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Autore: crazy lion    12/11/2020    3 recensioni
È il 16 novembre e Furia è solo. Sono ormai trascorsi due mesi da quando la sua vita è stata sconvolta da un trauma che è sicuro non supererà presto o forse, nonostante gli costi ammetterlo, mai. Come tutti i gatti ha quattro zampe, un miagolio proprio e un corpo agile, ma per sua sfortuna anche un cuore spezzato, lacerato da ferite che non smettono di sanguinare. La sorella non c'è più. A consolarlo restano il fratellino Red, la famiglia di umani in cui vive e, in quel giorno tanto brutto in cui non vuole avere nessuno intorno, una finestra sui suoi pensieri.
Red e Furia sono i miei gatti e la scomparsa di Stella purtroppo è vera. Ha sconvolto loro due, ma anche me e tutta la mia famiglia.
I nomi degli umani sono inventati. Abbiamo umanizzato un po' i gatti, facendoli parlare e dando loro forti emozioni, ma senza snaturarli.
Storia stilata con Emmastory.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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FURIA E LA FINESTRA DEI RICORDI

 
Furia aprì piano gli occhi, si alzò in piedi e si stiracchiò allungando più che poteva la schiena e le zampe. Si avvicinò a Eleonora, la sua padrona, che sentendolo arrivare aveva già tirato fuori una mano da sotto le coperte, e si lasciò accarezzare.
"Ciao, cucciolo" lo salutò, con voce dolce.
Si rivolgeva spesso a lui in quel modo, nonostante avesse cinque anni. Diceva che l'avrebbe chiamato così ogni giorno, perché come per i genitori i figli sono sempre bambini, per lei lui e Red erano i suoi cuccioli. Il gatto sorrise a quel pensiero. Eleonora si alzò, si tirò indietro i capelli castani, si diresse alla scrivania e schiacciò un tasto di un aggeggio rettangolare.
"Sette e quindici" disse una voce.
Il gatto non capiva cosa questo volesse dire, ma sapeva che era mattina e che la padrona usava un telefonino con la sintesi vocale perché non vedeva.
"È ora di svegliarsi" gli disse la ragazza, rifacendo in fretta il letto e aprendo per un momento la finestra.
Furia saltò sulla scrivania, non vedendo l'ora di potersi distendere sul davanzale, ma Eleonora richiuse tutto subito dicendogli che faceva troppo freddo.
“Uffa, volevo stare lì” miagolò.
Come se fosse riuscita a comprenderlo, cosa che a volte accadeva, la padrona gli rispose:
“So che ti piace guardare dall’alto. Più tardi, quando il sole sarà più caldo, va bene?”
Anche se Eleonora non riusciva a vedere, Furia sapeva che con l’occhio sinistro riusciva a capire la differenza tra luce e buio. Per il resto, nulla, né ombre, né figure sfocate, niente.
Il micio uscì con lei dalla stanza e in quel momento un lieve tonfo ruppe il silenzio. Furia alzò la testa di scatto e si guardò in giro. E se fosse stata Stella? Magari era tornata! I padroni gli avevano detto che era morta, ma se non fosse stato così? Potevano essersi sbagliati, oppure no? Il gatto miagolò forte, facendo un verso basso e straziante che rimbombò nel corridoio.
"Che c'è, Furia?"
Isabella, la mamma di Eleonora, gli si avvicinò. Diede un bacio ai capelli castani della figlia, che si era abbassata per sfiorare il suo piccolo, e accarezzò anche lui, sulla schiena.
"Dov'è mia sorella?" chiese il gatto, rivolgendole uno sguardo implorante. "Ti prego, dimmi che è tornata!"
Sapeva dove avrebbe potuto andare a cercare: nel bagno della camera dei genitori di Eleonora, sul letto o sulla finestra. Ma non riusciva a muoversi. Era il 16 novembre. Stella era morta esattamente due mesi prima, ma una parte di lui a volte si rifiutava di accettarlo, come in quel momento, e si illudeva che le cose fossero diverse, che quella signora non l'avesse investita, che dopo giorni di attesa e agonia i padroni non fossero arrivati a quella decisione estrema e dolorosa. Non sapeva dove fosse andta la sorella dopo la sua morte, ma magari qualcuno l'aveva fatta tornare.
Mosse qualche passo in avanti, sottraendosi alle carezze delle sue padrone, mentre il cuore gli martellava nel petto. Non era sicuro di cosa stesse provando. Chi aveva prodotto quel rumore? Sperava di conoscere già la risposta, ma allo stesso tempo non ne era sicuro e se ne dava un'altra, più razionale. Spiccò un salto per fare prima e arrivare più vicino alla porta, poi corse dentro senza pensarci due volte.
