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Autore: Cladzky    09/11/2020    0 recensioni
Un entomologo è contattato per investigare su degli strani fenomeni. Sembra che l'intera famiglia delle Formicidae, ovvero le formiche, stiano mandando strani segnali radio, in una lingua incomprensibile ma che deve essere tradotta al più presto, perché forse è in quelle onde che sta il motivo dietro l'improvvisa aggressione degli insetti contro il genere umano e che potrebbe portare alla sua estinzione in una lotta contro un nemico infinito e mostruosamente organizzato, pronto ad affermare la propria posizione come specie dominante sulla Terra.
Genere: Horror, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Mi svegliai. Fortunatamente era solo sogno. Uno stupido sogno fatto della stessa consistenza della collana di fantascienza a cui ero abbonato, uno stupido sogno fatto di formiche geneticamente modificate e  che dominavano i cieli con i loro squadroni luminosi. Uno stupido sogno dove pareva che l’intera famiglia delle Formicidae stesse subendo simultaneamente gli stessi cambiamenti fisici, indipendentemente dal loro ordine, genere o specie di appartenenza. Uno stupido sogno frutto di paranoia, di segni infausti, di apocalisse. Qualunque essere razionale non avrebbe potuto crederci per un solo istante, ero convinto di non essere lucido e fui contentissimo di svegliarmi nel mio letto, nel mio mondo normale, naturale, dove certe assurdità non accadevano, dove le formiche non si erano sviluppate in chissà quale sorta di mostro. Solo una mente ignorante poteva concepire un complotto, una trama del genere, una mente annoiata e che non aveva la minima idea della natura degli insetti sociali o della natura in generale.

Non ebbi neppure bisogno di controllare, sapevo già che lei non c’era. I miei occhi misero per bene a fuoco la stanza e potei vedere un sole stranamente estivo fuori, oltre la finestra, un cielo privo di nuvole. Neppure un filo di brezza scuoteva gli alberi lungo i viali. Pareva primavera, ma vi avvolsi comunque più stretto nelle coperte, come se gelassi. Non avevo la benché minima voglia di uscire dal letto. Parevo stanco, ma una stanchezza curiosa, una sorta di stagnazione mentale, dei pensieri, non nel corpo. Non era un’incapacità di fare qualcosa, ma una volontà di fare niente. Avevo come la voglia di rimanere lì per l’eternità, chiudere gli occhi e spegnere il cervello, scivolare in un oblio non nero, né bianco, ma puramente vuoto. Quando mi resi conto che, in un certo qual senso, stavo come anelando a una sorta di suicidio, mi strappai le coperte di dosso con tanta forza che dovevano apparirmi impestate di morte come un sudario. Saltai giù dal letto con un balzo, ma il mio corpo era ancora in uno stato semi-vegetativo e atterrai con le ginocchia molli, mi chinai, posi le mani di fronte a me per evitare di cadere riverso di faccia sul pavimento e, afferrandomi al comodino, mi rialzai. La testa mi girava e posi la mia mano sinistra sulla guancia. La puntura della vespa era sparita. Staccai il palmo dal volto e osservai il dorso. I morsi c’erano ancora. Non prudevano più, ma erano presenti, seppure sbiancati, e gonfi.

