Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    29/10/2020    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

LA GRANDE GUERRA DELL'ORIENTE

 

 

 

La piana di Ghony, un piccolo e ristretto triangolo coltivabile a nord della grande foresta di Qohor. Era l'ultimo baluardo di difesa per l'umanità, anche se una parte di umanità – più o meno consciamente – aveva deciso di evitarsi questa informazione. Questa volta per davvero le potenze dell'oriente erano tutte riunite, non come era stato a Marrah Cankhubhia. La notizia della mattanza in quella città, di come un popolo di piante e bestie indemoniate avesse occupato la città-mercato dove risiedeva la ricca e potente famiglia dei Panecha, aveva infine sconvolto i Goldsmith, i Loackland e quello che rimaneva dei Gaholla. Eppure a giudizio di Garhel Sawela gli uomini stavano continuando a sbagliare, e pure quella battaglia sarebbe stata perduta come la precedente, sempre a causa della cecità volontaria degli uomini. Prima l'oriente aveva lasciato inascoltato l'urlo dei Panecha, e Marrah era caduta. Adesso era l'occidente a ignorare il grido di allarme provenire dai Lord dell'Essos; e anche Braavos sarebbe caduta. Infine sarebbe toccato ai re d'occidente, ma prima o poi sarebbero periti tutti. Non c'era infatti altro modo di sconfiggere quel malvagio dio drago – quello che la draghessa Kimera aveva chiamato “fratello Requiem” quando, insieme a Banfred Panecha, Lord Garhel aveva assistito al loro tragico scontro fratricida – se non reagire tutti insieme; ma proprio tutti e subito. E ormai era troppo tardi.

Garhel aveva accettato di sostenere quell'ultima battaglia proprio perché sentiva che tanto ormai era tutto perduto. E lui aveva già perduto tutto. La sua famiglia, la sua passione, perfino la sua sempre tonica corporalità lo aveva al fine lasciato, visto che sostanzialmente aveva perso l'uso delle gambe a partire da quel giorno maledetto a Marrah quando, nel caos generale, aveva deciso di salvare l'inutile Banfred guadagnandosi per questo un bell'elefante addosso. Un elefante vero, non la metafora con la quale pure talvolta ci si poteva rivolgere ai Panecha e dunque, in questo caso, a Banfred. I Panecha d'altronde l'elefante ce l'avevano proprio nei loro stendardi. Ebbene ne tenevano anche diversi in casa – un labirinto orizzontale nel quale infaustamente Lord Garhel si era per l'ennesima volta introdotto al fine di uccidere il Lord – e uno di quelli aveva per sempre compromesso le gambe di Sawela. In realtà già due medici su due non gli avevano dato l'assoluta certezza che non avrebbe più camminato, ma Sawela aveva per lo più imputato la cosa al fatto che temessero di dirgli la verità. Conclusione: era stato trasportato come uno zaino sulla schiena del giovane Lord ed erede (erede ormai di nulla) che l'ex Tribuno Popolare aveva raggiunto la seconda capitale dell'Essos. Se Marrah, la città dei Panecha, era la città-mercato; Braavos, la città dei Goldsmith, era notoriamente la città-banca.

Quest'ultima era situata nel punto estremo di nord-ovest del continente, teoricamente di fronte alla Valle di Arryn, una volta oltrepassato il Mare Stretto. Teoricamente perché sebbene qualche porticciolo si potesse anche trovare, in verità la valle era costituita da una serie di alti scogli e promontori, ragion per cui di norma i popoli che l'abitavano non erano navigatori. Esistevano delle navi che battevano la bandiera della Valle di Arryn? Certamente: ma non tra le più rinomate dell'occidente. C'era come un muro tra oriente e occidente in quella zona: tanto è vero che la gran parte dei contatti avvenivano più a sud, dove il Westeros aveva le terre della corona, il capo della tempesta o la penisola dorniana. Braavos era quindi come un fortino, isolato a nord e ad ovest dal mare e a sud dalla foresta di Qohor, che prendeva il nome dall'altra più grande città vicina. Solo in una ristretta area a sud-est si trovava una reale e semplice via di comunicazione, collegata più che altro col deserto stepposo che finiva poi per diventare quello che era chiamato il Mare Dothraki. Lungo quel canale, pur se la strada era lunga, era quasi fisiologico che il nord del continente si collegasse con l'estremo sud, e nella fattispecie che si collegassero Braavos e Marrah, le due più importanti città. Fu per questo che quelli di Braavos seppero per tempo che l'onda verde e nera caratterizzante l'esercito demoniaco di Requiem si sarebbe abbattuta su di loro, prima che su qualsiasi altra città della costa. Avevano dunque avuto la possibilità di chiamare a raccolta tutti gli eserciti dell'oriente, questa volta per davvero. Quella guerra comune che Justus Panecha aveva invocato per sé e per la sua città, era finalmente stata approntata. Solo che non era più possibile farla per come Justus l'aveva immaginata, visto che non c'era più l'esercito di Marrah – il secondo del continente per importanza – né buona parte di quello dei Gaholla, unica altra famiglia orientale che aveva risposto alla chiamata dell'elefante. L'unica speranza per l'oriente da solo di sconfiggere la magia dei draghi sarebbe stata con l'esercito congiunto dei Goldsmith e dei Panecha, ma ora che quello dei Panecha non c'era più, non rimaneva che la chiamata all'occidente. E l'occidente ovviamente non aveva risposto. Quindi il Westeros, ad opinione di Garhel Sawela, era già spacciato.

