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Autore: JoSeBach    29/10/2020    2 recensioni
[Sequel di "The first time", incompiuta]
{17.01.2021: modifica finale del primo capitolo}
È possibile riparare un regno dopo aver perso tutta la speranza?
È possibile ricostruire una famiglia dopo due morti e una fuga?
È possibile essere se stessi dopo essere morti più di una volta?
Flowey scoprirà che no, niente di questo è possibile.
[9404 parole] {versione inglese su AO3}
Genere: Angst, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Asgore Dreemurr, Flowey
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Petals discarded'
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Mi risveglio di nuovo nel grande giardino. E ancora non ci sono segni di quello che mi ha ucciso, siano ghiaccio e neve o lava. Sembra che ogni volta che mi uccido mi ritrovo in questo posto in questo istante. Però ancora non capisco cos’è che mi risveglia in realtà, visto tutto il silenzio e la pace che avvolgono l’intera sala. Forse è la mia morte la responsabile di questa tranquillità e quiete? Come se nessuno abbia mai notato nulla. Come se tutto si sia risistemato. Come se nulla sia mai accaduto– Stupidi, stupidi inutili pensieri. Smettila di parlare a vanvera e pensa piuttosto a cosa fare ora.

Questa volta non grido aiuto, voglio provare a seguire la mia responsabilità, lo scopo della mia vita, quello che ho fallito morendo: essere un degno principe ed erede. Mentre provo a ipotizzare i possibili eventi nella mia testa, eventi come il riconoscimento, la spiegazione di tutto e gli eventuali e imprevedibili scenari, lascio che il mio corpo goda un po’ di riposo, che le radici assorbano energia dal suolo e che i petali abbraccino i caldi raggi provenienti dal soffitto. Non ho ancora capito come esattamente funzioni il mio corpo (cavolo, mi mancano così tanto braccia e gambe!) però non posso certo lamentarmi della tranquillità che sto provando in questo momento. Mentre la mia mente è occupata a gestire le funzioni del fiore, i miei occhi sguazzano attorno, ritrovandosi quasi completamente coperti da altri Fiori Dorati. Inizio a fissarne uno, poi un gruppetto. Continuo a fissarli ma non reagiscono neanche un po’, se ne fregano, non curanti dell’ambiente, così in pace col loro ozio e soddisfatti con quello che hanno, senza alcuna preoccupazione o risentimento. Ma sono veramente vivi? Beh, ovvio: non sono tanto deboli come qualcuno potrebbe pensare vedendoli piccoli e delicati, e poi conoscendo papà deve averli accuditi come se fossero suoi figli. E guarda un po’ chi ne è diventato uno– Va bene, ora basta. Scaccio via il pensiero cercando di concentrarmi sul silenzio spettrale. Prendo un respiro lungo e profondo. Sta’ calmo ora, calmati. Ora non è il momento per un attacco di panico.
Quindi questi sono i fiori che ho portato dalla Superficie quando sono morto. E pensa te ora sono uno di loro, che ironia della sorte. Chara li amava così tanto, non mi merito di avere questa forma. A proposito di Chara, forse anche lui è qui, e magari si è già svegliato– Basta! Dimenticati dei fiori!
Punto lo sguardo più in alto e lontano, ritrovandomi a fissare una coperta polverosa e pallida su quel trono posizionato all’angolo in fondo a destra della sala. È quasi piacevole da guardare, quel bianco mi dà pace, sicurezza, nonostante sia fuori posto. Fuori posto perché quel trono non dovrebbe essere lì. Ma è lì perché mamma non c’è. Non più. Ma certo, è ovvio. Mamma capisce sempre cosa fare, probabilmente sarà rimasta disgustata perché papà ha ucciso degli umani e papà li ha uccisi perché io non sono riuscito a ucciderne anche sei da solo e mi sono ritirato emisonolasciatouccidere etuttoèandatoinrovinae– Basta. Fissa il sole e NON. Pensare.
Lo stelo si protrae verso il soffitto. Diversi raggi macchiano i miei occhi, bruciandomeli. Ma non mi schiodo. Non chiudere gli occhi, non abbassare la guardia. Si può morire anche sotto il sole. Il calore si diffonde prima su di me, poi in me. Non mi sento bene, questo corpo non è mio. È tutto sbagliato.

Dei passi familiari fanno eco in tutto il castello. Oh caspio. Non ho ancora molto tempo: papà sarà qui a momenti a pensare al giardino. Il suo mantello volteggia rumorosamente, i passi brevi indicano che sta scendendo le scale. In un minuto è qui. I boati si avvicinano più forti, le vibrazioni si spargono più velocemente nei fiori. Gli mancano poche stanze. Sarà qui in pochi secondi.

Non chiudere gli occhi, non provarci neanche.

La figura colossale appare, lì per svolgere i suoi lavori quotidiani: rimuovere le erbacce e assistere le piante. Non che ci sia tutto questo lavoro da fare, visto che i parassiti sono scarsi e i fiori presenti sembrano in salute. Eppure controlla tutti i fiori, uno per uno, tenendo costantemente d’occhio i piedi per evitare di pestare il mantello e creare disastri. Si avvicina al fondo del giardino per un'altra fila di piante. È a pochi passi da me. Non mi ha ancora notato.

Presto, puoi ancora farlo! Nasconditi. Non respirare. Fingiti morto. Ritirati. No. Scuoto la testa lentamente. Non posso più scappare, è inutile.
Quindi resto qui e tengo gli occhi aperti.

E finalmente mi trova, la sua occhiata curiosa mi analizza da cima a fondo, in questo caso da petalo a suolo. Non deve aver mai visto niente del genere prima d'ora, non che se ne ricordi comunque, la confusione trasparente sul suo volto. Le sue labbra si spezzano, vuole chiedermi di cosa ho bisogno.

La mia bocca si apre per sua sorpresa, interrompendolo. «P-papà, sono io.» Solo ora sento come la mia voce sia distorta e roca, come se il mio corpo non fosse fatto per parlare ma solo strillare e gridare, e chi può dargli torto?

Eppure lui riesce riconoscere la mia voce all’istante. Le ginocchia gli cedono, il suo peso cade e minaccia la vita dei fiori circostanti. Lui prova a rimediare l'errore, tentando di raddrizzare gli steli piegati, premendo il suolo per dare stabilità, ma non distoglie lo sguardo da me, per quanto ci provi. I suoi occhi sembrano rincuorati e… abbattuti. «Asriel?!» Grida lui, le iridi enormi, la bocca secca.

La sua voce profonda rimbomba nel mio corpo, facendomi tremare.

Farlo avvicinare a me è difficile, fargli sapere tutto ancora di più. Posso scappare, posso sparire completamente per poter fuggire dalle conseguenze, come ho fatto altre vite fa. E in quelle volte è servito a qualcosa? No, ma– E allora piantala di preparare stupidi piani, idiota! Affronta i problemi, non fare il codardo!
Le cellule vogliono slegarsi, ma reprimo la loro protesta e la mia paura. La mia volontà si rinnova.
Quindi inizio con l'annuire alla sua domanda, i suoi occhi sciolgono il muro di giaccio. Che è comprensibile…? Voglio dire, è per colpa mia e della mia morte se ha intrapreso questo piano sanguinoso e ora oso anche presentarmi dopo tutto ciò che ha commesso? Sarebbe come rinfacciargli:«Quello che hai fatto è inutile». Il fiato mi manca, divorato dalla colpa. Il retro degli occhi mi punge, ma l'acqua non prova a evadere. Il vuoto mi riempie. Indifferenza è tutto ciò che sento.
Aspetto con calma che le sue lacrime finiscano di fluire e che le sue orecchie tornino ad ascoltare la mia voce. Non ho finito e non scapperò. Solo questa volta riesco a raccontare tutta la storia, spiegando il vero piano di Chara e come l'ho mandato al quel paese portando a questo… sfortunato risultato. Con l'avvicinarsi della fine, distolgo gli occhi da lui, non oso guardare la sua reazione.

