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Autore: Tide    16/11/2020    9 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Storie di Fantasmi" indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP.
Rosemary ha sempre passato l'estate nel cottage della nonna, tra colline che un tempo si dicevano popolate dalle fate e accanto a un bosco dove i funghi crescono in cerchio e dove, noto solo alla sua famiglia, è cresciuto un albero di ciliegie. E dove, parecchio tempo fa, una parente della nonna, una notte, è scomparsa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TEMPO DI CILIEGIE
 
 
Dai cinque ai venti anni, Rosemary aveva passato ogni estate nel vecchio cottage di sua nonna, tra dolci colline, che un tempo si dicevano popolate dalle fate, e accanto a un bosco dove i funghi crescevano in cerchio e le digitali e i rovi si alzavano ai cigli del sentiero , sporgendosi quasi ad inghiottirlo. Rosemary diventava un’altra persona quando era in quel posto, rinasceva, si sentiva a casa. Sua nonna sorrideva:
“Io sono sempre vissuta qui. Mia madre è vissuta qui e anche la madre di mia madre.” diceva.
Rosemary passava le giornate correndo su e giù dai declivi e avventurandosi nel bosco, lasciando il sentiero, togliendosi le scarpe e ferendosi coi rovi e i cespugli. Raccoglieva quelli che lei chiamava doni del bosco: teschi di animali, rami ritorti, bacche e fiori selvatici. Sua nonna rideva e la rimproverava bonariamente chiamandola folletto.
Ogni anno Rosemary e sua nonna andavano a cogliere ciliegie da un ciliegio infondo al bosco, fuori dal percorso tracciato. La nonna diceva che solo la loro famiglia sapeva arrivarci.
 
“Merry, Merry
Take a cherry
Mine are sounder
Mine are rounder…”
 
Recitava sempre la nonna raccogliendo le ciliege e mettendole nel cestino.
 
“Mine are sweeter
For the eater
Under the moon.
And you’ll be fairies soon.”
 
E Rosemary ascoltava ogni volta come colta da un incantesimo. A quindici anni aveva deciso di fare come nella poesia e andare a cogliere ciliegie sotto la luna, ma la nonna l’aveva fermata mentre lei cercava di uscire di soppiatto dal cottage. Quella volta l’anziana s’era arrabbiata davvero.
“Una mia parente è morta andando nel bosco di notte” aveva detto.
 
Ora Rosemary aveva vent’anni e continuava a correre su è giù dalle colline e a cercare doni del bosco, ma non aveva più tentato di lasciare la casa della nonna di notte.
Un giorno la ragazza rientrò nel cottage con un gran mazzo di felci e digitali e sua nonna la guardò un istante come avesse avuto una visione.
“Cosa c’è, nonna?” chiese Rosemary. La nonna sorrise e scosse la testa
“Niente, tesoro. Solo che non avevo mai notato quanto somigli alla sorella di mia nonna.”
Rosemary sorrise con entusiasmo all’idea: ogni cosa che in qualche modo la legasse a quel cottage, quelle colline e quel bosco la rendeva felice. La nonna annuì, come per rafforzare le sue affermazioni, fece cenno alla nipote di appoggiare i fiori sul tavolo del salotto e poi di seguirla. Andarono in soffitta e la nonna prese una scatola da un antico armadio, si sedette su una vecchia poltroncina e la aprì. Rosemary sedette a terra, accanto alla poltroncina. La nonna passò alla nipote una vecchia fotografia color seppia, nella quale una ragazza con gli stessi occhi, lo stesso naso, la stessa bocca, lo stesso viso di Rosemary reggeva un mazzo di digitali con l’aria un po’contrariata di dover stare in posa.
“Mia mamma mi raccontava di lei.” disse la nonna “Si chiamava Faith, ma tutti la chiamavano Fay, perché le vecchie del posto dicevano che era una changeling. Lei era proprio come te, forse anche più folletto di te. E all’epoca non era come ci si comportava. Anche lei andava sempre nel bosco, anche la notte. Mia mamma diceva che era stata lei a scoprire il ciliegio infondo al bosco.”
“è lei che è morta nel bosco?” chiese Rosemary. La nonna corrugò un poco la fronte.
“Me l’hai detto quando ho cercato di andare nel bosco di notte. Hai detto che una tua parente era morta andando nel bosco di notte.” Spiegò Rosemary.
“Me l’ero scordata.” Disse la nonna con un cenno di scusa, poi rispose “Sì, è lei. Mia mamma non sapeva bene cosa fosse successo. Diceva che a un certo punto aveva smesso di mangiare, proprio non ci riusciva. Forse era perché aveva vent’anni e volevano che trovasse un marito, mentre lei non voleva. Poi una sera è andata nel bosco e non si è più vista.”
“Forse è scappata.” Propose Rosemary. La nonna scosse la testa.
“Non c’era nulla che si potesse raggiungere a piedi all’epoca, solo il bosco.”
“Magari qualcuno l’ha aiutata.”
“Era mia nonna ad andare in paese. Qualche volta qualcuno veniva a trovarle, ma Faith non aveva amici. Lei era come era e alla gente non piaceva.”
 
