ormai erano mutate: avevano bisogno di qualcosa di più... intimo. Si scambiarono i numeri di telefono e gli indirizzi di posta elettronica e iniziarono così a costruire per loro una nuova casa.
Era molto più piacevole stare da soli senza che nessuno potesse leggere le loro opinioni ed esperienze, entrambi non sopportavano i troll e i leoni da tastiera, per cui evitarli era sempre una scelta saggia e i loro flussi creativi ne avrebbero risentito se fossero stati intercettati da una di queste persone che insultavano e infastidivano gli altri utenti di proposito, pena il ban dalla piattaforma.

Era passato circa un anno da quando le loro strade si erano incrociate casualmente in quel giorno di primavera e ormai sembrava che i videogiochi non fossero l'unica risorsa con la quale sostenere i loro messaggi e le loro lunghissime chiacchierate. La maturazione del loro rapporto li aveva portati a fidarsi reciprocamente l'una dell'altro ed entrambi erano una colonna portante per la vita dell'altro, sentivano di dover avvicinarsi ancora, comprendersi maggiormente. Si scambiarono confidenze, segreti ed esperienze.

Lei soffriva di bullismo a scuola. I compagni di classe la schernivano continuamente per il suo aspetto: non era particolarmente carina, era molto magra, addirittura sottopeso per la sua età e gli abiti che portava le cadevano male, non le stavano.
 Per questo ridevano.
La sua famiglia non era particolarmente ricca, era benestante, certo, ma non poteva permettersi una cena al ristorante più di una volta ogni due o tre mesi, al contrario dei compagni che invece potevano comprare indumenti costosi ogni settimana e ai quali ogni anno veniva regalato l'ultimo cellulare top di gamma, appena uscito.
Per questo le dicevano che era povera.
Era una ragazzina gracile e non particolarmente sviluppata, non portava ancora il reggiseno e le sue forme erano solo vagamente pronunciate, il più delle volte coperte dai vestiti larghi abbastanza da nascondere il suo minuscolo seno e le sue natiche asciutte.
Per questo le dicevano che non era una donna.
Passava le giornate chiusa in casa a leggere, disegnare o giocare a quei pochi giochi che si poteva permettere, se non fosse stato per gli emulatori scaricati sul suo computer con i quali recuperare i giochi un po' più vintage, mentre gli altri si godevano la loro fase di ribellione adolescenziale, trascorrevano il loro tempo fuori casa, a fumare qualcosa in compagnia e magari combinare qualche bravata da ragazzo.
Per questo le dicevano che era "sfigata".

Lui soffriva di bullismo a scuola. I compagni di classe lo schernivano per il suo aspetto: non era particolarmente alto, i suoi occhi erano asimmetrici: quello a destra era un po' più grande di quello a sinistra, che era più stretto e ciò gli conferiva un aspetto un po' diverso.
Per questo ridevano.
La sua famiglia era benestante, ma lui era una persona semplice, non gli interessava assolutamente apparire, per cui si vestiva con abiti presi da negozi dell'usato o con marche non particolarmente note. Non aveva orologi d'oro al polso, solo un vecchio orologio del padre, con il cinturino d'acciaio cromato.
Per questo gli dicevano che era povero.
Era un ragazzino gracile e non molto sviluppato. Non aveva muscoli, né pettorali scolpiti da mostrare. Non gli erano ancora cresciuti peli facciali e la sua voce risultava solo poco più grave rispetto a qualche anno prima, ma soprattutto non aveva mai avuto una ragazza.
Per questo gli dicevano che non era un uomo.
Passava le giornate a studiare o giocare alla sua libreria di titoli abbastanza stipata sulla mensola appesa al muro della sua camera. Qualche volta usciva con qualche conoscente, ma alla fine veniva invitato solo perché gli altri avessero un giullare nel gruppo da prendere in giro.
Per questo gli dicevano che era "sfigato".

