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Autore: CedroContento    11/11/2020    18 recensioni
Da più di duecento anni uno spirito abita le gallerie di uno dei più famosi musei di arte al mondo: il Louvre di Parigi. Una sera tempestosa la giovane restauratrice Annette farà la sua conoscenza. Quale verità cercherà di rivelarle il fantasma?
Genere: Angst, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il risveglio della custode
 
Parigi, luglio 2012
 
Il display del cellulare si illuminò per la terza volta quella sera. Annette lo guardò distrattamente indovinando già chi fosse.
La giovane restauratrice si stiracchiò la schiena indolenzita, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio sulla traballante sedia a rotelle del laboratorio.
Anche quella sera aveva fatto tardi, la sua postazione era l’unica ad essere ancora illuminata nell’enorme e silenziosa sala di restauro del museo del Louvre di Parigi. D’altronde lei era anche l’unica a non avere nessuno ad attenderla a casa, ad eccezione dei suoi due gatti. L’unica ad essere completamente sola al mondo.
Si stropicciò gli occhi affaticati, sbloccando meccanicamente lo schermo dello smartphone. Sbuffò. Come aveva immaginato era l’ennesimo messaggio di Francois.
Nonostante avesse rotto con lui ben due settimane prima, insisteva a contattarla almeno due volte al giorno. Quella cosa doveva finire lì.
Se inizialmente Annette, per nient’altro che pietà, gli aveva dato corda non era intenzionata a continuare quella farsa. La loro relazione era durata appena sei mesi, era il momento che entrambi passassero oltre, non erano fatti per stare insieme e basta.
In realtà ad Annette pareva nessuno fosse fatto per stare con lei, eppure continuava ostinata nella sua ricerca, la ricerca spasmodica dell’anima gemella, animata dal vuoto che sentiva dentro di sé. Inizialmente aveva attribuito quel vuoto al fatto di essere orfana, al fatto di non aver mai avuto una vera famiglia, ma con il tempo si era resa conto che non era solo quello. Sentiva la mancanza di una metà importate, fondamentale.
Solo che nessuno degli uomini che aveva frequentato era riuscito a colmare quella sensazione, ad eccezione forse di Sebastien, che però sembrava non volerle offrire niente più di un’amicizia.
Annette finiva per capire quasi subito che quello che aveva davanti non era l’uomo giusto, per quanto perfetto fosse, quindi persisteva nel cercare. Ma cosa, o meglio, chi cercava?
Prese a sistemare l’alto chignon in cui aveva raccolto i lunghi capelli corvini, indifferente alle mani macchiate di vernice, quando l’improvviso rombo di un tuono la fece trasalire.
Dopo un primo momento di sorpresa, Annette guardò sconsolata in direzione della finestra, quella le restituì il solo il suo riflesso, fuori era buio pesto.
L’insistente picchiettio della pioggia sul vetro le suggerì stesse piovendo e lei era senza ombrello, si sarebbe infradiciata ben prima di raggiungere la stazione della metro.
Sospirò tornando a volgere la sua attenzione al dipinto su tela di cui si stava curando, a quel punto tanto valeva la pena attardarsi ancora un po’, magari avrebbe smesso di piovere nel frattempo.
Il quadro dominato dai colori scuri, di John William Waterhouse, raffigurava una giovane donna inginocchiata sulla riva di un ruscello, Pandora, intenta ad aprire uno scrigno dorato, il vaso contente i mali del mondo. Annette adorava quel dipinto, si sentiva estremamente connessa a quella giovane dalla pelle candida e i capelli scuri, non ne comprendeva appieno il motivo, ma non sempre serviva averne uno per sentirsi toccati da una bella opera, i dipinti andavano prima di tutto sentiti.
Quello in particolare apparteneva ad una collezione privata, ma il proprietario era un generoso donatore di fondi per il museo parigino. Così quando il quadro era stato lievemente danneggiato durante il trasferimento dopo una mostra, l’intervento per sistemare il danno era stato affidato a lei, una delle più brillanti restauratrici del Louvre.