Lui era uno storpio che non poteva muovere le gambe, per cui non sentiva di avere molto di meglio da fare, così rimase a Braavos dove con Banfred e i sopravvissuti di Marrah era arrivato ormai da parecchie settimane, e cercò di fare quello che potette per cucire una sorta di alleanza tra quelli che erano rimasti. Era presente quando vennero organizzati i ranghi e preparati gli eserciti e i piani di battaglia: anzi, più che altro i piani di difesa. Sì, perché Braavos aveva molte minori possibilità di difesa di Marrah: le sue mura erano più antiche e più fragili. Persa la battaglia – che di sicuro sarebbe stata persa – la città sarebbe stata espugnata realmente in una questione di istanti. Almeno Marrah ci mise un po' prima di farsi invadere nel suo centro storico e nel suo palazzo reale dalle orde nemiche. Per Braavos il trattamento sarebbe stato ancora più rapido.

Tuttavia Garhel pensava che tanto valeva morire combattendo. Non lui: lui non sarebbe stato in grado, anche se gli sarebbe piaciuto da morire. Diciamo che aveva trasferito sull'intero genere umano l'idea del comportamento che avrebbe tenuto per lui stesso. Se lui fosse stato l'umanità, avrebbe scelto di morire combattendo, e non dando le spalle al proprio nemico, fuggendo verso una salvezza che non sarebbe mai arrivata. Fu sempre seguendo questa tragica ma ferrea logica, che Sawela pensò anche a un apparecchio di cui aveva sentito parlare molto tempo prima. Lui era un ex soldato e tutto ciò che riguardava armi e modi di combattere, lo appassionava. Così una volta, mentre era ancora all'interno del Concilio del Re del regno occidentale, gli venne data la possibilità di visitare le segrete della Fortezza Rossa, dove si trovavano gli antichi gingilli e altre curiosità delle famiglie reali precedenti. Lì per la prima volta Sawela aveva visto i teschi dei draghi, grandi più o meno quanto quello che a occhio avrebbe detto fosse quello di Kimera, mutata nella sua forma di drago. In quest'ultimo modo, Sawela non aveva potuto vedere Requiem, dunque non sapeva se sarebbe stato in effetti grande quanto la sorella, o di più, o di meno. Ma avrebbe giurato che più o meno sarebbe stato un drago di quelle dimensioni. Questo dando per assodato che invece nella sua forma “umanoide”, Requiem aveva avuto invece un aspetto che Garhel avrebbe definito ben più inquietante di quello di Kimera. E dire che Kimera la prima volta che l'aveva vista, nelle sue dimensioni così enormi, in questa forma di donna così abbondante da sembrar quasi voler prendere in giro l'imperfezione umana, quasi gli aveva provocato un mezzo infarto. Di sicuro, Garhel temette di starlo per avere. Anche Requiem era un uomo perfetto, nella sua forma simile agli uomini. Come il seno grande e sodo di Kimera pendeva sul suo petto come fosse fatto per allattare un reggimento, così Requiem aveva la muscolatura di un guerriero perfetto. E tra le altre cose, aveva anche impugnato quella sua lancia da guerra – con la quale aveva trafitto Kimera – con la grazia di un danzatore braavosiano.

Eppure, nonostante l'apparente perfezione fisica di questo avversario, e la sua capacità di evocare chissà quali oscure magie, a Garhel era venuta un'idea. Faceva sempre parte di quella sua strategia un po' nichilista del combattere più per l'obiettivo di cadere tentando di difendersi che non per vincere, tuttavia lui quello sapeva fare e per tale ragione a un certo punto gli venne questa idea che subito condivise con la corte dei Goldsmith, e con tutti gli alleati che erano sopraggiunti per combattere quell'ultima grande guerra dell'oriente. Quella volta della sua visita alle cripte della fortezza di Roccia del Re, aveva visto qualcos'altro, a parte i teschi degli antichi draghi; un'arma. Un'arma appositamente concepita per abbattere i draghi. Draghi quanto quello di cui l'immenso teschio che pure aveva visto lì vicino doveva essere appartenuto. Draghi grandi su per giù quanto Kimera e Requiem dunque.

Gli avevano anche detto il nome, “scorpioni” forse, ma in fondo si trattava di balestre giganti. Balestre in grado di lanciare arpioni lunghi due, anche tre volte un uomo. Balestre da azionare servendosi dell'uso dell'intero corpo di un soldato. Naturalmente Garhel non era un ingegnere: non sapeva costruirle. Ma le aveva viste, e quelle che aveva visto erano molte antiche, dunque anche ingegneri di secoli e secoli prima erano stati in grado di costruirle, quindi: qualcuno su tutta la faccia dell'Essos ci sarà pure stato! Lord Goldsmith (inizialmente contrario all'operazione) mobilitò tutte le sue forze, e così trovò l'uomo adatto nell'arco di mezza giornata. Il tempo non sarebbe servito a ricercare l'ingegnere, ma a costruire nel breve tempo che gli rimaneva un numero di scorpioni adatto a trafiggere il loro sempre più venturo nemico. Perché era chiaro che più ce ne sarebbero state di quelle armi, e più alta sarebbe stata la possibilità di colpire Requiem, anche fortuitamente. Ma il tempo non ci fu. Il grande appuntamento per la vita o la morte dell'oriente cadde nel momento in cui nemmeno il terzo scorpione era stato ultimato. Venne portato sul campo di battaglia lo stesso, anche se di sicuro i suoi enormi dardi avrebbero avuto una curvatura talmente accentuata da risultare ingestibile per il soldato addetto al loro azionamento. D'altro canto, la situazione era disperata ed ogni tentativo doveva essere provato. Sarebbero tutti morti lo stesso entro l'indomani, ma ogni tentativo doveva essere provato ugualmente.