Si sfogarono, piansero, maledirono quel mondo che li aveva torturati, sfiancati, distrutti e trovarono conforto l'uno nelle braccia dell'altro, si cullarono vicendevolmente cantando la loro voglia di volare via, battere le proprie ali e fuggire da quella gabbia troppo stretta per due anime libere come le loro, che avevano solo bisogno di essere loro stesse, dimostrare quanto impenetrabile potesse essere la loro fortezza e dimenticare tutto il dolore che avevano sobbarcato in quegli anni, rischiando di perdersi e andare alla deriva come navi in cui si è aperta una falla, più incapaci di muoversi e raggiungere la terraferma.
Sovvenne alla mente di entrambi allora chiedersi dove si trovasse il luogo che faceva così tanto soffrire l'altro, per poi ingenuamente scoprire di trovarsi in due città, due spirali, poco distanti tra loro, nella stessa regione e addirittura nella stessa provincia. Una spirale di luce avvolta attorno a una spirale di tenebre.
Decisero di incontrarsi, stavolta di persona. Forse era una follia, ma la follia li aveva guidati fin lì e ora dovevano andare fino in fondo.
Spiegarono le ali.

Era passato un altro anno e in quel nostalgico settembre, per la prima volta gli occhi di lei incontrarono quelli di lui sotto la grande quercia del parco del paese di lei. Si sorrisero timidamente, si salutarono con parole sommesse, tanta era l'emozione che stringeva dei nodi attorno alle loro gole, tali da non permettere il passaggio dell'aria che cercava di concretizzarsi in parola, uscendo dalle loro bocche con suoni strozzati.
Si amarono.
Si amarono i loro occhi che si incontravano, fuggivano e poi si incontravano di nuovo.
Si amarono le loro mani che distanti e aggrovigliate dal nervosismo, sciolsero le dita e lentamente si unirono.
Si amarono i loro passi che ritmicamente si susseguivano mentre camminavano lungo le strade, completando i momenti di silenzio dell'uno, con il frusciare dei tacchi sulle foglie secche dell'altra.

Li stava seguendo un'ombra.
Una seconda, una terza.
Pian piano molte ombre si aggiunsero all'inseguimento.
Proprio non sopportavano di vedere quella brutta nana e il suo amichetto felici e contenti lungo le strade.
Lei non poteva essere felice, come si permetteva di desiderare qualcosa che a lei non era stato concesso?
Non erano certo loro a dirle che non poteva, giusto?
Era perché era brutta, piatta e sfigata. Era la società a dirlo. Loro non facevano altro che ricordarle che per essere felice doveva mantenersi aggiornata e seguire ciò che la società dice di fare, non avevano di certo colpa se lei non voleva adeguarsi. Voleva dire che sarebbe rimasta così per sempre e non avrebbe mai trovato nessuno, se non un altro come lei. Che pena faceva.
Perché non divertirsi un po'? Non c'era nulla di male, avevano solo deciso di giocare con loro, vero? Solo un gioco.
Le ombre emisero versi distorti e disumani che fecero voltare i due ragazzi, increduli.
Ridevano, erano arrabbiate, ora avevano un tono più arrogante, ora più canzonatorio, ora più serio, ora tornavano a ridere.

Dovevano fuggire, così i due spiegarono le ali e volarono via.
Le ombre veloci e avide di dolore del quale presto si sarebbero cibate, continuarono a seguirli, con i loro schiamazzi mostruosi e deformati dalla cattiveria.
Gli occhi dei due, colmi di esasperazione, videro ogni scena passare di fronte ai loro occhi, proiettata davanti a loro. Ogni parola acuminata, colma di una rabbia repressa, ogni colpa inflitta contro sé stessi, ogni colpa della società che proiettava sulle loro pelli il suo marciume, impregnandoli del suo odore, ogni lacrima versata per tutto il dolore inespresso e celato negli angoli più remoti dei loro cuori. 
Erano stanchi.
Momentaneamente si rifugiarono in un vicolo stretto, una stradina piccola e insignificante, nella speranza di non essere notati. Attimi interminabili passarono e fu il silenzio. Le orecchie ronzavano, il cuore era in gola e martellava incessante dallo sforzo e dalla paura.
Non successe nulla. Nessuno li avrebbe visti. Avevano trovato un nuovo nido.
Spontaneamente le labbra si avvicinarono, lasciando che timidamente si esplorassero e si carezzassero con una dolcezza che nessuno dei due aveva mai conosciuto.
E quel giorno, si amarono.

La loro vita divenne più stabile. Iniziarono il liceo e strinsero le prime amicizie. Il mondo che odiavano ora si apriva a loro con nuove possibilità ed erano sereni. Appena potevano si incontravano nella città di lei e tornavano al loro nido per coccolarsi e parlare della propria giornata, conoscendo lentamente la vita di coppia ed esplorando con timidezza ogni lato dell'amore. Conobbero il desiderio della carne e adagio le loro piccole e intime camere si riempirono dei loro flebili sospiri, come flebili erano le luci della sera ogni qualvolta si separavano, per poi rivedersi il giorno seguente.
I mesi passavano, la scuola andava bene. Lei andava regolarmente dallo psicologo, per guarire gli ultimi strascichi del suo passato che talvolta tornavano a tormentarla.

