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Autore: H0sh1    30/10/2020    1 recensioni
Prefettura di Chiba, Tōkyō, gennaio 1943.
La Guerra del Pacifico è esplosa da due anni e i veterani sono stati richiamati per combattere, lasciandosi alle spalle ciò che di più prezioso hanno costruito con il tempo.
Kobayashi Rie, fortemente legata alla figura paterna, custodisce gelosamente le lettere che il genitore, ogni mese, le spedisce dal fronte: l'unico modo attraverso il quale sentirlo ancora vicino.
In un giorno di pioggia, tuttavia, il contatto viene reciso per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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雨の歌- Il canto della pioggia

お別れ – Addio

La carta non ha mai potuto sostituirlo, anche se, al suo interno, erano contenuti i suoi pensieri, le sue emozioni e il suo stesso essere.

L'inchiostro su carta, di certo, ha allietato ogni inizio del mese; ha fatto qualcosa per riempire l'oblio, ma il suo sforzo non è stato sufficiente. Vedere il signor Oogawa attraversare il vialetto di casa è da sempre stata una gioia immensa, un po' come se fosse mio padre stesso ad attraversare la piccola via acciottolata.

Avida, ho sempre letto le righe che mi ha scritto. Gelosa, le ho conservate tutte nel secondo cassetto della scrivania.

Seduta nella sala d'attesa, non riesco a bloccare le immagini che quelle righe evocano. Ho sempre cercato di immaginare ciò che mio padre vedeva ed è stata proprio una delle ultime a farmi sentire l'orrore, a vedere le sue paure prendere forma. In essa, non mi ha solo aggiornata sulla vita al fronte, c'era un particolare in più: una confessione, l'ammissione di quello stesso terrore che aveva cercato di soppiantare per il nostro bene.

Tanti, amici e parenti, hanno provato a consolare il mio animo, dopo che è partito per la guerra, ma nel mio cuore il sole non è mai tornato a risplendere. Ad ogni nuova missiva, faceva capolino tra le nuvole, ma durava per poco, prima che esse tornassero ad oscurarlo del tutto.

I mesi si sono susseguiti lentamente; la speranza di rivederlo era sempre forte, in me, troppo baliosa perché la tempesta potesse buttarla giù e, finalmente, il giorno del mio diciottesimo compleanno è accaduto il miracolo.

Liscio le gonne del kimono nero che sono tornata ad indossare, con un veloce sguardo saettato alla mia destra noto la mamma fissare la porta che conduce al crematorio. Imbambolata, sembra svuotata di tutto. Lascio che i ricordi mi investano, per concedere un attimo di pace al mio cuore.

Nessuno lo attendeva e, anche quella volta, la mamma aveva avuto un mancamento, era svenuta sul pavimento per la troppa emozione. È ancora così vivido che mi sembra di riviverlo qui, adesso. Anche in quel momento la tempesta era esplosa all'esterno e, quando l'ho riabbracciato, dopo quasi un anno, la gioia è stata tale che il sole ha scacciato via la pioggia.

È stato il giorno in cui mi ha donato Milly: tra le mani, stringeva una piccola bambolina di porcellana, agghindata con un vestito rosso tra le quali pieghe si nascondevano pizzi e merletti bianchi, sul volto ricadevano i lunghi capelli corvini. Conservo anche lei con grande gelosia.

Il primo settembre dell'anno scorso, però, il sole è scomparso per sempre. Il signor Oogawa non si è presentato alla nostra porta e ammetto che, in un primo momento, non vi ho dato troppo peso. Ho pensato che, forse, sarebbe arrivata il giorno successivo, ma così non è stato.

Era stata la mamma a dirmi di stare tranquilla, che probabilmente non avesse avuto tempo per scrivere e, per un po', ho creduto avesse ragione. Ma anche il mese dopo nulla. E poi quello dopo, e quello dopo ancora.

È per questo, padre, che non avete più scritto? Perché la vita vi è stata strappata dal petto?

Quale che sia la ragione, adesso non ha più importanza.

Riemergo dai ricordi, dolci o amari che siano, e torno nella stanza asettica in cui attendo. Anche io volto il capo verso l'entrata del crematorio, come se mi aspettassi di veder uscire un addetto da un momento all'altro.

Non ho avuto neanche il coraggio necessario per guardarvi andare verso il mare di fiamme. Anche in questo, devo avervi delusoMi chiedo se io sia davvero degna di frugare tra le vostre ceneri, porvi nell'urna che ho qui stretta.

Qualcosa sembra mettere fine all'arido silenzio che aleggia nella stanza, mi volto verso la fonte di quei passi che rimbombano nell'ambiente.

«Signor Oogawa, cosa ci fate qui?» chiedo, al limite dello sconcerto, mentre il postino si avvicina. Anche la mamma si gira, stupita tanto quanto me.

