Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: morgana85    17/11/2020    8 recensioni
Per molti l'autunno è l'inizio della fine, con quel retrogusto malinconico che trasporta lontani dall'estate e più vicini all'inverno.
Ma ogni foglia racchiude un pezzo di tramonto e la luce è così avvolgente da sembrare velluto. Una foglia che cade, può lasciare posto ad un frutto nuovo e inaspettato.
Bastano solo cinque passi per scoprirlo.
Dal testo:
(...) «Non farò sesso con te», stupì perfino sé stessa, sfidandolo con lo sguardo e incrociando le braccia sotto al seno, ignorando il calore che le salì dal collo fino alla punta delle orecchie.
«Sarebbe una soluzione molto soddisfacente, non lo nego», si leccò le labbra per istinto, mentre l’impulso di baciarla lo colpiva come una sferzata di vento fresco, «ma credo sia meglio iniziare con cinque passi».
«Di cosa stai parlando?».
«Lo scoprirai», le rivolse un ghigno sornione, voltandole le spalle e riprendendo a camminare, «passo a prenderti domani dopo le lezioni». (...)
[Questa storia partecipa al contest “Wr-Ink-Tober” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP]
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia partecipa al contest “Wr-Ink-Tober”
indetto da fantaysytrash sul forum di EFP
 
 
 
~ Cinque passi
 
Alla luce, leggiamo le invenzioni di altri;
nel buio ci inventiamo le nostre storie.
~ A. Manguel
 
 
 
 
Il lampeggiare del cursore sullo schermo aveva qualcosa di ipnotico, tanto da costringerla a chiudere il portatile per smettere di fissarlo. Sbuffò, lasciandosi cadere all’indietro sui cuscini, stringendo il peluche a forma di cavallo e strofinando gli occhi stanchi.
Allungò la mano verso il comodino, cercando a tentoni l’interruttore dell’abatjour e spegnendo la luce. Si sentì immediatamente più tranquilla, quasi il buio fosse il suo rifugio sicuro. Provò a prendere un respiro profondo, poi un altro, ma le immagini che le comparvero oltre le palpebre chiuse ebbero l’effetto esattamente contrario.
 
«…e la bocca di lui che la inchiodò al piacere. Le mancò il respiro. Si sentì girare con forza e si ritrovò prona, con il peso di lui sopra. Sentì le natiche aprirsi e un dito penetrare nel luogo proibito. Gemette e si contorse. Bloccata da lui non poteva e non voleva fuggire»[1], il professor Byrne si fermò davanti alla cattedra, sfilando gli occhiali e alzando lo sguardo verso i suoi studenti. Sorrise delle loro espressioni imbarazzate e curiose, posando il libro e incrociando le braccia al petto. «Questo è solo uno dei molti esempi di scrittura erotica, la storia della letteratura ne riporta esempi fin dall’antichità. Si, signorina O’Brian?».
«Quindi possiamo considerare gli egizi come fonte di ispirazione per E. L. James?», domandò una ragazza dai lunghi capelli biondi.
«Paragonata a loro, è sicuramente una dilettante», rispose con un’alzata di spalle, suscitando l’ilarità di tutta la classe. «Quello che vi chiedo è di presentarmi la vostra idea di racconto erotico», si avvicinò alla lavagna, citando alcuni testi a cui fare riferimento, «siate curiosi e non ponete limiti a ciò che le emozioni vi suscitano. Badate bene, non desidero un trattato di anatomia, ma qualcosa che faccia venire voglia di provare quello che stanno vivendo i personaggi». Sfregò le mani, liberandosi della polvere di gesso, «avete tempo fino alla fine di Ottobre. Buon lavoro».
 