Ma nel cuore di lui si faceva strada una strana paura, che però aveva deciso di ignorare: non sembrava preoccupante, era solo un moto d'ansia che qualche volta gli portava qualche difficoltà a respirare, ma nulla di serio. Aveva rifiutato lo psicologo, nonostante qualche insistenza da parte di lei, pensava di non averne bisogno. Stava bene, davvero.
Continuavano a passare, quei mesi, che dopo poco divennero un anno. Tre, precisamente, da quando si erano parlati la prima volta.
I problemi di lui erano peggiorati. Aveva spesso attacchi di panico ed era sempre nervoso, tanto da prendersela spesso con la sua ragazza, senza reale volontà di farle del male, ma in qualche occasione era successo e lei aveva pianto.
Capì cosa lo tormentava: era stato un tipo insicuro da quando era un bambino e lo sapeva, ma pensava di riuscire a fidarsi degli altri, se avesse trovato una persona giusta. Lui si fidava dei suoi amici al liceo, vero? Lui si fidava della sua ragazza, vero? Certo, che si fidava, altrimenti non avrebbe mai accettato la loro presenza nella sua vita.
Ma allora perché aveva così tanta paura, perché temeva che i suoi amici e perfino lei potessero mentirgli? Perché aveva realizzato di pensare male di chiunque? Ogni parola detta era una bugia, per lui. Era una bugia bianca detta solo per pena o per farlo sentire meglio, in modo che non si lagnasse. Era un peso lui, nessuno lo voleva. Era così, ne era sicuro. Anche lei mentiva. Il suo amore non era reale, aveva solo finto di amarlo, per pietà e per non rimanere sola.
Aveva compreso ora che la vita che aveva vissuto da tre anni a questa parte era solo una bugia, un'illusione creata da lei che diceva tanto di amarlo, ma evidentemente lo voleva solo far soffrire, non era forse così?  Non c'era altra spiegazione. Se lei pensava che avesse disperatamente bisogno della terapia da uno psicologo era perché pensava che lui fosse solo un pazzo, aveva paura che prima o poi sarebbe stato da mandare in un istituto di igiene mentale e vergognandosi di stare assieme ad un malato da manicomio, lo avrebbe lasciato o addirittura tradito. Era ovvio che non lo amasse.
Aveva bisogno di stare solo, non poteva fidarsi di lei, doveva allontanarla.
Quella sera d'inverno, lui la lasciò andare e lei volò via, tra le lacrime e la confusione di chi pensava che stesse andando tutto a meraviglia, che prima o poi avrebbero costruito un nido tutto per loro. Avrebbero creduto nel loro amore, avrebbero lavorato e chissà forse avrebbero avuto dei bambini da crescere tra i rametti di quella morbida casa, ma ora era tutto finito, la corsa veloce del treno si era arrestata, perché non vi erano più binari. Lei pianse, smise di mangiare. Perse il sonno. Avrebbe voluto che lui gliene avesse parlato, avrebbero risolto insieme e sarebbero stati felici, ma evidentemente, lui non la amava abbastanza. Il loro amore allora, era stato solo una bugia, un'illusione. 
Quel giorno, non si amarono più.

I loro sguardi si erano incrociati fugacemente, come il battito d'ali di un passero in volo in cerca di riparo nel suo confortevole nido, nella grondaia di quella casa laggiù, con il tetto spiovente e le tegole ormai scolorite e bagnate dalla pioggia. Lei indossava un cappotto nero, era bella. Sorrideva in compagnia di un ragazzo poco più alto di lei, era felice. Con la coda dell'occhio lui notò che ora la ragazza portava un sottile anello al dito. Quanti anni erano passati da quando l'aveva lasciata? Tre,  forse. Lei era cresciuta, lui no. Guardandola si rese conto che era solo un bambino in confronto. Si accorse di quanto la desiderasse di nuovo al suo fianco, di quanto i suoi pensieri fossero stati sciocchi e di come tutto si sarebbe potuto risolvere se solo lui avesse cercato di ascoltarla e le avesse creduto. Sentì un dolore al petto ed emise un sospiro quando si accorse che lei era volata via e non sarebbe più tornata.

Child of the Moon

 
   
 
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