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Autore: Bibliotecaria    11/11/2020    2 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: verso metà capitolo ci sarà una scena di violenza che potrebbe dar fastidio ad alcuni lettori, sentitevi liberi di saltarla.
Seconda cosa: mi fareste un enorme favore se lasciaste un commento, mi farebbe piacere capire cosa pensate della storia finora


6. Battesimo
 
 
Nei giorni successivi uscii quasi ogni sera per rapinare o scassinare e passai parecchio tempo alla base dei Rivoluzionari. Lì notai come Malandrino pareva particolarmente eccitato e nervoso per le nuove informazioni ricavate, anzi sembrava quasi che non avesse altro per la testa e farneticava a proposito di voler fare un nuovo colpo grosso o cose del genere, oramai neppure Orion, Idoler e il resto dei suoi fedelissimi, che stavano con lui da molto tempo, non riuscivano quasi più a sopportarlo o capirlo. Per mia grossa fortuna le interazioni con Malandrino erano ridotte al minimo, praticamente ci parlavo solo quando toccava a me fare rapporto.
Tuttavia questo non mi rendeva meno serena, praticamente una volta ogni due o tre giorni dovevo partecipare ad una rapina o collaborare per prepararne una e quasi ogni giorno dovevo partecipare ad una riunione per preparare un colpo. Malandrino sfruttava molto noi ragazzi che frequentavano la scuola durante l’estate dato che avevamo più tempo libero. Con mia grossa sorpresa ricevetti parte della refurtiva, era una quantità millesimale ma questo mi fece intuire perché tanti giovani erano caduti nella sua trappola. Persone come Felicitis avevano bisogno di denaro in grandi quantità e velocemente e la criminalità offriva entrambe le cose, oltre che un minimo di protezione quando sarebbe definitivamente uscita dal orfanotrofio.
Nel frattempo io mi ritrovai a sguazzare in questa vita criminale così precipitosamente ed incontrollatamente che quando dopo quasi settimane di piccoli furti scoprii di avere un giorno di riposo, sperai di poter passare almeno un po’ di tempo con Giulio ma lui doveva lavorare in segheria, per tanto avevo ripiegato sull’andare in centro a cercare un vestito per il matrimonio di Lillà con Felicitis e Vanilla che come glielo avevo proposto avevano iniziato ad agitarsi e a discutere sui negozi in cui andare dei vestiti da provare. Io, sinceramente, non capivo cosa ci trovassero di così emozionante nel consumismo. Infatti dopo aver girato quattro negozi di vestiti, tre in più di quelli che riuscivo a sopportare, iniziai a dare di matto. “Avanti Diana ci sarà pure un abito che ti piace!” Esclamò Felicitis mentre teneva chiuso il camerino. “Felicitis è chiaro che non comprerà mai nulla se non le proponi altro che vestiti stucchevoli e se la porti soltanto in negozi di marca.” Provò a convincerla Vanilla ricordandole che il denaro a mia disposizione era limitato dato che avevo un massimo di spesa ben preciso. “Sì, ma non può mica vestirsi con bermuda, t-shirt rossa e camicia militare!” Disse Felicitis, riferendosi chiaramente al mio guardaroba ora appeso su di un appendiabiti. Sapevo che era un vestiario praticamente maschile dato che quando ero giovane le ragazze indossavano quasi solo gonne, camicette, vestiti e massimo degli eleganti e ampi pantaloni in stoffa; ed ero cosciente che una parte di me amava vestirsi così per provocare e disorientare quei vecchi bigotti. “E poi è un matrimonio per la miseria! Non potrebbe fare uno sforzo e mettersi una gonna per una buona volta nella sua vita?” Aggiunse Felicitis chiaramente nervosa, mentre io alzavo gli occhi al cielo e fui tentata di rifugiarmi in libreria o al negozio di dischi alla prima occasione inventandomi di dover recuperare un libro per la scuola o che era appena uscito una nuova raccolta, ma era il matrimonio di Lillà, una delle mie più vecchie amiche d’infanzia, dovevo sopportare quella pazza di Felicitis se volevo trovare qualcosa di decente da mettere. Mi guardai un secondo allo specchio e poi uscii seccata. “Sentite entrerò in tutti i negozi di marca e non della città se è necessario. Ma se mi passate un altro abito da principessa giuro che vi faccio venire a scuola in intimo!” Le minacciai seccata con ancora indosso l’abito bianco ricamato con innumerevoli fiorellini colorati. “Ma ti sta bene!” Esclamò Felicitis. “Sì, se avessi tredici anni. Felicitis non posso andare in giro conciata così! Mi sentirei ridicola!” Esclamai seccata mentre Vanilla arrivava in mio soccorso. “Quel che Diana sta cercando di dire, Felicitis, è che preferirebbe indossare qualcosa di un po’ più… sobrio.” Provò a spiegarle Vanilla mentre guardavo Felicitis con istinti omicida e lei rispondeva. “E va’ bene, va’ bene! Che noiose che siete, però. Non vi si può dire mai nulla.” Commentò Felicitis andando a cercare qualche altro vestito per me in maniera seccata facendo di tutto perché si sentissero i suoi zoccoli calpestare il pavimento. “Ti riscaldi facilmente Diana.” Commentò Vanilla. “Tutta genetica. Mia nonna diceva che la nostra famiglia cavalcava i draghi millenni fa, non che ci credessi realmente, ma se fosse spiegherebbe il caratteraccio mio e di mio padre.” Dissi osservandomi seccata allo specchio: quel vestito così romantico, colorato e chiaro non rispecchiava ciò che ero io, e questa è una cosa che avevo sempre odiato fin da bambina. “Buffo, anche mio… padre sosteneva che la mia famiglia era detentrice di un immenso potere, tuttavia non ci ho mai creduto. Sai com’è, la magia è solo una favola per bambini.” Disse Vanilla sorridendomi tristemente e riconobbi quella sofferenza: non era troppo diverso da quello che avevo provato quando era morta la nonna. Sapevo di non avere parole di consolazione così mi limitai a darle una piccolo colpetto con i fianchi e a continuare a parlare di altro. “Guarda che la magia esiste, non saprei dire fino a che punto le leggende siano veritiere e i documenti attendibili ma è innegabile che certi strani fenomeni della nostra storia sono spiegabili solo attraverso la magia e credo di aver assistito ad un paio di eventi spiegabili solo con questa. Poi che sia come la raccontano nei libri o meno è un altro paio di maniche.” Ammisi sorridendo e Vanilla mi sorrise dolcemente ma era chiaro che il mio goffo tentativo di distrazione aveva avuto poco effetto. E decisi di rimanere in silenzio e di attendere l’arrivo di qualcuno un po’ più adatto per queste cose. Nel contempo mi ritrovai a penare a quel grande mistero del nostro mondo.