"La sta cercando" mormorò Eleonora e Isabella sospirò.
"Povero! Essendo umani, non possiamo fargli capire che le cose non cambieranno."
La sua voce era grave.
Furia le ascoltò e più o meno comprese, ma non ci fece molto caso.
Assieme alla figlia, Isabella scese le scale a passi pesanti e le due sparirono dalla vista del gatto, che intanto aveva capito chi era sceso dal davanzale: Red, il gattino arrivato da loro magrissimo e denutrito, una sera di luglio, che poi Carlo, Isabella, Eleonora e suo fratello Giovanni avevano adottato.
"Ciao, Furia" lo salutò, con voce pacata.
Il gatto grigio si strusciò contro il pelo rosso del fratellino, che aveva compiuto sette mesi il giorno precedente.
"Ciao" rispose, mesto. "Aspettami giù, io arrivo subito."
L'altro trasse un respiro tremante.
“È oggi, vero?"
La sua voce uscì quasi inudibile. Di sicuro aveva avuto paura a porre quella domanda. Era un gattino sensibile, Furia lo sapeva bene, sia per carattere sia, probabilmente, a causa del suo abbandono e del fatto che aveva vissuto per un breve periodo in strada patendo la fame e soffrendo la solitudine. Da quando Stella era morta aveva rispettato i suoi sentimenti, ascoltandolo e standogli vicino.
"Sì, è oggi. E so che non posso vivere ogni mese come se fosse un anniversario, ma non riesco a farci niente. Di notte Eleonora si agita, di giorno è stanca, dorme male e lo capisco, soffre male anche lei e questo non mi lascia tranquillo."
Red sospirò.
"È passato poco tempo, Furia, devi dartene di più. E anche per lei ce ne vorrà, come per gli altri."
"Quanto? Per me, intendo."
Non che l’avesse specificato perché se ne fregava della sofferenza degli umani, anzi, e le parole che aveva pronunciato poco prima ne erano la prova, ma solo in quanto, sia per lui che per Red, sarebbe stato molto difficile quantificare il tempo di elaborazione del lutto per un umano. Uomini e animali sono diversi in molte cose, comprese le loro reazioni a un evento traumatico.
"Non lo so."
"Già. Ci vediamo fra un po'."
“S-sicuro che non vuoi che ti faccia compagnia?”
L’altro batté a terra la coda e dovette fare uno sforzo non indifferente per muoverla più piano di quanto una parte di sé avrebbe voluto. Strinse i denti fino a farsi male. Possibile che quel gattino non capisse che voleva essere lasciato un po’ in pace? Stava per rispondergli in modo brusco, ma dopo aver aperto la bocca la richiuse.
Non posso prendermela con lui e cacciarlo via. È sempre stato gentile con me, e poi è solo un cucciolo.
Gli si avvicinò, alzò una zampa e gli sfiorò la testolina.
“Sicuro. Sono stato peggio, Red, davvero. Tra un po’ arriverò e giocheremo, d’accordo? Non preoccuparti.”
“Promesso?”
“Certo.”
“E mi giuri che, se avrai bisogno di compagnia o di qualsiasi altra cosa, mi chiamerai?”
“Zampa sul cuore.”
Gli rivolse un sorriso sincero, che il micetto ricambiò.
Furia non mentiva. Era andato altre volte in quel bagno, sulla finestra, anche con lui o, benché per pochi istanti, da solo. Aveva ricominciato a farlo da non molto, vero, ma a parte la solita nostalgia e la tristezza che spesso caratterizzavano momenti del genere, non credeva avrebbe provato altro. Voleva solo stare un po’ da solo, tranquillo e con i propri pensieri.
Dopo un attimo di indecisione, il micetto disse:
“Va bene, a dopo”
e sparì lungo le scale.
Furia si diresse in camera e saltò sul letto. Non lo faceva quasi mai. Annusò la coperta di pile che Isabella aveva aggiunto alle altre già presenti. Accadeva ogni inverno ed era anche per questo, oltre che perché le piaceva dormire con lei, che Stella riposava lì ogni notte. Il tessuto sotto le sue zampe era morbido e ci si sdraiò sopra, ma continuava ad agitare la oda e a girarsi. Si sentiva tranquillo solo sul letto di Eleonora e a volte su quello di Giovanni, in mansarda, ma solo di giorno, quando lui non c'era. Era strano rimanere lì senza Stella. Prima, almeno, saltava su per giocare con lei, o per farsi lavare o leccarla. Adesso, quello era solo un grande morbido materasso, certo, ma vuoto. Troppo vuoto. E il suo odore non c'era più. Annusò tutta la coperta diverse volte facendo avanti e indietro, avanti e indietro, e si comportò allo stesso modo con i cuscini e la parte di letto in cui dormiva Carlo, che non aveva voluto la coperta perché, Furia nel tempo l'aveva capito, di notte soffriva il caldo anche d'inverno.