Mancavano solo dieci giorni allo scadere della consegna e non aveva scritto una sola parola, neanche una dannatissima frase. La pagina continuava a rimanere bianca, nonostante ci provasse ormai da settimane.
Urlò dalla frustrazione, sollevandosi a sedere e passando una mano tra i capelli. Scese con stizza dal letto, infilando i primi abiti che riuscì a trovare al buio e uscendo dalla stanza a passo marziale.
Percorse in fretta i corridoi degli alloggi del Campus, quasi avesse l’improvvisa necessità di respirare aria fresca. Avvolse più stretta la sciarpa attorno al collo, rabbrividendo quando la brezza autunnale le sferzò le guance. Affondò le mani nelle tasche del cappotto, rallentando il passo e tirando di tanto in tanto un calcio a qualche foglia che sembrava volerle intralciare il cammino.
Attraversò il cortile con la statua del fondatore, mentre la luce del tardo pomeriggio faceva allungare le ombre come nastri di seta scura. Superò la caffetteria e tirò un sospiro di sollievo quando arrivò al grande cancello di ferro che dava accesso ai giardini. Rimase per qualche istante ferma all’inizio del piccolo vialetto di terra battuta, riempiendosi gli occhi delle sfumature cangianti degli alberi, dove le foglie inondate dai raggi morenti del tramonto somigliavano a preziosi rubini, o topazi, o ancora schegge d’ambra antica. Si pentì quasi di non avere con sé la macchina fotografica. Ottobre era da sempre uno dei suoi mesi preferiti, con quel leggero retrogusto malinconico che l’accompagnava nelle lunghe sere trascorse rannicchiata sul divano.
Avanzò senza una meta, gli stivali che affondavano nel terreno ancora morbido, mentre l’erba sempre meno verde faceva frusciare i suoi passi con la stessa musicalità dello strascico di un vestito sul pavimento. Ad ogni respiro, il profumo del bosco poco distante diventava più intenso, un aroma fatto di resina, pino e quel pizzico di agrodolce delle foglie umide di rugiada.
Socchiuse gli occhi e inclinò il viso verso l’alto, seguendo senza attenzione la scia bianca di un aereo, prima che un rumore secco attirasse la sua attenzione. Cercò di individuare da quale direzione provenisse quel suono, che ritornava ad intervalli regolari, fino a quando non raggiunse una piccola distesa verde che riconobbe come il campo di tiro con l’arco.
Una leggera nebbiolina aleggiava a qualche spanna da terra, dando l’impressione di camminare su un tappeto di morbido velluto, o direttamente sulle nuvole. Non c’era nessuno ad esclusione di una figura solitaria, alta e slanciata, poco più che una sagoma scura che si stagliava contro il sole rosso e intenso del tramonto. Non le fu necessario scorgerne i dettagli, l’avrebbe riconosciuta anche ad occhi chiusi.
Si avvicinò in silenzio, cercando di fare meno rumore possibile, mentre un’idea prendeva forma tra i suoi pensieri, facendola sogghignare. Quando gli fu alle spalle, il sapore dolce della vittoria la rese euforica, mentre si sporgeva appena per potergli urlare all’orecchio.
«Ti ho sentita», contro ogni previsione, fu lei a sobbalzare, facendo un passo indietro e perdendo quasi l’equilibrio, «per la precisione, ti ho sentita da quando hai sbattuto la porta della tua stanza per uscire».
«Ho Legolas come amico e non me ne ero mai accorta», gli fece una linguaccia, alzando gli occhi al cielo e affiancandolo con uno sbuffo, «quanti metri?».
«Diciotto, niente di impegnativo», un sorriso sornione gli incurvò le labbra, mentre tornava a prendere la mira, «cosa ci fai qui?». Silenzio, il sibilo di qualcosa che fendeva l’aria e un istante più tardi lo stock secco della freccia che centrava il bersaglio.
«Non lo so», Deirdre si lasciò cadere tra le foglie, incrociando le gambe e poggiando i gomiti sulle ginocchia, «cercavo una soluzione, forse».
«Alla tua innata sbadataggine?», Gabriel alzò di nuovo l’arco, prendendo un profondo respiro e scoccando. Centro.
«No, al fatto che tu sia incredibilmente irritante», corrugò la fronte, arricciando le labbra in un broncio fanciullesco, «mi chiedo ancora come faccio a sopportarti».
«Perché senza di me non riusciresti a sopravvivere», scoppiò a ridere quando si vide lanciare contro una manciata di foglie, che non fecero altro che sommergere come pioggia variopinta la ragazza ancora seduta per terra, che si lasciò andare con un grugnito di rabbia.
Scuotendo la testa, Gabriel si accucciò alla sua altezza, godendosi per un istante l’immagine di Deirdre immersa nella luce quasi vellutata del tardo pomeriggio, che donava alla sua pelle una sfumatura dorata. I lunghi capelli, dai riflessi rossi come vino, si aprivano a ventaglio tra l’erba e la nebbia, intrecciandosi ai colori caldi e intensi dell’autunno, quasi derivassero dalla terra stessa. Come una ninfa, o una creatura dei boschi. «Avanti Eire, mi si spezza il cuore quando metti il muso», si schiarì la voce, tirandole un buffetto sul naso. «Potrei sempre fartelo passare con un bacio», lo soffiò contro le sue guance, che si tinsero di una deliziosa tonalità rosata. Presa alla sprovvista, la ragazza si sollevò con uno scatto, facendo irrimediabilmente scontrare le fronti con un sonoro toc. «Ma che ti prende?», sbottò Gabriel, massaggiandosi la parte dolorante vicino alla tempia.
«Se tu non fossi sempre così… così», Deirdre si alzò indispettita, districandosi dal cappotto attorcigliato tra le gambe. «Maledizione!», imprecò in un moto di stizza.
«Dai vieni», la prese per il gomito, tirandosela contro e bloccando ogni suo tentativo di colpirlo stringendola per la vita, «non volevo farti arrabbiare».
«Tieni le tue luride manacce al loro posto», le schiaffeggiò per allontanarle, provando a nascondere dietro una smorfia la risata che la scosse quando lui iniziò a farle il solletico, «questo patetico tentativo di scuse non funzionerà».
«Io non chiedo scusa», le sussurrò tra i capelli, indietreggiando di un passo e trascinandola con sé, «mai». Infilò una gamba tra le sue per fargliele divaricare, raddrizzandole le spalle e raccogliendo l’arco e una freccia, mettendoglieli poi davanti al naso.
«Cosa dovrei farci?», domandò, alzando un sopracciglio con aria scettica.
«Colpisci».
«Senti Robin Hood, io…», provò a divincolarsi dalla sua stretta, con l’unico risultato di scontrarsi con il petto solido dietro di lei, «per l’amor del cielo, vuoi lasciarmi andare?».
«Fidati di me, avanti», l’avvolse completamente, sollevando l’arco insieme a lei e coprendo le mani con le proprie per guidarla, «se non funziona, hai il permesso di insultarmi fino a quando non perderai la voce». Combatté con la sua reticenza, riuscendo a farle assumere la posizione corretta, «adesso chiudi gli occhi e concentrati».
«Dobbiamo andare avanti ancora per molto?».
«Non fare la bambina disobbediente», posò la guancia accanto alla tempia, rimanendo per un attimo stordito dal suo profumo, «altrimenti dovrò pensare ad una punizione adeguata». Le percorse il braccio con una carezza, scivolando lungo il fianco e risalendo fin sotto il seno, «respira insieme a me». Ormai non c’era che uno spiraglio di luce a dividerli, mentre i respiri si sincronizzavano e Deirdre avvertiva la tensione abbandonarla, come sciolta da un calore immenso e perfetto.
«Stai mettendo a rischio l’incolumità altrui, sappilo», deglutì a fatica, mentre Gabriel le piegava il braccio e faceva tendere la corda, chiedendole di prendere la mira.
«Se non ti fidi di te stessa», c’era ironia nella sua voce, ma anche rimprovero, «dovresti farlo di me».
«Dannazione, lo faccio sempre. E sto ancora cercando un motivo plausibile». Il ragazzo sembrò ignorare la battuta, rimanendo in silenzio e quasi immobile, prima di scoccare. Centro. «Oh santo cielo, è incredibile!».
«Non dovresti essere stupita. Noi esseri perfetti non sbagliamo mai», le rivolse un ghigno, scostandosi e raccogliendo la faretra quasi vuota. «Va meglio adesso?».
«Forse», non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di avere ragione. «Dove stai andando?».
«A casa», le rispose con un’alzata di spalle, infilando la giacca e raccogliendo l’attrezzatura, «vieni con me o no?».
Deirdre non poté fare altro che seguirlo, adattando il passo al suo. Non si oppose quando le circondò le spalle con un braccio, stringendola quel tanto che fu sufficiente per farla arrossire, chiudendo gli occhi e godendosi il bacio che le posò tra i capelli. «A cosa devo questo slancio di magnanimità?», si appoggiò di più a lui, mentre entrambi rallentavano l’andatura senza accorgersene. Erano rari i momenti in cui si dimostrava così dolce, e lei si sentiva incredibilmente felice quando capitava.
«Perché sono contento di vederti».
«Potrei anche crederci, sai?».
«Non amo spendere parole inutilmente», sospirò spazientito, alzando gli occhi al cielo, «dovrai fidarti e basta». Inclinò il volto quando si accorse che lo stava guardando, sorridendo e sfiorandole la fronte con le labbra, sentendola sussultare e poi abbandonarsi a quel contatto. Nonostante conoscesse ogni cosa di lei, dai segni che la varicella le aveva lasciato vicino al polso, fino al titolo del suo libro preferito, la timidezza che dimostrava nei suoi confronti lo sorprendeva ogni volta. «Adesso vuoi dirmi cosa c’è?».
Deirdre rimase in silenzio, guardandosi intorno spaesata, quasi potesse trovare la soluzione ai suoi problemi tra la nebbia, «il professor Byrne ci ha assegnato un testo da scrivere».
«Questa sì che è una novità», Gabriel trattenne a stento una risatina, lanciandole un’occhiata divertita, «non pensavo che ad un corso di scrittura creativa potessero avanzare certe richieste». Le strinse le labbra con due dita – sembrava un anatroccolo infuriato – stroncando sul nascere ogni sua protesta, «scrivi così bene che saresti in grado di rendere interessanti anche le note bibliografiche».
«La tua fiducia nelle mie capacità è commovente», la ragazza rispose con una smorfia poco convinta, cercando la sua mano ancora appoggiata alla spalla e lasciandola intrecciare alla propria, «ma non sei obiettivo. La fine di Ottobre si avvicina e io non ho scritto nemmeno una parola. E poi», si morse il labbro inferiore, trattenendo il fiato e parlando senza fermarsi, «devoraccontareunascenadisesso».
«Puoi ripetere? Avevo il traduttore intergalattico spento».
Deirdre sbuffò, piantando i piedi a terra e lasciandolo continuare per qualche passo in solitudine. «Devo raccontare», si interruppe, fissando ostinatamente la punta delle scarpe, strisciando il piede e seguendo la linea più scura che si era formata sul terreno umido. «Ok, d’accordo», prese un profondo respiro, stringendo i pugni lungo i fianchi, «devo raccontare una scena di sesso», scandì ogni parola con estrema lentezza, quasi le costasse fatica pronunciarle.
Chiuse gli occhi, in attesa dell’esplosione di risate che sapeva sarebbe arrivata. Quando il silenzio sembrò prolungarsi azzardò un’occhiata, trovando un altro paio di scarpe di fronte alle sue. Dita gentili ma dalla presa ferrea le fecero sollevare il viso, costringendola ad affrontare gli occhi di Gabriel.
Lo sapeva, che erano belli. Di quello strano colore molto simile ad un blu oltremare, o forse viola, le ricordavano le nuvole dei temporali d’autunno. Li aveva osservati milioni di volte, e non erano mai stati uguali. Col tempo aveva imparato a distinguerne ogni sfumatura: più blu quando era concentrato o pensieroso, viravano verso il viola se si arrabbiava, mentre avevano una particolare iridescenza grigia quando guardavano lei, come in quel momento.
«Continuo a non capire dove sia il problema», il suo alito caldo le sfiorò la pelle, facendola tremare e arrossire. Si odiava per quello.
Gabriel le aveva sempre provocato reazioni contrastanti fin dal momento in cui gli era capitolata tra le braccia, inciampando nelle sue stesse stringhe, il primo giorno di università. Erano passati tre anni, ma non era cambiato niente. La sconvolgeva ed emozionava ogni volta come se fosse la prima.
Non sapeva descrivere quello che la legava a lui, trovava il termine amicizia troppo riduttivo e non aveva mai osato definirlo amore. C’era complicità, schiettezza e quella strana attrazione che li rendeva simili a calamite. Erano l’uno l’opposto dell’altra – sfacciato e seducente lui, timida e ingenua lei – ma nonostante tutto, complementari.
«Andiamo, come faccio io a…», tentennò corrugando la fronte, «beh insomma, sai che io non…».
«Non?».
«Non l’ho mai fatto maledizione, sono vergine», sbottò in un eccesso di nervosismo, allontanandosi di qualche passo e poi tornando indietro, incurante del tono di voce decisamente alto.
«Sì, lo so», Gabriel scoppiò a ridere, scuotendo la testa e scompigliandole i capelli. «E sarebbe questo il problema?», sospirò con esasperazione, abbassandosi alla sua altezza, «posso aiutarti io, se vuoi».
«Non farò sesso con te», stupì perfino sé stessa, sfidandolo con lo sguardo e incrociando le braccia sotto al seno, ignorando il calore che le salì dal collo fino alla punta delle orecchie.
«Sarebbe una soluzione molto soddisfacente, non lo nego», si leccò le labbra per istinto, mentre l’impulso di baciarla lo colpiva come una sferzata di vento fresco, «ma credo sia meglio iniziare con cinque passi».
«Di cosa stai parlando?».
«Lo scoprirai», le rivolse un ghigno sornione, voltandole le spalle e riprendendo a camminare, «passo a prenderti domani dopo le lezioni».
«Ma io non ti ho detto che…», ringhiò dalla frustrazione, osservandolo allontanarsi senza che le prestasse la benché minima attenzione.
 