Venne in questo modo il giorno dello scontro. Le tigri dorate dei Goldsmith, le serpi a più teste dei Loackland e le chimere col martello dei Gaholla, tutte schierate come un unico grande battaglione. Non c'era il vessillo dei Panecha purtroppo, l'elefante. Ma c'era Banfred, insieme con Garhel ad osservare la situazione dall'avamposto rialzato dei capi-reggimento. E c'era anche Sir Poll, l'unico figlio maschio di Lord Gaholla che invece – obeso e gottoso – se ne era rimasto nella sua puzzolente Pentos. Poll aveva combattuto al fianco di Garhel a Marrah, e alla fine era sopravvissuto. Adesso, mentre suo padre si nascondeva alla loro capitale in attesa di morire lì, magari nel suo letto, lui – da giovane e audace soldato quale era – aveva deciso di guidare anche a Braavos la fazione armata della sua famiglia. Era davvero un bravo e coraggioso figliolo. Smunto, pederasta, ma davvero bravo e coraggioso. Garhel quasi lo invidiava. Invidiava il fatto che Poll, nella praticamente impossibile ipotesi in cui sarebbe tornato nella sua camera, vi avrebbe trovato quel giovanotto figlio bastardo dei Loackland a consolarlo e accarezzarlo. Certo Garhel non avrebbe voluto un ragazzo, avrebbe voluto sua moglie, ma... lei era morta. Mentre il ragazzo del Gaholla era ancora vivo. E poi Gaholla aveva ancora le gambe: poteva ancora una volta scendere in battaglia e brandire la sua lama. Poteva morire da eroe. Il destino di Sawela invece non era più quello. Era quello di aspettare il trapasso fermo su una sedia in mezzo ad altri codardi, mentre la polvere cominciava a coprire le sue membra, prima ancora di morire.

Lo spettacolo dell'arrivo del nemico fu terrificante. Già una volta Garhel lo aveva visto, e non pensava che sarebbe sopravvissuto fino ad osservarlo perfino una seconda volta. Eppure questo accadde. Certo, c'erano alcune differenze significative nell'onda magica e bestiale che stava per travolgere la piana di Ghony rispetto a quella che aveva già travolto Marrah. Il nemico che velocemente aveva fatto la sua corsa verso la casa dei Panecha, era stato per lo più di colore verde accesso. La massa di fronde e foglie che si era riprodotta sempre di più avanzando minacciosamente verso l'esercito dell'elefante, era dominata dallo stesso colore che normalmente si associa con le fronde e le foglie, solo molto acceso. L'onda demoniaca che invece ora si parava dinanzi agli occhi del vecchio e storpio ex Tribuno Popolare era molto scura. C'era sempre del verde, ma intervallato da una serie di striature brunastre che ne rendevano l'aspetto generale assai più fosco. Quello non era solo un esercito di piante e fiori e belve, era un esercito di queste cose, come macchiate ciascuna da una nuvola di fumo spesso e nero. Erano piante e fiere possedute dal maleficio brutale e demoniaco del drago Requiem.

Non appena li vide, Garhel ebbe la conferma di quello che aveva pensato per tutto quel tempo, fin dalla presa di Marrah Cankhubhia. Per l'umanità non c'erano più speranze. E così, pure per quanto riguardava l'umanità che risiedeva e stava combattendo per prima in oriente: pure per essa non c'erano speranze. Sarebbero semplicemente morti prima dell'umanità dell'occidente. Ma sarebbero morti. Quell'ultima battaglia di Braavos sarebbe stata solo una mattanza.

Lo sconto iniziò, e ancora una volta Garhel rivide la battaglia in cui la città-mercato era caduta. Cavalieri attrezzati per combattere un certo tipo di nemico, erano stati mandati a fronteggiare qualcosa che nessuno al mondo aveva mai fronteggiato, non solo loro. Era qualcosa di pietoso: soldati armati fino ai denti, che perivano colpiti da rami e tronchi, o aggrediti alla giugulare da pantere nere, o assaliti agli occhi da uccelli rapaci furiosi e invasati. Era come un incubo. Un incubo con tutta la durezza e l'amarezza della realtà. A un certo punto, Garhel – sempre dall'alto della montagnola dei generali – osservò come una sorta di tiepida resistenza da parte della fazione umana. L'onda nera e verde scuro rallentò visivamente la sua avanzata. Non si arrestò per niente, ma... cominciò a procedere con minore velocità. Garhel non seppe perché, francamente non ne aveva idea: poteva trattarsi di un mero fatto di casualità. Ma la cosa andò avanti ancora per un po'. Lui non tenne il tempo, i suoi maestri molti anni prima gli avevano insegnato che a battaglia cominciata questo non si fa mai, né se si sta vincendo né se si sta perdendo. Stava di fatto che per qualche motivo la linea di difesa dei Goldsmith, Loackland e Gaholla stava tenendo: nel senso – secondo Garhel – che forse avrebbe tenuto ancora per un po'.