Ma come fa?
Non era importante. Ciò che contava in quel momento era solo il fatto che l'odore di sua sorella era del tutto sparito, e come da lì, così anche dalla sua coperta preferita, sempre in pile, appoggiata sulla poltrona, sulla quale ora andava Red, e dal cestino in camera di Eleonora, sopra scrivania, accanto al proprio. Nulla sapeva più di Stella. Quella consapevolezza gli fece salire un conato di vomito. Gli capitava di rimettere, ogni tanto, ma andava meglio da quando i padroni avevano messo, per un breve periodo, una crema strana sopra i croccantini data dalla veterinaria.
"Serve a non avere palle di pelo in gola" gli avevano detto.
In effetti a volte lui sputava quel maledetto pelo, altre no e gli veniva una specie di tosse che spaventava sempre tutti. Per fortuna, da un po' non accadeva più. Ma che avesse provato la sensazione di dover rimettere a causa del dolore e dell'angoscia… no, non gli era mai capitato.
Ma anche se tutti quegli oggetti non avevano più l’odore della sorella, si disse ripensandoci, gli ricordavano lei e a volte lo facevano sorridere. Non era questa la cosa importante? Sì, si rispose, ma gli procuravano anche dolore.
"È possibile soffrire tanto da stare male anche fisicamente?" si chiese.
Per gli umani sì, Eleonora non si sentiva bene da quando Stella non c'era più e in quegli anni ne aveva passate tante, gli aveva detto che una sua amica era morta un anno prima dell'arrivo suo e di Stella a casa e che non riusciva a superare quel lutto. Ma Furia non aveva mai vissuto un dolore così grande e si era augurato di non provarlo mai, o di farlo il più tardi possibile con la sorella, magari di morire lui, prima, piuttosto, anche se il pensiero che Stella avrebbe sofferto per la sua morte non era stato affatto consolante. Ma la vita aveva deciso diversamente e gli aveva portato via tutto ciò che gli restava della sua famiglia biologica. La mamma era in quella casa lontana, non l'aveva più vista, ma non si sentiva più molto legato a lei. Il fratellino e la sorellina gli mancavano, chissà dov'erano adesso. Sperò che, almeno loro, stessero bene. E Stella? Stella era morta. Non l'avrebbe né vista, né sentita, né avuta accanto mai più. Gli venne quella tosse maledetta e sputò sul letto, ma si trattò solo di un po' d'acqua che non macchiò la coperta.
Meno male! pensò, mentre traeva un profondo respiro.
La finestra era aperta. Dato che, pur essendo novembre, non faceva ancora molto freddo, Isabella la lasciava così qualche minuto, prima di andare al lavoro, o a volte chiedeva alla figlia di chiuderla. Il davanzale era vuoto. E non aveva nemmeno sopra il tappeto che ogni tanto gli umani mettevano lì ad asciugare, quello che di solito tenevano davanti a una strana scatola dalla quale usciva dell'acqua, chissà in che modo, tra l'altro, che si chiamava doccia. Dicevano che serviva per lavarsi, ma Furia non ne capiva il senso. Certo, gli umani erano molto più grandi dei gatti e sarebbe stato difficile per loro pulirsi con la lingua, ma per lui sarebbe risultato assurdo farsi il bagno in un modo tanto strano. Scosse la testa per allontanare quei pensieri.
Perché continuo a rimanere immobile e a pensare a cazzate, anziché concentrarmi su cos'è davvero importante?
Forse, in parte, perché stava un pochino meglio.
No, non è vero. O forse sì, in alcuni momenti. Ma ho paura che, se non soffrirò più per lei, i ricordi che ho di noi svaniranno. Ed io non voglio dimenticarla.
Quel pensiero lo colpì con tanta veemenza da fargli venire un forte mal di testa, come se avesse preso una botta. Le tempie gli pulsavano e due metaforiche lame le penetravano sempre più in profondità, lacerandole. Fece un miagolio straziante, ma nessuno venne a controllare. Ogni tanto miagolava in quel modo perché era nervoso o agitato per qualcosa e, abituati a quei momenti un po’ particolari, i padroni non si preoccupavano, anche se cercavano comunque di calmarlo. Ma quella volta non venne nessuno. Il micio si sdraiò e si accarezzò la testa con la zampa.
