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Autore: vento di luce    14/11/2020    11 recensioni
Il mio nome è Ryed e sono un cavaliere errante. Mi accompagnano, nel mio vagabondare da villaggio a villaggio Odod, un gigante dall’aspetto burbero e il piccolo Lay.
Mi sono unito a loro per dare meno nell’occhio, ma non possono sapere la verità, non è ancora il momento.
Presto troverò quel miserabile che si fa chiamare Re del Nord, niente potrà fermarmi. Sento che il giorno della mia vendetta non è lontano e allora tutto cambierà.
“Guardate!”, dice ad un tratto Odod indicando una chiesa diroccata, ridestandomi dai miei turbamenti.
Mentre ci riposiamo, in attesa di riprendere il viaggio, il mio sguardo cade su un dipinto, affascinato dalle pennellate variopinte dell’arcobaleno, in alto nel cielo.
Lay mi raggiunge incuriosito e, non appena sfiora il quadro, si apre d’improvviso un varco, trascinandolo dentro. Insieme a Odod cerco di trattenerlo, opponendomi a questa forza oscura, ma veniamo risucchiati tutti e tre in un vortice, fino a cadere su un prato dall’erba violetta.
Dove siamo?
E chi è questa elegante figura di donna che sta venendo verso di noi, camminando con leggiadria fra la nebbia rosata?
“Benvenuti nel mondo magico”, dice poi sorridendo …
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio nome è Ryed e sono un cavaliere errante. Mi accompagnano, nel mio vagabondare da villaggio a villaggio Odod, un gigante dall’aspetto burbero e il piccolo Lay.
Li ho incontrati per la prima volta in una vecchia locanda mentre stavano, come loro abitudine, ottenendo ospitalità e viveri con l'inganno, salvandoli da una fine certa.
Mi sono unito a loro per dare meno nell’occhio e, questo misero abito che indosso, cela la mia vera natura, regale, ma non possono sapere la verità, non è ancora il momento.
 
Quello che credono lo sciocco e codardo Ryed, che fugge ogni volta in caso di pericolo, lasciandoli nei guai, non è che il coraggioso Principe con l’armatura a cavallo, che accorre sempre in loro aiuto.  Si, perché io sono il Principe di Tolem, un Regno un tempo di pace prima che, colui che adesso si fa chiamare Re del Nord, uccidesse mio padre, il sovrano Guth, tentando di usurpare il suo trono quando ero solamente un bambino. Ancora ricordo quel giorno, il maniero in fiamme, l’orrore negli occhi di mia madre.
Ma, nelle vene di questo invasore che si è impadronito di tutte le altre terre circostanti con la violenza, non scorre nemmeno una goccia di sangue nobile. In realtà non è altro che Durek, un vassallo corroso dai sentimenti più spregevoli, tiranneggiando i più deboli.
Presto però lo troverò, niente potrà fermarmi, nemmeno le creature spaventose che cercano di ostacolarmi durante il cammino, vichinghi, lupi mannari, vampiri, tutti alleati di una potente strega, antica nemica della mia famiglia, che protegge questo miserabile.
 
Ma, a volte, mi chiedo se sia giusto aver coinvolto anche Odod e Lay in questo mio apparente peregrinare, in cerca di fortuna. Nonostante li conosca da poco ne abbiamo già passate tante insieme, provo affetto nei loro confronti e non permetterei mai accadesse loro qualcosa.
 Li sto esponendo a troppi rischi e forse è meglio che le nostre strade si dividano di nuovo, sento però che il giorno della mia vendetta non è lontano e allora tutto cambierà.
Solo io che possiedo la sacra spada, un dono della Somma Sacerdotessa che vive nei boschi di Tolem, posso sconfiggere Durek. La sua forza divina mi guida e presto metterò fine a tutti i soprusi sulla povera gente.
Ho dovuto lasciare tutto per poter affrontare questo essere ignobile, mia madre, i miei sudditi, i miei prodi compagni di battaglia rimasti a difesa del mio Regno e Lalen, la mia principessa dal volto angelico.
Mi aspetta fedele al castello e, quando tornerò, potremo finalmente sposarci, governando insieme con lealtà e giustizia. Conservo ancora il sapore delle sue labbra, che mi culla in queste notti all’aperto, quando non c’è altro posto dove ripararsi.
Tutti questi pensieri riaffiorano spesso alla mia mente, nonostante la maschera di finto ingenuo che porto sul mio volto. Ma il peso della responsabilità, ogni giorno che passa, si fa sentire sempre di più.
 