La magia non interessava molti nella mia generazione, eravamo troppo presi dalle recenti innovative scoperte. Ma per me ha sempre avuto un suo fascino, anche da bambina avevo la tendenza a chiedere a mia nonna leggende riguardanti grandi utilizzatori di questa, crescendo la passione non è mai diminuita e anche adesso continua ad esercitare il suo incanto su di me, in tutte le sue forme, malgrado non sono mai riuscita pienamente a comprenderla.
 
Felicitis tornò quando oramai mi ero spogliata. “Diana vestiti, qui per te non troveremo niente. Forse ho un idea per un altro negozio ma ti avverto, è un po’ moderno quindi non saprei se ti possa piacere o meno.” Mi informò Felicitis mentre mi rivestivo in fretta. “Va’ bene tutto, basta che finiamo in fretta, odio fare compere.” Dissi annoiata, non è che non mi piacesse stare in compagnia di Felicitis e Vanilla, anzi la loro presenza alleggeriva di gran lunga la situazione, il problema era che per me le compere erano sempre state un patema: mia madre da piccola mi portava in giro per negozi fino a quando non comprava vestiti sufficienti per i tre anni a venire, molti dei quali non li avrei mai usati, e poi, l’anno dopo, dovevo ricompiere tutta la procedura visto che crescevo molto velocemente. Con l’arrivo della pubertà mia madre si era fortunatamente arresa nel portarmi in giro per negozi, ma non posso negare di aver letto la sua delusione nel suo viso quando l’avevo informata che ci sarei andata con Felicitis e Vanilla, tuttavia mi aveva concesso una buona dose di fondi e mi aveva chiesto di farle vedere quel che compravo.
Arrivate al negozio però sorse un problema: era per soli umani. “Merda.” Dissi osservando il cartello, la situazione in quel periodo non era più come quella nella generazione di mia nonna in cui gli Altri non potevano entrare in quasi nessun posto a causa della segregazione, ma comunque certi locali ristringevano la clientela usando la scusa delle differenze fisiche e finanziare delle varie razze. “Non dovremmo entrare.” Disse Felicitis spaventata. “Sciocchezze, ci parlo io con la commessa, le dico che siete qui solo per aiutarmi con la scelta del vestito. E se rompono le palle… beh... gioco la carta legge Maratti, e lì li voglio vedere.” Per chiunque non lo sapesse era la legge che determinava delle attenuanti riguardo l’accesso degli Altri e stillava i requisiti che i negozi o i servizi, come la scuola, dovevano avere per essere considerati per soli Umani e quel negozio era facilmente contestabile considerato il fatto che molte razze presentano una struttura simile a quella umana e che anche se fosse non potevano impedire a nessuno il diritto di entrare.
Varcammo la soglia, la commessa lanciò una breve occhiata e con mia grossa sorpresa fu disponente e non fece commenti sulla presenza delle ragazze, anzi dopo Felicitis mi informò che la ragazza lavorava lì solo per la paga ma che intendeva cambiare quando le sarebbe stato possibile. Felicitis riuscì a trovare, grazie a tutti gli astri, un vestito decente: erano dei pantaloni verde scuro molto ampi e a vita alta che venivano tenuti fermi da un nastro del medesimo colore e lo abbinammo con un’ampia camicia nera con le maniche a trequarti e sullo scollo era stato cucito un morbido fiocco nero. “Là, e questa è fatta.” Disse Felicitis una volta che ebbi pagato la bellezza di 145 dani di vestiario, se penso che solo due anni dopo quel denaro mi avrebbe fatto comodo sarei andata a quel matrimonio con il più economico e stucchevole dei vestiti. “Ora ci offri il gelato come d’accordo?” Mi ricordò Vanilla esausta che era venuta con noi più per quello che per altro. “Sì, sì… quale gelateria preferite?” Chiesi mentre contavo i soldi decretando di averne abbastanza anche per me, in fondo una promessa è una promessa e poi quante palline potevano mai prendersi quelle due che erano un paio di gressini?
“Siete due schifose ingorde approfittatrici.” Le ripresi mentre eravamo sedute ad aspettare nella migliore gelateria della città, lì il gelato era fatto in casa e facevano solo delle coppe enormi, per pagare qualcosa a tutte e tre ero quasi rimasta senza soldi da restituire a mia madre. “Cito testualmente Diana: una promessa è una promessa.” Disse Vanilla anche se non mi ricordai quando lo avessi mai detto, mi limitai ad alzare gli occhi al cielo mentre aspettavo quelle tre coppe enormi che ci eravamo prese, devo ammettere tuttavia che fu piacevole mangiarsi quel gelato enorme con panna e biscotti 15 dani ben spesi. Le riaccompagnai a casa con l’auto che i miei genitori mi avevano generosamente lasciato, malgrado avessi fatto la patente quella primavere erano ancora diffidenti a lasciarmela.
 
Una volta tronata a casa, dopo essermi assicurata che nessuno mi stesse origliando presi il telefono e chiamai al numero della segheria in cui lavorava buona parte del clan di Giulio. “Pronto ufficio dell’azienda Taglio e intaglio come possiamo aiutarla?” Disse una voce femminile dall’altra parte del telefono. “Salve sono Diana Dalla Fonte, un’amica di Giulio, potreste lasciargli un messaggio?” Chiesi gentilmente. “Sì, dica pure.” Sapevo che non era propriamente corretto chiamare l’azienda per le cose piccole ma era ancora una rarità avere il telefono in casa dato che costavano parecchio. “Gli dica che se ha un vestito elegante è invitato a un matrimonio di una mia amica il quindici agosto.” La signorina mi salutò e chiuse la chiamata. Era stata gentile Lillà a permettermi di invitare qualcuno, le dovevo un favore.