Rosemary  tenne la fotografia e la mise sul tavolo in camera sua. Ogni sera osservava qualche istante con meraviglia la somiglianza tra lei e la ragazza scomparsa. Il bosco non le sembrò più lo stesso da quel momento. Era sempre stato un luogo misterioso, ma d’un tratto aveva qualcosa di sinistro, d’un tratto lasciare il sentiero le dava un sublime senso d’angoscia, come se la vegetazione dovesse svelarle il mistero della morte di Fay. Le pareva che gli alberi, i cespugli, i rovi e i fiori avessero qualcosa da dirle, dei segni da darle. Era senz’altro suggestione, ma le piaceva pensare che Fay cercasse di parlarle in qualche modo.
Poi un giorno trovò un ramo di rovo carico di more all’inizio del sentiero. Poteva averlo portato lì un animale e il bosco era pieno di rami staccati, ma la simmetria con cui giaceva a terra rendeva la sua visione sinistra: non era un poco obliquo, né un poco più a destra o a sinistra, ma perfettamente dritto e perfettamente al centro del tracciato. Rosemary raccolse il ramo con esitazione, per la prima volta davvero incerta se si trattasse di un dono del bosco o di un dono di Fay.
Rosemary tornò subito al cottage e rimase tutto il giorno a chiedersi se tornare o meno nel bosco l’indomani e cosa l’avrebbe aspettata se vi fosse andata. A tarda mattina del giorno dopo la sua mente non era stata in grado di prendere una decisione, ma semplicemente le sue gambe l’avevano riportata nel bosco, con una sorta di quieto sgomento in cuore, incerta se avrebbe preferito trovare un altro segno o non trovarne affatto.   Proseguì con quello stato d’animo fino a metà del sentiero e lì si fermò alla vista di una digitalis recisa posata perfettamente dritta e perfettamente al centro della via, come il ramo di rovo. Rosemary rimase a fissarla qualche istante senza decidersi ad avvicinarsi, poi d’un tratto allungò la mano, raccolse in fretta il fiore e corse via, come se qualcosa la inseguisse.
Per il resto del giorno Rosemary stette accovacciata sul divanetto del salotto, senza saper cosa pensare. Eppure tornò nel bosco il giorno dopo e quello dopo ancora, trovando ancora una felce in mezzo al sentiero e poi sul lato sinistro un varco tra i cespugli, come se qualcuno li avesse piegati per passare.
“Cosa c’è, folletto?” chiese infine la nonna “Sono giorni che vai nel bosco, torni e resti lì assorta sul divano.”
Rosemary scosse la testa. Una parte della sua mente continuava a dirle che dovesse essere tutta suggestione, che nel bosco rami e fiori si trovavano senza bisogno di alcuno spirito, e in più era certa che sua nonna non le avrebbe davvero creduto. Le avrebbe sorriso, le avrebbe raccontato qualche storia di fate e folletti, ma per lei era un gioco tra nonna e nipote e forse fino a quel momento lo era stato anche per Rosemary.
“Pensavo.” Disse la ragazza con una specie di sospiro.
“Lo vedo.”
“Tu credi che Fay amasse molto il bosco?”
La nonna fu un poco sorpresa, ma rispose subito:
“Credo di sì. Come te, forse di più.”
“E se non se ne fosse andata?”
La nonna allora sorrise, esattamente come Rosemary s’era aspettata.
“Sai,” disse “Lo pensava anche mia madre. O forse lo diceva per convincermi a non provare ad allontanarmi troppo. Ma una volta ho provato anche io ad andare nel bosco di notte, come te.”
Rosemary guardò la nonna con gli occhi sgranati e attenti.
“E cosa è successo?”
“Niente, credo. Ero piccola e mi immaginavo un sacco di cose. Ti ho raccontato tante volte che credevo di vedere i folletti sulle colline. Ecco, credevo di aver visto una figura nel bosco. Sono scappata via di corsa e per un po’non ho più voluto andarci.”
“E poi?”
“Poi è tornata l’estate, è tornato il tempo delle ciliegie e ho deciso che non c’era nulla di spaventoso nel bosco. Di giorno, almeno.” Concluse la nonna con una carezza sui capelli della nipote e un bel sorriso.
 