Riflettei un momento e scossi la testa. All’ora gli eventi di ieri erano veramente accaduti, le prove c’erano. Ma forse, pensai, non tutti potevano aver preso luogo. Quegli strani sciami verdi dovevo essermeli sognati, così come la loro presenza dentro il mio terrario delle Formiche rufa, dovevo star confondendo la serata di ieri con il sogno di quella notte, una breccia fra i muri che dividevano i ricordi e l’immaginazione, certo. Aprii la finestra e guardai fuori, a sinistra, la casa del nostro vicino, quello che avevo aiutato a liberarsi delle formiche argentine. Cominciai a pormi delle domande e mi annotai mentalmente di passare da lui in seguito. Mi vestì, uscii dalla camera e andai verso lo studio. La porta era chiusa. Poggiai la mano sulla maniglia, ma non entrai subito. E se le Formiche rufa avessero veramente sviluppato una casta di operaie dotate di ali e una forma di bioluminescenza? Mi considerai un maledetto stupido. Anche se fosse stato vero chi ero io per aver paura del semplice processo evolutivo, per quanto fuori dall’ordinario fosse? Certo, però, non avevo mai sentito di una specie che sviluppasse dei cambiamenti tanto repentini da una generazione all’altra. Era vero che conservassero nel loro codice genetico l’eredità fornitagli dallo stesso antenato che avevano in comune con le Vespidae, ma sarebbe dovuto essere un cambio graduale, favorito o meno dalla selezione naturale e, anche se fosse, questo non spiegava affatto come avrebbero potuto produrre una bioluminescenza dal loro addome, simile, anzi più intensa dei membri della famiglia Lampyridae. Non potevo più aspettare e spalancai la porta, facendola sbattere sul muro di fianco.

I terrari apparivano tornati alla normalità. Le termiti erano uscite di nuovo fuori e le formiche, grazie al cielo, non brillavano affatto. Tutto frutto della mia solita immaginazione insoddisfatta del vivere quotidiano dunque, un mio cercare avventure dove non ce ne stavano. Tirai un sospiro, forse di delusione o di sollievo. Avanzai verso i terrai, volevo accertarmi che nessun cambiamento improvviso fosse avvenuto. Premetti il volto contro quello delle rufa e le misi in agitazione. Prima assottigliai gli occhi per vedere meglio, poi li sgranai. Non tutte, ma molte avevano le ali, e sgambettavano, in giro per l’ambiente confinato, con quei coltelli di vetro sulla schiena, zompando via in volo di tanto in tanto per attaccarsi al vetro, come ad esercitarsi. Diedi un occhiata a quelle aggrappate alla superficie invisibile, e potei vedere nei loro addomi, una pulsazione, appena accennata ma percettibilmente, di un bagliore sinistro, meno intenso di quello della notte precedente.

Era tutto così sbagliato. Un evento eccezionale aveva preso luogo, una rivoluzione che stava scuotendo l’intera famiglia delle Formicidae, comprendendo la Linepithema humile, la Lasius niger, la Formica rufa e, probabilmente, molte altre specie. Non sapevo come comportarmi, sentivo che ad un evento eccezionale doveva corrispondere una risposta eccezionale, che mi sarei dovuto strappare i capelli e, invece, tutto quello che mi venne in mente fu di farmi una tisana e saccheggiare avidamente un pacco di biscotti. Ma che diavolo stavo facendo? Ancora con il cacao e il cioccolato sotto i denti volli fare una telefonata, ma, proprio mentre mi dirigevo all’apparecchio, fu qualcun altro a chiamare me. Sollevai la cornetta.

―Pronto?

―Sono io, ricordi?― Riconobbi la voce. Eravamo compagni di corso anni fa e si era trasferito dall’altra parte dello stato, sulla costa ovest, dopo laurea. Eravamo rimasti in contatto epistolare fino ad allora.

―Certo che mi ricordo.

―Dimmi― Fece una pausa, borbottò qualcosa sotto voce e riprese ―Come stanno le tue formiche?

Mi bloccai. Poi risi.

―Stavo per chiederti lo stesso.

―Vuoi dire che anche le tue…

―Brillano e volano.

Dall’altro capo regnò il silenzio, poi un respiro affannato, eccitato di contentezza.

―Le mie Camponotus zoc― Disse, ma incespicò nella pronuncia del nome da quanto andava di fretta ―Le ho trovato in quello stato stamattina. Ho paura a dargli da mangiare, non so come comportarmi.

―Non dirlo a me―  Ragionai, sospirando ―Quindi non è successo solo qui.

―No, affatto. Ho la radio accesa in questo momento, sembra che sia un fenomeno molto più ampio.