 
Guardò per l’ennesima volta l’orologio, sbuffando e riprendendo a camminare per la stanza. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, espirando con enfasi dal naso e portando le mani sui fianchi. L’avrebbe fatta impazzire, un giorno o l’altro.
Odiava non sapere cosa la attendeva. Non si riteneva una maniaca del controllo, ma avere almeno la vaga idea di quello a cui andava incontro, beh le sembrava il minimo sindacale. Gabriel non aveva risposto a nessuno dei suoi messaggi, lasciandola crogiolare nel dubbio e preda di una strana tensione che le stringeva lo stomaco.
Un fischio la fece sobbalzare con un gridolino, mentre si girava con uno scatto frustando l’aria con i lunghi capelli, «non te l’ha mai detto nessuno che è buona educazione bussare, prima di entrare?».
Con un sorrisetto impertinente il ragazzo si appoggiò allo stipite, battendo le nocche sul legno scuro, «è permesso?».
«Spiritoso», sibilò a denti stretti, infilando il cappotto e avvolgendosi nella sciarpa calda, «muoviamoci, prima che cambi idea». Uscì come una furia, fermandosi solo quando raggiunse la macchina parcheggiata poco distante, «posso almeno sapere dove siamo diretti?».
«E toglierti il gusto della sorpresa?», Gabriel ammiccò, sollevando le sopracciglia e mettendo in moto, «non mi permetterei mai». Accese la radio, alzando il volume fino a quando il brontolio di Deirdre non si perse tra le note di Supermassive Black Hole dei Muse.
Dopo un breve tratto di strada, parcheggiarono davanti ad una splendida villa in stile georgiano. Non sembrava esserci nessun altro. «Ed eccoci al passo numero uno», Gabriel la prese per mano, aprendole la portiera per farla scendere e trascinandola tra le colonne di marmo bianco del maestoso ingresso, oltre il quale si scorgeva solo la porta adornata da una ghirlanda di foglie autunnali. «Pronta?», non attese la sua risposta, camminando all’indietro e sorridendole con fare rassicurante.
Vennero accolti da ombre dense come inchiostro e un silenzio quasi assordante, interrotto solo dal rumore dei loro passi sul pavimento. Non poteva vederlo, ma la ragazza immaginò che fosse di marmo. «Non stiamo infrangendo nessuna legge, vero?».
«Ssshh».
«Vuoi spiegarmi cosa ci facciamo qui?».
«Hai detto che non sai cosa si prova facendo sesso», le fece sfilare il cappotto, rubando qualche secondo per accarezzarle le braccia e la schiena. Il suo profumo – vento e fiori di loto – lo attirava in maniera incontrollabile, così delicato e solo suo. Si sporse appena per poterle sussurrare all’orecchio, «io ti concedo cinque passi per scoprirlo».
«Non credo che questo», deglutì a vuoto, cercando un qualunque punto di riferimento, «sia il modo giusto».
«Ti fidi di me?».
«Non ne sono più tanto sicura», nascose le mani sudate allungando le maniche del maglione. La risata che le giunse in risposta, così profonda e accattivante in tutto quel silenzio, le provocò un fremito tra le gambe.
«Ora guarda davanti a te».
Un lampo attraversò improvvisamente l’oscurità, rivelando una fotografia in bianco e nero. Inondata da un cono di luce argentea, sembrava fluttuare senza peso. Due corpi nudi, di cui si intuivano solo i contorni e gli incastri, davano vita ad una meravigliosa scena d’amore. Nonostante i volti fossero confusi tra le ombre, la carica erotica del gesto che stavano compiendo era tale da essere percepibile come una carezza sulla pelle.
Deirdre sussultò quando la voce di una donna si diffuse per la stanza, un gemito così prolungato ed eccitato che fu costretta a coprirsi la bocca, solo per avere la certezza di non essere lei. «Dove diamine mi hai portato?».
«È la mostra di un famoso fotografo contemporaneo», si voltò per poterla guardare, studiando il suo profilo appena accennato dalla poca luce, «credo sia un buon punto da cui partire». Le posò una mano alla base della schiena, spingendola ad avanzare, «il sesso è fatto di sensazioni», si fece più vicino, scostandole i capelli di lato e posandole un bacio alla base della nuca, proprio quando una voce maschile mugolò di piacere, «i cinque passi ti aiuteranno a scoprirle. Il primo è immaginare. Non dirmi che non trovi eccitante tutto questo».
Una strana ondata di panico travolse Deirdre, avvertendo le dita di Gabriel posarsi sui suoi fianchi e stringerla. Trattenne quasi il respiro, rimanendo immobile come una statua di sale. Spalancò gli occhi quando percepì un calore umido e imprevisto bagnarle l’intimo, costringendola a incrociare le gambe per dissimulare qual piacevole inconveniente. «Usi questa tattica con tutte quelle che ti porti a letto?», si schiarì la voce, divincolandosi con la scusa di voler osservare più da vicino l’opera.
«Di solito non ne ho bisogno», le cercò nuovamente la mano, trascinandola verso la sala successiva, «mi accolgono sempre a gambe… ops, braccia aperte».
Ad ogni nuova fotografia, Deirdre sentiva qualcosa invaderle il corpo, una strana sensazione di insoddisfazione e desiderio. Possibile che semplici immagini potessero provocarle tutto quello che nessun ragazzo le aveva mai suscitato?
Quando raggiunsero l’ultima stanza, completamente rossa e ricoperta di specchi, si sentì sopraffare dell’emozione trasmessa dai due corpi sdraiati sul letto, rilassati e così vicini da confonderne i confini, immersi in una splendida luce mattutina. Erano l’incarnazione dell’appagamento, di quell’intimità complice che si viene a creare quando si è rimasti senza difese di fronte all’altro. Soffocò un singulto, uscendo di corsa e ignorando i richiami di Gabriel.
«Vuoi dirmi cosa ti succede?», le domandò, mentre scendevano i gradini verso l’uscita.
Ancora una volta sussultò, quasi fosse stata colta in flagrante a compiere pensieri proibiti. La vicinanza di Gabriel la mandava in confusione, come se all’improvviso non riuscisse più a frenare l’impulso di allungare la mano e toccarlo, sfiorargli la pelle e scoprire davvero quanto fosse calda e morbida. «Niente».
«Sei una pessima bugiarda».
«E tu un pervertito», cercò di darsi un contegno, corrugando la fronte in un atteggiamento contrariato. «Possiamo andare adesso?».
«Non cantare vittoria», ridacchiò mettendo in moto, «siamo solo all’inizio».
 
