Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Angel TR    07/11/2020    3 recensioni
{Questa storia si è classificata decima al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP}
Un amaro mattino, Serena si chiede cosa penserebbe il capo se potesse leggerle nel pensiero.
La vita ci insudicia e noi ci lasciamo insudiciare, un po' come la miscela imbratta l'acqua per preparare il deprimente caffè americano che tanto piaceva al capo. Non ci vogliono per forza grossi traumi, bastano le delusioni della quotidianità.
Serena aveva imparato la lezione e sapeva che era solo questione di tempo prima che anche lui la imparasse: bastava prestare attenzione al modo in cui Serena lo guardava, per esempio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP con il prompt Caffè americano + “devo umiliarti in qualche modo”



Acqua sporca


Acqua sporca.
Probabilmente, la maggioranza degli italiani descriverebbe il caffè americano proprio così, una sentenza sprezzante che liquida velocemente i pregi del preparato. In realtà, pochi sapevano che persino per preparare quella bevanda acquosa era necessaria una buona conoscenza della sacra arte del caffè condita da una robusta esperienza da barista. Serviva, infatti, una macinatura più grossolana di quella per la moka, quindi o la si preparava a casa con il macinino o si chiedeva in torrefazione. L’acqua doveva essere versata a quasi cento gradi per ottenere una bevanda dall'odore meno forte di un caffè espresso e, proprio per quella ragione, a lei particolarmente gradito in quel gelido lunedì mattina di dicembre.
Eh già, anche l'acqua sporca richiede attenzione, pensò Serena. Sporca come quella che versava nel cesso a fine turno da quando l'impresa di pulizie aveva dato forfait e, sia per qualche soldo in più sia per fare bella impressione, si era fatta avanti lei, nonostante la sua mansione fosse l'addetta al back office. Magari il capo mi nota e pensa che sono proprio una brava dipendente e merito un aumento, aveva considerato.
Certo. Quella pecca di ingenuità le fece reclinare la testa per nascondere l'espressione amara che le ingobbì il viso. Ciocche di capelli neri come l'ebano le piovvero davanti agli occhi, simili a sbarre di una prigione.
Il capo. La sola parola le sollevò gli angoli della bocca piena in un ghigno sbilenco e cattivo. Devo umiliarlo in qualche modo, rendere pan per focaccia.
Lo sguardo le cadde sulle affusolate dita ghiacciate che si stringevano attorno alla tazza bollente e poi si sollevò per mettere a fuoco il branco di idioti che davano fiato alla bocca con le loro chiacchiere inutili, quelle espressioni di finta allegria stampata sui volti. Dovremmo tutti finire in prigione per quante volte abbiamo cercato di farci fuori tra colleghi, decretò, abbassando lo sguardo dalla scena. Tentò di bere un sorso di caffè per passare inosservata. Veramente a lei nemmeno piaceva tale bevanda dal sapore delicato ma quello passava l'hotel dove il capo li aveva spediti per un "corso di aggiornamento", e tanti saluti.
Cosa ne poteva sapere lui dei corsi di aggiornamento? Il capo era un figlio di papà nato nella campana di vetro, davanti agli occhioni blu la pappa bella e pronta. Sin da giovanissimo, era stato attorniato da sciami di leccapiedi che tutto desideravano tranne la sua amicizia – o, meglio, le paturnie che derivavano da un'amicizia. Qualcuno avrebbe potuto sollevare un'obiezione – Obiezione, vostro Onore! – e lei l'avrebbe volentieri ascoltata solo per farsi due risate.
«Poverino, chi vorrebbe essere nei suoi panni? Circondato dalla falsità, dall'opportunismo!» avrebbe proclamato l'avvocato del diavolo, asciugandosi lacrime da coccodrillo con un fazzolettino di seta che valeva più di tutta la mise di Serena messa insieme.
Lei sarebbe scoppiata in una grossa e grassa risata da iena prima di reclinarsi sullo schienale della poltrona e, accavallando le gambe tornite – chi ha il tempo di occuparsi della palestra? –, avrebbe risposto «E vuoi mettere? Questa vita a sgobbare per un pezzo di pane con quella bocca già piena d'oro? Come se io fossi stata circondata da gente sincera!»
Sorrise divertita alla bevanda che diventava sempre più fredda tra le sue dita. In fondo è così, no? Tutti noi nasciamo caldi e fragranti, con un desiderio spropositato di essere buoni e gentili, pronti ad aiutare il prossimo come moderni cavalieri dall'armatura scintillante. Ma la vita ci tempra, ci straccia l'armatura come fosse di carta argentata e l'appallottola, la scaglia lontano, e ci ricorda che Dio, se esiste un Dio, aiuta chi si aiuta, che aveva ragione Hobbes a dire che la vita è una guerra di uomini contro uomini. E, intanto, la fiamma dell'idealismo tremola e si spegne, privandoci del suo calore, lasciandoci al buio, a sguazzare nel cinismo che rigurgita il mondo.
La vita ci insudicia e noi ci lasciamo insudiciare, un po' come la miscela imbratta l'acqua per preparare il deprimente caffè americano che tanto piaceva al capo. Non ci vogliono per forza grossi traumi, bastano le delusioni della quotidianità.
Serena aveva imparato la lezione e sapeva che era solo questione di tempo prima che anche lui la imparasse: bastava prestare attenzione al modo in cui Serena lo guardava, per esempio.
A volte si chiedeva se potesse vedere quella luce fredda che balenava nei suoi occhi a mandorla, ambrati e affilati come quelli di una gatta maltrattata, quando lui distoglieva l'attenzione dopo averle rivolto quei quattro viscidi complimenti di circostanza. «Sai, sei proprio lo stereotipo di italiana per gli americani! Così solare, così verace, così mediterranea con questa carnagione olivastra e i capelli scuri. Sei mai stata negli Stati Uniti? Ah, no? Dovresti!»
Eh, con questo sputacchio in mano che ricevo ogni fine mese me lo paghi tu il biglietto?, avrebbe voluto replicare ma Serena aveva imparato a essere furba e ingoiava la verità, rapida come i rospi ingoiano le mosche. E metteva su un bel sorriso entusiasta, fingeva di essere interessata e curiosa. Era diventata brava e il risultato lo si poteva verificare nelle parole del capo. Solare, il classico stereotipo dell'italiana.
Sì, come no.
I suoi occhi vagarono per la sala bar dell'hotel, in cerca di quella figura atletica e ben piazzata – lui sì che aveva tempo di dedicarsi alla cura del suo prezioso contenitore. Joseph, si chiamava Joseph perché il padre era un imprenditore americano e aveva insistito per rifilare tale nome al figlio nonostante fosse nato in Italia. La "g" esplodeva con violenza dalla bocca degli italiani e la "f" pareva non avere finire. Serena non poté mascherare l'espressione di scherno che le distorse i lineamenti regolari.
Eccolo lì, l'oggetto dei suoi pensieri. Alto e biondo com'era, Joseph spiccava in mezzo ai colleghi. Serena pensava che li scegliesse bassi e brutti apposta per essere sempre e comunque la stella più brillante del firmamento.
Sarebbe bello vedere quel sorriso da spot spegnersi mentre gli rovescio questo intruglio sui capelli d'oro oppure sul suo prezioso Mac. Che faccia farebbe? Una da pesce lesso, immagino, pensò, eppure l'immagine non riuscì a scaldarla. Nemmeno architettare un piano per umiliare il figlio della gallina bianca le dava la botta di energia che bramava da tempo. Forse, rinunciando a quel piano, rinunciava a umiliare se stessa e spostava il piede dalla melma dove stava sprofondando sempre di più.
Accettare che nella vita non sarebbe diventata nessuno di importante e andava bene così; che odiare chi ce l'aveva fatta, anche se aiutato, avrebbe solo fatto marcire la sua anima.
Serena raddrizzò la schiena e respirò una boccata d'aria: una scarica di adrenalina le invase le membra prima atrofizzate dalla melma. Forse un'altra strada era possibile. Una vita meno amara, meno chiazzata dal veleno. Serena si alzò e versò il resto del caffè americano nel cestino. Il liquido si camuffò perfettamente nella busta nera, esattamente come Serena camuffò il tumulto delle sue emozioni nel rivolgere un sorriso finto a Joseph.
«Non ti piace il caffè americano?» le chiese lui, con un broncio che molti avrebbero definito adorabile.
Lei si sforzò di indagare quegli occhi azzurri come cielo sgombro. Alla fine, quel sorriso fiorì in uno più sincero. «Preferirei un bicchiere di acqua fresca.»