Stavo per mettermi a studiare, visto che ero indietro con i compiti estivi, quando sentii bussare alla porta d’ingresso. Pensai che fosse strano considerato che non aspetto nessuno. Ma come aprii la porta mi trovai davanti un postino con un mazzone di lettere di cui molte avevano una carta di buona qualità. “Mi è stato detto di consegnarle alla signorina Diana Dalla Fonte di persona, è in casa?” Chiese sbrigativo. “Sono io.” Mi porse un foglio da firmare e una volta fatto mi consegnò il pacco di lettere. In mezzo alle bollette, il mutuo e le pubblicità c’erano le lettere dell’università, iniziai a sfogliare sebbene sapessi di già di quali si trattasse: di alcune sapevo già della loro esistenza, altre non le avevo mai sentite in tutta la mia vita, ma tutte erano legate alla S.C.A., al esercito o alla polizia. Non mi sorpresi che fossero arrivate: ogni anno il governo mandava le lettere delle università che aprono le porte al militare o simili così da ricordare che non ci sono solo i soldati o agenti, come mio padre e mia madre, in tali organizzazioni ma anche medici, ricercatori, psicologi, avvocati e tecnici. Presi quei fogli e li gettai in massa nel cassonetto. Non sapevo ancora a quale università sarei potuta andare ma avevo già escluso quelle.
 
Verso sera feci vedere il vestito a mia madre. “Oh, Diana, è così bello. Mi devi dire dov’è quel negozio, se tutti i capi sono così eleganti sarebbe una benedizione per me, devo rinnovare il mio guardaroba.” Le lanciai un’occhiata scettica per poi guardare la sua cabina armadio piena fino al orlo ma non dissi nulla. “Come lo hai trovato?” “Mi ci ha portato una mia amica.” La informai indifferente. “Come lo conosceva?” Domandò mentre studiava il tessuto strofinandolo tra le dita. “Felicitis a buon occhio per i vestiti anche se non può comprare molto.” Dissi pacata. “Felicitis sarebbe?” Domandò mia madre, sbuffai. “La mia compagna di classe mamma, quella con i capelli riccioluti castano chiaro, corna piccole.” “Oh, sì, lei.” Disse mia madre improvvisamente rigida, la ignorai ma lei percepì il mio palpabile nervosismo. “Diana smettila di fare la bambina, non puoi cambiare le convinzione delle persone facendo il broncio.” “Lo so, ma tanto con voi è come parlare al muro.” Dissi seccata. “Diana, io e tuo padre non siamo razzisti.” Si difese mia madre. “Solo che… cerca di capirci. Hai idea di quanto certi Altri siano pericolosi?” Mi domandò mia madre. “E tu hai idea di quanto certi umani siano pericolosi?” Gli risposi a tono. “E poi mamma, non essere ipocrita: tu e papà non avete mai accettato nessuna delle mie amicizie perché non erano umani.” Gli ricordai seccata, mia madre mi guardò innervosita. “C’è gente peggiore di noi Diana e tu lo sai.” Controbatté mia madre lasciando andare il vestito e guardandomi negli occhi. “Lo so. Ma anche così è sbagliato, qualsiasi forma di discriminazione lo è.” Insistetti severamente. “Si nota che sei giovane.” Sussurrò mia madre con fare rassegnato. “Diana, le discriminazioni ci sono e ci saranno sempre, poiché siamo differenti.” “Non nego le diversità tra le varie razze, mamma, ciò che non trovo giusto è rimarcarle come se fossero qualcosa di estremo, che non ci permette di convivere, quando in realtà solo le nostre differenze a renderci quel che siamo, e poi mamma lo sai anche tu che all’interno di ogni razza c’è una varietà immensa, non sono delle creature rigide una uguale all’altra.” Continuai sempre più arrabbiata mentre mi scambiavo uno sguardo d’ira con mia madre, sentivo che stavo per esplodere, non ne potevo più di quel suo comportamento ipocrita.
Fu nello stesso istante in cui lei fece per rispondere che sentii il telefono suonare, come una scheggia corsi di sotto urlando che rispondevo io e che probabilmente era per me. Ma mio padre aveva già alzato il telefono. “Salve qui casa Dalla Fonte, posso esservi d’aiuto?” Domandò mio padre per poi restare in silenzio per qualche secondo. “Diana, è per te, un ragazzo di nome Giulio.” Mi informò mio padre passandomi la cornetta del telefono. “Pronto?” Domandai nervosa. “Pronto Diana, sei tu?” Mi domandò Giulio. “No, sono il mannaro cattivo.” Scherzai afferrando il resto del telefono e dirigermi verso la mia stanza proprio lì di fronte. “Ahahah, spiritosa.” Sorridendo entrai in camera e socchiusi la porta. “Mi è stato recapitato il messaggio.” Continuò Giulio tranquillo. “Dunque?” Domandai gettandomi nel letto e aspettando gongolante la risposta che arrivò poco dopo. “Un vecchio completo marrone può essere considerato elegante?” Mi domandò Giulio giocando con me. “Fin tanto che fa la sua figura, sì.” Dissi rimanendo sul vago. “Allora considerami già lì con te. Parlerò con mio padre a tal proposito, anche se non credo che mi lascerà usare la macchina dell’azienda.” “Per quello non c’è problema. I miei si sono disposti a lasciarmi l’auto se non faccio casini e vedrai che sarò così simile ad un Astro che mi appariranno le alucce bianche e l’aureola.” Scherzai. “Lo sai che chi si loda si imbroda?” “Ah, ah, ah, spiritoso. Ti vengo a prendere io?” Domandai mentre le mie gambe si strofinavano l’una contro l’altra agitate. “Di solito non è il gentiluomo che va a prendere la donzella?” Domandò Giulio divertito. “Sì, ma io non sono una donzella.” Mi difesi. “Sì, ho capito adesso metto giù!” Disse Giulio con fare sbrigativo, probabilmente dall’altra parte del telefono la segretaria gli stava dicendo di sbrigarsi. “Scusami Diana, ma adesso devo chiudere la chiamata, ci sentiamo domani per maggiori detta…” Non completò la frase, la segretaria doveva aver chiuso la chiamata, comunque questo non mi impedì di rigirarmi nel letto emozionata cercando di trattenere le urla contro il mio cuscino. Fu a quel punto che mio padre entrò. “Diana… che stai combinando?” Mi domandò mentre scalciavo i piedi sul materasso troppo felice e malgrado mi bloccai e ricomposi velocemente sapevo che mi aveva visto. “Nulla.” Sussurrai sbrigativa guardando mio padre ancora sdraiata contro il cuscino, la sua faccia assunse un’espressione strana. “D’accordo. La cena è quasi pronta.” Mi avvisò fissandomi nettamente confuso. “Metti al suo posto il telefono quando ci raggiungi.” Mi ordinò mentre chiudeva la porta. Rimasi ancora per qualche istante a godermi quella semplice felicità che mi stava invadendo il cuore con una forza impressionante.