 
«Non andavo al cinema di pomeriggio da quando avevo», si picchiettò il mento con un dito con fare pensieroso, «più o meno dodici anni».
«Quindi l’altro ieri», Gabriel le fece l’occhiolino, passandole un grosso barattolo di pop-corn caramellati. «Se fai la brava, all’uscita potrei anche comprarti lo zucchero filato».
Deirdre si guardò intorno, non era mai stata nel vecchio cinema accanto alla facoltà. Aveva più le sembianze di un teatro, che di una sala di proiezione. I rivestimenti in legno gli conferivano un’aria austera, mentre le luci a forma di piccole candele coloravano l’atmosfera di piacevoli bagliori dorati.
«Ieri una mostra, oggi cinema. Sembri quasi una persona seria». La sala in cui entrarono, accompagnati da una maschera in livrea nera e guanti bianchi, era deserta. «Devi aver scelto un filmone, a giudicare dal pubblico», lo schernì Deirdre, accomodandosi esattamente nella fila centrale.
«Ho comprato tutti i biglietti in realtà», rispose Gabriel con un’alzata di spalle, allungando i piedi sul sedile di fronte. «Ti conviene metterti comoda», i tendaggi di velluto bordeaux si aprirono come un sipario, «lo spettacolo sta per iniziare».
Le luci si spensero lentamente, quasi a voler abituare i due spettatori alla sensazione del buio. L’immagine intermittente che scandiva un conto alla rovescia comparve sullo schermo, come nei vecchi film che Deirdre amava guardare con sua madre.
«Passo numero due», le sussurrò il ragazzo all’orecchio, la voce bassa e vibrante, mentre le passava un braccio attorno alle spalle e la tirava vicino a sé, «guardare. Tieniti forte».
«Posso sapere almeno di che cosa parla?». L’ultima parola le morì in gola, mentre tossiva per non strozzarsi con il pop-corn che aveva appena addentato. L’immagine nitida e inequivocabile di una donna intenta a succhiare l’erezione di un uomo, accompagnata dal suono ritmico degli schiocchi di lingua e labbra e degli ansiti del protagonista maschile, non aveva certo bisogno di spiegazioni. «Un porno!», Deirdre si alzò di scatto, fulminandolo con lo sguardo, «mi hai portata a vedere un porno!».
«Si possono imparare molte cose», per tutta risposta Gabriel sprofondò di più nella poltrona, incrociando le braccia dietro la testa, «anche l’istinto animale fa parte del sesso».
«Buona visione», ringhiò, raccogliendo le sue cose e percorrendo a passo di marcia il breve tratto che la portò all’uscita. Non si fermò ad aspettarlo.
 
 
Gabriel si presentò nuovamente la sera successiva, quando ormai il buio era così scuro da sembrare notte, nonostante fosse da poco passata l’ora di cena. Non le diede nemmeno il tempo di protestare, facendole infilare scarpe e cappotto e trascinandola fuori dalla stanza prima che riuscisse a rendersene conto.
«Ti sembra il modo? Sono in pigiama», sbottò Deirdre divincolandosi con uno strattone, «e per tua informazione, avevo altri programmi per la serata».
«Ricordami di regalartene uno per Natale», sogghignò il ragazzo, accennando con il mento al pigiama bianco costellato di pecorelle che indossava, «a meno che non sia un chiaro riferimento ad altro».
Avvampò, chiudendo con stizza i lembi del cappotto e mascherando il rossore abbassando il viso, «possibile che il tuo unico pensiero sia il sesso?».
«Se sapessi cosa si prova, continueresti a pensarci anche tu», le aggiustò la sciarpa, passandole poi una benda attorno agli occhi.
«Ehi, cosa pensi di fare?».
«Ammetto di aver sbagliato approccio. Forse ho esagerato», Deirdre cercò invano di liberarsi, gemendo quando le strinse il nodo sulla nuca tirandole i capelli, «e quando sbaglio, cerco di porre rimedio».
«Doerthy, non è divertente», lo chiamò per cognome, come faceva solo quando era veramente arrabbiata, puntando i piedi a terra e opponendo resistenza.
«Io invece credo di sì».
Deirdre cercò di riconoscere il percorso che stavano seguendo, ma quel maledetto idiota si muoveva in modo tale da non permetterle di individuare nessun punto di riferimento.
Si sentì trattenere all’improvviso, assecondando il movimento con cui la fece girare su sé stessa e cercando di non cadere nonostante il suo precario equilibrio. Allungò le braccia in avanti, avvertendo solo l’aria scorrerle tra le dita, «Gabriel, dove sei? Non lasciarmi qui da sola». Avanzò di un passo, inciampando in qualcosa che la fece capitolare contro un petto ampio e solido.
«Mi sembra di aver già vissuto una scena simile», l’attirò più vicina, posando il mento sulla sua testa e godendo per qualche istante della sensazione di poterla stringere tra le braccia.
«Sei un continuo attentato alla mia incolumità», avvertì la sua risata tra i capelli, mentre gli circondava la vita. Si sentì incredibilmente in pace, quasi in quell’abbraccio avesse trovato il suo scudo contro il mondo.  Affondò il viso nell’incavo della spalla, prendendo un profondo respiro e sorridendo senza accorgersene. «Fa freddo, possiamo fare in fretta?».
«Va bene brontolona», le infilò qualcosa nell’orecchio, provando a non incastrarlo tra i capelli, «passo numero tre. Sentire».
Note basse e vibranti la scossero fin nel profondo, facendole spalancare gli occhi dietro la benda. Lasciò che Gabriel le sistemasse meglio l’auricolare, sussurrando qualcosa che non capì fino in fondo, ma che le sembrò assurdamente erotico.
 