Il silenzio è un ospite ben accettato da entrambi.
Finché non decide di sostare troppo.

La curiosità mi lascia rialzare gli occhi.

Il suo sguardo è letteralmente piantato a terra, la bocca immobile. Una lacrima tocca il suolo e alcuni petali caduti.
Comprensibile, non riesce a credere che il suo amato e adorato figlio abbia commesso un tradimento così grave al regno e alla sua famiglia, troppo spaventato per prendere parte a una guerra che poteva terminare in partenza, troppo potente per morire con semplici colpi. Patetico.
Il suo pugno si chiude, poi molla, la pressione ora rilasciata nell'aria.
Deve aver capito che non c'è modo di farmi ragionare. Sarebbe solo una perdita di tempo.
Le dita si sollevano, gli artigli brillano contro la luce.
Deve aver deciso che punizione mi merito. Morte, stride.

La paura divora le mie interiora. Le cellule vogliono darsi alla fuga. Il panico ruba l'aria in corpo. Ma cosa diamine respiro se sono morto?! Perché se vado a morire qui e ora?! Che senso ha?!

La zampa si avvicina contratta ma rilassata. Sa che non posso scappare. Più è lenta, più io tremo.

La fisso, non posso non farlo. P-perché non ti fermi? M-mi puoi sempre perdonare per quello… g-giusto?

Si avvicina.

E io tremo ancora, lo stelo sta per implodere. Ti prego, perdonami, non voglio morire! Fermati! Giuro sull'Angelo che morirò di panico prima della sentenza.

Ora si trova sopra la mia testa.
Mi strapperà via come l'erbaccia che sono come il parassita che sono perché so che me lo merito ma non voglio non voglio–
E si abbassa, non più così lontana.

Non chiudere gli ocCHI, NO! NON–
L'oscurità mi avvolge ancora una volta, le lacrime e il sudore scorrono sul mio volto, deformando il vuoto in cui mi ritrovo.
Sono morto. Sono morto. Eheheh, quindi l'ha fatto per davvero, lo ha fatto, ha davvero–

Qualcosa tocca la mia testa.

Gli occhi si spalancano per riflesso, la luce torna ad abbagliarmi, diffondendosi ulteriormente per l'acqua agli occhi. Sono nello stesso luogo, ci sono gli stessi fiori, c’è lo stesso Asgore inginocchiato di fronte a me.
Lo stesso Asgore di prima, quello che sa tutto.
Non trovo segni di ferite né sento botte o dolori. Sento solo i petali in cima separarsi tra di loro, pettinati dalla sua soffice pelliccia. La carezza è enorme ma tranquillizzante, è come se… è come se lui sapesse come si accarezza un fiore.

«Mi… mi dispiace così tanto, Asriel!» I singhiozzi più profondi raggiungono le sue narici. «Vi ho dato così tante responsabilità mentre erano solo mie, solo mie e di Tori… Non… NON…» quello che segue diventa sempre più incomprensibile, completamente soffocato dai singhiozzi e lacrime in bocca. Gli occhi gli cascano a terra, completamente distrutto. Le sue dita ora circondano il terreno attorno al mio stelo come in un lontano abbraccio, probabilmente troppo preoccupato che nella foga la sua presa possa stritolarmi.

Qualcosa divora le mie interiora, facendomi quasi vomitare sul posto. Ogni gemito che sento mi dà la nausea, non posso sopportarlo. Tutto questo disgusto, tutta questa nausea… è il senso di colpa. Sì, è ovvio. Deve esserlo, in fondo è colpa mia se sta piangendo. Cos'altro può essere? Non provo a coprire le mie orecchie o qualunque cosa mi faccia sentire tutto. Non merito di scappare.

E lui ripete ancora e ancora di quanto gli dispiace. Non sembra che finirà di piangere tanto presto.

Bene, ecco fatto, l'ho rotto, e mi ci sono voluti pochissimi minuti. C'è davvero modo di sistemarlo? C'è davvero modo di sistemare tutto questo?
O ho sbagliato tutto fin dall’inizio? No, DEVE essere la soluzione giusta, tutto tornerà al suo posto.
Ingoio i miei dubbi, mascherandoli con un sorriso. Fallo per lui. Fallo per tutti loro.

E la pioggia cessa di cadere.
Lui solleva la testa, guardandomi di nuovo negli occhi, quelli suoi insanguinati. Asciuga via le lacrime con la zampa, alcuni peli ne rimangono intrappolati, pungendogli gli occhi. Non li rimuove. «A… Aspetta, ti offro qualcosa,» sospira in mancanza di parole. «Aspetta qui, faccio in fretta.

Lo vedo uscire dalla stanza, l'annaffiatoio rovesciato nella foga, la borsa con il concime completamente dimenticata. Ma certo, lui crede ancora che io possa mangiare. Voglio dire, sono bloccato in un caspio di corpo vegetale, come ti aspetti che possa anche solo ingerire cibo?! Se fosse così però non dovrei nemmeno riuscire a parlare, vedere, muovermi, pensare. Eppure riesco a farlo. Mio malgrado o meno.
Beh, magari vale anche la pena tentare.
Il tempo passa e papà non sembra dover tornare presto, tanto vale raggiungerlo. Dopotutto, non ho tanta voglia di morire di noia. Sprofondo nel suolo cercando di evitare i fiori e germoglio all'entrata di casa, ritrovandomi invaso da pungenti e marce foglie secche, proprio dove una volta c'erano le più belle e colorate piante. Allungandomi con il fusto riesco incredibilmente a sbirciare dal bordo della finestra a sinistra. Nonostante tutta la polvere, l'interno della casa è pressoché uguale a come me lo ricordo, come se nessuno in realtà ci avesse abitato da decenni se non secoli. Ora che ci penso, non so neanche quanto tempo sia passato dalla mia morte.
Individuo papà, la sua schiena enorme fin troppo facile da trovare.

Sembra sia occupato in cucina, i suoi occhi scorrono tra il libro aperto e il banco da cucina, occupato da… vediamo un po'… da farina sparsa ovunque (anche sul pavimento), impasto al gusto di peli, impiattato in una teglia da forno… ma certo, una torta. Inserisce la teglia nel forno spento… Aspetta, ma se la ricetta non lo vuole preriscaldato…? Però sembra che lui non lo sappia (o se ne sarà dimenticato): evoca una fiamma fin troppo grande per la povera torta, la inserisce e chiude lo sportello.

Sento già odore di bruciato…

Comunque, quello che manca ora è il ripieno. Quindi controlla di nuovo tutti gli ingredienti: un uovo, burro VERO, zucchero, altra farina… E dov'è l’ingrediente principale? Non sa ancora che torta preparare? Va verso la dispensa e tira fuori un sacchetto di… Giusto, cannella, una delle mie preferite. Alza la confezione al livello degli occhi, per poter… penso stia controllando quanta ne è rimasta? Mamma gli avrà detto mille volte di non metterci il muso dentro o non la smette di starnutire. Versa la polvere in una ciotola. No, non stare così vicino–
Uno starnuto. Tutto per terra.
Eheheh! Proprio come quella volta al compleanno di mamma, quando ha dovuto chiederle di comprare altra cannella senza farle capire il perché! I suoi occhi si lanciano verso lo scaffale di prima, sposta con noncuranza i sacchetti dalle mensole, ma nulla: è finita la cannella. Allora torna a guardare lo spettacolo d'arte moderna sul pavimento. Beh, sai, c'è un convenientissimo sacchetto di succulenti lumache proprio lì, dietro di te, puoi sempre–
E lui si… Si è inginocchiato?
A raccogliere la cannella?

Non capisco. Non capisco. Perché? Questo non è da lui! Avrebbe dovuto cercare di nascondere l'errore dicendo che non c'era mai stata della cannella? Che cosa succede?

