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Autore: miseenabime    29/10/2020    2 recensioni
La verità è che non aveva mai capito perché ordinasse spesso una bevanda così peculiare e, se all’inizio la cosa lo incuriosiva ed intrigava, ora l’aveva catalogata come disturbo narcisistico fondato sul desiderio di mostrarsi fintamente borderline. E lo infastidiva. Quasi quanto l’odore che quel latte emanava quando era ancora caldo: per nulla diverso da quello del latte normale, ma assolutamente insopportabile per associazione di idee.
Devo scappare, pensò.
Storia che partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP

 

 

 

Relativismo in cucchiaini: accompagnato

 

Accompagnato: al tempo del solista che può accelerare e rallentare a volontà

— Wikipedia: Tempo (musica)

 

 

 

 

Che schifo.

Guardava distratto le tiepide correnti perlacee vorticare nel bicchiere trasparente e si domandava come potesse esistere sulla faccia della Terra qualcuno disposto a bere davvero quella roba.
Perfino il ticchettio del cucchiaino contro le pareti di vetro lo infastidiva.
Il latte di riso è una miscela di acqua, riso ed enzimi, filtrato e arricchito con addensanti e oli vegetali. È senza lattosio e ricco di zuccheri semplici che gli donano anche un sapore piuttosto gradevole, se proprio vogliamo dirla tutta.
Perfino immaginare la sua voce lo infastidiva.
La verità è che non aveva mai capito perché ordinasse spesso una bevanda così peculiare e, se all’inizio la cosa lo incuriosiva ed intrigava, ora l’aveva catalogata come disturbo narcisistico fondato sul desiderio di mostrarsi fintamente borderline. E lo infastidiva. Quasi quanto l’odore che quel latte emanava quando era ancora caldo: per nulla diverso da quello del latte normale, ma assolutamente insopportabile per associazione di idee.

Devo scappare, pensò.

Doveva scappare da questo tavolo. Da questo ticchettio. Da quell’odore che una volta entrato nelle sue narici non riusciva più a ignorare.
Guardò le briciole di un biscotto sporcare la superficie opaca del latte, poco prima di affondare calme sul fondo del bicchiere.
Pensò alla sua famiglia: alla casa che gli stava stretta, alla sorella che non sopportava e a quella con cui riusciva, qualche volta, a parlare, a sua madre che non diceva mai una parola e a suo padre che si lamentava per due. Un ciclo di energia negativa in cui si trovava forzatamente a convivere e che, in poco più di vent’anni, non gli aveva mai lasciato le caviglie, sempre pronto a trascinarlo sul fondo, un poco alla volta, passo dopo passo, senza fretta. Questo lento bollire andava avanti da troppo tempo, lo sapeva, e se non avesse iniziato a reagire avrebbe presto fatto la fine della rana.

Devo scappare

Per anni era scappato. Non potendo scappare dagli altri, era scappato da sé stesso. Si era murato vivo in uno stanzino, aveva buttato la chiave ed aveva mandato ad affrontare il mondo esterno il suo pilota automatico, quello superficiale, intoccabile e inadatto alle relazioni umane, ma che sorprendentemente piaceva a tutti. Era molto bravo nel suo lavoro.
Il suo naso fece una smorfia.

«Vuoi assaggiare?»

Era convinto gli leggesse nel pensiero. Se per le altre persone lui era un bel romanzo con all’interno le tracce ben coperte di un codice segreto non ancora decifrato, per lei era un labirinto per bambini disegnato sul retro di una tovaglietta di McDonald’s. Pensava di amarla. Prima, pensava di amarla. Forse ora la odiava.

No, disse. Ma lo disse solo nella sua testa, nella realtà si limitò a girare leggermente il capo di lato e a guardare annoiato il pavimento. Prima parlare con lei era una boccata d’aria fresca, ora non aveva nemmeno voglia di provarci. Forse non aveva nemmeno voglia di odiarla.