L'uomo si sorregge la visiera del cappello e si prostra in un leggero cenno di saluto. «Ho una cosa per te.» mi risponde con un sorriso malinconico. «Posso sedermi?»

Asserisco con il capo, stringendo l'urna al petto e lo seguo con lo sguardo, si siede sulla sedia accanto alla mia. Percepisco poi mia madre fare capolino dalla mia spalla – sento il suo fiato sul collo. Questa volta, pare che sia il signor Oogawa ad aver fatto il miracolo.

Dalla tasca della divisa, tira fuori una busta bianca e stropicciata, come se fosse stata maltrattata nel trasporto. Me la porge, ma io esito a prenderla.

«È andata persa da tempo, ma l'ho ritrovata! A quanto pare, il signor Kobayashi non ti ha deluso neanche stavolta.»

È lei. L'ennesima, forse l'ultima.

Rimango a fissarla ad occhi sbarrati mentre l'uomo me la sventola di fronte e la mamma dietro di me mi incoraggia: «Avanti, Rie. Aprila.»

Quando tocco la busta, quando inizio a leggerne il contenuto, in qualche modo che non riesco a spiegarmi, il mio vuoto sembra farsi più piccolo.

Guadalcanal, Fronte nord – 13 Agosto 1942

Cara Rie,

sento, dal profondo del cuore, di dover iniziare queste righe con le mie scuse. Probabilmente sarai preoccupata nel non vedere più nessuna lettera arrivare e di questo sono profondamente addolorato: ti ho fatto una promessa, figlia mia, ma il fato non mi ha reso semplice il compito. Il conflitto si sta inasprendo, la linea nemica avanza sempre di più. Nel mio animo, ormai, non alberga altro che il timore che queste possano essere le mie ultime parole. Non voglio mentirti, non ti nasconderò che, forse, non farò mai ritorno. Ed è in questa ottica, con l'animo devastato al solo pensiero di non potervi più abbracciare, che ti lascio queste ultime parole:

non piangere per me, perché questo è il destino che sono stato chiamato a compiere. Tempi bui ci attendono, ed è proprio per questo che il mondo avrà bisogno di una luce nell'oscurità. Ricorda, figlia mia, "se vivi piangendo è una vita, se vivi ridendo è una vita". Anche se il dolore sarà grande, te ne prego, non privare il mondo del tuo sorriso, della tua dolcezza. Non temere di sentirti sola perché niente a questo mondo, neanche la morte, potrà separarmi dalla mia benedizione. Sorridi, piccola mia, perché io non ti lascerò mai.

Papà

Poche parole, le sue parole. Sono entrate tutte, una per una. Si sono trasformati in quei blocchi che riempiono il vuoto. Il sole, timidamente, fa capolino tra le nuvole.

Asciugo le lacrime con la manica del kimono, incontro gli sguardi inteneriti delle persone che mi circondano. La mamma mi stringe nelle spalle, il petto scosso dai singhiozzi: presumo l'abbia letta anche lei, da sopra la mia spalla.

Il calore, dopo tempo, è tornato ad ardere nell'animo.

Queste non sono solo le sue ultime parole: racchiuso in essa, vi è il suo ultimo desiderio. Ed io, mossa dall'amore che provo, non posso non tentare di esaudirlo. Devo farlo.

Se vivi piangendo è una vita, se vivi ridendo è una vita.

La porta sulla sinistra si apre, un addetto richiama la nostra attenzione: è tutto pronto.

Col petto all'infuori, mi alzo dalla seduta, stringendo ancora più forte la pesante urna che reggo. Ringrazio infinitamente il signor Oogawa per avermi consegnato quella piccola luce che mi ha permesso di risorgere. È fievole, sarà mio compito alimentarla e accrescerla.

È questo ciò che volete, no?

Rientrate nel crematorio, della bara e delle spoglie mortali di mio padre non è rimasto granché. Sia io che mia madre, con animo più quieto, ci avviciniamo piano, impugniamo le bacchette che il ragazzo – incredibilmente giovane per lavorare in un luogo cupo come questo – ci porge.

Partiamo dal basso, così come vuole la tradizione, travasando i resti dell'uomo più importante che abbia messo piede sulla terra. Con le bacchette in mano, le falangi imbrattate di cenere, mi sembra di sentire una stretta sulla spalla.

È una sensazione così concreta, fuggevole. Mi volto, perfino, sicura che qualcuno mi abbia stretto la spalla, ma non c'è nessuno, dietro di me.

Volto di nuovo il capo in avanti, verso destra, lì dove giacciono i resti del suo cranio. Sorrido.

Siete voi, vi ho percepito. Lo so.

Anche oggi, il cielo piange dirotto, ma mai come ora, nel mio cuore, il sole immerge tutto nei suoi caldi raggi.

Che il vostro spirito possa aiutarmi ad esaudire la vostra richiesta.

Che il vostro spirito possa guidarmi e proteggermi, come avete sempre fatto.

Che il vostro spirito possa riposare in pace.

   
 
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