Anche Eleonora aveva fatto un discorso riguardo il dolore e il non voler scordare, con la psicologa, a quanto Furia aveva capito, una donna che la aiutava. Mentre ci pensava, saltò sulla finestra e si sdraiò sul freddo davanzale. E la ragazza aveva aggiunto che sapeva, razionalmente, che non era così, che non avrebbe mai dimenticato Stella.
"Il problema è che c'è una parte di me che lo pensa" aveva concluso.
Ed erano le stesse cose che Furia provava. Chissà, se fosse esistita una psicologa per i gatti, magari avrebbe potuto aiutare anche lui. Non sapeva se ci fosse o meno, ma comunque non pensava di stare così male da dover essere aiutato. In fondo dormiva, mangiava, giocava con Red. Il dolore era tutto dentro, nella sua testa, nel proprio cuore.
Si era messo nella parte sinistra del davanzale, se ne rese conto solo in quel momento. Deglutì a vuoto e fu scosso da un forte tremore che gli provocò un leggero dolore a tutto il corpo, ma in particolare alle zampe. Si spostò a destra e fu colto da una forte vertigine. Un freddo pungente, molto più penetrante di quello all'esterno, gli gelò il cuore, il respiro, tutto.
 
 
Adesso si trovava sul divano. Era ancora un cucciolo, arrivato a casa da un paio di giorni, e Stella riposava lì, accanto a lui. I due gatti, uno grigio chiaro e l’altra tigrata, sonnecchiavano e tenevano una zampetta sopra quella dell'altro. E Furia si sentiva protetto e al sicuro, con nuovi padroni e una famiglia che ancora non conosceva bene, ma almeno aveva la sorella accanto. Lei lo aiutava a sentirsi meno disorientato, e quando si nascondeva sotto i tavoli o in ogni buco o angolo possibile, se c'era lei usciva sempre.
"Non ci perderemo mai, vero Stella?" le chiese, nel dormiveglia.
"No, mai" gli rispose la gattina, leccandogli la testa.
“Ma che bei gatti!” esclamò Marika, un’amica di Eleonora molto più grande di lei, quando venne a trovarli qualche giorno dopo. “Hanno un pelo bellissimo, e il colore grigio di Furia è molto particolare, non saprei come descriverlo.”
Il gattino miagolò, pieno d’orgoglio per essere ritenuto così meraviglioso.
“E Stella è morbidissima” aggiunse Eleonora. “Ha il pelo più bello che io abbia mai toccato, benché adori anche il tuo, Furia.”
La gattina sorrise.
“Ha detto che sono più bella io” ci tenne a sottolineare.
“No, che le piacciamo tutti e due.”
Lei sbuffò, ma non replicò.
Lo scenario cambiò ancora.
Lui e la sorella stavano correndo giù dalle scale della mansarda di Giovanni, ripide e a chiocciola.
"Andate piano" si raccomandava sempre Eleonora, ma loro non la ascoltavano mai.
Avevano tre anni, erano giovani e in salute e non si sarebbero di certo fatti male. Una volta in corridoio, Stella corse dietro a Furia e lo attaccò alle spalle. Prima che riuscisse a buttarlo a terra, lui allungò una zampa posteriore e la colpì sotto la pancia, facendola quasi cadere all'indietro. Iniziò così una lotta fatta di morsi, graffi, raspate.
"Mi fai male!" si lamentava Stella con un miagolio lungo e acuto.
"Anche tu" rispondeva lui, ma a un certo punto allentò la presa sulla sua zampa.
Ora, invece, si trovava sul letto di Eleonora. Era primavera , pochi mesi prima che arrivasse Red a casa loro. La ragazza sonnecchiava e lui le dormiva vicino ai piedi.
"Posso?" chiese Stella, entrando come al solito senza farsi sentire.
Lui le sorrise e la invitò a salire, felice dato che non lo faceva mai.
"Stella, ciao!" esclamò Eleonora, accorgendosi della sua presenza.
Lasciò che si sdraiasse prima di accarezzarla.
Lui leccò le orecchie della sorella e lei fece lo stesso con la sua schiena.
"Ti voglio bene" dissero all'unisono, sia l’uno all’altro che alla ragazza, poi si addormentarono entrambi con la loro mamma umana, che aveva i piedi incastrati fra i due mici, ma non sembrava curarsene. Era un momento perfetto.