And I don’t care if you don’t want me
I’m yours right now
I put a spell on you
Because you’re mine[2]
 
Senza davvero volerlo iniziò a dondolare, seguendo il ritmo lento ed ipnotico della musica. Era una donna a cantare, con voce chiara e decisa, quasi volesse urlare ogni singolo grammo d’amore che aveva nel cuore.
Non protestò quando mani gentili si intrufolarono oltre il cappotto, percorrendole i fianchi e sollevandole il maglione, fino a raggiungere la pelle nuda. Se davvero voleva capire cosa si provava, non poteva continuare a tirarsi indietro. E non sarebbe stata in grado di farlo con nessun altro, di lui sapeva di potersi fidare.
Strinse i pugni, cercando di controllare l’istinto che le urlava di andarsene, ma il tocco di Gabriel lungo la schiena era qualcosa che non aveva mai nemmeno osato sognare, ed era perfetto. Si inarcò appena, mentre le gambe si incastravano e i bacini combaciavano, facendole aprire la bocca in un gemito senza suono. Ancora una volta, il corpo rispose contro la sua volontà, vibrando come la corda di un violino e facendola spasimare.
Qualcosa di caldo le sfiorò le labbra, rubandole il respiro. Registrò un secondo più tardi come quella fosse la bocca di Gabriel che si muoveva lenta sulla sua, leggera come una carezza. Fu un contatto breve, che le permise appena di intuire il suo sapore, tanto da portarla a spingersi verso di lui sollevandosi sulle punte.
«Vacci piano matricola».
«Non sono una matricola», sporse in fuori il labbro inferiore, tornando a posare la fronte contro il suo petto.
«Verginella mi sembrava offensivo», sogghignò scorgendo le sue guance diventare di un bel rosso.
Rimasero così, avvinghiati in quella strana danza persi chissà dove, fino a quando la canzone sfumò e si spense. Solo in quel momento Deirdre si accorse di aver quasi trattenuto il fiato, mentre Gabriel le toglieva la benda e le permetteva di guardarsi intorno.
Non avrebbe saputo immaginare niente di più bello. Piccole file di luci di un bianco caldo correvano da un ramo all’altro dei grandi alberi variopinti, che custodivano come sentinelle il gazebo di legno chiaro in cui si trovavano. Tra le ombre della sera e la nebbia bassa e soffice come ovatta, le foglie sembravano brillare simili a lampadine, variando dai toni dorati a quelli più intensi del rosso.
«Gabriel, è stupendo», si appoggiò alla ringhiera, inspirando l’odore muschiato che tanto le ricordava la sua adorata Irlanda, «non ci starai provando con me, vero?», corrugò la fronte, osservandolo da sopra la spalla e continuando a sorridere. Pensava di conoscerlo, eppure quella che aveva di fronte – più simile ad un uomo, che al ragazzo esuberante che aveva incontrato anni prima - era una persona completamente diversa. O forse, per la prima volta, si era accorta di quante cose nascondesse oltre lo sguardo furbo e la lingua tagliente.
«Ovviamente sì», rispose con una risata, affiancandola e posando i gomiti sul legno solido, «ma si sta rivelando un compito più difficile di quello che avevo previsto».
«Ah-ah», lo schernì, alzando le spalle. Il silenzio che seguì la spaventò, facendola voltare per poterlo guardare direttamente negli occhi, «non stai dicendo sul serio. Cioè quel… bacio non era vero, giusto?». Più che una vera e propria domanda, assomigliava alla ricerca di una conferma.
Gabriel si limitò a ricambiare lo sguardo, scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e proseguendo con una lenta carezza sul viso, fino alle labbra, «mi piacciono i tuoi occhi. Mi ricordano il bosco dove da bambino raccoglievo le castagne. Troppi colori, per riconoscerli tutti».
«Non stai dicendo sul serio», lo ripeté come un mantra.
«Assolutamente no», le pizzicò una guancia, voltandole le spalle e incamminandosi, «ma solo perché non me lo permetti». Si fermò ad aspettarla, le mani infilate nelle tasche, «se non ti muovi, dovrai tornare da sola. E conoscendo il tuo senso dell’orientamento, domani potrei ritrovarti ancora qui».
 