Il bagliore di un lampo illuminò la stanza, il rombo di un altro tuono ruppe nuovamente il silenzio. La luce saltò, e Annette si ritrovò avvolta dall’oscurità. Aspettò pazientemente che entrasse in funzione il generatore d’emergenza, abituandosi gradualmente all’assenza di luce. Presto i suoi occhi riuscirono a fendere l’oscurità rischiarata dal debole chiarore proveniente dai lampioni esterni.
Non ci volle molto prima che la forte lampada della sua postazione tornasse in funzione sfarfallando. Annette fece correre distrattamente lo sguardo sul piano di lavoro. Uno strillo le sfuggì dalle labbra.
Ad occhi sgranati osservò Pandora, illuminata ad intermittenza dalla luce ancora instabile.
Non solo la donna non era più di profilo, ma si era alzata, dal centro del quadro la fissava algida e sinistra.
“Cazzo!” imprecò Annette.
Senza pensarci un solo istante si fiondò alla porta, senza curarsi di raccogliere le sue cose.
Corse a perdifiato lungo il labirinto di corridoi, si fermò solo una volta raggiunto l’ampio ingresso del museo.
Sorreggendosi alla ringhiera che sovrastava l’atrio, sormontato dalla famosa piramide di vetro, prese fiato. Aveva lavorato decisamente troppo, forse era solo la sua mente ad averle giocato un tiro mancino.
Si guardò attorno nella luce fioca dell’illuminazione in modalità notturna, alla ricerca di una delle guardie, quella notte avrebbe dovuto essere di turno proprio Sebastien se la memoria non la ingannava.
Decise che poteva valere la pena fare una passeggiata per cercarlo, sicura che lo avrebbe intercettato nella sua ronda. Le avrebbe fatto bene parlare con l’amico, aveva bisogno di riprendere i contatti con il mondo reale. In ogni caso non aveva molta scelta, la sua borsa e il cellulare erano rimasti nel laboratorio, non poteva andarsene, e di certo non si sentiva abbastanza coraggiosa da tornare alla sua postazione.
Nella penombra Annette salì la maestosa gradinata della Nike di Samotracia, diretta al primo piano. Imboccò l’ampia galleria che ospitava le pitture francesi più imponenti.
Fu lì, mentre passava cauta innanzi al famoso dipinto di Eugène Delacroix, che l’incubo ricominciò, e questa volta Annette non ebbe il dubbio di aver preso un abbaglio.
Sotto il suo sguardo atterrito la Libertà, in testa alla comitiva di rivoluzionari, lasciò cadere fucile e l’asta della bandiera. Si erse lenta in centro al dipinto e fissò i suoi occhi gelidi su di lei. Così cominciarono a fare anche i naufraghi di Géricault, nel quadro lì accanto.
Annette indietreggiò sgomenta, mentre la Marianne (1) cominciava a sussurrare qualcosa che la restauratrice non capì. Perse l’equilibrio sbattendo con le gambe contro una delle panche poste in centro al freddo corridoio di marmo. Udì altri sussurri riecheggiare attorno a lei, andando ad unirsi a quello della Libertà.
Con orrore Annette osservò il soggetto di ogni dipinto abbandonare la posa in cui era stato immortalato, per guardarla. I sussurri divennero infiniti, assordanti e la restauratrice dopo qualche istante colse ciò che dicevano: ricorda.
Annette si premette le mani sulle orecchie, arrancando, cercò di alzarsi. Quando ci riuscì si lanciò in una folle corsa a testa bassa, le centinaia di occhi puntati su di lei sembravano trafiggerla.
Inciampò ancora una volta, gemendo rovinò pesantemente sul freddo pavimento, ai piedi del dipinto di Jean Cousin l’Ancien, Pandora.
Quando alzò la testa, con gli occhi sgranati per il terrore, osservò la candida Pandora scostare il teschio su cui poggiava e alzarsi, facendo scivolare incurante a terra le morbide stoffe che le avvolgevano le gambe.
E fu dai suoi contorni che lentamente emerse una figura, una donna in abito Settecentesco. Un fantasma.
La donna inquietante si liberò dalla tela. Lunghi capelli argentei e impalpabili l’avvolgevano fluttuando, nonostante non tirasse un filo d’aria. Fissò le orbite vuote, malinconiche, nere e immensamente profonde su Annette, prima di planare leggera ma ineluttabile su di lei.  
Ricorda” sussurrò lo spirito senza muovere le labbra sigillate, nell’improvviso silenzio tetro che era calato. I quadri finalmente erano tornati a tacere, immobili.
“No…no…” implorò Annette tremando.
Gridò a pieni polmoni quando il fantasma si gettò su di lei, non udì il suono della propria voce, né seppe se era veramente riuscita ad emettere un rumore. Il gelo l’avvolse e l’oscurità la inghiottì.
 