L'ex Tribuno Popolare cercò di non riconoscerlo a se stesso, perché sapeva che se si fosse dato delle false speranze poi la loro disillusione sarebbe stata ancora più amara. Ma forse le forze di Requiem stavano avendo qualche difficoltà. Anzi, la stavano avendo davvero. Dunque venne lui personalmente a risolvere il problema. Sì, perché fino a quel momento gli scorpioni di Garhel – i due e mezzo che era stato possibile preparare – non avevano avuto modo di essere provati. Il drago non aveva partecipato alla battaglia. Fino al momento in cui le sue “truppe” non si erano quasi arrestate. Quando lo fecero, venne all'improvviso fuori dall'orizzonte, subito immenso e oscuro per come Garhel se lo era immaginato. Il cuore gli balzò in gola, ma almeno lui qualcosa del genere l'aveva già vista. I Lord che erano con lui invece, da Goldsmith a Loackland, sostanzialmente diventarono bianchi per il terrore. Non che l'onda di piante e bestie indemoniati non li avesse già scossi abbastanza; ma un drago era un drago. Era una creatura mitologica, una cosa di cui uno nella vita aveva solo potuto aver letto nei libri, e visto nei propri sogni, se dotato di vivida immaginazione. E invece ora quel sogno si stava realizzando. Ed era terribile e immenso.

Il drago cominciò a spruzzare il suo fuoco, anch'esso nero e verde scuro come i suoi servi. Disastroso, dirompente. In grado di eliminare decine e decine di uomini in una volta sola. E ne fece tante, Requiem, di quelle soffiate. Quattro, sei, nove. Finalmente un arpione si librò nell'aria, sorprendendo Sawela che – come tutti – era rimasto incantato dallo spettacolo tremendo della morte magica dall'alto. Però si accorse subito che qualcosa non andava. Il dardo era partito da uno dei due scorpioni funzionanti, eppure era andato troppo lontano dall'obiettivo “drago”: neanche lontanamente vicino da impensierirlo, e abbastanza lontano da fare in modo già di farlo accorgere dell'esistenza di un potenziale pericolo. A quel punto Requiem ci avrebbe messo davvero poco a individuare le costose armi appositamente costruite per abbatterlo e farne falò, con tutti i soldati agganciati sopra per azionarle.

«Banfred!» esclamò a questo punto Garhel Sawela, rivolto al principino degli elefanti, «Devi portarmi lì»

«Dove?»

«Lì, dagli scorpioni»

«Cosa? E p-p-perché?»

«Fallo e basta, Banfred. Secondo te c'è tempo per le spiegazioni?». A Garhel piaceva pensare che in qualche modo tra lui e il giovanotto ci fosse anche un rapporto di amicizia, o qualcosa di simile. Così gli piacque pensare che il giovane elefantino si fosse subito messo in moto per eseguire quell'operazione più per affetto e rispetto che non perché Garhel gli aveva appena urlato contro, dandogli sostanzialmente un comando militare. Ma purtroppo era anche vero che Banfred era un codardo e un ragazzino viziato e sì, quando gli urlavano contro si sentiva ancora rimproverato, come succedeva ai mocciosi. Ma il buono fu che il giovane Panecha prese l'attrezzo a mo' di zaino di cui si serviva per trasportare Garhel, lo mise sulle spalle, e iniziò a correre verso il campo di battaglia e in particolar modo nella zona – anch'essa lievemente rialzata ma celata da alcune truppe – nella quale si era deciso di montare le immense balestre dette scorpioni. Una volta lì, Garhel inveì rivolto al giovanotto che se ne stava legato dentro quell'immenso archibugio, quello insomma che aveva mancato l'obiettivo di colpire il drago: «Ma che diamine stai facendo, figliolo?»

«Come? Signore?»

«Il dardo! Scagli il dardo sulle ali?»

«Ehm... sì, signore»

«E perché, di grazia?»

«Ehm... è così che mi ha comandato il mio superiore»

«L'ingegnere?»

«Sì»

«Stupido ingegnere. Senti, senti: se miri all'ala, stai cercando di colpire un bersaglio in movimento in una sua porzione esterna, non interna, chiaro?»

«Ehm...»

«Hai mai giocato al tiro a bersaglio, figliolo?»

«C-cosa?»

«Ci hai mai giocato?! Lo sai come funziona? Si mira sempre al centro! Poi non è detto che lo si prenda esattamente lì, ma per lo meno aumenti le possibilità di prendere il bersaglio, anche nelle falde laterali. Se miri all'ala, c'è tutto un pezzo di drago che ti lasci fuori, capisci?»

«Ehm... c-cosa?»

«Oh, basta così, levati!» e Garhel, sempre intrappolato sulla schiena di Banfred, cominciò a colpire il giovanotto con le braccia e con le mani per spaventarlo. Quello un pochino resistette, più che altro perplesso nell'osservare quella scena di quell'uomo storpio e agganciato alla schiena di un altro uomo, che gli gridava addosso come un generale. Ma alla fine desistette, e Garhel pretese che Banfred legasse lui medesimo sullo scorpione. Prese dunque la mira e scagliò il suo primo giavellotto. Mancò completamente, esattamente come aveva già fatto chi lo aveva preceduto. Imprecò, disquisendo in merito al mestiere della madre del drago, dopodiché riprovò. Requiem era più vicino adesso, molto più vicino. Garhel continuò a imprecare. Quindi azionò il meccanismo e scagliò il suo secondo lunghissimo dardo d'acciaio. E lo prese. Lo prese bene. Se non al petto, in una zona dell'ala che doveva essere dannatamente vicina al petto. Un grido disumano esplose fuori dalla creatura, una cosa che avrebbe fatto tremare il più impavido degli uomini. Quindi, Requiem ebbe il tempo di volare allontanandosi un po', prima di precipitare da qualche parte, lontano. Le sue creature possedute continuarono brevemente a combattere, ma poi – senza direttive dal loro capitano – cominciarono ad agitarsi confuse. Alla fine arrestarono il loro assalto e si ritirarono, dirette verso il luogo da cui erano provenute. E fu così che l'oriente vinse la sua grande battaglia per la sopravvivenza.