 
 
La testa gli vorticò molto più di prima, tanto che dovette aggrapparsi con le unghie alla zanzariera per evitare di cadere all'indietro. Il ritorno alla realtà era stato brusco, peggio di una botta nello stomaco. Si rese conto solo in quel momento che, se con una zampa anteriore si era tenuto a quello strano oggetto, con l’altra accarezzava il davanzale, nella parte sinistra, dove si sdraiava Stella il novantanove per cento delle volte in cui c'era anche lui. Rimanevano lì, distesi, a guardarsi, a osservare i piccioni che volavano sopra il tetto o intorno alla casa immaginando di poterli prendere, a fare un miagolio, stranissimo secondo gli umani, una sorta di richiamo, di avvertimento, oppure più semplicemente rimanevano calmi a lavarsi da soli o a vicenda. Adoravano farlo soprattutto nelle stagioni più calde, ma ogni occasione era buona per andare lì, sopra quel tappeto. Solo una volta ci erano stati con Red accanto a loro, mentre Stella gli soffiava contro, non essendosi ancora abituata alla sua presenza in casa.
E io miagolavo piano, non sapendo se provare antipatia per lui o meno.
Eleonora li aveva trovati così, era arrivata udendo un po’ di confusione in quella stanza.
“Siete tutti e tre qui!” aveva esclamato, con gli occhi pieni di lacrime e la voce incrinata, mentre un sorriso le aveva increspato le labbra nonostante il pianto. “Siete stupendi. È bellissimo vedervi tutti insieme.”
Li aveva accarezzati tentando, invano, di calmare la gatta.
Ma il tutto era durato pochi secondi.
“Vattene, antipatico” aveva continuato a ripetere Stella, miagolando e soffiando contro il piccolo Red che, tremando, era sceso e scappato in camera della padrona.
Eppure, quel momento c’era stato. E di sicuro, ora che Furia si diceva che aveva imparato a voler bene a Red, si era rivelato importante tanto per lui e il piccolo, quanto per Eleonora, che non l’avrebbe più dimenticato.
Adesso, invece, metà del davanzale era vuota. Certo, Red avrebbe potuto tornarci, ma non sarebbe stata più la stessa cosa senza Stella. Non avrebbero trascorso più momenti insieme. Furia stava accarezzando quel piccolo spazio freddo come se sua sorella si fosse trovata lì, accanto a lui. Sentendo la zampa stanca, intuì che doveva averla mossa per tutta la durata di quei flashback, segno che per un po' aveva creduto davvero che sua sorella fosse viva, o che perlomeno gli era sembrato possibile. Per il resto, era rimasto completamente immobile, seduto, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi che, se lo sentiva, erano spenti, privi di qualsiasi emozione, di qualunque sentimento a parte il dolore che li invadeva. Buttò fuori di nuovo acqua, stavolta si girò e la sputò per terra quasi con rabbia.
"Resto a casa," stava dicendo Isabella, "non mi sento tanto bene."
Furia non capiva che problema avesse, ma era da tempo che non si sentiva un granché, da anni, anche se l'aveva vista peggio. Però era vero, aveva notato la sua stanchezza in quei giorni, era aumentata rispetto all'ultimo periodo, e spesso perdeva il fiato. Anche prima, quando aveva parlato, il respiro le si era fatto corto, di sicuro perché aveva salito le scale. Eppure non era anziana, aveva poco più di cinquant'anni. Sperando che la padrona si sarebbe sentita meglio, il gatto si diresse in mansarda. Giovanni si era alzato da tempo, era in taverna a seguire le lezioni dell'ultimo anno di liceo con quella diavoleria tecnologica, per cui lui avrebbe potuto rimanere solo ancora un po'.
Se sto così a due mesi dalla sua morte, come mi sentirò quando ci sarà l'anniversario?
Non ne aveva idea e non voleva pensarci, ma per ora si sentiva morire. Aveva anche pensato di lasciarsi andare e ogni tanto il pensiero gli si riaffacciava alla mente. Quel giorno non accadde, per fortuna, ma di solito pensare a Red lo aiutava a desistere da quei piani orribili. Si sdraiò sul letto, al centro, nello stesso punto in cui si metteva Stella, stavolta. Avrebbe fatto più male, ma non importava.
Magari non le sono stato abbastanza vicino negli ultimi giorni pensò. Se avessi fatto più attenzione, se le avessi detto di non andare su quella strada, dato che sapevamo che poteva essere pericolosa, forse tutto questo non sarebbe successo.
Ma no, lui quel giorno era rimasto in casa, con Red, a seguire Isabella mentre la donna faceva le pulizie.