“Guardate!”, dice ad un tratto Odod mentre stiamo percorrendo un sentiero deserto, indicando una chiesa diroccata, ridestandomi dai miei turbamenti.
Come al solito è stanco di camminare, la sua statura è troppo imponente e fa fatica a percorrere anche poche miglia. Si siede di peso su una colonna crollata a terra, con il respiro affannato, mentre mi siedo anch’io. In attesa di riprendere il viaggio poggio le mie mani sulle ginocchia guardandomi intorno, quando noto il dipinto di un villaggio, affascinato dalle pennellate variopinte dell’arcobaleno, in alto nel cielo.
 Lay mi raggiunge incuriosito e, non appena sfiora il quadro, si apre d’improvviso un varco trascinandolo dentro.
“Aiuto!”, grida agitando le gambe che prendo al volo, trattenendolo. Anche Odod viene in nostro soccorso afferrandomi per il busto, cercando di opporsi a questa forza oscura, ma veniamo risucchiati tutti e tre dentro un vortice.
 
Al trascorrere di pochi istanti ci troviamo su prato, dalla fitta erba violetta.
“Ahi ahi”, esclama il mio amico toccandosi la schiena con una mano, mentre Lay balza in piedi chiedendosi dove siamo.
Osservo rapito il paesaggio circostante, una natura surreale ed incontaminata fino a scorgere un’elegante figura di donna, che sta venendo verso di noi, camminando con leggiadria fra la nebbia rosata.
“Benvenuti nel mondo magico, piacere di conoscervi”, dice poi sorridendo, “mi chiamo Eleth e sono una fata, sono stata io a farvi venire qui.”
“Che cosa vuoi da noi?”, strepita Odod d’impulso, mentre rimango in silenzio ad osservare questa eterea creatura. Grandi ali trasparenti accompagnano i suoi movimenti aggraziati, dei veli indaco rivestono il suo corpo sinuoso e una corona di rose è adagiata sulla testa dai lunghi capelli biondi, che incorniciano il suo viso dai lineamenti delicati, con le orecchie leggermente appuntite, una bellezza non umana. Respiro il delicato profumo floreale che la avvolge, ammaliato dalle sue iridi dalle differenti sfumature di colore, indefinibili.
“Il piacere è nostro, io sono Ryed”, intervengo presentandomi portando una mano al petto, facendo un lieve cenno della testa, “loro invece sono Lay e Odod.”
La fanciulla annuisce mentre quest’ultimo, grattandosi il ventre ancora seduto a terra, borbotta fra sé: “Ma chi si crede di essere questo!”
Purtroppo  a volte, nonostante i miei sforzi, la mia vera natura riemerge.
“Se volete seguirmi vi spiegherò tutto”, esclama la fata indicando una graziosa casa bianca, facendoci attraversare un sentiero adornato di alberi dalla folta chioma azzurra. “Prima però è meglio che vi riposiate un po’, sarete stanchi e affamati. Accomodatevi e mangiate senza fare complimenti”, dice poi aprendo una porta dalle pietre incastonate, mostrandoci una tavola imbandita con le più svariate pietanze, con al centro un vaso contenente delle piume fluttuanti.
“Non me lo faccio ripetere due volte”, esclama Odod sfregandosi le mani, addentando una coscia di pollo staccando quasi tutta la carne in un solo boccone. “Allora cosa fate lì impalati, non avete sentito?”, continua masticando a bocca aperta.
“Eccomi! Grazie Eleth”, dice Lay leccandosi le labbra, prendendo anche lui della carne, mentre  rimango in piedi in disparte, quando la fata incrocia il mio sguardo con uno che ho già visto tante volte. Posso provare a celare il mio vero essere, ma non posso nascondere in alcun modo la mia avvenenza. Conosco bene il fascino femminile, ho incontrato tante donne desiderose di ricevere le mie attenzioni o altre che hanno tentato di sedurmi, inviate dalla strega con  lo scopo uccidermi. Ma sento che questa volta è diverso, il mio istinto di cavaliere mi dice che posso fidarmi, che questa dama ha davvero bisogno di aiuto.
Perso in queste riflessioni mi verso poi del vino, sentendo ancora questi occhi addosso e,  prima che la fanciulla mi possa chiedere qualcosa, la anticipo esclamando: “Eleth, puoi dirci adesso il motivo per il quale ci hai condotti sin qui?”
L’altra annuisce, sospirando, iniziando così a raccontare, con voce venata di malinconia: “Vedete, fino a poco tempo fa in questo mondo regnava l’armonia ma, da quando lo spirito di un terribile demone di nome Balac, rinchiuso dai miei antenati in uno scrigno nel cuore della montagna maledetta, si è risvegliato dopo secoli, niente è più come prima. In questa sua nuova vita si è reincarnato in un lupo dalle sembianze antropomorfe, spadroneggiando sulle creature che popolano questa terra. Solo io, con i miei poteri, posso affrontarlo e colpire il suo unico punto debole, un corno situato al centro della fronte, distruggendolo una volta per tutte. Ma è riuscito a rubare la mia bacchetta e al momento non posso fare niente contro di lui. Vi prego, dovete aiutarmi a recuperarla.”
“Ma se non puoi fare niente tu cosa possiamo fare noi?”, chiede Lay, sgranando gli occhi.
“Dovete sapere che Balac  esce ogni giorno proprio verso quest’ora, con il suo carro, derubando gli abitanti dei loro averi pretendendo sempre di più. Al rumore della sua frusta tutti si barricano nelle loro case, sperando non bussi alle loro porte e, chiunque tenti di ribellarsi, viene punito senza alcuna pietà. Proprio ieri ha torturato un piccolo elfo, facendolo soffrire di pene atroci per vendicarsi del padre, che non voleva sottomettersi. Avete capito adesso di cosa è capace? Non posso più assistere a tutto questo”, dice la fata asciugandosi gli occhi umidi con le dita di una mano, continuando: “la mia bacchetta si trova custodita in una teca di cristallo nella dimora del demone, un antro proprio in cima alla montagna. Ho provato varie volte a riprenderla quando è via, ma c’è un grosso gatto dal pelo nero a fare da guardia. Può riconoscere il mio odore anche se mi rendo invisibile, ma non può fiutare quello degli esseri umani, per questo vi ho condotti fin qui. Lo so che vi sto chiedendo tanto.”
 