 

 

 

Sangue. Da quanto tempo non vedeva quel brillante liquido bianco-grigiastro che colava giù dalla propria pelle! Erano passati millenni. Da millenni il drago Requiem infatti non subiva una ferita fisica; dai tempi delle guerre contro gli umani. Sempre loro, sempre gli stupidi umani erano in grado di compiere quella sacrilega azione, uniche creature sulla terra a possederne le eventuali volontà e possibilità. Quanto pazzi erano stati i suoi fratelli a considerare la possibilità di un dialogo contro quelle bestie! Non c'era dialogo possibile con l'umanità, e quel dolore che in quel momento Requiem stava provando ne era la prova. Più dolore sentiva e più pensava che gli umani dovevano morire: tutti. Erano intelligentissimi, per carità. In quanto figli dei draghi avevano ereditato da loro giustamente ogni loro essenza principale: l'intelligenza, la magia e quella dannata strana predisposizione tanto cara a Luxia e Nidhogg che loro avevano chiamato “amore”, e che con questo termine l'avevano spiegata e trasmessa agli umani più illuminati. Perché, com'era noto, solo un umano in grado di avere intelligenza poteva comprendere l'amore, così come solo un umano dotato sia di intelligenza che d'amore poteva comprendere la magia. Tutto questo era ciò che veramente si celava alla base di qualsiasi insegnamento da drago a uomo, e valeva sia per gli allievi di Luxia e Nidhogg, che per i suoi, i Criomanti e i Necriomanti.

L'ingegnosità umana era stata in grado adesso di inventare questa nuova arma: dardi giganti, abbastanza da colpire un di loro mentre si trovava in volo. Idea che, per le dimensioni che di norma gli umani avevano, era tutto fuorché intuitiva: per quale ragione mai l'umanità avrebbe dovuto costruire oggetti del genere se non per uccidere i draghi? L'odio, la predisposizione a disprezzare un avversario era ciò che si celava dietro a quel loro ingegno, come dietro a qualsiasi altra idea che tendevano ad avere. Un'analista ingenuo della storia, o ignorante, avrebbe certo detto che in realtà quegli umani della città chiamata Braavos si stavano semplicemente muovendo perché minacciati per primi, ed era vero: per carità. Ma proprio la loro capacità d difendersi era, per Requiem, la più palese controprova del fatto che dovessero morire. Non come individui, chiaramente esistevano individui umani amabili: anche Requiem ne aveva conosciuti. Ma questo non bastava per salvarne la razza: era questo che Luxia e Nidhogg non avevano capito, ed era per questo che ora loro erano morti e sepolti, mentre Requiem era ancora lì, pronto alla sua nuova battaglia; alla sua nuova guerra, anzi.

Certo, in quel momento non era in condizione di guidare più il suo esercito, e il suo esercito non era il tipo di armata che senza guida potesse andare da alcuna parte, ovviamente. E quindi ora? Seduto nel suo antro, una cavità rocciosa sotto una duna che era riuscito a trasformare in qualche modo nella sua sede temporanea, il drago – nella sua forma naturale – cominciò a riflettere, mentre si leccava le ferite. Era in forma naturale, perché la sua forma simile a un uomo richiedeva dispendio di energia magica, e un drago ferito non ha energie magiche da spendere. E poi Requiem odiava quell'altra sua forma. Pensò che forse doveva usare – finché ce ne aveva – la sua magia per organizzare subito un contrattacco. Ma contro quell'esercito di umani che si era appena lasciato alle spalle non sarebbe stato sufficiente. C'era bisogno di qualcosa di diverso, qualcosa di utile e immediato, ma che nello stesso tempo non lo coinvolgesse fisicamente, almeno fino a quando non avrebbe appieno ritrovato la propria forza, cosa che a occhio avrebbe richiesto diversi giorni: i dannati umani lo avevano preso proprio affondo con quel fendente. Però, magari, come la sua armata naturalmente non poteva combattere una guerra senza di lui, la cosa magari poteva valere anche per gli umani. Certo! Via la testa, via la ragione per combattere. Era questo che ci voleva in quel momento. Non lo sterminio dell'intera umanità, quello sarebbe avvenuto dopo che si sarebbe completamente ripreso. Ma nel frattempo si potevano uccidere i capi.