Dov'ero mentre mia sorella veniva investita, eh? Dove cazzo ero? gridò nella mente, prendendosi a zampate il petto.
Oltre al dolore, anche il senso di colpa lo schiacciava.
"Ti segue per tutta la vita" aveva sentito dire una volta da Eleonora, non ricordava a chi, in merito a quello che provava lei, dato che credeva che, se fosse rimasta più vicina alla sua amica, quel giorno la ragazza non si sarebbe suicidata.
La padrona sapeva che non era così, che aveva fatto il possibile, e anche Furia ne era consapevole. Aveva amato Stella dall'inizio alla fine, giocato con lei, era stato presente, e se quel giorno non era uscito… beh, non ne aveva avuto voglia, ma non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe successa una cosa del genere. Eppure… Restava quell'eppure. E non se ne sarebbe mai più liberato.
Non credeva si potesse soffrire così tanto per la perdita di qualcuno. La vita gli aveva sorriso per un lungo periodo, per poi colpire duro, troppo duro. Seppellendosi sotto le coperte, come faceva a volta in camera di Eleonora, un gesto che lo aiutava a sentirsi coccolato e protetto, pianse con il muso schiacciato nel materasso, in modo che, o almeno così sperava, lei e la madre non sarebbero riuscite a udirlo. Desiderava soffrire in pace, non far preoccupare coloro che lo amavano così tanto, soprattutto non Eleonora, che asseriva di volere più bene a lui, Red e Stella che a se stessa.
Furia non sapeva quanto tempo fosse trascorso, ma doveva essersi addormentato. Aprì gli occhi, più stanco di prima. Il suo sonno era stato popolato di incubi. In uno, la sorella veniva investita e moriva lì, sull'asfalto, senza che nessuno se ne occupasse dato che i padroni non si accorgevano di nulla o non venivano avvertiti dell’accaduto da una vicina, come invece era successo. Stella se ne andava, piangendo per il dolore alla testa, dov’era stata colpita e alla bocca, con varie fratture alla mandibola – che aveva avuto anche nella realtà – e il miagolio sempre più flebile, immersa in una pozza di sangue.
"Non è andata così" mormorò. "Loro hanno fatto tutto il possibile per lei."
Fuori pioveva. Se ora sua sorella fosse stata viva, sarebbe uscita sotto l'acqua a bagnarsi per poi tornare dentro e strepitare per farsi asciugare da qualcuno. Ogni volta che pioveva pensava a questo. Un tuono lo fece sobbalzare.
Un temporale in inverno? Strano.
Dopo interi minuti, questo finì e la pioggia sembrò cessare, così Furia scese in salotto e andò a mangiare. Una volta terminato il pasto, rimase fermo mentre Red gli veniva incontro. Eleonora e sua madre erano sul divano e il gatto più grande si domandò se la ragazza fosse stata in camera sua a scrivere come faceva sempre. Grazie al cielo non aveva perso quella passione, nemmeno con la morte di Stella, anche se farlo le risultava più difficile.
"Sei venuto" mormorò il gattino con un gran sorriso.
"Sì, te l'avevo detto."
"Lo so, ma sei stato via tre ore."
Così tanto?
"Mi sono addormentato, ero stanco." Non aggiunse che il dolore gli aveva prosciugato ogni energia fisica e mentale. Non voleva gettargli sempre addosso la sua sofferenza. "Ma adesso sono qui."
"Che bello! Che bello! Che bello!" esclamò il micetto, saltellando prima sul posto e poi intorno al fratello.
Furia rise, una risata genuina e non forzata.
"Ho capito, sei felice."
"Tantissimo."
Si leccarono a vicenda sul muso, poi uscirono. La pioggia aveva smesso di scrosciare e, rimanendo sull'asfalto ma con l'erba del giardino a pochi passi, i due gatti rivolsero gli occhi al cielo.
"Guarda là!"
Il grido di Red attirò l'attenzione del maggiore, che aprì di più le palpebre. Un bellissimo arcobaleno solcò la volta celeste per alcuni secondi. I due mici riconobbero il blu, il giallo e il violetto fra quelle bande colorate.
"Cos'è?" chiese ancora Red.
"Una cosa strana che viene a volte dopo i temporali, non l'ho mai capita. Si chiama arcobaleno e in realtà i colori sono molti di più.”
“E quali?”
La curiosità del micetto gli strappò un altro sorriso.
Anch’io ero così, da piccolo. Volevo sempre scoprire cose nuove, come i bambini.
“Il rosso, l'arancione, il giallo e l'indaco. Noi, però, non li vediamo bene perché la nostra vista percepisce male colori come i primi due che ti ho detto."