Nell’udire queste parole intrise di dolore, terrei Eleth stretta fra le mie braccia in questo momento, con la sua testa poggiata al sicuro sul mio ampio torace, sussurrandole che non deve più preoccuparsi, che ci sarei io a difenderla e che nessuno turberà più la pace di questo mondo. Non posso resistere alle lacrime di una donna, un fuoco interiore mi sta devastando ma devo controllare il mio ardore, devo aspettare che Odod parli per primo.
 
 “Lascia fare a me, è un gioco da niente”, esclama il mio amico subito dopo, facendo l’occhiolino, “ma in cambio cosa ci darai bellezza?”
Questa sua richiesta insulta il mio onore, ma devo trattenermi.
Facendo schioccare le dita la fata risponde: “Queste possono andare bene?”
L’altro, nell’udire questo tintinnare a terra, per lui paradisiaco, ondeggia la testa gridando: “ monete d’oro, monete d’oro!”
Come sempre, quando si parla di cibo o di ricchezze, perde la ragione.
“Puoi stare tranquilla Eleth”, aggiunge poi palpeggiando il tesoro, cercando di tenere lontano Lay, “ci penserò io a riportare indietro la tua bacchetta.”
 “Non so come ringraziarti”, dice la fata prendendo le mani del mio amico, che arrossisce con sguardo stralunato, incontrando però di nuovo le mie iridi castane.
In questi sguardi, in questi silenzi fra di noi è come se sfiorassi la sua anima. Chi meglio di me, che non desidero altro che liberare gli oppressi, può comprenderla?
“Lay  tu verrai con me, tu invece Ryed ci aspetterai fuori”, ordina così Odod con fare perentorio, schiarendosi la voce, “ è quello che vuoi, non è vero Ryed?”, continua sghignazzando, cercando di screditarmi ogni volta che è in compagnia di una donna attraente. Dietro la sua espressione beffarda posso però percepire la sua sofferenza, il suo desiderio di avere un aspetto diverso.
“Va bene”, esclamo solamente, passando una mano fra i miei capelli mossi.
“Allora siamo d’accordo”, dice Eleth toccandosi un labbro, gettando della polvere luccicante sui miei due compagni di viaggio, rendendoli invisibili, “ e mi raccomando, non dovete sfiorare il gatto per alcun motivo o l’incantesimo svanirà”, aggiunge uscendo fuori facendo comparire, con un flessuoso movimento dei polsi, un carro con un unicorno, fornendoci le indicazioni per raggiungere la dimora di Balac.
Ci saluta infine agitando una mano dalle lunghe dita affusolate, mentre mi metto alla guida alla volta della montagna.
 