Quella sera Rosemary andò in camera sua appena dopo cena, sedette alla scrivania, raccolse la fotografia di Fay e la osservò concentrata, come se potesse scoprire qualcosa fissando il volto della ragazza, così simile al suo. Passò più di un’ora, poi finalmente un pensiero compiuto si formò da sé nella mente di Rosemary: doveva andare nel bosco di notte. Era di notte che la nonna aveva visto qualcosa, era di notte che Fay era scomparsa. Doveva andare nel bosco quella notte stessa. Sentiva il cuore tremare e il respiro quasi le mancava, ma doveva andare nel bosco, era quasi come qualcosa d’altro glielo comandasse, come se gli occhi di Fay dalla fotografia glielo chiedessero.
Rosemary socchiuse la porta per spiare se sua nonna fosse ancora sveglia. La luce della cucina era accesa e si sentiva un quieto rumore di stoviglie. Rosemary richiuse la porta e attese, ora passeggiando nervosamente, ora sedendo immobile sul letto. Non stava facendo più caso al tempo quando accostando l’orecchio alla porta sentì i passi della nonna nel corridoio. Rosemary si ricordò di quando aveva quindici anni e s’era fatta scoprire perché era stata troppo impaziente e aveva provato ad uscire mentre la nonna era ancora sveglia, così aspettò ancora.
Era quasi mezzanotte quando finalmente la ragazza apri la porta della sua stanza, percorse piano il corridoio, prese le chiavi, aprì con cautela la porta, uscì dal cottage e corse verso il bosco. Si fermò solo oltre la soglia degli alberi, dove il buio si faceva più intenso e solo pochi raggi di luna raggiungevano il sentiero attraverso gli alberi. La ragazza procedette piano aguzzando la vista, sempre in allerta, in attesa, col cuore in gola, di un segno. Raggiunse il punto dove il giorno prima aveva trovato il varco a sinistra del sentiero.
Qualcosa sparso sulle foglie dei cespugli appiattiti luccicava sotto un raggio di luna. Rosemary allungò la mano e lo toccò: era un liquido scuro. Il cuore le mancò un colpo all’idea che potesse essere sangue. Avvicinò le dita sporche al naso per verificare, ma invece dell’odore ferrigno che si aspettava sentì un profumo dolcissimo: era succo di ciliegia. Rosemary, confusa, si chinò ad osservare meglio, poi avanzò tra i cespugli e sentì qualcosa schiacciarsi sotto il piede. Spostandolo vide che si trattava di una ciliegia. Andò un poco avanti con lo sguardo e notò un riflesso nel sottobosco: un’altra ciliegia. La raggiunse, guardò intorno ed eccone un’altra poco lontano. Provò ad indovinare se vi fosse un’altra ciliegia più in là, ma il bosco era troppo scuro. Rimase ferma, col fiato sospeso, atterrita dal buio, dal trovare ciliegie così lontane dall’albero, come se qualcuno le avesse portate lì per formare un sentiero. Cosa avrebbe trovato seguendo le ciliegie?
Erano passati pochi secondi quando le parve di sentire una voce di ragazza:
 
“Merry Merry,
Take a cherry …”
 
Rosemary rimase paralizzata. Doveva essere uno scherzo che le faceva la mente.
“Chi è?” gridò.
 
“Mine are sounder,
Mine are rounder …”
 
“Fay, sei tu?”
 
“Mine are sweeter
For the eater …”
 
Rosemary corse verso dove le sembrava che la voce venisse.
 
“In the moonlight.
And you’ll be Fairies quite.”
 