Provavo agitazione di fronte all’incomprensibilità di quella faccenda, ma finalmente avevo qualcuno con cui lamentarmene, qualcuno che era abbastanza informato sull’argomento come me. Era pur vero che il mio amico non fosse tanto ferrato, né interessato, per quanto venisse alle Formicidae, visto che teneva le proprie Camponotus zoc solo come cibo per ben altri insetti che allevava come passatempo, ma sicuramente ne sapeva abbastanza per poter capire la mia preoccupazione.

―Tutto questo non è altro che un enorme dito medio al processo evolutivo.

―Ammetto che è preoccupante.

―Più che preoccupante, mi da fastidio da quanto è inspiegabile― Mi prolungai più del dovuto, soprattutto per cercare di mettere in ordine, ad alta voce, cosa stesse accadendo ―Sin da quando il primo organismo monocellulare si è formato nel brodo prebiotico egli si è riprodotto e ha continuato a trasmettere i propri geni, rimescolandoli in continuazione, per sviluppare dei cambiamenti impercettibili nella propria prole, che avrebbe poi continuato il processo a sua volta, cambiamenti casuali, che alla lunga avrebbero portato al successo o il fallimento di una particolare linea di sangue, così come dettato dalla selezione naturale. E se oggi io sono qui, se oggi io sono un ammasso di atomi che occupa un determinato spazio, un gruppo di cellule, piene di citoplasma, un corpo solido, un vertebrato, un bipede, un plantigrado, un primate, un maledettissimo essere umano, è perché il mio filo di sangue è continuato fino ad oggi, senza interruzioni, passando dalle foreste del Carbonifero fino alle industrie dell’Olocene. È stato un processo lento, lentissimo, capisci no? E ora, tac! Nell’arco di una covata le formiche, non una specie, non un genere né un ordine o sottofamiglie di sorta, no, l’intero ramo delle Formicidae sembra sviluppare la bioluminescenza e una casta di operaie alate. Secoli di studi delle basi della biologia buttati al vento. E non solo hanno sviluppato delle dannate ali, macché, le sanno anche usare. Le hai viste come ronzano nel terrario, vero? Pensa, ieri io le ho viste in formazione, come acrobati dell’aeronautica.

―Sì― Mi interruppe lui ―So a cosa ti riferisci, da me non è successo ma ne parlano i giornali. Però, per favore, non farmi una lezione sull’abiogenesi.

―Certo, scusa― Mi resi conto di aver preso una tangente troppo grande, staccai il capo dalla cornetta e diedi un’occhiata all’orologio. Mi ero svegliato tardi ―È solo che tutto questo, insomma, mi fa paura.

Non udii nulla dall’altro capo del filo per un po’, infine, dopo quella pausa, riprese.

―Non sono della tua stessa opinione, penso che sia stupendo tutto ciò.

―Bah― Fu tutto quello che potei dire.

―Non fare così. Anche tu dovresti sapere che la scienza è ben più che un numero di nozioni da imparare a memoria e, se queste nozioni vengono infrante dalla natura, non può essere la natura ad essersi sbagliata. Noi non possiamo certo giudicare cosa sia normale e cosa meno nelle faccende del cosmo, perché è il cosmo stesso la normalità, noi ci limitiamo ad osservarlo e capire le regole del gioco. Fino ad ora credevamo che simili sbalzi nell’evoluzione fossero impossibili, che per forza di cose i figli condividessero quasi lo stesso aspetto dei genitori e che solo con lo scorrere dei secoli, qualcosa di significativo, forse, sarebbe cambiato nella struttura vivente. Credevamo inoltre che non fosse possibile, per specie diverse, evolvere le stesse caratteristiche simultaneamente, se non per puro, infinitesimale caso. E invece le formiche, tutte le formiche, ci hanno smentito. Ho sentito notizie dall’Est che anche alcune specie del genere Liometopum sono state avvistate a ronzare sulle acque delle risaie, così al Sud, dove non identificate Pachycondyla illuminano di notte la giungla come verdi fuochi fatui. Al momento almeno sessantaquattro specie sono state confermate possedere questa mutazione improvvisa solo dal bollettino di stamattina e molti stimano che la lista continuerà a crescere. Non pensare, amico mio, alle tue conoscenze scombussolate, la scienza non è fatta per rimarcare l’ovvio, ma esplorare l’ignoto. Non vedere la mutazione nelle formiche come un monolito minaccioso, ma una porta da attraversare, verso qualcosa che non conosciamo e proprio per questo dovremmo.