 
 
“Allora ti ricordi quello che ti ho detto?” Mi chiese Orion qualche sera dopo appollaiato accanto a me sul lucernario di un negozio. “Sì, sì.” Dissi annoiata, mettendomi l’imbracatura. “Scendo, spruzzo lo spray, evito gli allarmi, raggiungo il pannello di controllo e vi faccio scendere.” Ripetei meccanicamente cercando di tenere l’ansia lontana da me. “Ragazzina è una cosa seria, non comportarti come una bambina. È con i lavoretti facili che…” Mi gettai dal solario senza lasciare che Orion finisse di parlare.
Questo non era un lavoretto facile: Malandrino voleva vedere chiaramente quanto fossi pronta a rischiare, quanto gli fossi utile e quante palle avessi, mi stava mettendo alla prova probabilmente perché aveva capito quanto fossi sveglia e che potevo diventare una sua preziosa risorsa, non un semplice burattino identifica documenti validi S.C.A. e questa notte ne sarebbe stata la prova o meno.
Iniziai a spruzzare lo spray. Rimasi stupita da quel sistema d’allarme: era uno dei primi con dei rozzi sensori di movimento, un lusso per chi aveva molti soldi e vuole proteggerli o nascondere come li guadagna. Il campo era libero fino al pavimento in cui un semplice reticolato a scacchiera che si dissipava per buona parte del negozio a livello della coscia, abbastanza alto da essere preso in pieno se una persona camminava normalmente, ma abbastanza basso per essere evitato strisciando a terra. Una volta a terra mi coprii meglio la bocca con la manica e spruzzai lo spray nuovamente per controllare dove fossero i sensori. Preferii strisciare per evitarli visto che non mi fidavo troppo del mio equilibrio, mi direzionai al pannello di controllo dietro il bancone dove mi assicurai che non vi fossero altri allarmi, e disattivai il sistema. Una volta appurato che avesse funzionato tirai fuori un stetoscopio e iniziai ad aprire la piccola cassaforte sotto al bancone, ci vollero tre lunghi minuti per aprirla e quando alzai lo sguardo mi accorsi di una cosa che non era stata scritta nelle informazioni racimolate: c’era una telecamera, una di quelle installa dalla polizia cittadina, una delle prime, lo sapevo perché ne avevano installata una di simile nel albergo di Lovaris e vicino alla base ce n’erano molte. Subito lasciai perdere le scartoffie nella cassaforte e, sperando che non si fossero ancora accorti di nulla, corsi al ufficio, forzai la serratura e aprii una botola nascosta sotto al pavimento usando una tenaglia per spezzare il lucchetto. Lì dentro erano trattenute prigioniere un gruppo di fate che sarebbero state vendute a dei bordelli nei quartieri malfamati della città. “Forza, vi portiamo via di qui!” Subito si alzarono e corsero verso l’esterno. Avevano le ali legate e non avevo né il tempo né il materiale per spezzare quelle fasce così feci salire le fate sulla carrucola che le tirò su una alla volta e le usai per informare Orion della telecamera, mentre cercavo i documenti che dovevo recuperare ma non li trovai. Per un secondo il panico mi invase: non sapevo che fare, dove guardare, cosa cercare e la polizia oramai doveva essersi accorta della mia presenza, era la fine. Il respiro iniziò ad accelerare, il battito cardiaco ad aumentare, sudavo freddo, la mente e la vista erano offuscate e non vedevo vie di fuga. Strinsi i pugni con tutta la forza che avevo in corpo e rilasciai l’adrenalina con un’esclamazione. “Calmati dannazione!” Sentii lo sguardo delle fate su di me ma le ignorai, presi un paio di respiri lenti e profondi e tornai lucida. “Voi non vi fermate per nessun motivo.” Ordinai alle ragazze. “Torno subito.” Annunciai mentre andavo nel ufficio per controllarlo il più velocemente possibile. Lo misi a soqquadro per trovare quei maledetti documenti ma non c’era nulla. Diedi un rapido sguardo alle ragazze che dovevamo salvare e capii che degli stupidi documenti non valevano il rischio della mia o della loro vita. Allora mi riavvicinai e le aiutai a salire il più velocemente possibile.
Fui l’ultima a salire e sentivo già le sirene della polizia in lontananza malgrado fossero passati appena otto minuti da quando ero entrata. “Ragazzina dove sono i documenti?” Mi domandò Orion mentre mi aiutava a salire sul tetto. “Non c’erano nella cassaforte, e non ho avevo tempo per cercare altrove, ho dovuto scegliere.” Informai Orion senza la minima esitazione. “D’accordo piccola, ora corriamo.” Orion mi parve sorpreso dalla mia fermezza ma non ebbi il tempo di confermarlo. Iniziai a scendere dal ufficio, fortunatamente era solo un piano, ma non osai saltare per evitare di slogarmi qualcosa. Orion mi seguiva dietro e lì ad attenderci c’erano le ultime fate, Vanilla e un altro ragazzo. “Erano meno nel rapporto.” Si lamentò il ragazzo mentre Orion toglieva la corda. “Poche chiacchere e portale lontano da qui.” Ordinò Orion mentre lo aiutavo a raccogliere la corda e il resto del gruppo ci precedeva. Oramai le sirene erano vicinissime, io ed Orion corremmo il più velocemente possibile sperando di non incappare in qualche imboscata della polizia. Raggiungemmo il resto del gruppo che era già sceso per le fogne. Il primo a scendere era stato il ragazzo e ora Vanilla stava facendo scendere tutte le fate tenendo il tombino alzato, Orion le seguì. Stavamo per scendere anche io e Vanilla però udimmo il rumore degli scarponi della polizia. “Chiudete il tombino e imbucatevi da qualche parte.” Ci ordinò il vecchio burbero continuando a scendere, nel contempo Vanilla chiuse il tombino cercando di non fare rumore. “Muoviamoci.” Così dicendo abbandonai quelle fate al loro destino. Sapevo che dovevano portarle fuori da Meddelhock ma non ero in grado di dire dove le avrebbero mandate.