Gli tornò alla mente un'antica fattura. Una di quelle simili al tipo di trucchi che sapeva fare il Maestro Braff; ma una cosa più grande. Una cosa da draghi. I draghi di spirito. Significava in sostanza riversare buona parte della propria energia non solo magica, ma anche vitale, in delle “creature” puramente artificiali, animate dal semplice spirito del drago: il suo. Non sarebbero state creature senzienti, se non soltanto per una cosa: eseguire il comando del loro creatore. E in quel caso l'ordine sarebbe stato uno soltanto: uccidere i capi degli umani. Ora si trattava di vedere quanti draghi di spirito Requiem sarebbe stato in grado di evocare. Accumulò ogni suo pensiero, inalò con forza l'aria della terra. E si rese conto che per non morire poteva farne un massimo di sette. Sette draghi di spirito per sette umani, andavano bene. Erano abbastanza per confondere gli umani più stupidi per un certo numero di giorni. Fatta anche quella magia, per Requiem forse ci sarebbe voluto addirittura qualche mese per riprendersi pienamente, ma andava bene. Gli umani avrebbero litigato, avrebbero messo in discussione gli uni le leadership degli altri per un tempo sufficiente a permette al drago di ritornare ad essere il loro re, imperatore e dio.

Così l'incantesimo venne creato. Richiese molto più tempo e molta più energia di quanto Requiem avesse sperato, forse il fatto che era ferito aveva contato parecchio in queste sue difficoltà. A un certo punto, circa a metà procedimento, pensò d'interrompere, pensò che avesse fatto male i conti e che i draghi di spirito che era in grado di evocare non potevano essere più di tre. Ma si ostinò. Soffrì ancora, molto più di prima. La sua ferita ritornò a sanguinare. Il suo sangue biancastro ricominciò a sgorgare. E alla fine i suoi burattini vennero evocati. A questo punto mancava solo un ordine preciso: dei nomi. Glieli fece. Chiunque comandasse nel più vicino consiglio di guerra, quello degli umani di Braavos, doveva morire, e morire al più presto. Non c'era un nome esatto in questo caso, ma il drago di spirito avrebbe pure potuto uccidere un intero gruppo: non erano umani in grado di tenere testa alla magia quelli. Il re dell'occidente, lo stregone con il sigillo dei Sette, una reale minaccia per Requiem: quel Gabryaerys Targaryen aveva resistito fin troppo. Doveva morire. Eppure l'occidente aveva anche un altro re, le spie di Requiem sapevano anche questo: il suo vecchio allievo Constant Lannister. Era pericoloso, e doveva morire anche lui. Il suo fratello drago Kyrios, che da lungo tempo si nascondeva, ma nel malaugurato caso avesse voluto improvvisamente risvegliarsi e schierarsi contro di lui, anche se mai lo aveva fatto, sarebbe stato un problema. Meglio evitarlo. Doveva morire: per lui due draghi di spirito, visto che era un drago e non un uomo e che la sua magia probabilmente sarebbe ancora stata potente, pur se da lungo tempo assopita. Infine anche coloro i quali potevano rivendicare il trono perché diretti discendenti del vecchio re dovevano morire. Daniel, primo erede vivente di re Lionel, e il piccolo Napoleon, primo erede vivente di re Axelion. Dovevano morire anche loro. Il consiglio di guerra di Braavos, e poi Gabryaerys, Constant, Daniel, Napoleon e due draghi di spirito per Kyrios. Questo era il comando al termine del quale gli esseri di magia sarebbero semplicemente evaporati perché il loro obiettivo era stato eseguito. Così funzionava quell'incanto. Era un meccanismo simile a quello che era stato messo in piedi per Cair Dedalos, quando i Sette Manti più potenti della terra erano stati trasformati nei sette servitori più fedeli della magia e della giustizia per il mondo. Anche se naturalmente quella dei draghi di spirito, pur prendendosi buona parte dell'energia di Rquiem, era pur sempre una magia di livello inferiore. Un comando solo infatti potevano eseguire, e poi: per evocarli era bastato il potere del solo Requiem, anche se ne uscì stremato, e non anche quello degli altri quattro suoi fratelli e sorelle. Si assomigliavano per idea i draghi di spirito e l'incanto di Cair Dedalos, ma nella pratica erano molto diversi. I draghi di spirito erano molto più effimeri.

Di questi obiettivi, quello che più preoccupava Requiem era suo fratello, Kyrios. Non nel senso dell'importanza, probabilmente in quel momento l'obiettivo più importante da abbattere per lui era quello del consiglio di guerra di Braavos. Ma Kyrios era preoccupante nel senso che era l'obiettivo più difficile da essere raggiunto per i suoi spiriti. Era nascosto ed era potente. Anche se colto all'improvviso, era il genere di creatura in grado di capire molto bene quello che stava accadendo. Mentre per un Gabryaerys, un Constant o un Daniel – pur se anche loro dotati di magia – il fattore sorpresa consistente nella manifestazione di una magia mai vista avrebbe potuto giocare un ruolo fondamentale in favore di Requiem. Sul lattante Napoleon e sul cieco consiglio di guerra a Braavos, Requiem aveva invece molti meno dubbi.

Per un momento Requiem temette pure che l'evocazione della magia avesse esploso un carico di luce talmente forte da richiamare l'attenzione dei maledetti umani. Non era improbabile, anzi era quasi sicuro. Ma questo significava che adesso il suo covo era scoperto e lui non aveva abbastanza forza per difendersi. Doveva spostarsi, andare lontano. Anche lentamente, per come poteva muoversi, ma doveva partire prima di subito. L'incanto dei draghi di spirito era un'operazione di luce e calore. Se c'era qualcosa che l'occhio umano poteva percepire quando si manifestavano era una luce. Una intensa luce verde a forma di drago, e questo aspetto poteva avere anche l'esplosione dovuta alla loro creazione. Era come un'immensa segnalazione nel cielo notturno. Se gli umani erano stati attenti, allora l'avevano vista sicuramente. Erano abbastanza furbi da farlo: avendo avuto l'intelligenza d'ingegnarsi quel macchinario in grado di ferirlo fisicamente, allora era probabile che avessero pure avuto il buon senso di organizzarsi per andarlo a cercare, e con molto meno timore del solito visto che sapevano benissimo che lo avevano ferito. Fu così che dopo che anche le sue creature di energia verde intenso volarono via verso le loro rispettive direzioni, anche Requiem fece lo stesso. Cercando mantenersi basso, spiegò le ali e volò via. Ma in una direzione totalmente opposta rispetto ai suoi draghi di spirito.