Parigi, luglio 1789
 
“Ti amo” le ricordò Epimeteo (2), afferrandole con forza le spalle, nella notte scura senza luna.
Quelle parole solitamente mormorate dolcemente arrivarono ora cariche di apprensione.
“Ora però devi correre Pandora! Corri!” le ordinò più perentorio, e Pandora ubbidì, stringendo forte al petto il suo piccolo vaso.
Il diversivo del marito però non funzionò.
Presto Pandora distinse alle sue spalle le grida feroci degli uomini che le davano la caccia, gli uomini che poco prima avevano fatto irruzione in casa loro. Non rivoluzionari, ma uomini crudeli, che con il pretesto della guerra civile, in nome dell’eguaglianza e della libertà, davano sfogo alla loro cattiveria, al loro sadico desiderio di violenza. Non si illuse, nessuno sarebbe accorso per salvarla.
Con la mano libera strinse compulsivamente la raffinata stoffa dell’ingombrante vestito che le impediva la corsa. Nella morsa della paura cercò di non pensare cosa avrebbero fatto al suo amato se lo avessero preso, non ci riuscì. Traditrici le lacrime cominciarono ad annebbiarle la vista. Come avevano potuto sbagliare così, come avevano potuto essere così incauti.
Per secoli Epimeteo e lei, Pandora, la custode del vaso, avevano vagato per il mondo, spostandosi in continuazione per nascondere la loro natura immortale.
Quando avevano sentito parlare così tanto di Parigi, la nuova Atene, la nuova culla della cultura, avevano pensato sarebbe stato piacevole trascorrere lì qualche decennio, ma era stato un errore, un terribile errore. Percepivano già da tempo il malcontento della popolazione, ma mai avrebbero pensato che la situazione sarebbe degenerata tanto in fretta. E ora era tardi, troppo tardi per mettere in atto il loro progetto di lasciare la città.
Ma ora la priorità era quella di proteggere il vaso, se si fosse aperto per errore, o peggio se si fosse rotto, sarebbe stata la fine per l’intera umanità, e questo Pandora non poteva permetterlo, nonostante quella stessa umanità, che pretendeva di salvaguardare a costo della sua stessa vita, ora minacciasse di tagliarle la testa.
Pandora raccolse le sue ultime forze per portare a termine la sua missione, accelerò la corsa quando in lontananza distinse il palazzo del Louvre. Ancora un piccolo sforzo.
Sapeva già da tempo del progetto di Luigi XV di trasformarlo in un museo. Era la sua unica speranza, solo lì il vaso avrebbe potuto passare inosservato e con un po’ di fortuna rimanere custodito come l’ennesimo ordinario reperto greco.
Quando più tardi in quella notte buia venne catturata non implorò pietà, dignitosamente si consegnò al suo destino, consapevole di affidarne uno ben più importante alle mani capricciose della Fortuna.
Giurò a sé stessa che sarebbe tornata, avrebbe fatto di tutto per tornare dal regno dell’Oltretomba.
 
