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Autore: thors    10/11/2020    4 recensioni
[contest] Questa storia partecipa al contest “Wr-Ink-Tober” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.
[note] Si tratta della mia prima Flashfic... e non ho saputo fare a meno di appesantirla con una breve introduzione e con alcune note più corpose, che cercano di chiarire il comportamento dei personaggi.
[intro] Una strega del popolo degli Antichi affronta un lungo viaggio alla ricerca del Solitario, confidando di trovarlo e di farsi aiutare da lui. Nonostante la sua preveggenza, però, non ha idea di quel che dovrà subire per riuscirci.
[cit] Un mormorio di antiche parole. Una luce abbagliante. Caledya svanì e ricomparve in un luogo lontano, dove secoli prima era già stata.
Nella terra dei mostri, al centro dell’immenso giardino, il palazzo non era cambiato. Ma il Solitario non era più lì.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il demone'
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La ricerca del Solitario

 

Introduzione mitologica

 

Irritato dagli uomini, Bafeyr, dio della morte e dell’oscurità, aprì la voragine senza fondo, e demoni e spiriti risalirono dagli inferi.

Meth il Giusto creò allora l’immenso altipiano per veder da vicino le immonde creature ed innalzò una imponente barriera di roccia perché le terre di Elfi ed Antichi, privi di colpe, non fossero toccate.

Poi fu la dea Aliya, la Fanciulla Misericordiosa, a volgere lo sguardo sugli uomini. Donò loro la magia, perché potessero difendersi.

Le schiere venute dall’Orrido furono respinte. Bafeyr l’accettò, ma decise che un campione sarebbe emerso ogniqualvolta la stoltezza umana l’avesse nuovamente stancato.

Quando comparve il primo Oscuro Signore, gli uomini supplicarono Meth con preghiere disperate, e il Dio concesse i suoi poteri agli Eroi Sacri.

Gli uomini vinsero ancora, ma attorno alla voragine comparvero orchi e bestie feroci. E così nacque la terra dei mostri.

 

 

§

 

 

Un potente sortilegio bloccò la porta. Tutt’attorno, indifferenti, le foglie si tingevano di giallo, rosso e marrone, e leggeri aliti di vento le cullavano verso terra.

Un mormorio di antiche parole. Una luce abbagliante. Caledya svanì e ricomparve in un luogo lontano, dove secoli prima era già stata.

Nella terra dei mostri, al centro dell’immenso giardino, il palazzo non era cambiato. Ma il Solitario non era più lì.

La strega sedette sotto una quercia, nel secco fogliame, ed evocò una fiamma racchiusa in un drappo di fumo per carpire le ombre di ciò che era e sarebbe stato. Scrutò fra le macchie di luce e poi riposò. Di certo, l’avrebbe trovato.

Lupi e linci di grandezza mostruosa e dalle zanne affilate vennero ad infastidirla. Accecati e bruciati da fulminei bagliori, fuggirono lontano.

Un falco di tenebra comparve sotto l’ultimo raggio di sole. La portò nelle terre degli uomini, discese l’altipiano, superò il grande fiume. Lei cercò senza sosta, paziente, sicura, seguendo la traccia di chi avrebbe trovato.

 

Entrò in un paese di poche case, fatto di pietre, tegole verdi e zucche messe ad essiccare. La gente nei cortili, indaffarata attorno ai fuochi accesi, si voltò a guardare la donna straniera, vestita di rosso, slanciata, dai lunghi capelli dorati.

L’odore di chi cercava era nell’aria, fra quello di funghi e castagne, ma Caledya non lo vedeva.

Un gatto nero, col muso bianco, saltò giù dall’ultimo tetto e trotterellò veloce sulla strada polverosa.

«Corna di demoni!» sussurrò. «Questo non l’avrei immaginato.»

Seguì il Solitario tra filari carichi d’uva, sino ad una casa isolata. Bussò alla porta ed entrò senza esitare.

Un lungo mantello nero, una maschera bianca, due occhi di pietra: ora lo vedeva nella forma che ricordava.

Il corpo smise d’ubbidirle, e una mano delicata le afferrò il seno.