 

 

 

Garhel ci mise un'eternità per far capire allo stupido Lord Goldsmith che bisognava muoversi e bisognava farlo in fretta anche. Per lui, Goldsmith si era dimostrato il contrario del leader adatto per l'umanità in quel preciso momento della storia. Confuso e incattivito perché qualcuno che non conosceva bene aveva finalmente osato minacciare le sue sacre porte, delimitate dall'immensa statua del titano, sotto le gambe della quale ogni nave che voleva attraccare nei porti della città-banca doveva passare. Tutta la fama del capo equilibrato e astuto, per Garhel Sawela, il Lord della tigre se la stava giocando in quelle giornate infernali. Giornate che sarebbero state complicate per qualsiasi capo, su questo non c'erano dubbi. Ma non ce n'erano nemmeno sul fatto che neanche mai una sola volta il Lord ex Tribuno aveva concordato con l'opinione iniziale di colui il quale sostanzialmente fungeva da capo dell'intero gruppo, in quanto rappresentante della famiglia più antica e potente presente su quel territorio, e inoltre la famiglia che dominava la città aggredita, e quella che stava contribuendo alla guerra contro il drago con il più numeroso carico di vite, militari e civili.

All'inizio, Lord Goldsmith si era arroccato anche su una posizione contraria alle balestre giganti, dette scorpioni, che alla fine si erano rivelate determinati per annientare il drago. Era così: se Garhel non avesse insistito, probabilmente nessun dardo avrebbe colpito il mostro alato nel corso della battaglia per la vita o per la morte dell'oriente. Questo giusto per capire quanto Sawela aveva odiato Goldsmith in quelle orribili settimane.

E adesso stava succedendo ancora una volta. Ancora una volta Garhel si ritrovò a dover giustificare qualcosa che secondo lui, ma non soltanto secondo lui, era invece chiaro come la luce del sole. Banfred, per quello che contava, la pensava come lui e Sir Poll e gli altri uomini dei Gaholla, per quello che contavano, la pensavano esattamente come lui. Inoltre, cosa mai scontata, anche parecchi generali e luogotenenti degli stessi Goldsmith e Loackland più o meno manifestamente avevano comunicato il loro assenso. Ma il Lord di Braavos, e quel leccaculo di Loackland che a questo punto Garhel avrebbe detto non avere idee proprie sostanzialmente per nessuna materia, loro continuavano a trovare scuse per non farlo, per non correre subito alla ricerca del drago ferito e tramortirlo prima che riprendesse le proprie forze e il controllo sulle sue demoniache truppe di piante e bestie. Un'ennesima scelta suicida.

Non è che Lord Goldsmith non sostenesse che il drago fosse comunque lì da qualche parte, magari a leccarsi le ferite: no, lui questo lo riconosceva. Diceva però che se pure fosse rimasto vivo dopo l'arpionata scagliatagli direttamente da Sawela, allora sarebbe stato troppo pericoloso raggiungerlo, indipendentemente dal numero degli uomini, e delle loro armi, che lo avessero fatto e in questo modo il Lord soffiava sul fuoco della paura che ormai, forse anche giustamente dopo quella lunga notte, imperava nel cuore della gran parte di chi si trovava a Braavos in quel momento. Questo rese assai più difficile per Banfred, che di Garhel ormai era le gambe, per Poll e per tutti gli altri convincere la massa ad andare alla ricerca del loro nemico. E invece era una cosa che andava fatta tempestivamente, senza perdere più neppure un momento! Garhel quindi sbraitò, gridò contro quel gruppuscolo di dannati aristocratici con la puzza sotto il naso e che del mondo capivano meno della metà di quello che pensavano, e alla fine attirò l'attenzione su di sé. Goldsmith e Loackland l'ebbero comunque vinta per lo più: la gran parte degli uomini era stremata e non rispose all'appello accorato di Garhel, Banfred e gli altri, di andare alla ricerca del drago. Ma pochi audaci lo fecero, guadagnandosi pure le critiche e le minacce dei loro Lord. Un generale di Loackland addirittura tolse le proprie insegne di riconoscimento di fedeltà e le gettò ai piedi del suo, dunque “ex”, signore. Bei gesti, anche se forse vani. Goldsmith e Loackland non avevano ragione secondo Garhel, finché un numero abbastanza copioso di uomini fosse andato a cercare il drago. Ma ridotto il numero dei coraggiosi, naturalmente le possibilità di venire in ogni caso divorati aumentavano. Il che avrebbe dato modo a quei bastardi di poter dire che avevano avuto ragione. Bene: a Garhel questo stava benissimo. Tanto lui sarebbe stato tra i divorati, e il discorso compiaciuto di Goldsmith non lo avrebbe dunque mai ascoltato. Si sarebbe risparmiato, e grazie agli dèi, l'ennesimo folle monologo che avrebbe annunciato il piano sbagliato per portare dritta dritta l'umanità in contro al suo definitivo e fatale declino.

