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Autore: Stateira    21/08/2009    8 recensioni
Sion impara a sue spese che cosa succede a mangiare cibo non cucinato da Doko. Con la sua wok.
Genere: Romantico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aries Shion, Libra Dohko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- E’ solo un mal di pancia

PREMESSA

 

Awn, le wok.

Seriamente, mi ero ripromessa di scrivere qualche cosa di meno angst su questi due, viste le mie più recenti produzioni. Come si sia passati da questo buon intento al fluff più pasticcioso, non è lecito sapere, ma la wok mi sembrava un ottimo punto di partenza, per la trattazione dell’argomento.

Troppo spesso la gente tende a dimenticare che Doko è CINESE.

 

 

 

 

WOK

 

 

 

 

Doko di Libra ne aveva visti di combattimenti, in vita sua. Aveva visto corpi schiacciati contro soffitti e colonne, corpi volare come se non avessero peso, corpi esplodere, corpi consumati dal Cosmo,  corpi oscurati in mondi di luce.

Ma non aveva mai creduto che un corpo potesse rotolare.

Non nel senso letterale del termine. Semmai, precipitare in un dirupo, o finire sbalzato giù da una scala, o trascinato da un’onda d’urto. Ma rotolare, rotolare come un involtino nell’olio di cottura, questo no.

 

Finché non l’aveva visto fare al suo amico di un tempo, amante, e diretto superiore.

 

Essere l’amante del capo aveva i suoi pro. Uno era l’innegabile avvenenza del capo, appunto. Un altro era la sua sapienza nell’arte di deliziarlo. Un altro era il suo fondoschiena. All’anima.

Ma c’era anche aspetto negativo.

Ed il più rilevante riguardava i momenti di debolezza di Sion, quando si barricava in sé stesso e nessuno, nessuno al mondo poteva avvicinarlo – tranne Dokoyo.

E conseguentemente, nessuno doveva sopportarlo – tranne Dokoyo.

 

Lo rinvenne sul suo letto completamente stravolto che non si dava pace, e passava continuamente da un fianco all’altro, come se fosse stato in balia del mare. La servitù era tanto preoccupata per lo stato del Pontefice, tanto che non una, ma addirittura quattro fanciulle erano scese in gran fretta a chiamare Libra il Temperante, affinché potesse aiutare il loro povero signore.

Ma Doko era talmente sereno che si era persino concesso un sorriso, per l’abbigliamento sgargiante delle giovinette, opera di Sion senza alcun dubbio.

 

- Oh Dokoyo. Dokoyo, perché mi hai abbandonato. – stava rantolando, aggrappato al suo guanciale preferito, e con ogni probabilità deciso a portarselo fin nell’oltretomba.

La stanza profumava di pulito e di aria fresca, segno che Sion aveva intenzione di lasciare questo mondo in maniera decorosa, stavolta che era stato graziato di un discreto preavviso. Doko, però, non aveva troppa voglia di assecondarlo, e glielo fece sapere andando ad aprire nuovamente le ampie finestre che già dovevano essere state spalancate fino a poco prima. Il calore del pieno pomeriggio gli bagnò la faccia, mentre un gemito da levare l’anima lo raggiunse da sotto un cuscino premuto con forza sui capelli.

- Sion. – lo richiamò, vagamente severo. – Sono qui. Adesso calmati. –

- Calmarmi? Ma non vedi? Non vedi che muoio? –

- Non che non muori. È una brutta indigestione, la supererai come hai superato mille battaglie. –

 

Eh, il vecchio Doko lo sapeva bene. Le mille battaglie erano sempre una buona carta da giocare, con Aries. Lo vide fare capolino prudentemente, i capelli scomposti che grondavano fin sugli occhi.

Stava prendendo le misure. Stava valutando fin dove poteva spingersi nel pungolare il suo senso di pietà, onde evitare di essere messo con le spalle al muro dalle sue stesse armi.

Era un gioco che a Libra piaceva ancora, perché sapeva di anni trascorsi e di infinita conoscenza. Come erano uniti e telepatici, così erano anche bravi a valutarsi come avversari. E se si eccettuava un’occasione, una sola, in cui Doko aveva trovato quel gioco tutt’altro che divertente, per il resto era sempre stato tremendamente spassoso.

 

- Non sono mai stato così male in vita mia. – brontolò alla fine Sion, guardandolo da sotto in su affinché lui potesse vedere le occhiaie rimarcate dall’ombra. – Mai, mai, mai stato così male. –

- Nemmeno quando la mano nemica ti feriva? –

- Nemmeno. –

- Nemmeno quando l’ira di un dio si è abbattuta su di te? –

- Nemmeno. Erano carezze, quelle, a confronto! –

Doko alzò gli occhi al soffitto, divertito. – Nemmeno… - insinuò, accucciandosi accanto al letto con le braccia incrociate, il viso di Sion ad un niente dal suo. – Nemmeno quando ti ho fatto mio per la prima volta? –

 

Il gioco, il gioco, sì. Per quanto Sion avesse calcolato attentamente le sue mosse, il turno se l’era aggiudicato lui, senza ombra di dubbio.

– Doko! – lo riprese, oltraggiato.

 

Scostò una ciocca di capelli dalla fronte aggrottata fermamente, mentre Doko gli si sedeva accanto. Con l’indice e il medio, lo analizzò passeggiando lentamente lungo tutto il suo corpo, fino al busto protetto da un’ampia veste da notte di morbidissima mussola di seta, proprio il genere di vezzo che Sion concedeva volentieri alla sua pelle.