La polvere raccolta non riempe neanche metà del palmo, ma gli basta. Gli sale un altro starnuto, ma questa volta chiude prontamente le dita, anche se delle particelle scappano comunque. Apre il palmo sulla ciotola di prima e aggiunge gli altri ingredienti insieme ad altri peli. Si accorge che qualcosa si sta bruciando nel forno… Investito dal fumo nero, estrae immediatamente la teglia, la pasta troppo marrone per essere commestibile. Sembra così mortificato, come se possa morire da un momento all’altro. C'è qualcosa di veramente sbagliato.

«Papà?» Lo chiamo io.

Rabbrividisce sul posto nonostante il calore del forno. Si gira lentamente, cercando di capire la fonte della voce. Deve essersi dimenticato che suo figlio morto è tornato indietro, o forse non sapeva che una pianta può spostarsi. Beh… come biasimarlo?

«Sono qui… qui davanti, in giardino.» Rispondo a tentoni.

Mi individua, i miei occhi a malapena visibili dal bordo basso della finestra. Mi si avvicina. «Sc-scusami, perdonami, ti ho lasciato da solo per…» legge l'orologio, inorridito, «per fin troppo tempo. Dammi solo un minuto, faccio in poco.» Corre lungo il corridoio. È subito di ritorno all’entrata di casa, una cazzuola e un vaso per piante in mano. Mi guarda con fare imbarazzato. «Beh…» esita ancora. «Scusa, ma non mi sono venute altre idee per come… portarti dentro.» Prova ad alleviare l'imbarazzo con una risatina.

Seguo i suoi singhiozzi vuoti, ma poi vanno entrambi a morire.

Con molta cura usa la cazzuola per tagliare il suolo, attento a non prendere l'area circostante e le radici.

Gli vorrei dire di non preoccuparsi troppo visto che le ho ritirate, le radici, ma forse sarebbe troppo… strano, quindi resto in silenzio.

Mi avvicina il vaso e mi ci porta dentro.

Sbarro gli occhi e ingoio la nausea che mi sale. Non mi abituerò MAI a questo corpo, cribbio! Ma comunque ora posso entrare in casa, anche se ho bisogno dell'aiuto di qualcuno per trasportarmi. Mi ritrovo nelle sue pelose braccia ed è così… così nostalgico, e allo stesso tempo così sbagliato.
La casa sembra molto più grande ora, grazie mille, corpo vegetale, ma sembra fin troppo grande anche per un enorme ma singolo mostro come papà. Non si sente neanche più il calore e la sicurezza che una volta le mura trasmettevano, è insopportabile questo gelo. Raggiungiamo il tavolo da pranzo e mi posa là sopra. Lui si prende una sedia e vi si siede. I nostri occhi si trovano di nuovo allo stesso livello. Lui è intimidito. Io ho paura. Rompiamo lo sguardo.

Poi lui lo rialza. «Allora…» E abbandona la frase a metà, trovandosi stranamente in difficoltà a iniziare una normale conversazione.

«Io… Io non credo di poter mangiare la torta,» lo informo subito della mia ipotesi, «o mangiare proprio perché… sai…» Volteggio il mio corpo, cercando di non avere un attacco di panico alla vista dello strano stelo controllabile. «Scusami.»

Sembra così mortificato che a confronto prima sprizzava di gioia da tutti i pori. «Va… Va bene, capisco. Eheh, anzi, è stato stupido e insensibile da parte mia pensare al contrario…»

«M-Ma figurati, non potevi saperlo e… e mangiala pure, la torta, se… se vuoi.»

«Ne sei sicuro…?» Mi chiede esitando… Ma gli occhi non brillano. Finge di essere gentile. Non la vuole mangiare.

Ma è ovvio, OVVIO CHE NON LA VUOLE! Ho visto quel disastro e niente e nessuno meriterebbe quella roba! Sistema tutto subito!
«Sai che c'è? Non importa, lascia stare la torta. Puoi anche… buttarla via…» Fisso il cestino da cui proviene questa puzza insopportabile. Deve essere pieno di chissà quante torte bruciate, crude e rovinate. Gli occhi si perdono alla credenza e alle tazze al suo interno. Un'idea germoglia nella mia mente. «Che ne dici di un po' di tè, invece? Possiamo berlo entrambi, puoi sempre versarmelo nel… nel vaso…» Cribbio, è tutto così sbagliato!

«Certo, buona idea. Vado a prepararlo…» Nonostante l’esitazione, sembra apprezzare l’idea. Si alza e si rivolge alla dispensa per i sacchetti di tè. Ne trova subito un paio in una scatola gialla, poi si volta guardandomi, e ripone via uno dei due, smistando il fondo della dispensa per un sacchetto verde. Poi prende… la tazza buon-compleanno-papà-re e… e quella a stella… Di tutte le tazze che ci sono doveva scegliere proprio quella? Non è mica che berrò letteralmente da lì… È già di ritorno, la stanza ora piena di vapore e fumi, le tazze piene fino al bordo. «Il modo più efficiente per bere,» diceva spesso Chara. Papà si siede, posizionando la tazza di fronte a me. Il suo sguardo pare chiedermi (o implorarmi) se voglio (o posso) berne.

«Credo che lo lascerò raffreddarsi ancora un po’, è ancora bollente…» Mantengo gli occhi fissi sul tavolo.

«G-giusto,» risponde lui imbarazzato, «l'acqua calda non fa affatto bene alle… radici…»

Cribbio, non può andare avanti così!
Lascio che l'atmosfera si calmi nel silenzio e negli sbuffi di lui. La tazza è fin troppo vicina a me, il calore mi dà fastidio alla faccia, la sento quasi sciogliere, mi innervosisce. Non mi lamento. «Quindi?»

Alla voce salta dalla sedia. «U-uh. Dimmi, figliolo.»

È tutto così sbagliato. «Se… Se a te va bene posso… posso farti una domanda?»

«Beh, me l'hai appena fatta, ahahah!» La risata s'interrompe subito con dei colpi di tosse. «Scusami, non dovevo interromperti. Chiedimi pure.»

«…Allora…» Cavolo, ma come dovrei iniziare?!

«Non preoccuparti,» appoggia la mano al vaso. «Lo sai che ti voglio sempre bene, no?»

Questa frase non mi piace per niente, ma ingoio comunque il nodo. «Va bene… Volevo chiederti cosa è successo dopo… beh, dopo…»

Annuisce tristemente, interrompendo la mia ansia. «Certo, devo dirtelo.» Medita per qualche secondo in silenzio, poi torna a parlare. «In realtà non è successo molto: quando abbiamo scoperto di voi, eravamo disperati, Tori ne era così devastata e io avevo perso tutte le speranze, come tutto il popolo– E no, non è colpa tua.» Mi accarezza la corona di petali.

Gli ricambio lo sguardo, le sue lacrime mi bagnano e mi nutrono, i sensi di colpa dilavati via, facendomi sentire così lontano. Cos'è che non va in questo corpo, in me? «Sto bene.» Lo rassicuro.

E lui torna a sorridere. «E poi… vedi, ho fatto una scelta sconsiderata e… e…» Un singhiozzo gli fugge, facendogli lacrimare di più gli occhi.

Ma per cosa piangi, per cosa ti senti in colpa? Voglio dire, cos'è la cosa peggiore che tu abbia mai fatto? Lasciarmi da solo in giardino per un'ora? Far cadere la cannella a terra? Riutilizzarla per la torta? Bruciare la torta? Ma chi vuoi prendere in giro, sei papà, cavoli, sei Fluffybuns, dai fin troppo peso a delle semplici sciocchezze. Quindi smettila di piagnucolare e sputa il rospo! O tu parli degli umani? È stata tutta colpa mia e di nessun altro. Non hai alcuna colpa. Lo guardo negli occhi, provo a rassicurarlo. «Non è colpa tua.»

