Kurapika abbassa gli occhi sul sangue che ha appena versato e non ha la minima idea di cosa gli stia succedendo.
Sapeva che sarebbe stato difficile: non era mai stato tanto illuso da convincersi che uccidere sarebbe stato liberatorio... ma non si sarebbe mai aspettato che sarebbe stato così. Disgustoso. Vile. Doloroso. Molto peggio di come aveva previsto.
Il corpo lo sta abbandonando. Per un attimo è certo che il cervello possa gonfiarglisi nel cranio fino a esplodere, che il cuore gli si stringerà in petto fino a marcire. Le mani gli tremano, gli occhi gli si riempiono di lacrime. Il profumo dolciastro del sangue sparso sul terreno, sui suoi vestiti, sulle catene, gli arriva al naso e gli ottenebra i sensi.
Le iridi sono ancora rosse, rosse come l'odio che prova. La rabbia non è un sentimento nuovo per lui: è come una vecchia amica, ormai, il sottofondo costante della sua anima assieme a un dolore antico che nulla al mondo potrà mai cancellare. Eppure stavolta c'è qualcosa di diverso, e lui sa esattamente cosa.
Non è per il mostro che ha appena assassinato. Non è per il Ragno. No: quella rabbia è per se stesso.
Dovrebbe esserne fiero, pensa: in fondo ha appena strappato via una zampa del Ragno e quello è un servizio reso all'intera umanità. Non si è nemmeno macchiato le mani della sua morte: a finirlo è stata la catena, il potere nen nato dall'odio proprio a questo scopo. E non può negare di essere stato certo che sarebbe andata proprio così: sapeva che quel mostro avrebbe preferito morire piuttosto che svelare la posizione dei compagni. Il suo orgoglio era troppo forte per cedere e questo avrebbe voluto dire solo una cosa: che lui aveva vinto. Una vittoria che lo ha macchiato di un peccato ormai incancellabile: togliere la vita lo ha abbassato allo stesso livello del Ragno, rendendolo tutto ciò che vorrebbe eradicare. 
Aveva una possibilità di tirarsi indietro - l'ultima, glielo aveva detto anche il Maestro -, ma ha deciso di non sfruttarla certo di riuscire a distruggerli... convinzione che adesso viene meno. 
Sì, ha vinto, ma a che prezzo?
Ha realizzato il primo passo verso l'obiettivo della sua intera esistenza, un passo che ha sognato di compiere ogni notte da quella della tragedia... ma allora perché gli viene da vomitare?
Le gambe lo abbandonano. Ricade sul terreno scuro senza più forze, senza più volontà, sotto lo sguardo accusatore di una luna sanguigna. Gli occhi gli ritornano limpidi come l'acqua corrente.
Ne vale la pena?
Vale la pena perdere se stesso pur di andare fino in fondo?
Non ha il tempo di darsi una risposta. Tutto si fa nero e il silenzio diventa più assordante del vuoto che ha dentro, tanto che sente il bisogno di parlare. Di pregare. Una preghiera che nessuno ascolterà.

Sole al cielo, verde alla terra,
il mio corpo è nato dalla terra,
la mia anima è nata dal cielo.
Le mie membra sono inondate dalla luce del sole,
e dalla pallida luce della Luna...
Il mio corpo è dissetato dal verde:
io lo affido al vento che attraversa questa terra.
Ringrazio i Kuruta del miracolo di essere qui.
Un giorno, col cuore in pace
dividerò gioia e tristezza con loro
e ne canterò le lodi, e poi
i miei occhi rossi e la mia vita
diverranno, con i peccati che ho commesso,
l’ultima goccia di sangue degli amati Kuruta.
Prego di non morire finché
il mio desiderio non si sarà avverato...