Il vociare a tratti fastidioso dei miei amici, che continuano a battibeccare per l’oro, mi fa compagnia durante il tragitto mentre il paesaggio, man mano che procediamo, diviene sempre più aspro e roccioso. Una volta giunti ai piedi del monte un freddo vento ci avvolge e, immerso in quest’aura sinistra, inizio a percorrere la strada in salita fino a quando scorgo, in cima, un antro. Ci sono ossa ovunque sul suolo arido, uno scenario terrificante.
 “Andiamo Lay”, dice poi Odod con voce solenne, con la risata soffocata dell’altro, di sottofondo. Si diverte spesso a prenderlo in giro, assecondando la sua boria. Li aspetto fuori camminando avanti e indietro, volgendo ogni tanto lo sguardo verso la caverna respirando l’aria, all’apparenza tranquilla, che mi mette tensione ad ogni istante che passa. Il tempo scorre inesorabile ma i miei amici ancora non si vedono, devono sbrigarsi, il demone potrebbe tornare da un momento all’altro. E se fosse accaduto loro qualcosa? Decido di affacciarmi, continuando a guardarmi alle spalle, quando un odore fetido mi pervade e gocce di sudore scendono d’improvviso sul mio viso. Non posso crederci, Odod si sta azzuffando con il felino, ci sono ampolle frantumate ovunque.
Stringo forte il pugno di una mano, mentre sto per gettarmi dentro d’istinto, ma sento ad un tratto un rumore di ruote sul terreno farsi sempre più vicino. Con un balzo mi nascondo dietro una sterpaglia, vedendo poco dopo un essere mostruoso alla guida di un carro, colmo di oggetti preziosi. È lui, Balac! Una folta peluria ricopre il suo corpo animalesco in posizione eretta, con lunghi artigli alle estremità e poi quel corno ricurvo nel mezzo della fronte prominente. Si ferma per alcuni istanti guardando nella mia direzione e, da dietro gli arbusti osservo i suoi occhi, due fessure nere e le labbra increspate in un ghigno maligno. Che abbia percepito la mia presenza?
 “Maledetti umani, che cosa ci fate qui?”, esclama invece entrando nella sua dimora.
Devo fare subito qualcosa, non c’è tempo da perdere. Esco dal mio nascondiglio per affrontarlo ma, scuotendo la testa, mi arrendo all’evidenza. Senza la mia spada non posso sconfiggere questa creatura demoniaca, devo tornare subito nel mondo degli umani o per i miei amici sarà la fine.
“Resistete, ritornerò presto”, sussurro allontanandomi il più velocemente possibile, con un peso nel petto, opprimente, incitando l’unicorno.
 
“Ryed, non dirmi che … ”, dice poco dopo la fata con voce accorata venendomi incontro, mentre scendo dal carro con irruenza, davanti la sua casa.
“Si, li hanno scoperti”, esclamo con la gola asciutta, “ti prego Eleth, fammi tornare subito sulla terra.”
Nell’udire queste parole, la fanciulla schiude la bocca.
“Io in realtà sono un Principe, il Principe Ryed di Tolem”, dico tutto d’un fiato, ormai incurante del mio segreto, “e senza la mia sacra lama non posso fare niente per aiutarli.”
“Un Principe”, ripete l’altra toccandosi il volto, “lo sapevo che non potevi essere uno qualunque, avevi un aspetto troppo nobile.”
“Sono in viaggio per una missione molto importante, ma Odod e Lay non sanno chi sono veramente, ti prego, non rivelare questo a nessuno.”
“Puoi fidarti di me”, esclama l’altra, “ascoltami bene adesso Principe Ryed, io posso concederti quello che mi chiedi, ma per non più di mezz’ora, è una regola infrangibile di questo mondo. Se non rispetterai questo tempo rimarrai per sempre intrappolato qui. Te la senti di correre un simile rischio?”
“Il mio cuore non teme nulla”, le rispondo avvicinandomi, guardandola dritta negli occhi.
“Principe”, sussurra Eleth, accarezzandosi una ciocca di capelli.
 “E poi un cavaliere deve sempre aiutare una dama”, esclamo con un inchino, sfiorando la sua mano dalla pelle delicata con le mie labbra.
 

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Note: Questa storia riprende un episodio di un'opera denominata "Entaku no Kishi monogatari - Moero Āsā" del 1979. I diritti appartengono ai rispettivi autori ed è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
  
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