«No, non è vero,» bisbiglia, soffocando un altro singhiozzo. «Volevo soltanto che tornasse un po' di speranza nel regno. Sai bene quanto importante sia la speranza per i mostri, altrimenti crollano e… E considerando quanto voi due eravate simbolo di un futuro migliore e di armonia, perdervi è stato troppo… Così ho… ho ripreso la guerra e…» Le ultime parole muoiono in silenzio, le lacrime scorrono in fila lungo le sue guance.

No… non c’entri… Se solo io… Se solo…! Guarda che cosa ho fatto, è così miserabile… Caccio via il mio sguardo, pentendomi ancora delle mie scelte.

«Ahah, lo so, vero? Io stesso me ne vergogno–»

«N-no, non è quello!…» M'affretto a interromperlo, la testa senza pace, la lingua senza parole. La mia faccia la sento quasi collassare. Lui è così… distrutto. Ed è tutta colpa mia. Basta deprimersi, non è il momento. No, non posso arrendermi, non ora, no se posso aiutarlo. Non devo mollare. Non mollerò. «S-scusami,» dico nell'imbarazzo e nella confusione. «È solo che… non me l'aspettavo.»

«Non posso darti torto, ahah.» Torna a bere il tè, senza soffiarvici. «Ma dopotutto non posso più tornare indietro. Il dado è tratto.»

Tutto ciò che sta facendo non serve a nulla. Oltre a dare breve speranza, a cos'altro può servire questo piano? Perché promettere qualcosa di impossibile? Perché provare a tutti i costi a raggiungere la Superficie quando ci sono tutti quegli umani che vi ci vivono e anche il più debole e imbecille di tutti è letale alle nostre vite? Prendo una boccata dell'aria polverosa. «E poi…?»

I suoi occhi scattano sui miei, sorpresi, confusi.

«Voglio dire, quante ANIME sei riuscito a ottenere?» I miei occhi e la mia mente pregano per avere informazioni.

«Ora ho 6 ANIME… ma è passato molto tempo dall'ultimo umano. Mi chiedo per quanto ancora dovrò attendere per il prossimo.»

Giusto, quelle scarpe non potevano essere di altri. Quindi non gli manca molto per iniziare. «Beh, che si prenda pure il suo tempo. Ma poi,» gli occhi schivano la sua figura, «che cos'hai intenzione di fare?»

«Distruggerò la barriera, e questo è praticamente ovvio. Poi… Poi non so ancora bene cosa fare; dopotutto gli umani sono ignari delle nostre mosse e non credo che una guerra sia la scelta giusta.»

Però l’hai iniziata, idiota. «Quindi non hai ancora pianificato nulla?» Posso anche capirlo ma… andare avanti senza un piano in testa? Certo, non lo posso biasimare, io ho fatto lo stesso ma i risultati…

«Già, ahah. Non sono mai stato un ottimo comandante, ma è di per sé una situazione difficile da gestire.» Rilassa lo sguardo sulla tazza, un po' più sereno. Mi sorride. «Beh, ora penso che il tè sia abbastanza freddo, no?»

Un po’ titubante lo lascio inumidire il suolo con la bevanda. Le radici la assorbono alla prima goccia, come se prima fossero ignare della loro sete, assorbendo più molecole possibile. Non sono in grado di sentirne il sapore, ma a giudicare dalla densità, dall’odore e dal colore, mi ricordo del gusto tiepido e agrodolce del tè verde più puro.
E conoscendo le abilità di papà deve essere strabuono.


I giorni proseguono lenti, rapidi, silenziosi, pesanti.

Io rimango sveglio per tutta la notte. Le piante non dormono.

Solo l'Angelo sa dopo quanto tempo, ma sempre di prima mattina, la confusione sotto le coperte cessa con due occhi spalancati e dei breve e rapidi respiri, seguiti da tremori e sudore. Un incubo probabilmente, come sempre del resto. Trascorsi i dieci minuti in cui pateticamente si rassicura ancora e ancora, si accorge della mia veglia e mi sorride, faticando un po' a iniziare una conversazione chiedendomi come mi sembra la giornata. Sì, nel Sottosuolo. Ma gli argomenti finiscono in fretta e non mi sento molto in vena di parlare. Entrambe le nostre voci muoiono tra i nostri denti.
Lui si alza ricordandosi delle responsabilità che ha sulle spalle. Questo avviene verso la tarda mattinata, normalmente irragionevole e inaccettabile. Almeno, questo se ci fosse ancora mamma. Lei non glielo avrebbe mai permesso. Alzatosi dal letto mi prende e ci avviamo per il corridoio, incrociando il cartello "Stanza sotto rinnovi" e sostiamo in cucina per la classica e insipida tazza di tè, tè che ormai bevo solo per buona educazione, visto che pare che gli dia gioia. Voglio dire, sarà anche buono, il mio corpo pare apprezzarlo e tutto quanto, ma me ne sono già stufato, specialmente se non posso sentire più il gusto caldo e dolce correre sulla lingua.

Una volta provai a berlo dalla bocca. Vale la pena provare, pensai, quindi perché no? Mentre lo deglutivo potevo sentire la saliva zuccherina pungere e appiccicarsi alle pareti della gola, della lingua e di tutta la bocca. E l’effetto continuò per tutto il giorno. Che stupido errore.
«Qualcosa non va, figliolo?» Mi chiese lui, afflitto.
«N-no, non è niente, è solo che non… non sono abituato a bere, tutto qui, non preoccuparti.» Non lo feci più.

Dopo la povera colazione ci avviamo sempre verso le scale, non degnando di uno sguardo l'inutile calendario (quella giornata cerchiata in rosso), e raggiungiamo il giardino per far fronte ai compiti più importanti che spettano a un sovrano, apparentemente, visto che non fa nient'altro.

Una volta provai a convincerlo a farmi vedere quella stanza in fondo a destra, la cantina, ai tempi il luogo perfetto per nascondino. Ma lui si rifiutò.
«Non c'è più nulla lì, se non sporcizia e polvere.» Provò a rassicurarmi, fallendo.
Non glielo chiesi più.

E poi continua PER TUTTO IL GIORNO a badare ai fiori bisognosi, tentando anche di iniziare delle conversazioni a vuoto con me e loro. Sì, dico con quelli senza faccia. Avrei voluto essere rinato in un Fiore Eco solo ed esclusivamente per fargli notare quanto lui sia veramente NOIOSO.
E questo è tutto. Non c'è nient'altro degno di nota.
…Aspetta, no, è una bugia: a volte, e dico A VOLTE, mi lascia completamente da solo nel giardino– no, ma cosa dico, sono con gli altri fiori, vero, papà?! E quando ritorna, di solito dopo un'ora o due, è ricoperto di farina e impasto e odora di marcio. In quei casi creo una risata e lui mi segue. Sono entrambe vuote, ma è così facile soddisfarlo. E una volta è rimasto un po' di più in camera per poter scrivere una lettera, ma non gli richiede mai troppo tempo. E non è poi così tanto interessante visto che non mi ha detto per chi fosse.
Ma oltre a questo? Sì, questo… questo è quanto. Le giornate terminano tutte uguali, seguendo lo stesso. Identico. Programma. Penso che morirò di noia qui.

Ed eccomi ancora qui, in mezzo ai miei rilassati e ben serviti compagni fiori, separato dalla loro terra comune. E lui osa pure dire che sono in buona compagnia. Mannaggia a 'sto stupido vaso, o andrei dove diamine mi pare quando mi pare. Lei mi darebbe sicuramente ascolto…
Mentre lui annaffia i ricchi mazzi raccolgo tutto il mio coraggio e glielo chiedo. «Papà, quanto tempo è passato da quando…»

Ora mi fissa, poi segue il mio sguardo, cadendo sul trono nascosto dalle coperte bianche. Il suo sorriso cede. «Dopo che io ebbi dichiarato guerra agli umani lei scomparve. Ora non so quanto tempo sia passato, visto che ho perso il conto dei giorni, ma deve essere stato parecchio tempo fa.» e riprende le attività di giardinaggio.