 
Chiuse il libro, sbuffando e appoggiando la testa alle braccia incrociate sulla scrivania. La biblioteca era tranquilla e quasi deserta, ma nonostante tutto aveva dovuto rileggere almeno dieci volte le stesse quattro righe, faticando a trovare la concentrazione.
Dannato Doerthy.
Erano trascorsi tre giorni dalla sera in cui avevano ballato sotto il gazebo. Tre giorni di silenzio, di assenza, di lontananza che lei non riusciva a comprendere.
E le mancava. Da morire.
La loro amicizia non si era mai basata sulla frequentazione assidua, ma sulla costanza. Si cercavano con la stessa naturalezza con cui un fiore segue la luce del sole, quasi senza accorgersene. Ogni volta che ne sentiva il bisogno, Gabriel compariva. Come quando aveva scoperto della malattia di sua madre, ad Ottobre del secondo anno, e lui si era presentato alla finestra della sua stanza, fradicio per il diluvio che imperversava da giorni, con della cioccolata calda e uno dei suoi muffin preferiti. «Ti farà bene», era stata l’unica risposta che le aveva dato, quando gli aveva chiesto come facesse a saperlo. Lei non lo aveva detto a nessuno.
La bibliotecaria avvisò gli studenti dell’imminente chiusura, pregandoli di riporre i libri che avevano in consultazione e di lasciare libera la postazione.
Deirdre mugolò, guardando sconsolata il blocco per appunti ancora immacolato e il volume aperto al primo capitolo. Rassegnata, buttò tutto alla rinfusa nella borsa, impilando i libri e camminando tra i corridoi di scaffali per trovare la giusta collocazione.
Una volta sistemato anche l’ultimo, lanciò un’occhiata distratta alla grande finestra che si affacciava sul cortile interno della facoltà. Aggrottò le sopracciglia, scorgendo il suo riflesso appena accennato sul vetro. La luce alle sue spalle ne delineava il profilo, non eccessivamente magro ma dalle forme proporzionate, mentre il colore dei capelli sembrava catturare ogni singola particella luminosa.
Non si era mai ritenuta il tipo di ragazza che Gabriel si sarebbe impegnato a corteggiare. Era a conoscenza delle sue innumerevoli conquiste, ma ogni volta che provava a capire perché nessuna di loro fosse rimasta per più di un mese, lui la liquidava con un semplice «non possono reggere il confronto». Con chi, non era ancora riuscita a scoprirlo.
E lei… forse lo aveva sempre ritenuto troppo. Troppo sfacciato, troppo arrogante, troppo presente nella sua vita per poterci rinunciare. Non aveva mai trovato il coraggio di infrangere l’equilibrio che si erano creati, era la sua isola felice e non era disposta a perderla.
Quando le luci iniziarono a spegnersi, si affrettò verso l’uscita. Sistemò meglio la tracolla, affondando le mani nelle tasche e camminando a testa bassa verso gli alloggi. Salutò frettolosamente la sua coinquilina, chiudendosi la porta della camera alle spalle e buttandosi sul letto a testa in giù.
Forse non avrebbe dovuto accettare l’aiuto di Gabriel per quello stupido compito di scrittura. In fondo, il web era pieno di storie a cui attingere come ispirazione. Eppure, più lui le mostrava un pezzetto di quel mondo affascinante, più se ne sentiva attratta. Era lui che la attraeva.
Chiuse gli occhi, sentendo la testa scoppiare. Non si accorse nemmeno di essersi appisolata, quando il bussare insistente alla porta la fece sobbalzare. Si alzò in fretta, inciampando nelle coperte e riuscendo a stare in piedi solo per miracolo.
Non trovò nessuno oltre la soglia, se non una piccola busta bianca bordata di blu. Si chinò per raccoglierla, guardandosi attorno ancora una volta e rigirandosela tra le mani prima di convincersi ad aprirla.
 
Passo numero quattro.
Prepara uno dei tuoi meravigliosi pigiami,
stasera non tornerai nella tua stanza.
Ti aspetto.
 
Dopo l’iniziale incredulità, una rabbia improvvisa e bruciante le fece digrignare i denti e ringhiare come un animale selvatico, mentre sbatteva la porta con tale forza da far tremare le fotografie appese al muro.
Si sedette sul letto a braccia conserte, incrociando le gambe e fissando indispettita le poche parole con cui Gabriel si era degnato di farsi vivo dopo giorni di silenzio. Stava già per stracciarlo, quando lo sguardo le cadde sulla piccola freccia disegnata nell’angolino in basso a destra. Aggrottò le sopracciglia, girando il cartoncino e sbuffando una risata.
 
Non ti chiederò scusa, lo sai.
Forever trusting who we are[3]
 
Idiota, pensò con un sorriso, lasciandosi andare tra le coperte. Credi sempre in quello che siamo, glielo aveva detto la prima volta che si era ritrovata tra le sue braccia a piangere – non ricordava nemmeno il motivo – e lui non l’aveva lasciata se non quando si era addormentata, sfinita ma tranquilla.
Coprì gli occhi con un braccio, portando una mano all’altezza del cuore e avvertendone sotto le dita il battito accelerato. Non era la paura per quello che l’aspettava – si accorse di non volerlo sapere, l’attesa la eccitava a dismisura – ma l’improvvisa consapevolezza di non riuscire più a farne a meno. Di quella vicinanza, della strana tensione erotica che si era accesa come un fiammifero e che la scaldava anche quando era convinta di non pensarci.
Non aveva mai provato desiderio per qualcuno, ma se quello era l’effetto che provocava, si maledisse per esserne rimasta all’oscuro fino a quel momento. Si chiese persino cosa avrebbe provato, se Gabriel l’avesse sfiorata come nelle fotografie che le aveva mostrato. La sola idea le provocò un’ondata di calore e uno spasimo tra le cosce.
Si allungò verso il comodino, accendendo la radio a tutto volume e torturandosi il labbro mentre infilava una mano sotto le mutandine, trovandosi incredibilmente bagnata. Si toccò il clitoride, soffocando un gemito e azzardando una carezza più profonda. Non lo aveva fatto molte volte, troppo timida per seguire i consigli delle sue coinquiline, che si prodigavano in racconti dettagliati e affermando senza ombra di dubbio quanto fosse soddisfacente.
Cercò un ritmo, lasciandosi trasportare dalla melodia in sottofondo e assecondando i desideri che il suo corpo sembrava urlare a gran voce. Prese coraggio e infilò un dito tra le labbra gonfie, ritirandolo quasi immediatamente quando venne travolta dall’orgasmo. Rimase così, gli occhi spalancati verso il soffitto e il respiro ansante, godendo della piacevole sensazione di appagamento mentre il piacere sfumava.
 