―Forse hai ragione― Sì, le parole del mio amico avevano un senso. Non potevo che ammirare l’ottimismo che lo guidava. Eppure avevo un’obiezione, quello che, in fondo, mi turbava ―Ma ascoltami: E se invece non fosse stata una mutazione improvvisa?

―Spiegati meglio.

―Come qualcosa che le formiche… dio che assurdità― abbassai la cornetta, mi stropicciai gli occhi e mi grattai la fronte.

―No, vai pure avanti.

―Insomma… E se fosse qualcosa di organizzato?

Un’altra pausa. Poi rispose, con voce confusa, ma intrigata credetti.

―Continua.

―Immagina. Se questo nuovo tipo di formica operaia non fosse qualcosa spuntato da stanotte, ma, piuttosto, una sorta di applicazione cosciente dell’eugenetica, continuata nel corso di decenni, secoli, millenni, al fine di ottenere qualcosa similare in ogni specie della famiglia? Qualcosa di cui noi non ci siamo mai accorti perché questa sperimentazione ha sempre preso luogo nelle stanze più profonde e interne di ogni colonia, dove un continuo omicidio di esemplari inadatti era usato al fine di mantenere solo quelli con i geni necessari allo sviluppo di ali e bioluminescenza funzionanti, sfoltire il ramo da ogni altra degenerazione? Però significherebbe che, in un qualche modo, le formiche dovrebbero essere in…

Udii una fragorosa risata scoppiare lungo la linea ed io mi sentii in profondo imbarazzo per quello che avevo detto così apertamente.

―Tu, caro mio, sei talmente legato ai vecchi schemi che pur di mantenerli sei disposto a inventarti dei complotti da fare invidia alle dicerie sui comunisti mangiabambini.

―Ma è impossibile che…

―È possibile, invece, perché è successo. Forse non possiamo accettarlo, o neppure comprenderlo, ma è avvenuto proprio di fronte ai nostri occhi. Fino a ieri sera il mondo andava in verso e ora in un altro. Tutto quello che possiamo fare è prenderne atto e capire come funziona.

―Va bene, d’accordo, ma io ti dico che non mi piace questa storia.

―Qualora mai le formiche dovessero minacciare il genere umano con i loro spettacolini aerei ti darò ragione.

La chiamata terminò lì.

Andai in cucina e aggiornai il calendario. Era un lunedì, il primo giorno dopo il grande cambiamento. Finii di fare colazione e uscii a prendere il giornale. Appena sul viale mi imbattei in una visione che non avrei sperato di incontrare. Un piccolo drappello di Lasius niger passeggiava sul pietrisco, lasciando, potevo immaginarlo, una scia di feromoni dietro di sé. Come la niger sul mio campanello del giorno prima erano in cerca di una fonte di cibo da trovare e di cui riportarne l’esistenza al formicaio. Diedi un’occhiata alla casa del mio vicino e mi tornarono in testa i ricordi di quella dispensa completamente consumata dalle argentine. Se avessi lasciato passare quella squadra di ricognizione, probabilmente, mi sarei trovato una scia di niger che filavano avanti e indietro da casa mia. Sollevai il piede, le soverchiai, ma poi, ci ripensai.