Quindi è davvero così… lei se n'è andata. La regina di tutti i mostri, la mente dietro il trono, colei che conosce sempre la soluzione a ogni questione, colei che può risolvere facilmente anche il più intricato problema, LEI È SCAPPATA! Se n'è andata e non è più tornata. Se è fuggita, deve voler dire che la situazione è così grave che non è riuscita a gestirla, si è arresa. E se non ci è riuscita lei, come posso pretendere di poterlo fare io?!
Rivelarmi è stato davvero utile a qualcosa? Era davvero la cosa giusta da fare?
Sono destinato a vivere qui con lui con nient'altro da fare e pensare?
Che cosa dovrei fare?


La mia attenzione viene richiamata dalla sua voce profonda, il respiro bloccato in gola, i pensieri sulla mia lingua. Distolgo lo sguardo da lui, spaventato.

«C'è qualcosa che ti preoccupa, figliolo?»

Getto gli occhi nei dintorni. Anche se non siamo più in giardino ma in salotto (per quante ore ho pensato?), mi ritrovo sempre immerso nel giallo acceso, siano causati dai fiori o dalla sua barba. Non mi sento bene.

Lui nota il mio disagio e accarezza il vaso, aumentando la mia ansia. «Figliolo, Asriel, guardami negli occhi.»

Ma che cosa pensavo di fare tornando qui?!

«Va tutto bene.»

Niente va bene.

«Asriel, ti prego. Togliti il peso dallo stomaco.» supplica lui, ed è così commosso e preoccupato per me e non riesco a capire–

«Cosa–?» inizio, ma le parole mi muoiono in bocca. Perché sto esitando? Che mi prende?

Lui annuisce e basta, il suo sorriso nasconde la preoccupazione.

«Che cosa pensavi di fare con… me?» bisbiglio la fine, non sicuro del termine più appropriato da usare.

I bordi della sua bocca cedono un poco, molte idee stormano nella sua testa, come quando deve pensare a elaborare una risposta in uno dei suoi discorsi. «A dire il vero, non c'è molto. Certamente vivrai qui. Poi…» Rimugina per altri minuti, sorseggiando nel mentre il suo tè. Subito rigetta il sorso, la lingua pulsante cerca conforto nell’ambiente. Deve essere ancora bollente.
I suoi occhi poi si illuminano, come colpiti da un fulmine. «Ecco, ci sarebbe una cosa a cui stavo pensando…» ed esita.

«E cos'è?» Aspetta, dici sul serio!? Dimmelo subito, farò tutto quello che vuoi!

«A te andrebbe bene se… se facessimo sapere agli altri del tuo ritorno?»

Le mie labbra si congelano.
…È davvero la cosa giusta da fare? D'accordo, è un'idea sua e me l'ha chiesta, quindi dovrei semplicemente accettare, ma… questo non peggiorerebbe soltanto la situazione? La gente non perderebbe fiducia in papà, pensando che magari fossi vivo fin dall'inizio? O penseranno che io sia un impostore? No, idiota, è fin troppo ovvio che non lo considererebbero. Probabilmente quello che vedranno sarà solo un altro bagliore di speranza, come se non ne vedessero già in ogni cosa che trovano. Ma dopotutto…
Non è quello che dovrei fare?

«~tutti loro meritano di sapere che il loro principe~» Lui va avanti e avanti con la spiegazione dei suoi ragionamenti che lo hanno portato a quest'idea.

Ma non mi preoccupo di ascoltarli, cercando invece di raccogliere tutto il mio coraggio per seguire le sue indicazioni. Perché non mi piace per niente l’idea. Pare che io e i piani non andiamo d'accordo.

Finalmente conclude il filo del discorso. Attende in silenzio una risposta.

Le mie parole cedono, inutili. Annuisco col capo e basta, sfoggiando falsa determinazione.

E lui mi sorride. «Grazie, figliolo. Non puoi immaginare quanto sia importante per noi.» Già, non lo posso immaginare perché è semplicemente inutile. Prende la tazza tiepida e versa il tè rimasto nel vaso, spargendolo omogeneamente sul suolo ora morbido. Alcuni vecchi ricordi mi riportano il suo lontano gusto: così caldo, così… così vicino che mi ricorda casa e la normalità.
Se solo lo potessi assaggiare ancora un'ultima volta.


La notte si rivela più silenziosa del solito, a parte per i rumorosi ronfi e i casuali movimenti del corpo sotto le coperte. Un sincero sorriso giace placido sulle sue labbra. Si trova lì da quando ho accettato il piano ed è cresciuto all'augurarmi la buonanotte.
Solo ora mi rendo conto di quanto sia scura la stanza, a parte per la coppia di Fiori Dorati emergenti dall'ombra come in un tramonto…
Però, seriamente, non riescono a capire quando mollare? I mostri, intendo. Perché volere– anzi, bramare così tanto la Superficie? Forse perché stiamo parlando di mostri, degli esseri così speranzosi, gentili, ingenui, deboli– tanto, tanto deboli… Ed è impossibile che loro possano vincere un'eventuale guerra contro gli umani. Li ho visti quelli e voglio dire, se stiamo parlando delle stesse bestie, allora non vi è ombra di dubbio. Senza considerare che erano anche spaventati, quella volta. E comunque, la mia rivelazione aiuterà veramente il regno? Motiverò i loro desideri di un futuro là fuori? Darò loro un po' di buonsenso? Oppure… oppure non cambierò nulla? Cribbio, dovrei davvero dormirci sopra…
Le piante non dormono. Ma ovvio. Proprio come non pensano, respirano, non hanno una bocca– o anche una vita vera. Ma dopo tutti i tentativi fatti, dovrei smetterla di crearmi false speranze. Forse non sempre volere è potere.
Inizialmente focalizzo sui ronfi assordanti (faranno tacere i miei pensieri, in qualche modo) ma finiscono per infastidirmi e basta. Mi trattengo dall'immobilizzarlo, quegli scompigli con le coperte mi danno sui nervi. Nervi che non ho. Bene.
Evoco una rampicante (mi basta visualizzare un braccio dal vaso, pare) e piglio il libro più vicino e accessibile, non importa il nome, qualunque sia il contenuto, non mi interessa, deve solo distrarmi. Sfoglio una pagina casuale; il testo è spezzato in diversi paragrafi, ognuno composto da tre righe– una poesia, interessante. Di solito sono profonde, o almeno questo è quello che diceva spesso Chara. Forse potranno rispondere ad alcuni miei dubbi. Nonostante la luce fioca e l'inchiostro sbiadito, riesco a vedere alcune frasi:

Io sentia d'ogni parte trarre guai,
e non vedea persona che 'l facesse;
per ch'io tutto smarrito m'arrestai.

Cred'io ch'ei credette ch'io credesse – o qualunque cosa voglia dire,
che tante voci uscisser tra quei bronchi
da gente che per noi si nascondesse.
– o forse stanno solo giocando a nascondino, genio?

Però cisse 'l maestro:"Se tu tronchi
qualche fraschetta d'una d'este piante,
li pensier c'hai si faran tutti monchi."
– ottimo, maestro. E io cosa dovrei spezzare?

Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e 'l tronco suo grid
ò:"Perché mi schiante?" – un grido?!

Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominci
ò a dir:"Perché mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siamo fatti sterpi:

Aspetta, cosa?! Una trasformazione?! In una pianta?! Scrollo tra le parole mescolate, girando le pagine avanti e di nuovo indietro. Scruto il nocciolo della questione, saltando le presentazioni dei personaggi.

L'animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
– già, è ciò che ho fatto anch'io: sono scappato dalle conseguenze e mi sono ritrovato in un vegetale. E… E quindi? C'è una soluzione a questo?

Continuo a cercare tra le parole, sempre più difficili da leggere per la maggiore oscurità e la mia determinazione.