Quando si fermò davanti alla villa dove Gabriel abitava, a qualche minuto di distanza dalla facoltà, prese un profondo respiro prima di scendere dalla macchina. Si guardò nello specchietto retrovisore, tranquillizzandosi nel trovare la sua immagine sempre uguale, quasi avesse paura che quello che aveva fatto - arrossiva ancora all’idea – potesse lasciare un segno tangibile sul suo volto.
Una volta chiusa la portiera dell’auto, ogni pensiero scomparve di fronte alle decorazioni di Halloween che ricoprivano la casa. Sorrise meravigliata, avanzando lentamente per cogliere ogni dettaglio.
Zucche di ogni dimensione costeggiavano il vialetto lastricato, mentre una finta lapide incrinata sbucava tra le radici della grande betulla ormai spoglia. La veranda, solitamente un tripudio di fiori multicolore, era costellata da ragnatele e piccole luci evanescenti, che le facevano brillare come se fossero d’argento. Piccole candele illuminavano i davanzali delle finestre, mentre un enorme scheletro era appoggiato alla ringhiera, quasi fosse stato dimenticato lì da secoli. Nella confusione di quei giorni, si era persino dimenticata di quanto poco mancasse alla notte di Ognissanti.
Si stava ancora guardando attorno, quando vide Gabriel andarle incontro. «Quest’anno mia madre ha dato davvero il meglio di sé», l’aspettò appoggiato alla colonna della veranda, porgendole la mano quando fu abbastanza vicina.
«È davvero incredibile», rispose con le labbra socchiuse in una piccola “o” piena di stupore, mentre si lasciava trascinare oltre la porta, su cui campeggiava una ghirlanda di zucche luminose.
Attraversarono l’ingresso, salendo le scale e oltrepassando il piano delle camere. «Mi hai sorpreso, lo ammetto», Gabriel si fermò di fronte alla porta della mansarda, rivolgendole un ghigno sornione da sopra la spalla, «non credevo avresti resistito fino a questo punto».
«Semplice spirito di contraddizione», gli rispose con un’alzata di spalle, sorpassandolo ed entrando prima di lui.
Ancora una volta, rimase completamente spiazzata da quello che trovò.
Sotto il grande lucernario, che lasciava intravedere un’ampia porzione di cielo all’imbrunire, era disposta una coperta da pic-nic con un cestino di vimini, due calici di cristallo e uno splendido mazzo di fiori dai colori caldi dell’autunno. Sul pavimento, quasi a indicarle la strada, un tappeto di foglie sembrava volerle ricordare un bosco. C’erano candele su ogni mobile, la cui luce flebile ma accogliente mitigava quella incandescente del tramonto.
«Cosa mi devo aspettare ancora da te?».
«Potresti non resistere alla mia sconfinata fantasia», Gabriel sogghignò, affiancandola e facendole segno di seguirlo. Tolsero le scarpe, accomodandosi sul pavimento come se fossero davvero all’aperto. «Pronta per cominciare?».
«Quindi il quarto passo è “resistere alle tentazioni”?».
«No. Io più che altro», prese dal cestino un bellissimo piatto decorato, pieno di fragole ricoperte di cioccolato, «imparerei ad assecondarle». Prese un frutto tra le dita, invitandola ad avvicinarsi, «quindi questo quarto passo sarà gustare». Deirdre allungò la mano, ma lui si ritrasse, un sorriso furbo ad incurvargli le labbra, «se vuoi qualcosa, devi andare a prendertela».
«Se la metti così», lo fulminò con lo sguardo, mettendosi in ginocchio e sporgendosi verso di lui, «ti pentirai di avermi sfidata, Doerthy». Assaggiò la fragola direttamente dalle sue mani, chiudendo gli occhi quando il sapore dolciastro le invase i sensi e mugugnando di soddisfazione, «squisita».
«Ti sei persa la parte migliore», indicò con il mento le sue dita sporche di cioccolato, avvicinandosi con lentezza fino a disegnarle i contorni della bocca. Ingoiò un gemito quando sentì la punta della lingua di Deirdre leccargli il polpastrello, mentre schiudeva le labbra per succhiarlo con delicatezza, nel modo più innocente ed eccitante che potesse immaginare.
«Perché lo stai facendo?», gli chiese per infrangere lo strano silenzio teso che si era venuto a creare.
«Mi piace aiutare la gente in difficoltà», alzò le spalle con noncuranza, addentando un’altra fragola, «ho un animo nobile e puro in fondo». Lo sguardo che incontrò, e che non si era aspettato, lo lasciò senza fiato. Gli occhi di Deirdre avevano sempre avuto un linguaggio tutto loro, un modo di esprimersi più intenso di qualsiasi parola. Gli stavano chiedendo di fidarsi, come aveva fatto lei. «Perché speravo che questi cinque passi ti portassero da me», ammise infine.
«Il quinto passo», Deirdre sussurrò appena, la voce appena incrinata, «quale sarebbe stato il quinto passo?».
«Ti avrei lasciato scegliere», strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, «volevo solo… speravo che ti fidassi abbastanza da voler affrontare la tua prima volta», cercò nuovamente i suoi occhi, allungando la mano per accarezzarla e trattenendo il fiato quando non lo respinse, «insieme».
La rabbia le colorò il viso, facendola irrigidire, «hai fatto tutto questo solo per portarmi a letto?».
«Non essere sciocca».
«Puoi avere chi vuoi Gabriel», ringhiò quasi, cercando in qualche modo di trattenere le lacrime, «perché io? Perché adesso?».
«Egoismo, forse», sorrise stanco, distogliendo lo sguardo, «non riesco più a lasciarti andare. Non ho mai voluto farlo, da quando mi sei caduta tra le braccia».
Deirdre gli strinse il polso, in cerca di un appiglio contro il mondo che le vorticava attorno. Si chinò appena in avanti, accostandosi al suo volto con una lentezza esasperante. Rimase ad un solo respiro di distanza, posando la fronte contro la sua e socchiudendo gli occhi. «Idiota», lo colpì con un pugno sul braccio, poi con un altro e un altro ancora. Si avvicinò di più, calibrando ogni movimento come un equilibrista sospeso a metri d’altezza.
«Eire, non lo fare», le infilò le mani tra i capelli, respirando la sua stessa aria, «non devi farlo per me».
«Sei il solito egocentrico», sorrise, strofinando il naso contro il suo, «chi ti dice che lo stia facendo per te?». Fermò ogni sua protesta passandogli le braccia intorno al collo e scuotendo appena la testa, «non posso dire di amarti. Ma se quello che provo con te è anche solo una vaga idea di quello che chiamano amore, allora voglio scoprire anche il resto. Voglio tutto». Non gli diede tempo di ribattere, baciandolo come forse aveva sempre desiderato fare. Lo gustò senza fretta, muovendo piano la bocca sulla sua, lasciandosi sfuggire un gemito quando le cercò la lingua. Socchiuse le labbra, lasciando che il suo sapore la invadesse, inarcando la schiena e assecondando la carezza delle sue mani. Le sentì intrufolarsi sotto il maglione, cercando la pelle nuda e spingendola verso di lui.
Gridò di sorpresa quando, con un solo fluido movimento, Gabriel la fece sdraiare sulla coperta, scoppiando a ridere mentre le pizzicava un fianco. Si irrigidì quando sentì il reggiseno sganciarsi, lasciando spazio alle dita curiose e gentili del ragazzo. Le stuzzicò un capezzolo, facendola sussultare e percorrere da un brivido intenso.
«Forse sto correndo troppo», le cercò ancora la lingua, sentendola di nuovo tranquilla tra le sue braccia.
«Spogliami», glielo sussurrò sulle labbra, prima di morderle.
«Arriverà il momento per tutto, Eire», le baciò il naso, le palpebre chiuse, la bocca.
«Spogliami adesso», Deirdre si mise a sedere, sfilandosi il maglione e rimanendo in intimo, prendendogli la mano e facendogli scostare le spalline della canottiera e del reggiseno, «ti prego».
Gabriel le sorrise, liberandola degli indumenti come se stesse lentamente conquistando un castello inespugnabile, sigillando con un bacio ogni lembo di pelle lasciata scoperta, quasi a voler gridare al mondo che lui era stato lì prima di tutti, e che nessuno avrebbe potuto farlo dopo. Il profumo della sua pelle lo inebriava, eccitandolo a dismisura. La morbidezza del suo seno sotto il palmo era talmente invitante da farlo spasimare, mentre si chinava a raccogliere un capezzolo tra le labbra e lo succhiava, godendo dei suoi gemiti.
Si allontanò solo per spogliarsi in fretta, lasciandole il tempo di abituarsi all’immagine del suo corpo nudo e dagli effetti evidenti che lei aveva su di lui. Quando tornò a sdraiarsi accanto a lei, si prese un lungo momento per baciarla. Gli piaceva la sua timidezza, quella totale fiducia che gli dedicava ogni volta che schiudeva le labbra e si azzardava a sfiorargli il petto con le dita, quasi stesse cercando il posto giusto dove mettere le mani e potersi aggrappare a lui.
Le scostò le mutandine, trovandola così bagnata e calda da rendere difficile resisterle. Provò ad infilare un dito, facendola tremare tra le sue braccia e mugugnare sulle sue labbra. La sentì dischiudere appena le gambe, muovendo il bacino per assecondare le sue carezze, mentre le guance si coloravano per l’imbarazzo. «Puoi chiedermi tutto quello che vuoi», le sorrise contro il collo, prima di depositarvi un bacio e sfiorarle il clitoride, «non devi vergognarti, mai». La stuzzicò in superficie, preparandola con delicatezza prima di tornare a penetrarla, «ti piace?». Deirdre rispose con un gemito, mordendosi un labbro e stringendo la coperta tra le mani. «Parlami Eire».
«Non ti fermare».
Riprese a stimolarla, alternando piccoli movimenti circolari a carezze in superficie, e infine aggiunse un secondo dito. La sentì irrigidirsi, ma quando provò ad allontanarsi Deirdre strinse le cosce attorno alla sua mano, trattenendolo fino a quando l’orgasmo non esplose sui suoi polpastrelli. Non riuscì a resistere all’impulso di leccarli, ma lei glielo impedì, allungandosi per poterli succhiare prima di lui. Gabriel tremò, mentre il suo sesso rispondeva dolorosamente a quel tocco ingenuo. «Stai mettendo a dura prova il mio autocontrollo», tornò a sovrastarla, sprofondando il viso tra i seni e scorrendo in una lenta carezza lungo i fianchi. Quando raggiunse le mutandine, le afferrò per il bordo, cercando il suo consenso prima di sfilarle del tutto. La guardò, gli occhi lucidi per il piacere e il respiro irregolare, e un’emozione indescrivibile lo lasciò quasi frastornato. «Sei così bella», lo sussurrò sulla sua pelle, accarezzandola con le labbra fino a raggiungere la sua bocca, baciandola con dolcezza.
«Lo dici solo per non farmi sentire una patetica imbranata»
Sorprendendola, le prese la mano posandola all’altezza del cuore. Batteva rapido, eccitato e trepidante solo per lei. «Credi ancora che ti stia mentendo?».
«Come farò a farti provare piacere?», si agitò tra le sue braccia, arrossendo quando la sua erezione le sfregò contro la coscia, «non so cosa fare, ho paura di…».
«Ma lo senti, l’effetto che mi fai?», Gabriel scoppiò a ridere, baciando il broncio che le adombrò il viso. «Non sei obbligata Eire. Fermami, dimmi di no, perché io non ne sono in grado».
«No», rispose dopo un istane di silenzio infinito, in cui si perse tra i lineamenti di quel viso così bello e virile, accarezzandolo in punta di dita, «hai detto che avrei potuto scegliere il mio quinto passo. Voglio che sia il primo, di tutti i milioni che percorreremo insieme». Prese un profondo respiro, allargando le gambe e lasciando che si sistemasse meglio su di lei. Era emozionata e impaurita e non era in grado di formulare un solo pensiero sensato.
«Farò piano», le baciò il naso, posando la fronte contro la sua e lasciando che le loro dita si intrecciassero, «ma siamo noi Eire, noi. Voglio che tu mi dica se c’è qualcosa che non va».
«Mi fido di te». Trattenne il fiato quando lo sentì farsi strada lentamente dentro di lei, stringendo i denti e preparandosi al dolore.
«Eire, guardami», si fermò, avvertendo l’ultima barriera pronta a cedere. Incontrò i suoi occhi, trovandovi una confusione di sensazioni che lo intenerì, mentre le faceva piegare una gamba per avere maggior accesso. «Guardami», uscì appena, provando a placare la sua tensione con carezze vellutate. «Respira con me», la baciò a tradimento, prendendola con un’unica spinta, sperando di essere deciso e dolce abbastanza da non farle troppo male.
Deirdre soffocò il dolore contro la sua spalla, graffiandogli la schiena e ansimando. In mezzo alla sofferenza, avvertiva la presenza di Gabriel dentro di sé, che riempiva quel vuoto che non si era mai accorta di voler colmare. Rise, mentre una lacrima le scivolava lungo una guancia, cercandogli le labbra e baciandolo quasi con disperazione.
«Sei così calda», Gabriel provò a muoversi, studiando le espressioni che le comparivano sul volto e fermandosi ogni qualvolta glielo chiedeva, «è stupendo Eire». Il corpo di Deirdre sembrava muoversi alla ricerca di un contatto costante con il suo, quasi fosse diventato indispensabile anche solo per respirare. Quando la sentì gemere, pensò di perdere completamente il senno.
Si perse tutto in una confusione di baci e carezze, mentre si amavano ad un ritmo dolce ed incerto, cercando la sintonia tra i loro corpi che sembravano solo desiderosi di amarsi.
 