N/D: solitamente non mi avventuro nel regno delle originali quindi per me questo contest è una sfida. 1200 parole di introspezione per seguire il cambiamento di un personaggio creato dal nulla non sono tante e dunque spero di essere riuscita a trasmettere il messaggio. Mi sono dovuta informare su come si prepara il caffè americano perché, sinceramente, l'ho sempre liquidato come "caffè allungato" xD
Io e il rating siamo un po' litigati quindi ho preferito inserire un arancione semplicemente per il "vuoto cattivo" che emana la protagonista. In realtà sarebbe un giallo scuro xD (colori messi peggio del nuovo decreto ma sorvoliamo lol)
I nomi affibbiati non sono stati scelti a caso: il significato del nome Serena è chiaro mentre Joseph significa "accresciuto da Dio". Serena, in realtà, non ha nulla di sereno o, meglio, alla fine si mette alla ricerca di quella briciola di serenità che le manca. Quello che spero di aver trasmesso è che spesso basta poco per schiacciarci perché non siamo supereroi. Al tempo stesso, però, a volte dovremmo lasciarci alle spalle la pressione e la competizione che la società ci impone per poter vivere più serenamente, meno "sporcati" da pensieri cattivi: puliti come l'acqua prima di versarla nella miscela del caffè.
Come mi sento poetica!

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Angel TR