“Fay!” chiamò Rosemary fermandosi. Ora il bosco taceva di nuovo. Rosemary si guardò intorno e realizzò che quella breve corsa l’aveva portata abbastanza lontano da non saper più dove fosse il sentiero. Cercò un punto di riferimento negli alberi circostanti, ma tutto le risultava estraneo nel buio della notte. Poi notò un angolo di sottobosco  poco lontano, illuminato dalla luna. Si avvicinò per cercare qualcosa di familiare col favore della luce lunare, ma trovò solo un largo cerchio di funghi che non aveva mai visto. Avrebbe potuto sdraiarvisi dentro e attendere che le fate venissero a rapirla, pensò.
“Folletto, folletto, sei tu il folletto?”
Rosemary sobbalzò al suono di quelle parole e si voltò di scatto. Una ragazza in camicia da notte, della sua stessa età, col suo stesso viso, i suoi stessi occhi, il suo stesso naso, la sua stessa bocca, la guardava con aria incuriosita poco lontano. Rosemary ricambiò con uno sguardo attonito.
La ragazza in camicia da notte piegò un poco il capo di lato e ripeté:
“Sei tu il folletto?”
“Io mi chiamo Rosemary“ riuscì a rispondere Rosemary.
“Io mi chiamo Faith, ma tutti mi chiamano Fay.”
“Mia nonna mia chiama folletto a volte.”
“Lo so. Potremmo essere amiche noi due, non credi? Sorelle, gemelle persino.”
Rosemary sbatté incredula gli occhi, come se si aspettasse di doversi svegliare da un sogno. Ma Faith restava lì, con un sorriso un po’ malinconico, un po’divertito.
“Ma tu sei morta …” disse Rosemary con l’impressione che fosse qualcun altro a pronunciare le sue parole.
Fay si strinse un poco nelle spalle
“C’è modo e modo di morire. Io non volevo morire come gli altri.”
“Come sei morta?”
Fay fece un grande sorriso
“Seguimi.” Disse. E Rosemary la seguì come ipnotizzata.
“Ti piacciono le ciliegie? So che ti piacciono le ciliegie.” Diceva Fay, avanzando nel bosco senza che i suoi passi lasciassero traccia “So che sei come me, so che questo è il tuo posto.”
Rosemary non riuscì che ad annuire piano. Fay le sorrise ancora, poi  tese il braccio come a mostrare qualcosa. Rosemary aguzzò la vista e riuscì a distinguere il ciliegio e tanti piccoli riflessi di luna sulle ciliegie.
Le ragazze si avvicinarono, Fay colse due ciliegie e ne offrì una a Rosemary con un dolce sorriso. Sotto la luna, nel buio della notte il frutto pareva più bello che mai. Rosemary portò piano la ciliegia alla bocca con la strana sensazione che dovesse essere un gesto importante. Era la ciliegia più deliziosa che la ragazza avesse mai mangiato. Fay le porse la seconda e questa volta Rosemary ebbe quasi la sensazione che mangiarla fosse qualcosa di pericoloso. Ma il sorriso di Fay e l’aspettativa nei suoi occhi la incoraggiavano e Rosemary mangiò anche quella ciliegia, più dolce e gustosa della prima. D’un tratto le sembrò di vedere qualcosa di sinistro nel sorriso di Fay e l’angosciosa impressione che fosse accaduto qualcosa di irreparabile le invase la mente.
“Ora sarai come me, folletto. Tu non morirai come chiunque, tu non lascerai il bosco.”
“Cosa vuol dire?” chiese Rosemary in un sussurro, mentre il buio sembrava farsi più fitto per i suoi occhi.
“Hai mangiato il cibo delle fate, Rosemary, come me. Mangialo una volta e non potrai mangiare altro. Mangialo due volte e ti uccide.”
Rosemary cercò di scuotersi, cercò di scacciare l’oscurità dagli occhi, cercò di correre via, cadde e cercò di  procedere arrancando, ma ormai non poteva vedere, non riusciva a gridare, i suoi arti erano immobili.
 
“Merry, merry,
Take a cherry,
Mine are sounder,
Mine are rounder…”
 
Sentì in lontananza.
 
“Mine are sweeter
For the eater
When the dews fall.
And you’ll be fairies all.”
 
Poi più nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
- Il nome Rosemary è l’equivalente inglese di Maria Rosa o Maria Rosaria, ma si scrive come rosmarino in inglese e il rosmarino è, se non sbaglio, una pianta magica (o almeno mi fa venire in mente la magia, non fosse altro che perché è in Scarborough Fair).
- I cerchi formati dai funghi sono detti cerchi delle fate perché si credeva che delimitassero un’area in cui il piccolo popolo danzava la notte. Avvicinandosi si rischiava di venire rapiti.
- Le porzioni di poesia che trovate nel testo appartengono alla poesia “Cherry-Time” di Robert Graves, del 1918 (potrei sbagliare). È stata l’ispirazione principale per questa storia.
- Il nome Fay è un antico nome inglese che significa fata. Un’altra ipotesi è che derivi dal nome Faith che significa fede.
- I changeling sono creature fatate che i membri del piccolo popolo usavano sostituire ai neonati umani che rapivano. Si pensa che la leggenda nasca per spiegare diverse patologia, ad esempio l’autismo.
- Ho letto diverse volte che mangiare cibo fatato (In questo caso le ciliegie colte di notte) abbia effetti nefasti, tra i quali quello di non poter più mangiare altro e dunque con ogni probabilità morire di fame (è il caso per esempio nel poemetto di Christina Rossetti, Il mercato dei goblin) e quello di essere mutati in esseri fatati (come nella poesia di Graves). Andando un po’ di fantasia ho deciso che mangiare cibo fatato una volta rende impossibile mangiare altro, mangiarne due volte ti uccide e lega il tuo spirito al luogo fatato in questione (in questo caso il bosco).
-Siccome la poesia di Graves è del 1918 (almeno credo), la mia idea è che Fay l’abbia imparata ascoltando Rosemary e sua nonna.
   
 
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