 
Continuammo a correre sperando di distanziare gli agenti visto che non avevamo idea di dove ci saremmo potute nascondere. Ad un certo punto Vanilla mi superò e si imbucò in un vicoletto, io feci per seguirla ma due agenti a piedi mi raggiunsero e mi videro. “Fermo!” Mi urlarono dietro, io non li ascoltai e continuai a correre con il cuore in gola sperando di raggiungere l’incrocio prima che premessero il grilletto. Mancava poco: cinque passi, quattro passi, tre passi. Ma non fu sufficiente. Udii lo spararono e sentii un dolore lanciante al polpaccio. Persi l’equilibrio e caddi a terra con un tonfo dolorante per il proiettile che aveva trapassato il polpaccio. “Dunque vediamo chi abbiamo qui.” Disse uno degli agenti. Cercai di rialzarmi ma la gamba mi faceva troppo male. “Cazzo, cazzo…” Mi lamentai mentre i due agenti mi fecero voltare usando il piedi così da bloccarmi con il loro peso a terra. “È una ragazza… ci divertiamo un po’?” Propose uno mentre il mio cuore perdeva un battito e l’odore del alcool riempiva le mie narici, dovevano essere ubriachi. “Sì, nessuno si farà problemi per un’Altra.” Malgrado la situazione provai sollievo per non essere stata identificata ma il ribrezzo mi portava l’abile alla bocca: da quando gli stupri vanno bene se è solo un’Altra? Cercai di strisciare ma era del tutto inutile, la gamba mi faceva troppo male e anche se avessi zoppicato fino al prossimo vicolo non sarei riuscita ad evitare la cattura, mi fermai il mio tentativo quando mi diedero un calcio al costolato: l’unica opzione sensata era arrendersi ma non potevo tollerarlo, ne potevo lasciami violentare senza fare nulla. Cercai di divincolarmi e di tenerli lontani da me, in risposta mi colpirono nuovamente al costolato e mi contrassi a terra in uno spaso mentre uno dei due agenti mi bloccava a terra di schiena, sapevo combattere sarebbe stato inutile ma non avrei ceduto senza combattere. Questi furono i miei pensieri mentre sentivo il sapore del asfalto in bocca, avevo la vista sfocata e il dolore lancinante alla gamba non aiutava, e sentire mani nemiche sul proprio corpo pietrifica chiunque. Strinsi gli occhi e mi preparai al peggio, per quanto ne sapevo avrebbero anche potuto deciso di portarmi in centrale o di uccidermi in ogni caso nessuno avrebbe fatto niente.
“Allontanatevi da lei.” Riconobbi la voce proveniente dal angolo, era Vanilla, un moto di gioia e preoccupazione mi invase. Per me questo sarebbe stato il primo arresto, sapevo cosa dire in caso mi catturassero e comunque ero un’umana avevo più probabilità di cavarmela, Vanilla invece era già stata arrestata una volta e solo pochi mesi fa, rischiava la prigione molto più di me, l’avrebbero picchiata a sangue, imprigionata e non osai immaginare cos’altro. Dovevo impedire che intervenisse. Provai a dire qualsiasi cosa ma il colpo allo stomaco mi aveva privato del tutto della forza di parlare.
Un agente di polizia puntò la pistola verso di lei, ancora nascosta dietro al vicolo, mentre uno di loro mi bloccava al terreno schiacciandomi con un ginocchio e il braccio. In quel istante mi imposi di pensare su come liberarmi, lo avevo fatto milioni di volte in palestra e mi imposi di entrare in quello stato mentale. Per mia enorme fortuna funzionò: da quella posizione avrei potuto far cadere l’agente che mi stava schiacciando addosso al altro usando il mio stesso corpo come leva e se fossi riuscita a disarmarli saremmo potute scappare in fretta. “Fatti vedere! Mani ben in vista!” Urlarono i due agenti percepii un bagliore sopra di me, confusa volsi lo sguardo e sgranai gli occhi incredula: le mani e gli occhi di Vanilla risplendevano di un viola iridescente simile ai suoi capelli ora sospesi in aria da una strana energia che le conferiva un’aurea spaventosa e regale. Rimasi incantata: era la prima volta in tutta la mia vita che vedevo qualcuno usare la magia e nessuna delle storie che avevo sentito valeva quanto lo spettacolo di magnificenza a cui stavo assistendo.
Evidentemente anche i due agenti non rimasero indifferenti poiché furono necessari diversi secondi prima che uno dei due reagisse. “Che stai facendo!?! Spara!” Urlò l’agente che mi bloccava a terra ma non concluse la frase. Vanilla bloccò i loro intenti rilasciando delle poderose onde d’energia violacea che investirono i due agenti e li scaraventò in aria quasi subito. Confusa dalla potenza di quella energia aliena così potente da sembrare di essere finita in mezzo ad una tempesta, non potei che raggomitolarmi a terra sperando di non venire scaraventata via.
Malgrado il terrore puro che mi stava invadendo riuscii a resiste fino a quando quelle raffiche di vento magico si conclusero. Mi voltai di scatto sentendomi stranamente rinvigorita, era come se quella tempesta fosse stata benefica per me, non potei dire lo stesso per i due agenti distesi a terra.
Con uno sforzo non indifferente mi obbligai ad alzarmi cercando di aiutarmi sostenendomi contro la parete del edificio accanto ed estrassi il mio pugnale per prepararmi ad un eventuale scontro, e mi maledissi per non aver preso la pistola. Purtroppo i due si rialzarono in contemporanea a me, evidentemente non erano stai colpiti con abbastanza forza. In risposta Vanilla iniziò a risplendere e percepii che stava aumentato il suo potere. I due agenti cercarono di raggiungere le pistole, chiaramente spaventati e confusi, ma Vanilla li colpì prontamente con un’unica e ben più violenta onda d’energia che li colpì in pieno corpo e li scaraventò ancora più in lontananza.