Parigi, luglio 2012
 
“Annette…”
Annette? Annette…ma certo, il nome a cui rispondeva negli ultimi 32 anni.
Una mano colpiva delicata ma decisa la sua guancia. Piano aprì gli occhi mettendo lentamente a fuoco l’uomo chino su di lei, Sebastien.
“Stai bene?” indagò lui preoccupato.
 “Sì…sì io…sto bene” articolò Pandora con voce insicura, mettendosi a sedere, massaggiandosi al contempo la testa dolente. Tornare dall’aldilà non era stata una passeggiata.
“Mi hai fatto spaventare, ti ho sentita urlare, che ti è preso?” chiese il giovane uomo dai familiari occhi chiari e limpidi.
Pandora non rispose subito, si prese un momento per guardarsi attorno nella stanza buia, l’unica fonte di luce era la torcia di Sebastien. Constatò di essere finita nella zona riservata ai reperti greci. Non a caso.
“Vieni, ti aiuto a tirarti su” disse Sebastien cominciando a sollevarsi a sua volta da terra, ma Pandora che finalmente lo aveva guardato con più attenzione non si mosse. Ti amo riecheggiò nella sua memoria.
“Epimeteo…” sussurrò.
Come aveva potuto non riconoscerlo in tutti quegli anni?
“Sei tornata” sorrise suo marito sorpreso.
Pandora si gettò indelicatamente tra le sue braccia, ne inspirò il profumo, nuovo eppure sempre uguale nei secoli.
“Mi sei mancata, credevo non saresti più riuscita a tornare” le mormorò all’orecchio Epimeteo con la voce spezzata dalla gioia.
“Non è stato facile, ma sono qui. E Pirra?” chiese scostandosi il tanto che bastava per guardare il volto del suo amato.
“Sta bene, ti aspetta” la rassicurò lui, accarezzandole teneramente la guancia, prima di posare le sue labbra su quelle di Pandora, il loro primo bacio dopo duecentoventitré anni divisi dalla morte stessa.
Ma c’era un’altra cosa di cui la custode doveva assicurarsi, Epimeteo lo capì senza che avesse bisogno di dare voce al proprio pensiero.
“Tranquilla l’ho tenuto d’occhio per te nel frattempo” disse storcendo le labbra in un sorriso accattivante, quello che Pandora amava di più.
L’aiutò ad alzarsi, erano proprio ai piedi della teca in cui era esposto il loro fardello.
Il vaso era lì, era rimasto custodito al sicuro tutti quegli anni, nelle sapienti mani dei curatori del museo, almeno un colpo di fortuna. L’umanità aveva corso un grave rischio, se il vaso si fosse nuovamente aperto avrebbe liberato nel mondo anche i restanti orrori che vi erano imprigionati, mentre Pandora, l’unica eterna custode del vaso, vagava nel regno dell’Ade.
“Vittima delle piaghe che io stessa ho liberato” disse sovrappensiero, assicurandosi ancora con gli occhi che il vaso fosse intatto e soprattutto ben sigillato.
“Contiene mali ben peggiori di quelli che sono riusciti a fuggire” le sussurrò Epimeteo in risposta avvicinandosi.
“Sarà al sicuro qui per qualche tempo, ma non voglio trattenermi ancora a lungo, voglio andare da Pirra” decise Pandora cercando lo sguardo del marito. Epimeteo annuì.
Mentre le sue dita si intrecciavano a quelle del suo eterno amore Pandora seppe che la sua ricerca era finalmente finita.
 
 
  1. Marianne è la personificazione della Francia, nel dipinto di Delacroix, La libertà che guida il popolo, la donna che guida i rivoluzionari rappresenta lei ma anche per l’appunto la Libertà.
  2. Nella mitologia greca Epimeteo, fratello di Prometeo, si innamorò di Pandora e la sposò.
  3. Pirra, sempre secondo la mitologia, è la figlia di Epimeteo e Pandora.
 
 
Angolino dell’autrice:
Grazie per aver letto fin qui! Eccomi qua a cimentarmi per la prima volta con una storia di fantasmi, eventi storici e la mitologia, tutto in un unico racconto!
Come avrete ormai capito ho ipotizzato che Pandora possa trovarsi ancora in mezzo a noi, come custode del suo famosissimo vaso da cui, diversamente dal mito, non sono fuggiti proprio tutti tutti i mali del mondo, ma solo una parte.
Spero che questo mappazzone vi sia piaciuto, fatemelo sapere, qualsiasi opinione è gradita, e sì anche quelle negative.
 
 
 
Verona, maggio 2014
 
In quell’assolata giornata primaverile diede un’ultima mescolata al suo caffè espresso, seduto al tavolino di un bar nell’affollata Piazza delle Erbe, non distante dalla casa di Romeo e Giulietta. Vuotò la tazzina prima di dispiegare la nuova edizione di Le Monde.
“FURTO AL LOUVRE” recitava il titolo in primo piano.
Di solito non si preoccupava di leggere i quotidiani dei mortali, le loro faccende lo toccavano appena, ma l’immagine della refurtiva in prima pagina aveva attratto la sua attenzione.
Erano secoli che non vedeva quel piccolo vaso dall’aspetto così banale, ma non aveva dovuto guardare due volte per riconoscerlo.
“Finalmente ti ho trovata Pandora” bofonchiò tra sé e sé l’immortale, mentre un sorriso feroce gli increspava le labbra sottili.

 
   
 
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