Quel dinanzi:– non m'interessa.

gridava:"Lano, – non importa.

que' cittadin che poi la rifondarno– forse dovrei tornare indietro.

di dirne come l'anima si lega – ANIMA? Oh, forse siamo vicini!
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi
s'alcuna mai di tai membra si spiega."
– ecco! …Aspetta, lo dicono per davvero?!

Allor soffiò il tronco forte, e poi – dillo e basta!

Scorro attentamente tra le righe e trovo l'informazione cercata.

Come l'altre verrem per nostre spoglie, – oh, ottimo! Ma… perché? E come…?
Ma non però ch'alcuna sen rivestita;
ché non è giusto aver ci
ò ch'om si toglie.

Qui le trascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta."

…Quindi… Tramuterò di nuovo nelle mie ceneri… o nella mia pseudoforma precedente? E poi tornerò nel giardino e… mi impiccherò? Appendendo polvere o cera? Con nessun albero in vista? Per nessun motivo e proposito? Come può una stupidaggine del genere aiutarmi? Come può SALVARMI 'sta roba?! Parole inutili, ecco cosa siete! Cosa fate ancora lì a tormentarmi? Risvegliarmi in una fottuta pianta non era già abbastanza doloroso!? Non è sufficiente?! Cosa volete ancora? Pensi sia un gioco, libro?! Chi ti ha scritto, un folle?! Sei malato?! O forse vuoi assaggiare delle spine, eh?! Allora fatti sotto! Prendine un po'! Ti faccio vedere io chi comanda qui!
Mi ritrovo tappezzato di sputi di carta e di inchiostro, la pesante copertina di cartone a terra. Stupido libro con una stupida morale, non prova neanche ad aiutarmi a redimermi o soltanto a distrarmi dalle conseguen… ze? No, no! N-non è quello che ho detto! Non posso fare gli stessi errori! No, eheh, infatti, non sto sbagliando ancora… vero…? VERO?!

credendo col morir fuggir disdegno

Cielo, è bastata una stupida frase per distruggermi. Ma… ma come si può essere così codardi… così stupidi… Come posso pretendere di dare speranza se non ne ho affatto? Come?! Forse davvero non c'è modo di riparare ai miei sbagli?

«Asriel?» la sua voce gentile penetra nella mia mente.

Cosa? Spalanco gli occhi ed è tutto così sfuocato, confuso, incomprensibile– Quanto tempo è passato? È già mattina? Com'è che è già sveglio–

Si inginocchia, prendendo il cadavere capovolto del libro. Merda. «Asriel?» Il pelo raccoglie le mie… lacrime… e scalda il vaso… per quanto gli è possibile. Con l'altra mano accarezza la mia guancia umida, le sue occhiate rassicuranti… «~ti preoccupa, figliolo?» Quello sguardo è così turbato eppure la sua voce è quasi calmante e speranzosa…

Come. Come. COME?! Come puoi TU aiutare me quando non riesci ad aiutare neanche te stesso? Dopo tutto quello che è successo, dopo ciò che ti sei obbligato a fare, nonostante la maschera che ti sei COSTRETTO a indossare di fronte ai tuoi sudditi– nonostante tutto ciò che ho fatto!? Mi ritrovo avvolto nel manto umido e pungente, soffice come quei lontani e sbiaditi ricordi… Non capisco. Perché si emoziona così tanto, perché si preme per un fallito come me? E come può anche solo sognare di aiutarmi se non ha speranza? Non si è mai preso cura di sé neanche nel prepararsi un pasto dignitoso; è chiaro come la luce. Ma è sempre stato così, sempre a dare ANIMA e corpo in ciò che ama fino allo stremo. Anche quando è inutile, anche quando mamma era giù di morale…

«Andrà tutto~»

No, non è vero! Non riesco ad ascoltarlo. Sono così… così SOPRAFFATTO, soffocato da RICORDI, RIMPIANTI, COLPA, tutto rigettato in gocce che il mio corpo non dovrebbe piangere, ma che fa comunque. Non capisco come funziona il mio corpo. Non capisco come gira il mondo. Non capisco–

E lui bisbiglia la melodia. Quella melodia. Non è qualcosa che devo ascoltare con troppa attenzione, mi ha sempre aiutato contro incubi e pensieri oscuri, risonando nella mia ANIMA un brivido di pace– ANIMA che ora tace… Cosa–

BASTA. RICORDARE. RITIRATA.

Sprofondo nel vaso, una fredda, vuota e silenziosa casa. Tremo nella mia nuova dimora, cercando di reprimere le mie paure e i miei demoni. Almeno non ci sono altri Fiori Dorati in vista.


I giorni seguenti passano ancora di più nel silenzio rispetto a quelli precedenti. Lui continua a portarmi in giro per la casa: in cucina, in giardino e in camera, sempre seguendo lo stesso orario e lo stesso percorso del solito. Però i suoi continui tentativi di conversare non ci sono più. Scommetto tutto che se qualcuno mettesse un Fiore Eco qui vicino andrebbe completamente sprecato, abbandonato in un angolo muto. Sempre in salute, ma muto.
Più che determinato a rimanere zitto papà sembra turbato, probabilmente preoccupato che qualunque cosa dica possa mettermi a disagio.

Ho provato pure a rassicurarlo ma non è servito a molto, probabilmente pensa che io finga di essere buono… Eeee non è proprio nel torto, visto che recentemente faccio fatica a essere gentile con lui. Ma gli voglio bene. Anche se a volte sono arrabbiato e sardonico e seccato con lui– Ma questo non importa! I miei pensieri non hanno nulla a che fare con il mio dovere. Il mio dovere… Forse mi comporto così per colpa di quell'incidente e quindi mi scaldo facilmente, cosa difficilmente negabile, per quanto io provi a non accettarlo. Lui stesso ha definito quello un evento traumatico. Non che ci possano essere altre spiegazioni plausibili, visto che morire dovrebbe essere un'esperienza unica e ultima.
In realtà non posso negare di non apprezzare questo silenzio, però credo che prima o poi impazzirò se continueremo a non far altro che le stesse e identiche cose tutto il giorno. Dopo quattro (o sono cinque, o sei– vabbeh, non importa) giorni di ore vuote e sprecate accigliandoci a vicenda, riesco ad aprire bocca e affrontarlo di petto. «Quanti giorni mancano ancora?»

Le sue spalle si irrigidiscono, la mandibola esita ma si smuove. Gli ci vuole un momento per ricordarsi come funziona. «C… cos'hai detto?»

Lascio sfuggire uno sbuffo sarcastico. «Oh, andiamo, sai di cosa parlo. Quando mi devo rivelare?»

Il suo sguardo pare distante, come se stesse ammirando un'allucinazione. «A… allora vuoi davvero–»

«Sì.» rispondo prima di potermene pentire. Non posso tornare indietro ora. E prima che lui possa chiedermi altro, io aggiungo:«Ed è per il bene del popolo, giusto?»

Prima preoccupazione, poi sorpresa e fierezza si svelano sul suo sorriso. «Sì.»


E gli ultimi giorni da fiore qualunque sono passati in pochi respiri e, nonostante il mio iniziale sollievo per poter affrontare la cosa subito, non posso far altro che sentire il crescente panico, rimorso, COLPA e poi– poi nulla rimane dentro di me. Mi guardo attorno esplorando la camera, i fiori sopra il guardaroba illuminati come se ci fosse una crepa sul soffitto. La notte è ormai tramontata.

Anche lui fissa là sopra, i suoi occhi stanchi si muovono alla ricerca di qualcosa, poi si volta verso di me: le sue movenze mostrano chiaramente la sua gioia e ansia.

«Andrà tutto bene.» Dico io, rassicurando lui e me stesso.

«Ne sono certo.» Si siede sul fianco del letto. «Bene, l'incontro dovrebbe iniziare fra qualche ora. Sarà meglio prepararsi, non credi?»

Mi limito ad annuire.