Sgambettò sulle sue spalle, stando in equilibrio sulle clavicole. E rallentò l’andatura sul viso, quando si trovò a passeggiare sul suo mento, a scalare la punta del suo nasino, a tuffarsi fra gli occhi, e poi ad arco fino alle guance.

Era palliduccio e piuttosto freddo. In alcuni anfratti del collo, e sulla fronte, Doko colse alcune gocce di sudore freddo che subito scacciò via, via da quella tenera pelle d’alabastro.

 

- E’ solo un mal di pancia. – lo rassicurò. – Te ne ricorderai, la prossima volta che ti verrà voglia di mangiare dei gamberetti crudi. –

 

Non era stata sua intenzione lasciar trapelare da quell’amorevole rimbrotto l’asprezza del tradimento. Ma, ugualmente, Sion, che lo conosceva spaventosamente bene, la colse. E per un momento, tacque, i suoi occhi si fecero grandi, e si colmarono di pentimento sincero.

- … Non erano crudi! Erano marinati! – cercò di difendersi.

Ma Doko era cinese, allenato fra i fitti bambù delle coste sud orientali, e rimasto legato per secoli ad un monte cinese, ad una cascata cinese, ad un cielo cinese.

Un uomo di Qin, che aveva ereditato l’arte culinaria di Qin.

- Bah. Crudi, ti dico, crudi. –

- Doko, io… -

- Taci. Ho fritto gamberi per te per anni ed anni, e ti è mai venuto un mal di pancia? Mh? – addolcì un po’ le sue parole, mentre gli tendeva una mano compassionevole ed affettuosa per accarezzargli i capelli pasticciati dal sudore e dal troppo stare sul cuscino. – Dimmi, cuor mio, ti ho mai fatto star male? –

- No. – gemette Sion, con gli occhi umidi.

- E perché allora hai voluto provare queste nuove mode? Questi esotismi pericolosi, che attentano alla tua salute. –

- Mi sembravano innocui. –

- Come possono esserlo, è cibo crudo. –

- Oh, via, ora esageri. Il fatto che tu frigga sempre tutto quanto non significa che non esistano altri modi per-  –

- Sion. –

 

Il timbro della voce di Doko, solenne, vibrò come un gong, e per la seconda volta in pochi minuti, Sion tacque. Doko scrutò con aria grave le sue dita, riunite mollemente in grembo. Dita che tante volte l’avevano stretto, e che un giorno, persino, avevano accolto l’ultimo barlume della sua vita che si disperdeva. Ora non stringevano niente, ma si serrarono ugualmente con determinazione.

 

- Sion, ascoltami. – parlò l’uomo di Qin. – Ascolta chi ti ha amato senza riserve per tutta l’immensità del tempo, ascolta chi non ha altro pensiero al mondo che la tua felicità, la tua salute e il tuo benessere. –

E Sion, innamorato, ascoltò.

- Queste sono falsità. Falsità, bugie infami, diffuse per scopi ignobili da qualcuno che vorrebbe avvelenarti. –

- Via, sono certo che Death Mask non intendesse… -

- A-a-a. Il riso, come te lo cucino? –

- Bollito. –

- Proprio così. E ti ha mai fatto male? –

- No, mai. –

- E dimmi, il pesce invece, come te lo cucino, con tutto l’amore di cui sono capace? –

- … Nella wok. –

- E la carne? –

- Nella wok. –

- E gli involtini? E i ravioli ripieni che ti piacciono tanto? –

- Nella wok. –

- E i dolci? Quelli che ti preparo per strapparti i sorrisi più belli? –

- Nella wok! –

- Esatto. –

Sion si tirò il lenzuolo color crema fin quasi al mento. – Mi dispiace tanto! –

 

Fu il momento di sciogliersi in sorrisi riconcilianti. Lo stomaco di Sion mandò un gorgoglio straziante, che lo costrinse a rimettersi giù buono, vittima di altre scariche di sudore freddo. Doko decise che il fato lo aveva punito abbastanza.

 

- Vado a farti un buon tè verde caldo fumante. – promise, schioccandogli un bacio proprio in mezzo alla fronte. – E ci metterò un pizzico di zenzero fresco. Ti farà bene. –

- Ti ringrazio. –

- Di nulla, mio Aries avventato. –

 

Sparì con naturalezza nella cucina degli appartamenti privati di Sion, lasciandolo solo con il suo malessere, la sua nausea, i suoi crampi e i suoi sensi di colpa.

Pochi minuti ancora, e sarebbe tornato con la tisana miracolosa. Pochissimi minuti di fiduciosa attesa a cui Sion si abbandonò con tale languore da addormentarsi senza nemmeno accorgersene.

Libra lo avrebbe trovato accoccolato lì dove l’aveva lasciato, e ne avrebbe sorriso pieno di tenerezza.

Non c’era alcuna fretta: lo zenzero aveva già dato tutti i suoi succhi nell’infusione, e in cucina c’era ancora una wok piena di acqua bollente, pronta a tenere la tazza in caldo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Kyah! Ringraziamenti & Sguanciottamenti vanno agli intrepidi recensori delle precedenti shots. Vi ringrazio infinitamente per tutto l’entusiasmo e i complimenti – e anche per avermi odiata, quando era legittimo farlo.

 

 

 

 

 

 

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