Fu così che la compagnia suicida lasciò Braavos in barba a quello che i reali comandanti della città e dell'esercito avevano decretato. Erano in tutto ventotto. Ventotto bravi uomini contro centinaia e centinaia di illogici cacasotto. Tramortiti dalla battaglia questi ultimi, certo. Spaventati da quello che avevano visto, ovvio. Ma non abbastanza lucidi da comprendere che ancora una volta trovare il drago subito, proprio ora che in cielo era esplosa quella luce verde come a voler dare quasi un segnale su dove il mostro si trovasse, era l'unica alternativa. L'altra era aspettare che il drago si rigenerasse e tornasse per ucciderli tutti. Un'altra volta. E chi avrebbe avuto più resistenza un gruppo di uomini dell'oriente sempre più stanchi e confusi, o una creatura eterna e millenaria, dotata di intelligenza e poteri magici?

Comunque i ventotto partirono, e con loro Garhel Sawela. In realtà Garhel aveva in cuore il peso di aver convinto altri, tra cui molti giovani, ad andare con lui, visto che con quel numero aveva la sensazione che quando avessero trovato il drago, si sarebbe trattato di un confronto impari. Lo stesso Banfred, sulle cui spalle Garhel si trovava, era poco più di un ragazzino. Tra l'altro, un ragazzino dal cognome importante. Glielo aveva spiegato bene Lord Justus prima che Garhel gli squarciasse l'addome: il fatto che Banfred fosse comunque il figlio dell'elefante, nelle cui vene scorreva il sangue dell'uomo che un tempo ebbe persino a coltivare l'ambizione di diventare il re dell'oriente, non era per niente cosa da poco. E forse invece adesso quel ragazzino stava per morire, come un qualsiasi signor nessuno, un anonimo plebeo convinto da uno sciocco e idealista ex Tribuno testone. Solo in quel momento, Garhel rifletté sul fatto che in realtà Banfred – che era sempre così carino con lui – non era a conoscenza del fatto che Sawela aveva ucciso suo padre. Garhel Sawela considerava Banfred come un amico, e tra l'altro non era pentito di ciò che aveva fatto: Panecha era un mostro, un pericolo ambulante per i poveri e gli ultimi dell'oriente, e aveva fatto uccidere la sua famiglia e centinaia di altre persone con l'incendio del Formicaio. Ma era pur sempre stato un padre mezzo bravo, da quello che Garhel aveva avuto modo di capire: sicuramente Banfred – con la sua indole così atavicamente buona – lo aveva sempre considerato tale. E Garhel lo aveva ucciso.

Fu così con un'immane senso di colpa che, in groppa alla schiena dell'elefantino, Sawela guidò i ventotto all'avventura, compreso Sir Poll, il giovane e coraggioso unico rampollo maschio dei Gaholla; il cavaliere smunto. Tutti loro finirono per tornare al campo base con un nulla di fatto. Sì perché una terza ipotesi, su cui non avevano riflettuto molto, si verificò; ipotesi che si concretizzò come terribile per Garhel e ottima per Lord Goldsmith. Ancora una volta loro due, ancora una volta su posizioni opposte. Il drago non c'era. Non era da nessuna parte. Certo, si sarebbe anche detto – e molti lo dissero – che il gruppo semplicemente non aveva cercato abbastanza o non lo aveva trovato, ma Garhel era un militare esperto ed era praticamente sicuro che il drago era stato la fonte della luce verde che a un certo punto era esplosa nel pieno della notte (e che Goldsmith diceva di non aver visto). Cosa c'entravano le due cose? Semplice: era impossibile che un uomo che aveva avuto anche solo metà dell'addestramento che Garhel Sawela aveva accumulato in trenta e passa anni, non riuscisse a rintracciare un'area geografica così ampia, specifica e relativamente vicina. Impossibile! Anche fesso, anche con la testa tutta al contrario rispetto a quella che Garhel Sawela aveva, anche se avessero parlato due lingue diverse e contato con due sistemi numerici diversi, un soldato addestrato avrebbe trovato l'area segnalata dalla luce. Il fatto certo era quindi che il drago se n'era andato, e la notizia era terribile: significava che presto avrebbe contrattaccato.

Naturalmente, come era prevedibile che fosse, Goldsmith della nuova situazione disse che era una buona cosa, perché così loro – e sottintendendo con questo l'umanità tutta – potevano riorganizzarsi: per esempio costruendo nuove balestre giganti, di cui ora era improvvisamente diventato, guarda caso, un accanito sostenitore. L'umanità non aveva dove andare, questo per Sawela era ormai matematico. A meno che l'occidente tutto non si mobilitasse verso Braavos e in tempi assai stretti. Era impossibile? Allora era impossibile che quell'umanità sopravvivesse a un nuovo assalto del drago, specie ora che il drago sapeva che avevano gli scorpioni: avrebbe avuto dunque il modo per riguardarsi attentamente. Non uccidendolo da subito era forse stata sprecata l'ultima occasione del genere umano. E Lord Goldsmith aveva in questo, secondo Garhel, colpe storiche inaudite. Se mai posteri ci sarebbero stati, avrebbero di certo condannato la tigre di Braavos come una dei principali colpevoli della fine, o del forte ridimensionamento, del genere umano.

   
 
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