Mentre si veste con la pesante armatura (di cui mi sono sempre chiesto l'utilità), mi mostra il completo per me, che consiste di un pezzo di stoffa viola reciso dal suo mantello da indossare come una sciarpa– sì, si vede che è a corto di idee: anche lui non sembra fierissimo della sua opera mentre me la illustra. Ma dopotutto, non capita tutti i giorni di riaccogliere un erede morto ufficialmente. O anche non ufficialmente. O di vestire un fiore– Non importa. Mi annoda gli angoli, lamentandosi dello stemma mancante. A essere onesti, però, penso che sia un dettaglio trascurabile ora come ora. Lasciamo la camera e giriamo verso sinistra, zona che non abbiamo mai guardato prima, e sostiamo di fronte allo… specchio…
È la prima volta che mi vedo dopo la reincarnazione.
È vero, anche il ghiaccio di Snowdin mi ha dato un'immagine un paio di vite (?) fa, però era distorta e difficile da comprendere. È vero, ho visto decine e decine di altri Fiori Dorati in giro. Ma sai, vederne uno che ha letteralmente due linee verticali come occhi e una orizzontale per la bocca e ricordarsi che sì, «Sei sempre tu» è certamente tutt'altra cosa. Però è così ironico come alcune cose non cambino mai: sembro quasi a come ero prima di morire, indossando il mio maglione verde preferito e le strisce gialle ora petali. Probabilmente ho questi due colori nella mia testa.

Asgore sfoggia un sorriso ebete, volteggiando il mantello ripetutamente come un idiota. «Guarda, le nostre vesti sono abinate.» Non la smette di indossare quel sorriso da cretino, come se non fosse successo nulla. Come se tutto fosse al suo posto. Ma lo è?

Un tremore mi attraversa completamente. Non vedo l'ora di chiudere con tutto questo. Prima si fa, meglio è. «Q-quindi, quanto ancora dobbiamo aspettare...?»

«Non molto. Hey,» mi accarezza dolcemente la testa, «stai tranquillo, non ti devi preoccupare.»

Ma io mi preoccupo lo stesso, idiota, quindi noN PUOI SEMPLICEMENTE DIRMI– No, sta' zitto. La rabbia viene compressa nella mia testa. Sta' calmo, calmati, respira… andrà tutto bene… sì. Mi volto verso di lui svelando il sorriso più falso che la mia faccia abbia mai creato.

Se lui l'ha notato, però, non dice nulla a riguardo.

Fanno eco dei passi pesanti, si avvicinano, l'ombra proiettata sul pavimento cresce enorme, informe e terrificante. L'intruso entra nel nostro campo visivo: è un'armatura alta e massiccia, i fori per gli occhi scuri e spaventosi. Conosco alcune persone che hanno un'armatura: mamma, papà, Gerson e pochi altri. Ma l’hanno usata solo per la guerra, e nessuno di loro ha una coda di cavallo scarlatta ciondolante alla schiena. Quindi chi diamine è questa persona?! E che cosa vuole?!
La figura si fa più vicina. E più grande. E più minacciosa.

Come posso non prendere un infarto?!

Ma Asgore scorre le sue dita sui petali, i suoi occhi lontani dall'essere spaventati, quanto piuttosto… contenti? Che diamine, papà?! Lui accoglie la figura… cordialmente…? «Capitano.»

La guardia inchina leggermente l'elmo, ricambiando il saluto, e la voce smorzata (di una giovane ragazza?) dice:«I civili stanno arrivando, sire. Tra di loro vi sarà anche un reporter, a voi va bene?»

«Certamente, ma non penso che stia a me scegliere.» Ed entrambi mi fissano.

Guardo titubante il pavimento, cercando di ignorare i loro pungenti sguardi. «Ehm… OK?» E che diamine sarebbe un reporter, comunque?! Non importa, penso che questo li renderà felici, giusto…? Voglio dire, papà è chiaramente contento, ma lei… Nonostante il buio più totale nei due fori posso dire che la sua attenzione è incentrata su di me, ma non posso dire a cosa pensa, come sta reagendo o NIENT’ALTRO.

Le sue placche si muovono. Lei si sta abbassando… aspetta, in ginocchio…? E anche col capo abbassato? «È un onore potervi conoscere, principe Asriel.»

…Come lo sa.
Nonostante il mio panico e le numerose domande che capitolano nella mia testa mantengo un volto composto, le parole rigide ma gentili. «Il piacere è tutto mio, Capitano.»

Si rialza all'attenti e procediamo insieme verso la sala del trono, superando la stanza-sotto-rinnovi chiusa a chiave e il calendario dimenticato. È come se il tempo si fosse congelato nell'istante in cui siamo morti. Il metallo collide con le scale di legno, causando dei fastidiosi boati, mi viene il mal di testa. Papà sembra essere contento e fiero, il suo portamento sicuro. «Lei è Undyne, il Capitano della Guardia,» afferma lui, leggendo nel mio pensiero. «È una persona gentile, affidabile e seria, è per questo che ho ritenuto sicuro affidarle tutto. Sono certo che voi due andrete d'accordo.»
Raggiungiamo il giardino dorato. Lui si siete sul trono tenendomi sul suo ginocchio destro, più vicino a… ad Undyne, (giusto?) che appare comunque estremamente ostile…? Sarà l'armatura a farmelo pensare, o forse papà è cascato in una trappola…

Non ci vuole molto per il loro arrivo. Quello dei mostri, intendo.
Molti accedono alla stanza, occupando completamente l'entrata e la zona circostante. Riesco a riconoscerne alcuni, come Gerson all'angolo… e nessun altro, visto che sono basso e loro si coprono le facce a vicenda. La maggior parte di loro (che non ho mai visto in tutta la mia vita) mantengono un rispettoso silenzio, mentre altri chiacchierano tra di loro, come la gatta e l'alligatrice laggiù. D'improvviso appare una scatola di metallo con uno smoking rosso e spinge la folla reclamando la sua priorità e raggiunge la prima fila con un… Quella è una telecamera? «Sarà il servizio più bello della mia grandiosa carriera!» urla bisbigliando. Gli altri mostri si avvicinano perché lo spazio inizia a mancare nella sala. Al loro ennesimo passo Undyne evoca una lancia blu nel suo guanto di ferro, ricordando loro le distanze da mantenere. Loro eseguono, la loro immortale ammirazione brilla nei loro occhi. Poi guardano me incuriositi.

La mia visione lievita. Caspita, papà, potevi anche dirmelo che ti stavi alzando, pensavo di cadere!

Tutti i presenti si inchinano, anche il vecchio Gerson, nonostante la sua età e il peso del carapace. Sembrano tutti così piccoli… La testa di papà copre la luce retrostante. Sta arrivando la sera?

Volgo lo sguardo a terra ed è così lontana e minuscola– un piccolo giardino dorato al tramonto…

Si rialzano tutti. Ma li supero sempre in altezza. Tutti loro mi circondano. Sono tutti così vicini.

C-cosa, cosa volete farmi?! State indietro!

Qualcosa mi colpisce la testa e mi volto alla ricerca del nemico. Non toccarmi!

La mia faccia si spappola contro il suolo, il dolore sparso in tutto il corpo. Torniamo a respirare dai polmoni informi.

La folla è terrorizzata. Deve essere per il mio aspetto. «FIGLIO MIO!» Chi ha parlato? Tu indietreggi di scatto. Hai disgusto, paura, orrore. I due si avvicinano al tuo corpo–

Voi…

Ottengo il controllo della cera sciolta. Molti gridano e fuggono, anche loro due scappano. Altri invece avanzano.

Sciò! Andatevene!

Non si fermano.

Non voglio farvi del male! Vi prego!

Non si fermano.

… Ma riescono a sentirmi?

Non si fermeranno.

E continuano a procedere– Sono tutti così vicini–
I più vicini e alti poggiano una mano al loro fianco ed estraggono qualcosa che riflette il sole–

Azzy, sta’ indietro! Evochi un piccolo germogliante fuoco che voleva essere un muro. Le mie braccia sono come candele accese. Non hai mai usato la magia prima d’ora.