Mi appiatti contro il muro per cercare di proteggermi dal forte vento che mi aveva nuovamente investita. Quando aprii gli occhi vidi subito uno dei due giacevano a terra accasciato contro un bidone dell’immondizia e al suo fianco si stava formando una pozza di sangue a causa d’una ferita al capo. L’altro invece stava cercando di rialzarsi mentre chiamava disperato il nome del collega. Mi voltai verso Vanilla incredula ma come posai il mio sguardo su di lei vidi l’energia sovrannaturale che l’aveva circondata finora svanire nel nulla e crollò a terra priva di energie.  La raggiunsi e cercai di farla alzare. “Vanilla, dobbiamo andare o ci ammazzano.” Le sussurrai cercando di sollevarla ma il mio tentativo fu vano.
Nello stesso istante vidi il poliziotto ancora vivo ora in piedi e con un coltello in mano si stava scagliando furioso contro di noi. Non pensai, una scarica di energia mi invase e impugnai con forza il coltello nella mano destra. Il mio corpo si mosse istintivamente in un unico, elegante e brutale movimento. Bloccai il braccio armato del agente con la sinistra e gli impiantai il mio coltello nella gola. Un istante dopo che lo estrassi, l’uomo cercò di bloccare il flusso. Era già condannato tuttavia gli trapassai il petto con il coltello mentre lo scaraventavo a terra cadendo sopra di lui. Mi avventai sul suo cadavere e lo colpii ripetutamente, il coltello trapassò la carne, le mani si insanguinarono. Mi fermai solo quando compresi che non si sarebbe più rialzato. In quel istante mi accorsi di avere le mani sporche di sangue ed iniziai a tremare, l’energia che mi aveva invasa nel istante in cui avevo visto quel coltello avventarsi su di me venne meno: iniziai a respirare affondo affannatamente, la vista da lucida divenne appannata e ogni mio singolo muscolo urlava di dolore. Dopo numerosi istanti in cui rimasi congelata sul posto riuscii a tornare lucida. Fu allora che realizzai cos’avevo fatto, cos’ero diventata. Un profondo senso di vomito mi invase, facendomi retrocedere in uno scatto e mi voltai per cercare di vomitare ma mi obbligai a ricacciarlo in dietro. Non potevo abbandonarmi allo sconforto, non con Vanilla così debole, non con un branco di poliziotti che presto ci sarebbe state alle calcagna, non con l’omicidio di due agenti in servizio e non con una gamba ferita. Dopo diversi istanti di assoluto silenzio in cui cercai di alzarmi mi accorsi di una cosa enorme ma a cui non avevo badato. “Cazzo.” Mi lamentai accasciandomi a terra, adesso il dolore della pallottola era più sopportabile ma il sangue continuava ad uscire addirittura più copiosamente di prima. “Che succede?” Mi chiese Vanilla avvicinandosi con fatica. Mi voltai e quando incrociai i suoi occhi vuoti, spenti e terrorizzati mi parve di vedermi allo specchio malgrado fossi conscia che i mei occhi non erano azzurri. “Il mio sangue, potrebbero usarlo per seguirci. Dobbiamo bloccare la ferita e andarcene da qui.” Decretai preoccupata mentre strappavo i pantaloni neri così da cercare di improvvisare una qualche fasciatura. “Riesci a camminare?” Mi domandò Vanilla mentre cercavo di alzarmi senza molto successo. “No. Puoi fare qualcosa per la ferita?” Chiesi freddamente imponendomi di non pensare, di restare lucida, non dovevo cadere vittima della paura. “Non lo so.” Sussurrò lei rannicchiandosi a riccio. “Questa è stata la prima volta che… ecco…” La guardai incredula: dalla sicurezza che trasudava fino a pochi secondi prima non lo avrei mai detto che quella che avevo di fronte fosse stata la sua prima volta, né che quella fosse la Vanilla che conoscevo o che adesso mi stava guardando terrorizzata. “Come? Ma… allora come… come hai fatto a fare quel… quel non lo so… quel coso, quel vento. Era potentissimo” Domandai confusa imponendomi di concentrarmi su quello non dovevo pensare ad altro così che anche Vanilla non pensasse a quello che aveva appena fatto. “Non lo so. Ho solo pensato che non potevo permettere che ti succedesse qualcosa di simile e… l’ho fatto.” Mi spiegò Vanilla e compresi che non era così diverso dal modo in cui io avevo tagliato la gola a quel poveraccio. Come il pensiero solcò la mia mente ebbi un brivido freddo ma strinsi i pugni e lo scaccia al istante. Non potevo cedere, non ancora, non potevo permettermi il lusso di essere debole. “Pensi di poter fare qualcosa per questa?” Domandai mostrandole la mia coscia. “Non lo so. Però…” Notai il modo in cui si guardò le mani, era in parte scettico ma anche desideroso di tentare qualcosa che sentiva fosse possibile. “Credo che… potrei fare qualcosa… forse.” Balbettò Vanilla guardando la ferita leggermente incantata.
In quello stesso istante sentii la radio dei due agenti sfrigolare e una voce metallica chiamare i due uomini richiedendo un aggiornamento sulla situazione. Da ciò ottenni due informazioni importanti. Primo: i due agenti di polizia erano l’unica squadra che avevano mandato, e questo era un bene. Secondo: a breve questo posto sarebbe stato setacciato dalla polizia. “Fallo allora.” Decretai freddamente mettendomi nella sue mani. Vidi Vanilla esitante mentre distoglieva lo sguardo. “E se perdessi il controllo: prima… è stato come se qualcos’altro avesse preso possesso di me.” Sussurrò lei chiaramente spaventata. “Vanilla, anche a me è successo quando ho visto quel uomo andarci contro con il coltello. Ed è… terrificante.” Ammisi mentre un senso di impotenza mi invadeva ma lo estirpai al istante stringendo i denti. “Ma se non ce ne andiamo al più preso rischiamo di crepare.” Le ricordai serissima indicandole la radio che continuava a rilasciare quel messaggio. A quel punto Vanilla mi si avvicinò e dopo qualche istante d’esitazione lo fece. Le sue mani si illuminarono di una calda luce viola e così i suoi occhi tornarono a brillare circondati da quella luce sovrannaturale ed ipnotica, e come le sue dita mi sfiorarono il polpaccio sentii la carne bruciare e il flusso di sangue bloccarsi. Strinsi i denti alla manica del giubbotto e sopportai: faceva male come quando la pallottola aveva trapassato la carne, ma non emisi un lamento, bloccai tutto sul fondo della mia gola, la parte peggiore arrivò quando le mani di Vanilla divennero roventi, sembravano essere fatte di ferro lasciato a scaldare sul fuoco. “Ho finito.” Mi comunicò affaticata. Provai ad alzarmi: il dolore mi accecò per qualche istante e dovetti sorreggermi a Vanilla per non perdere l’equilibrio, tuttavia dovetti sopportare e riuscii a riacquisire la vista. Inspirai affondo e agguantai gli agenti e li trascinai dove c’era il mio sangue e lo mischiai al loro. Avevo sentito dire che si erano scoperti dei modi per analizzare il codice genetico di una persona, non sapevo se la polizia lo usasse di già nelle indagini ma vivendo per anni ad una base S.C.A. avevo scoperto che era qualcosa di possibile e avendo studiato a scuola cosa fosse il DNA decisi di non rischiare. Con il senno di poi anche all’epoca sarebbero stati a malapena in grado di dire se il DNA corrispondeva o meno. La cosa incredibile tuttavia fu che pensai a questo e non all’eventualità di lasciare delle impronte, fortunatamente avevo i guanti o avrei rovinato la mia futura carriera prima ancora di inicominciarla.