Red rimase in silenzio per un momento.
"Beh, non so cosa sia, ma è bellissimo!" esclamò, gli occhi pieni di meraviglia e la boccuccia aperta.
"Già."
Quei colori sparirono e una nuvola bianca passò davanti al sole. Era a forma di gatto, o quantomeno così parve ai due mici.
"Magari è Stella che è venuta a salutarci" mormorò Furia, la voce rotta e il petto stretto in una morsa di dolore che gli rendeva difficile respirare.
"Può essere" disse Red. "Anzi, sono sicuro che è così e che adesso lei è felice."
L’altro si girò dall'altra parte e si asciugò una lacrima. Lo sperava anche lui, come si augurava che il dolore che ora lo dilaniava un giorno sarebbe diminuito.
"Ciao, Stella" mormorò assieme a Red, poi continuò: "Oggi sono stato sulla nostra finestra. Mi ha fatto male, ma ci ritornerò, perché a te quel posto piaceva quanto a me. Grazie per essere venuta a salutarci. Quella nuvola eri tu, e l'arcobaleno era il tuo sorriso."
 
Molte ore dopo, al calar della sera, Furia si svegliò dal sonno. Voleva dormire, ma non ci riusciva, e la colpa era tutta del dolore. Silenzioso, si guardò attorno, ispezionando la stanza immersa nel buio. Eleonora aveva dimenticato di socchiudere la porta della camera, che lasciava entrare molta luce, probabilmente prodotta da uno di quegli interruttori sulle scale, ma che lui vedeva anche nel resto della casa. Cercò di ignorarla, ma con l'andar del tempo divenne quasi un invito. Certo, anche se la porta fosse stata socchiusa questo non avrebbe presentato alcun problema per lui, dato che con la zampa riusciva ad aprirla.
Forse uscire mi calmerà un po’ pensò, parlando con se stesso.
Veloce, saltò giù dal letto della padrona, e sparendo nella notte, uscì. Bastò un attimo, e si ritrovò nel corridoio. Di notte gli umani socchiudevano davvero tutte le porte di casa, almeno da quando Stella non c’era più, perché lei grattava ogni uscio che non trovava aperto, ma lo stesso non valeva per la gattaiola, che lui e Red potevano sempre utilizzare. Quando arrivò in cucina, però, la trovò chiusa. Ci sbatté contro il muso, grattò con le zampe, ma questa non si mosse e lui non aveva idea di come far girare la levetta per risolvere il problema. Quella era una cosa da umani, non da gatti. Probabilmente Carlo era andato in giardino, forse a fumare quelle cose strane che producevano quell’odore fastidioso e che si chiamavano sigarette, per fortuna accadeva solo un paio di volte al giorno, e doveva averla chiusa soprappensiero assieme alle imposte.
"Dannazione" mormorò, più nervoso di prima.
Se non fosse stato per i padroni, ora si sarebbe ritrovato già fra l'erba a dare la caccia a qualche grillo, lucertola, lucciola o insetto – in realtà non gli importava – anche solo per distrarsi. Non li avrebbe davvero uccise, solo giocato, anche se data la situazione, con più aggressività di quanta ne usasse di solito. Chiudendo gli occhi, s'impose la calma con un respiro profondo, e in quell'istante il petto gli fece di nuovo male. Sentì le zampe molli, ma scuotendo la testa si sforzò di camminare ancora. La luna faceva capolino da una coltre di nuvole oltre una finestra chiusa, non ricordava quale, e a passi lenti ma decisi, scelse la sua prossima destinazione. Strano ma vero, il tetto. Non c'era nessuno lì per fermarlo, era completamente solo, e qualcosa, un sesto senso o una voce nella sua testa, prese a parlargli, convincendolo che se fosse stato abbastanza veloce, i padroni non sarebbero mai riusciti a scoprirlo, e nessuno di loro avrebbe avuto ragione di preoccuparsi. Nemmeno il piccolo Red, addormentato ai piedi del letto di Eleonora e probabilmente perso nella colorata landa dei suoi sogni di cucciolo.
 
A quel pensiero, Furia sorrise a se stesso, e iniziò a salire le scale che portavano in mansarda. La porta scorrevole era aperta, il che significava che Giovanni non era ancora a letto.
Via libera!
Fece piano, avendo cura di non fare troppo rumore.