Nonostante si sentisse sfinita e dolorante, Deirdre non riusciva a prendere sonno. Si girò verso Gabriel, addormentato accanto a lei e con un braccio a circondarle la vita. Sorrise, scostandogli una ciocca che gli era scivolata sulla fronte. Nonostante avessero parlato molto quella notte, avrebbe voluto dirgli ancora un milione di cose.
Un’improvvisa consapevolezza la travolse e la stordì, facendola alzare in tutta fretta. Sfilò il portatile dallo zaino, tamburellando le dita sulle ginocchia in attesa che si accendesse e accorgendosi solo in un secondo momento di essere ancora nuda. Arrossì, tornando sulla coperta e mettendosi comoda. Cercò la mano di Gabriel, posando un piccolo bacio su ogni polpastrello, posandola sulla coscia e godendo del calore che le trasmetteva.
Fissò il foglio bianco e il lampeggiare ritmico del cursore, sorridendo prima di iniziare a scrivere.
 
 
 
 
 
 
 
[1] Testo di Floriana Fasti, blogger e scrittrice, che attraverso la scrittura creativa cerca di far emergere le tensioni insite nell’eros
[2] La canzone citata è I put a spell on you di Annie Lennox. A prescindere dal fatto che faccia parte della colonna sonora di Cinquanta sfumature di grigio, la sensualità della musica e del testo mi hanno convinta ad utilizzarla per gli scopi della storia.
[3] Questa invece è Nothing else matter dei Metallica, una delle canzoni che amo di più


Benvenuti car* lettrici/lettori!
Questo autunno così strano, dove non sappiamo esattamente cosa succederà da una settimana con l'altra, sembra invece essere fervido di contest.
Lo so, mi ero ripromessa di non cascarci, almeno per un po' di tempo, ma cosa ci volete fare. I giudici creano idee così interessanto, che è impossibile non cedere.
E poi c'è l'autunno. Ovunque.
E mi rapisce sempre.
Questa storia è nata in modo strano, in un contesto completamente diverso da EFP. L'idea è arrivata pensando ad una persona precisa, a quei cinque passi che in qualche modo abbiamo compiuto insieme - non come Deirdre e Gabriel, ma in un avvicinamento molto simile - e che ci hanno portato a sorprese davvero inaspettate.
Ho provato a raccontarveli, in altri ambiti e in altri luoghi, ma c'è tanto di vero in tutto questo.
Spero che almeno, alla fine di tutto, vi siate emozionati. Non pretendo tanto, anche solo un po'.
Aspetto a braccia a perte ogni vostro commento - positivo o negativo - e spero tanto che abbiate voglia di condividere con me quello che ne pensate.
Alla prossima storia!
Morgana
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: morgana85