Devo scappare

Le giornate con lei sembravano più leggere, la sua mente a colori. C’era sempre stata, anche quando non se lo meritava. Stavolta era diverso, non si sentiva così vivo da troppo tempo: aveva ritrovato la voglia di impegnarsi, di cambiare corso di laurea, di trovare qualche scusa per provare a conversare con suo padre, di passare del tempo con sua madre e le sue sorelle. Aveva ricominciato a sentire tutto ciò che gli stava attorno. I suoi organi interni avevano ricominciato a contorcersi al pensiero di una persona, mentre paradossalmente il suo cervello non vedeva l’ora di starle vicino per più ore possibili. Lei era la prima che riusciva, dopo tanto tempo, a riscaldargli il cuoricino. Allo stesso modo in cui tieni caldo il tè, le aveva detto mentre la paragonava ad una teiera in uno dei suoi pseudo complimenti strampalati. Complimenti che lei apprezzava da morire.

Devo scappare

«Pensi di andare?»
Si voltò a guardarla. Si accorse di essersi quasi dimenticato il colore dei suoi occhi. Non gli sarebbe stato necessario andare lontano per dimenticarla, poteva farlo benissimo lì, ma doveva allontanarsi da tutto il resto, dalla sua vita che non poteva confinarlo in quel posto, in quella casa. L’occasione gli era arrivata sottoforma di un suo vecchio amico che aveva appena aperto un pub a Londra e cercava personale. Non si sarebbe mai sognato di rifiutare.
«Non lo so» disse sottovoce.
Non ce la faceva più a svegliarsi ogni giorno e non provare niente. Non ce la faceva più a guardarla e a non provare niente. L’unica soluzione era andare via, lasciarsi tutto alle spalle, mollare questa vita per andare incontro a quella nuova.

Devo scappare

Andare lontano. In un posto che non somigli nemmeno un po’ a questo. Persone nuove, strade nuove, storie nuove. Nuovi elementi non potevano generare vecchi stili di vita, dovevano per forza portare un cambiamento.

Devo scappare

O una boccata d’aria fresca.

Devo scappare

Come se l’apatia fosse nei mattoni degli edifici e non nei miei muri.

Non importa, devo scappare

Una mano calda. Una mano calda. La sua mano calda. Si era perso nella sua tazzina di caffè e ora lei lo guardava con quei suoi occhi chiari pieni di comprensione e di affetto, mentre sapeva esattamente cosa gli passava per la testa. E non la spaventava neanche un po’.
Che schifo.

«So che va male» certo che lo sapeva «ma se mi vuoi, io resto qui»

Mentre per una frazione di secondo pensò davvero di fermarsi a riflettere sulle sue opzioni e sulla possibilità che lei gli aveva appena dato, l’ultimo mattone venne apposto alla cella del nostro prigioniero, precedentemente distrutta e ora ricostruita in tutta la sua gloria e cemento armato.  

«Sai come la penso» disse alzandosi senza aver toccato il suo caffè «non mi fa né caldo né freddo»

Tre lunghi passi e fu alla cassa, dove il suo pilota automatico contraccambiò felice il buongiorno ad una ragazza bionda con gli occhiali spessi.
«Un espresso e un latte di riso»
«Sì certo, subito…» sorrise «…uhm»
Lui alzò un sopracciglio alla sua espressione perplessa.
«Al tavolo 2 ho segnato solo un caffè. Poi ad essere sincera, non credo nemmeno di averlo il latte di riso» fare la spiritosa fece venire a galla il suo leggero accento scozzese.
Lui si voltò verso il suo tavolo. Una tazzina di caffè riposava sola sul lato sinistro, di fronte alla vetrata, dove il rumore del traffico si confondeva con gli schiamazzi dei turisti, che passeggiavano con la testa all’insù o scattavano foto dal secondo piano degli autobus.
«Oh, sì» disse sorridendo alla cassiera «l’abitudine».
Pagò e uscì. La frenesia della città lo travolse non appena ebbe messo piede fuori, nulla di paragonabile alla monotonia incolore della sua vecchia vita. Non ricordava quanto tempo fosse passato, ma l’aveva ormai quasi dimenticata. Niente apatia nei mattoni degli edifici. Fece un bel respiro, chiudendo gli occhi per nascondere lo sguardo stanco. Nella sua mente un solo pensiero.

Devo scappare.

  
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