Tornai in casa e riapparii dopo un paio di minuti di fronte alle formiche. Fortunatamente non erano andate nell’erba o le avrei perse di vista. Sparsi del sale in fronte a loro e queste si fermarono, rotearono le antenne e ne furono disturbate. Tentarono di aggirarlo ma gli sparsi il sale di fronte ogni qual volta cercavano di far breccia. Infine, sconsolate, si arresero e tornarono indietro. Fui curioso di capire da dove spuntassero. Le seguii per un poco, fino al marciapiede, dove si unirono ad un’altra fila, molto più spessa, di loro simili. Questa fila saliva e scendeva da quello stesso bidone che avevo trovato infestato da loro il pomeriggio scorso e continuava in una griglia per lo scolo dell’acqua, dove si infilavano per riportare il ricavato della loro uscita o ne sbucavano fuori per tornare a lavoro. Lo scolo sotterraneo proseguiva lungo tutto il viale e quel nido, o più nidi, doveva adoperarlo come una sorta di metropolitana sicura. La cosa fu confermata quando vidi un’altra striscia di niger fare andirivieni fuori dalla griglia successiva, che si infilava e usciva nel giardino di una casa. Chissà dove albergavano le regine. Forse, con quel vasto sistema di circolazione, potevano essercene decine sparse da qui fino al parco. Anche queste, notai tra l’altro, presentavano ali, seppure inutilizzate al momento, e una leggera scintilla pulsante nel ventre.

Smisi di analizzare la situazione mi recai all’edicola per prendere cosa mi serviva.

―Ecco qui quel pazzo― Disse affabile il gestore, che aveva già preparato la roba che gli chiedevo puntualmente ―A lei il quotidiano. E faccia un bel sorriso, perché le è arrivato il nuovo numero della sua collana.

Tirò fuori un libricino tascabile, dalla copertina bianca, lucida, con il titolo di un autore dilettante e un titolo pretenzioso sottostante, accompagnato da un’illustrazione fin troppo professionale per una pubblicazione del genere. Presi quel romanzetto di fantascienza e me lo rigirai fra le mani. Nel cerchio che incorniciava l’illustrazione stava una bestia dall’aspetto orribile, scheletrica, priva di pelo e con la lingua penzoloni, con dei denti e una faccia da teschio. Solo dopo mi resi conto essere quella una pecora.

―Una bell’aggiunta alla narrativa d’invasione se vuole il mio parere. In questo caso si tratta di pecore impazzite dalla carestia e diventate carnivore, tanto numerose da inondare e divorare intere città. Spero non le dispiaccia, appena mi è arrivato ieri gli ho dato una letta.

―Sono duecentoquaranta pagine.

―Che ci vuol fare, sono un patito io.

―Bah, per dei libracci del genere…

―Se li considera dei libracci― E qua si accigliò, quasi nascondendo i suoi occhi sotto quei cespugli che aveva in fronte e affacciando quasi l’intero tronco da fuori l’edicola ―Che li compra a fare? Ci incarta le trote? Ma cosa vuol capire lei che adora quegli insettucoli.

―Mi divertono, ecco tutto. Ma questo mi sembra troppo deprimente per poterlo fare.

―Mi creda, più un libro cerca di buttarla sulla disperazione e più risate attira. E poi, certi avvenimenti, è meglio leggerli su carta, così da potersi consolare che non accadano nel mondo reale. Quando leggo certe apocalissi il mondo mi sembra quasi vivibile al confronto.

Concordai con quanto disse. Srotolai il giornale e diedi un’occhiata alla prima pagina, convinto di trovarci una bella foto dello squadrone di ieri sera. Invece fui colto di sorpresa da un altro articolo, più allarmato. “Campi impestati da formiche indistruttibili” Leggeva un titolone in inchiostro nero a caratteri preoccupanti, per poi proseguire con il sottotitolo “I nostri cereali presi d’assalto da sciami di formiche alate e immuni a dosi convenzionali di pesticidi”. Guardai l’edicolante.

―Brutto affare― Disse lui ―I vostri insettacci sono proprio delle carogne.
   
 
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