L’ambiente era grande, avrebbe potuto correre e saltare come faceva di solito, se ne avesse avuto le energie, ma non ne aveva voglia. Era notte, anche se non così tardi dato che Giovanni doveva trovarsi ancora nello studio del padre a giocare al computer. I suoi pensieri erano altrove, se c'era un desiderio che conservava nel proprio cuore di gatto, quello era di rivedere la sorella. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di riaverla con sé e avrebbe continuato a sperarci, anche se gli umani seguitavano a dire che non era possibile. Non parlavano con lui, chiaro, ma ciò non significava che non li sentisse. L'udito dei gatti non è cosa da poco, ed era in momenti come quelli che desiderava essere meno sensibile ed emotivo. Per sua sfortuna, però, invano. Aveva cinque anni, un cuore adulto ma soffice come le coperte su cui spesso dormiva, e sollevando la testa per impedire ad alcune lacrime di sfuggirgli dagli occhi, notò qualcosa. Un vero colpo di fortuna, doveva ammetterlo, ma la piccola finestra della soffitta, che gli umani chiamavano velux, era rimasta aperta. In genere l'aprivano poco, temendo che commettesse ancora la pericolosa pazzia di arrampicarsi fino al tetto, proprio come aveva pensato di fare, e di certo non lo facevano a quell’ora, ma la sua buona stella quella sera sembrava decisa a sorridergli e non si pose domande. Il gatto spiccò un balzo sulla scrivania di Giovanni e, dopo un altro salto che lo portò sul tetto e che spaventò alcuni piccioni che pensarono bene di volare via, volse lo sguardo al cielo stellato. Almeno finché, travolto e bagnato da un fiume di ricordi, non rimembrò anche una melodia perfetta per descrivere come si sentiva. In quanto gatto, non capiva la lingua degli umani anche se provava a interpretarla dai suoni che udiva, ma quella sera tutto fu diverso, e per la prima volta le parole di quella canzone che Eleonora ogni tanto ascoltava ebbero un senso, specie in un luogo di tristi memorie.
 
 
My attic is full of pages, full of crazy
Cluttered spaces that you could not cross
My attic is full of bones and full of hopeless
Young emotions that just won't grow up
I keep hiding the keys in all these
Places even I can't find
Hoping, one day, you'll find them all
And I wanna let you see inside my attic
 
 
Soltanto alcuni versi di una canzone semplice ma bella, e anche, come gli aveva spiegato la padrona, potente. Parlava di come la cantante fosse costantemente stata tradita dalla vita e dai suoi frenetici eventi, tanto da arrivare a chiudere, anche se in modo metaforico, parte di sé in una soffitta, nella speranza che qualcuno, non spiegava né il gatto aveva mai capito chi in particolare, riuscisse a trovare una serie di chiavi e aprire con esse, una per volta, le serrature del cuore della donna, così che lei, fiduciosa, fosse in grado di mostrare cosa nascondeva. Parola per parola, i suoi sentimenti messi in musica, che quella notte, triste e piena di significato, risuonò nel vento e nei suoi sempre nitidi ricordi di una sorella scomparsa troppo presto, recisa come un fiore dal giardino della vita.
 
 
 
CREDITS:
Pink, My Attic
 
 
 
NOTE:
1. io sono non vedente, nella stessa situazione di Eleonora.
2. L’agitaione e la stanchezza che prova Eleonora sono le stesse che sento io, non date solo dal dolore di questa perdita, ma anche da ansia e depressione delle quali io e la ragazza di questa storia siamo vittime.
3. Abbiamo dovuto dare davvero una crema da mangiare ai gatti, al malto per la precisione, a causa del fatto che Furia ha questa tosse causata dalle palle di pelo.
4. Tutti i ricordi relativi a Furia, Stella e Red e il fatto che andassero su quella finestra sono reali, anche se, per quanto riguarda il miagolio ai piccioni, lo facevano più che altro nel terrazzo di una stanza che mia mamma usa per stirare. Ho cercato di immaginare cosa Furia potesse aver provato in quei momenti.
5. Ho solo accennato alla situazione di mia mamma, ma non dirò di più in questa nota, solo che il problema esiste davvero.
6. Stella aveva davvero l’abitudine di andare sotto la pioggia e tornare dentro pretendendo di essere asciugata. Sembrava proprio che le piacesse. Furia, invece, cerca sempre di non bagnarsi.
7. Il mio gatto riesce sul serio ad aprirsi una porta socchiusa. È l’unico di quelli che ho avuto a esserne in grado.
8. La mia gatta grattava davvero ogni porta, anche se essendo socchiusa avrebbe potuto aprirla.
9. Ho letto che i gatti percepiscono bene i colori che lui e Red sono riusciti a vedere e male altri (oltre a quelli che ho citato, anche il marrone).
   
 
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