«Cos’è questa meraviglia?» chiese una voce sensuale.

«Un’antica», rispose il Solitario. «Spogliala», ordinò.

Caledya poté solo osservare con curiosità una creatura alata, nuda e leggiadra, mentre le levava il mantello, la lunga tunica e tutto quel che nascondeva.

“Una fata! Scaglie e aculei! E lì dorme una bambina! Da quando...”

Dita sottili le solleticarono i seni, s’insinuarono fra le gambe e l’annegarono in sensazioni troppo intense per essere sopportate.

Alzandosi in punta di piedi, la fata la baciò dolcemente. «Mi sembri soltanto una giovane umana.»

Umiliata, sentì le gambe bagnarsi.

«Ceya, smettila», ordinò il Solitario. «Strega, perché mi hai seguito?»

La voce tornò. «La barriera che separa il mio popolo dall’Orrido cederà, e non sappiamo come porvi rimedio.»

«Rivestiti», fece lui. «E vattene.»

«Aspetta. Troverò quel che ti è stato portato via.»

«Sai cosa cerco?»

«Una giovane maga.»

Il solitario le toccò la fronte. «Curiosa la tua magia», mormorò. «Con me ho la sorella: usala per ritrovarla, lei o le sue ossa.»

«Riavrai ciò che ti serve prima del gelo invernale», affermò Caledya con certezza adamantina. «Poi ti porterò nella terra degli Antichi.»

«Ti ucciderò se non manterrai la parola.»

Sorrise compiaciuta, raccolse le vesti e rispose: «Avremo entrambi ciò che desideriamo».

 

 


 

Note dell’autore

 

Sia l’introduzione che il breve racconto traggono spunto da “Il demone”, una storia originale attualmente in corso, nella quale le fate sono solo accennate e gli Antichi non hanno ancora fatto la loro comparsa. In futuro, quanto qui raccontato vi comparirà.

 

Gli Antichi sono un popolo stabilitosi nell’attuale regione a sud dell’altipiano ben prima della comparsa degli uomini, ai quali appaiono molto simili. Devono il loro nome anche alla notevole longevità che li contraddistingue, non certo paragonabile a quella degli Elfi ma ben superiore a quella degli umani.

Altra cosa che li caratterizza è il praticare la stregoneria piuttosto che la magia. Mentre un mago evoca i suoi incantesimi creando un contratto con uno o più elementi, gli stregoni accolgono uno spirito nel loro corpo e tutto il loro potere deriva dalla capacità di convivere con esso. Pertanto, nel corso delle loro lunghe vite, cercano di perfezionare il controllo di se stessi – intendendo questo nell’accezione più estesa che sia possibile.

 

Le fate hanno un’estrema abilità nel provocare piacere e non vedono nessuna implicazione morale nella nudità o nei rapporti sessuali. Non sono solite ad aggredire la gente, ma nutrono un’istintiva curiosità verso razze di natura sufficientemente simile mai viste prima.

 

Certamente tutti sapranno che la luce non somiglia affatto a qualunque cosa la nostra mente sia capace di immaginarsi. Caledya ne è una profonda conoscitrice e nel corso dei secoli ha saputo piegare questo elemento per creare incantesimi apparentemente di tutt’altra natura: vedere immagini del futuro e del passato (tempo), trasferirsi istantaneamente in un luogo ove fosse già stata (spazio) e causare ustioni e profonde ferite tramite sottili fasci di luce (fuoco).

Per comprendere ciò che prova dopo esser stata catturata, bisogna considerare che l’essere spogliata, per quanto inatteso, era ragionevole, dato che polveri, unguenti e diversi “arnesi da strega” erano nascosti nelle tasche dei suoi abiti o allacciati al suo corpo. Nessuno, poi, né uomo, né donna, potrebbe mai provare il desiderio di fuggire da una fata.

Certamente si è sentita umiliata da quel che ha subito: essere paragonata ad una umana era un’offesa bruciante alla quale avrebbe voluto rispondere a tono, ma si era sentita sconfessata dalla risposta del suo corpo alle brevi attenzioni della fata.

   
 
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