Nonostante la piccolezza e la distanza, loro gridano e urlano, molti fuggono in ordine sparso. È un pandemonio.
Tutti loro hanno paura.

Attaccali!

Creo alcune innocue ramaglie di fuoco verso i più coraggiosi attorno a me, facendoli indietreggiare. Vi prego, non voglio farvi del male, vi prego state indietro–

Una tremolante canna appare di fronte ai miei occhi–

Il fucile!

Il fucile esplode e il boato più potente raggiunge il mio petto, sciogliendo ulteriormente le interiora. Non posso sentire, né vedere, posso percepire solo la fitta. Fa male.

Ti… ti hanno s p a r a t o.

Mi hanno sparato.

Ti hanno sparato ASRIELREAGISCI–

Altri colpi. Altro dolore. Altra cera persa nel campo. «Tiene ancora duro!» Altri proiettili. Altro piombo. Altra cenere sparsa ovunque. Voglio gridare contro i rumori e il male e la folla ma la mia bocca non esiste ancora. Stiamo decadendo.

FALLI FUORI, ASRIEL!

Uno grida e molti– migliaia di pallini perforano il mio corpo–

FALLI FUORI TUTTI!

Rimango gelato sul posto altrimenti li ucciderai tutti. Nessuno deve morire, Chara.

Ma TU STAI MORENDO!

Evoco un cespuglio di fuoco e anche gli umani più imprudenti si allontanano. Alcuni gettano le proprie armi e fuggono. L’attacco magico muore poco dopo. Devo trovare un sostegno o a fatica potrò reggermi in piedi. Devo andarmene, subito.

«Tiene ancora duro!» E altre grida partono–

DIFENDITI! I miei artigli affondano nelle membra del tuo cadavere– USAMI COME SCUDO! È UN PESO MORTO!

Non posso. Riesco a schivare gli altri colpi, tenendoti stretto a me. Non potrei mai usati, Chara.

TI PREGO, ASCOLTAMI! RENDILO UTILE! RENDI MI UTILE!

I colpi muoiono all’improvviso.

Stanno ricaricando Asriel è ora di mettere fine a TUTTO questo!

In qualche modo mi rialzo in piedi e lascio il campo.

Cosa?! CHE FAI?!

Tengo il tuo corpo ancora più stretto a me. Loro non ti meritano.
Nonostante e a causa di tutto questo, la Superficie sembra così pesante e lenta e silenziosa e insignificante. Le mie gambe– Tutto il mio corpo diventa sempre più instabile e quasi gelatinoso. Raggiungo i piedi di Ebott. La montagna è gigantesca, dall’interno non avrei mai potuto dire che la nostra casa fosse così grande–

ASRIEL, ORA BASTA!

Mi spavento al richiamo e mi fermo sul posto. Non ci sono altri umani in zona. Devo riprendermi– Devo riprendermi dalla corsa. Andiamo, respira, respira! Mi appoggio a un albero vicino, la mia schiena si arrende appena sente la presenza del tronco. Riesco comunque a rimettermi in piedi, nonostante gli incessanti spasmi e la tutta la linfa vitale persa.

Tu prendi a pugni la nostra anima, già pronta a cadere a pezzi, con frustrazione.

Chara, ti prego–

NO! STA’ ZITTO! ADESSO TU ASCOLTI ME! Singhiozzi i tuoi più profondi gemiti e piangi le tue più profonde lacrime. Non ti ho mai visto così, neanche nelle notti peggiori, nemmeno quando stavi– PERCHÉ! PERCHÉPERCHÉPERCHÉPERCHÉ! Continui a picchiare e colpire, i pugni pieni di rabbia. PERCHÉ DEVI ESSERE SEMPRE COSÌ!?

S… Scusa, mi dispiace…
Riprendo la camminata, altrimenti non ce la farò. Mi dimentico sempre come il viaggio di ritorno sia sempre più difficile rispetto a quello di andata e questa non è un’eccezione. Ogni volta che avanzo (o per meglio dire mi trascino) ciò che rimane del mio corpo fa un male bestiale. Sono i proiettili, o forse i rami che ho calpestato, o magari questi semi? Tutto non fa altro che appiccicarsi a me e non lasciarmi andare.
Zittisco i pensieri, altrimenti non ce la farò. Un profondo silenzio ci avvolge, entrambi, se non per i singhiozzi e le folate di vento e i pesanti sospiri. Sto soffocando i miei polmoni con tutta questa fatica. Respira, idiota, respira! Mi fermo ancora una volta, il mio braccio destro inaffidabile per la stanchezza. Sposto il tuo corpo su quello sinistro. Sembri minuscolo, mi chiedo come hai fatto a tenerti dentro tutto questo odio.

Eheh… E te lo chiedi pure, ora. Bisbigli senza usare la voce; anche la tua mente è stanca quanto questo corpo marcio. E te lo chiedi nonostante quello che hai visto, nonostante quello che hanno fatto…?

Loro avevano paura, Chara.

Loro sono putridi e malvagi dalla radice. Nessuno si è confrontato con gli altri. Nessuno ha fatto domande. Tutti hanno sparato.

Hanno visto il tuo corpo e hanno pensato che io t’abbia uccis–

Ma non l’hai fatto! Loro ti hanno ucciso– SONO DEGLI ASSASSINI, È COLPA LORO SE SIAMO QUI ORA, È SOLO COLPA LORO–

Chara–

E HANNO PENSATO FOSSE CORRETTO DARTI TUTTA LA LORO COLPA! Esclami tra gli sputi velenosi. NESSUNO DI LORO SI PUÒ SALVARE! NESSUNO DI LORO MERITA LA SUPERFICIE… nessuno… di loro… Ti fermi per un respiro, nonostante l’assenza dei polmoni. Non doveva… Le cose dovevano andare diversamente… Perché li hai lasciati… Mi fissi nel profondo. Niente si può nascondere dal tuo sguardo, eppure mi poni lo stesso la domanda. O forse non vedi? Te l’avevo detto, cazzo, te l’AVEVO DETTO!

Io–

SI PUÒ MORIRE ANCHE SOTTO IL SOLE, TE L’HO DETTO TEL’HODETTOTEL’HODETTOTEL’HODETTO E NON TI È BASTATO?! Il tuo respiro si fa corto, come la pazienza e la stabilità–

Lascia che mi–

QUINDI PERCHÉ! P-perché…? Perché… Disperazione e delusione soffocano le urla, lasciando solo spazio alle lacrime. Io… Io mi fidavo di te… Io credevo veramente tu fossi pronto… Credevo veramente che tu volessi…

Il piano era debole. Siamo stati sconsiderati… avremmo dovuto pensare alle conseguen… ze… Avrebbe… potuto portare una… una guerra… tra specie…

Respira, Asriel!

Sussulto mentre ricordo come funzionano i polmoni. Guardo in basso e una piccola pozzanghera lì vicino mostra un’orribile bestia sofferente. Gocce di pura magia lo abbandonano e si gettano contro il suolo. La polvere dell’essere si scioglie e non sembra fermarsi. Sta perdendo troppa linfa. È orripilante. M… mamma e papà ci aiuteranno. Provo a rimettermi in piedi e in forze. Non riesco più a vedere bene ma sento la magia risuonare dalla mia anima. Siamo vicini. Siamo qui. La barriera è giusto a pochi passi di fronte a noi. Non vedo più nulla, i miei occhi stanno collassando ed è troppo buio. E pensare che mi non ero mai lamentato prima. Lentamente mi trascino verso quella grande zona verde sotto la luce della Superficie, il giardino di papà. L’erba è così comoda… mi rialzerò mai?

Io non voglio morire di nuovo… Non voglio che tu muoia… Scusami…

Loro sapranno cosa fare.

Tu tremi più forte, come le suppliche provenienti dall’esterno. Lo sai che siamo finiti.
Tutto scompare via, trasformato in polvere.
Siamo morti.

  
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