 
Riuscimmo a ricongiungerci al gruppo con non troppa difficoltà, ma la ferita alla gamba ci aveva rallentate parecchio e avendo perso comunque una discreta quantità di sangue ero comunque spossata. Ci dovemmo fermare più volte nascondendoci in case abbandonate e vicoli bui per permettermi di riprendere fiato, tuttavia riuscii a mantenere la mente sgombra, era come se il mio istinto di sopravvivenza avesse improvvisamente preso il controllo del mio corpo e agisse automaticamente.
Una volta arrivate alla base fui costretta a fare rapporto e quando spiegai che non avevo recuperato i documenti Malandrino mi afferrò per la maglia e mi sbatté contro il muro maledicendomi per la mia incompetenza e tante altre cose ma non le sentii. Poteva dire quel che voleva, insultarmi, sputarmi in faccia, anche uccidermi, non mi importava. L’aver tirato un sospiro di sollievo non mi aveva sbattuto in faccia la realtà e stavo accusando il colpo. Poiché oramai parte della mia anima era stata portata via con la morte di quel agente e nulla me l’avrebbe restituita.
Fu Orion ad intervenire in mia difesa spiegandogli della telecamera, poi ricordò a Malandrino che i documenti li avrebbero potuti recuperare ma le fate sarebbero state vendute molto presto e non ci sarebbero state altre occasioni. L’intervento del vecchio burbero diede a Vanilla il coraggio di intervenire dicendo che mi ero presa una pallottola per scappare dagli agenti e che malgrado questa ero riuscita ad ammazzarli entrambi. Era questa la bugia che avevamo concordato dato che nessuno doveva sapere che Vanilla aveva usato la magia, era pur sempre un’arte proibita e sconosciuta ai più e di sicuro Malandrino l’avrebbe obbligata a praticarla per i suoi scopi, il che avrebbe significato essenzialmente trasformare la mia amica in un’arma.
Stranamente, alla fine, Malandrino mi elogiò per essermi accorta della telecamera e mi disse che mi avrebbe dato una medaglia al valore per aver ammazzato uno dei due poliziotti, tuttavia non servì che me lo dicesse per vedere quanto fosse adirato con me per non aver recuperato i documenti. A lui non interessava nulla delle fate che rischiavano di diventare delle prostitute contro la loro volontà o del fatto che avevamo complicato gli affari di un malfamato forse peggiore di lui, ciò che desiderava Malandrino erano informazioni. A quel punto mi sorse il dubbio se quelle fate avrebbero ottenuto un futuro migliore venendo liberate da noi: sarebbero state delle fuggiasche per tutta la vita, le avevo salvate da una prigione per gettarle in un’altra.
 
Zoppicai per due settimane e dovetti inventarmi di essere stata presa in pieno da un petardo manomesso, i miei probabilmente non ci credettero e malgrado sapessero che non era una ferita da petardo non vollero indagare dato che quando ne parlavo ero sempre abbastanza tranquilla. Fortunatamente tornai presto in forze e fu come se nulla fosse successo, mi rimase solo il segno della bruciatura, il bello di essere giovani. E anche se fosse la ferita da arma da fuoco era l’ultima delle mie preoccupazioni: ero troppo presa dal elaborare ciò che avevo fatto. Ancora oggi quando ci ripenso ho un ricordo estremamente lucido e al tempo stesso confuso di cosa feci. Ricordo l’estrema ebrezza e lucidità che avevo provato nell’ammazzare quella persona e l’estremo disgusto che provai verso me stessa e verso ciò che avevo fatto un istante dopo. Credetti che sarei impazzita o che fossi sulla giusta strada per diventarlo.
Per di più c’era quel rimorso che mi stava divorando lentamente l’anima distruggendo ciò che era Diana Dalla Fonte: quella bambina ingenua che ascoltava le storie della nonna sulla magia e le antiche leggende non c’era più, era morta con il primo omicidio che la ragazza aveva commesso e ciò avrebbe portato alla nascita della donna che sarei diventata.
Passai molto tempo sospesa nel dolore, nella negazione e nel rimorso, fino a quando un giorno Orion non si sedette accanto a me offrendomi una birra. “Bevi. Alle volte aiuta.” Mi disse facendo tintinnare la sua bottiglia contro la mia per poi dare un lungo sorso alla sua. “Sai anche il mio primo omicidio è avvenuto con qualcuno della mia stessa razza. Era un orco che picchiava mia sorella, quella volta l’aveva quasi ammazzata, beh, fui io ad ammazzare lui, lo gettai nelle fogne e nessuno si chiese mai dove fosse finito.” Guardai Orion freddamente, inconsapevole se compatirlo o disprezzarlo. “La prima volta è sempre la più dura, indipendentemente da cosa si tratti: il primo bacio ti mette il latte alle ginocchia, la prima pestata ti riduce male, al primo furto vieni quasi subito beccato e pestato, la prima scopata ti pare l’Oblio e l’Eterno, la prima uccisione ti distrugge l’anima, il primo amore ti fa rinascere, la prima perdita di segna con una voragine nel petto, il primo figlio ti riempie di speranze, la prima caduta ti spezza. Io ne ho avute tante di prime volte ragazzina, e capisco come ti senti adesso, ma non importa, presto dovrai uccidere un’altra volta e poi un’altra e un’altra ancora fino a quando saranno troppi da contare, hai scelto questa vita oramai: provare l’ebbrezza di uccidere fa parte del nostro lavoro, e non serve a niente piangersi addosso perché sai che hai ammazzato qualcuno che altrimenti ti avrebbe ucciso o peggio. Però se vuoi piangerti addosso e crogiolarti nel rimorso fa pure, non ti fermerò, la vita è la tua, vivila come ti pare.” Mi disse Orion bevendosi la sua birra, lo studiai per qualche secondo: quante persone aveva ucciso? Decine, centinaia, migliaia, oppure un milione, non ero in grado di saperlo, non lo avrei mai saputo con certezza, eppure riusciva a convivere con il senso di colpa. Lo imitai e bevvi la birra in pochi lunghi sorsi. “Come si convive con il senso di colpa?” Gli domandai. “Non pensarci: vivi, divertiti, piangi, soffri, gioisci. Ma non pensare alle persone che hai ucciso, mai, o inizierai a sognartele la notte. Ma fidati: è giusto soffrire per le vite stroncate, per quanto possano essere dei bastardi ai nostri occhi erano pur sempre persone. Se non lo si fa si è folli.” Non mi sfuggì l’occhiata che lanciò a Malandrino. “Oppure così danneggiati da sembrarlo.” Concluse bevendo un altro sorso. “Cerca di crearti un bel ricordo oggi, la felicità aiuta, almeno un po’.”
 
Ascoltai Orion e obbligai Giulio ad accompagnarmi nel parco  in cui ci eravamo dichiarati quel pomeriggio. Lì limonammo per la prima volta, lasciai che mi toccasse, nascosti trai cespuglio come due animali selvatici, mi mostrai per quel che ero un po’ alla volta ed esplorammo i nostri corpi bramosi baciandoci con voglia, giocando uno con le labbra, obliando il dolore e la paura per tutto quel pomeriggio. Ma non mi bastava, volevo di più, bramavo quel corpo come lui bramava il mio. Ci ritrovammo ad esplorarci sempre più spesso, in ogni momento libero in cui potevamo stare da soli. Alle volte parlavamo ma anche in quei momenti di pace, così semplici e piacevoli venivano perseguitati dalla foga di conoscerci che ci aveva investiti. Per una settimana riuscii a non pensare più all’omicidio del poliziotto, fino a quando alla radio non sentii la notizia. Improvvisamente i due agenti ebbero un nome, un’identità, una famiglia. In un primo istante mi sentii schiacciare dai sensi di colpa, poi un pianto catartico si impossessò di me liberandomi finalmente dal quel peso troppo opprimente. Alle volte mi succede ancora di soffrire per chi ho ucciso, ma oramai sono come Orion: non ci penso più per non impazzire, anche se ogni tanto di notte ai morti piace farmi visita, sia quelli che ho ucciso che quelli a me cari morti per l’uno o per l’altro motivo.
 
Per quanto riguarda Vanilla decidemmo con un muto accordo di non parlarne più. Anni dopo, quando parlare di quella notte non ci apparve più come un tabù mi confessò che quel giorno, per la prima volta in tutta la sua vita si era sentita potente e che per quasi un anno aveva continuato lottare per cercare di sopprimere quel che aveva risvegliato, ma alla fine si era arresa e aveva iniziato ad esplorare il suo potere. Per di più le conoscenze che ci creammo in quegli anni l’avevano ispirata e aveva deciso di tentare ad usare il suo potere.
 
Divenne più semplice smettere di pensare a quella notte quando la mia preoccupazione divenne chiedere il permesso per lasciare Meddelhok per almeno quattro giorni, non eliminava il senso di colpa ma almeno non continuavo a martoriarmi. Giulio mi spiegò che ne dovevamo parlare con Orion dato che era lui il nostro membro anziano responsabile. Il colloquio fu strano, Orion mi chiese molti dettagli: dove andavamo, perché lì, perché quel giorno, per quale ragione, mi chiese anche di mostrargli un invito. “E Giulio che centra?” Mi domandò Orion. “Mi serve un cavaliere.” Mi limitai a dire con indifferenza. “E nella tua città natale non c’è nessun tuo amico non impegnato?” Mi domandò Orion e capii che era inutile continuare a negare. “No, ma vorrei poter andare con Giulio perché stiamo assieme.” Risposi a testa alta, Orion mi fissò per qualche istante scettico. “D’avvero?” Mi domandò sorpreso. “Sì.” Decretai con sicurezza. “Provamelo.” Mi ordinò Orion, a quel punto mi alzai e aprii la porta del ufficio per chiamare Giulio che era nel salotto in attesa che finissi il colloquio con Orion, questi entrò e come chiusi la porta della stanza lo baciai davanti agli occhi increduli del nostro sovrintendente. Questi ci fissò sconvolto per qualche secondo e poi sospirò. “Beh, l’invito è rivolto a tutti e due e sarebbe strano se solo uno dei due non si presentasse, per di più avete lavorato parecchio in queste ultime settimane, potete andare.” Decretò, mi sorpresi che non fece storie.
Quando ne parlai più tardi con Giulio questi mi spiegò che Orion aveva avuto una storia con qualcuno di un’altra razza molto tempo prima di sposarsi. “Non lo facevo il tipo.” Ammisi sorpresa. “Neanche io. Ma Orion insiste sul fatto che bisognerebbe sostenere queste coppie e Malandrino gli dà ragione, più o meno. Tuttavia ora che abbiamo il benestare di quel vecchio burbero nessuno dirà nulla sulla nostra relazione.” Mi spiegò Giulio e a quel punto mi appoggiai a lui e gli baciai la guancia. Lo trovai sarcastico che un criminale incallito come Orion sostenesse una cosa così ideologica come i matrimoni inter-razza ma mi resi conto di quanto fosse ipocrita da parte mia questo pensiero: oramai ero una criminale tanto quanto lui, avevo pur sempre un’anima e una decina di furti sulla coscienza.
   
 
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