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Autore: Lisaralin    18/11/2020    3 recensioni
La prima esibizione di Carlotta Giudicelli a un anno dagli eventi del Fantasma dell'Opera.
[segue la versione del musical di ALW]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto è follia nel mondo


Il trucco, con il rossetto, è non esagerare. Mai. 

Labbra troppo rosse denotano le donne di strada e le ballerine da quattro soldi, ma Carlotta Giudicelli è una soprano professionista. Un’Étoile di prim’ordine. Un velo scarlatto è più che sufficiente ad esaltare i contorni e dare alla bocca una sfumatura suadente senza però scadere nel volgare.
Soddisfatta, Carlotta rimira il risultato nello specchio del suo camerino. La cipria ha nascosto egregiamente le linee intorno agli occhi e il leggero sfumato sulle palpebre conferisce il giusto alone di mistero. Non resta che agganciare gli orecchini e indossare il collier di brillanti. In pochi secondi, la sua trasformazione in Violetta è completa.
Un’apparenza impeccabile rappresenta la prima linea di difesa contro gli strali dei critici e le malignità del pubblico.
Specialmente stasera.
La preparazione prima dello spettacolo è sempre stata un momento importante nella sua routine di artista. La Prima Donna dell’Opéra Populaire di Parigi poteva vantare un ampio stuolo di truccatori e costumisti ad assisterla nel compito, ma questo era prima. Prima dell’incidente, prima degli orrori innescati dalla mente perversa del criminale che si faceva chiamare “Fantasma dell’Opera”. Quando ancora esisteva un’Opéra Populaire.
Quando ero ancora degna di essere chiamata “Prima Donna”.
Non lo pensa veramente. L’autocommiserazione non le è mai appartenuta. Sono quei maledetti titoli di giornale a strisciare tra i suoi pensieri come serpenti umidi e vischiosi. Per quanto si sforzi di non leggerli, è difficile non farci caso quando persino il cocchiere e l’usciere del teatro glieli sussurrano dietro le spalle, additandola ad amici e passanti quando pensano che lei non li senta.
“Quella di sabato sera sarà la prima esibizione della Signora Giudicelli a un anno dal lutto. Secondo le indiscrezioni di un membro del corpo di ballo, l’ex Prima Donna dell’Opéra Populaire sarebbe scoppiata in lacrime in diverse occasioni nel corso delle prove, in particolare durante il celebre duetto di Violetta e Alfredo. È dunque lecito domandarsi se questo ritorno in scena segnerà l’inizio di una fase più matura della sua carriera o sarà, molto più probabilmente, il suo canto del cigno...”
Deve trattenersi per non afferrare una boccetta di profumo e scagliarla con forza sul pavimento. Invece costringe le dita a serrarsi intorno a un ricciolo ribelle e lo sistema nuovamente dietro l’orecchio mentre inala profondamente una boccata d’aria nei polmoni.
Giornalisti, maledetti sciacalli. Maestri nel prendere un granello di polvere e trasformarlo in una tempesta di sabbia. È scoppiata a piangere durante le prove, è vero. Ma una volta. Una volta sola. La prima, dopo tanti anni, in cui aveva provato a cantare quel verso.
“Tutto è follia nel mondo ciò che non è piacer.”
Era il preferito di Ubaldo. Quante volte lo aveva sentito dire che avrebbe voluto poter interpretare il ruolo di Violetta soltanto per il piacere di cantare davanti a un pubblico quelle dieci parole?
“È la mia filosofia di vita racchiusa in una sola frase!” amava ripetere, con quel suo sorriso che faceva risplendere la platea più di mille candelieri di cristallo.
Ubaldo sapeva sempre come tirarla su di morale. Se fosse qui, adesso, accartoccerebbe il giornale tra le sue mani grandi e forti e inventerebbe qualche appellativo colorito e particolarmente scanzonato per mandare a quel paese l’esercito di criticoni.
Non servirebbe a  cancellare gli insulti, ma la farebbe sentire meno sola.
Carlotta sospira, raccoglie le balze della gonna e getta un’occhiata alla pendola al lato dello specchio. Mezz’ora all’ingresso in scena. Per fortuna ha già indossato i guanti, altrimenti non riuscirebbe a vincere la tentazione di mangiarsi tutte le unghie una dopo l’altra. Si vergogna di quest’ansia da debuttante inesperta. Pensa di ingannare l’attesa con qualche esercizio per scaldare la voce, ma i versi di Verdi sembrano evadere in massa dal suo cervello, ora completamente invaso dai sussurri delle malelingue.
“Il canto del cigno.”
“Una carriera finita.”
“Dovrebbe sapere quando ritirarsi.”
“Se ne tornasse a invecchiare in Italia.”
Improvvisamente fa caldo sotto gli strati di seta del costume di scena. Il respiro accelera, vorrebbe liberare il collo, sganciare quella collana pesantissima che la sta strangolando. Il cuore torna a martellare come durante quella notte fatale, quando rossa in viso e madida di sudore aveva scostato le tende delle quinte per svelare il corpo senza vita di...
No!
Sente il calore delle lacrime pizzicare agli angoli degli occhi. A testa bassa, si fissa i palmi delle mani, come stordita. Per un attimo, il suo unico pensiero è che dovrà rifare tutto il trucco daccapo.
Invecchiare in Italia. Ironia della sorte, gli sciacalli avevano quasi scritto qualcosa di vero, anche se non potevano saperlo. Se non si fosse intromesso quel maledetto Fantasma, a quest’ora un’altra soprano sarebbe in procinto di entrare in scena al suo posto, e Carlotta si godrebbe il sole e un calice di buon vino accanto al mare scintillante della sua terra natale. Lontana dai cieli fumosi di Parigi, gravidi di temporali e di pettegolezzi. 
Ubaldo aveva ereditato un piccolo appezzamento di terreno nei pressi di Napoli e, in anni di onorata carriera, avevano messo da parte abbastanza denaro da costruirci una bella villa in stile moderno con tanto di orto e giardino. 
Doveva essere il loro lieto fine. Era solo naturale che il cerchio si chiudesse lì dove tutto era iniziato, a poca distanza da quel palcoscenico dove Violetta e Alfredo si erano guardati e sorrisi per la prima volta. Un’infinità di anni prima.
Ma evidentemente non è destino. Il suo paese le manca, ma in cuor suo Carlotta sa già che esalerà l’ultimo respiro senza mai rivederlo. Dopotutto, senza Ubaldo non avrebbe alcun senso.
Se il lieto fine le è precluso, tutto ciò che le resta è mandare avanti lo spettacolo, e farlo durare il più a lungo possibile. Strappare i bis e gli applausi al pubblico con le unghie e con i denti. Caparbiamente, sola contro tutto e tutti.
È questo pensiero a darle la forza di riprendere tra le dita tremanti il pennello della cipria e passarlo nuovamente sulle guance. Una passata dopo l’altra, Carlotta nasconde la solitudine sotto un velo di perfezione senza tempo.
Mentre lavora, gli occhi fissi sullo specchio, trova persino la forza di canticchiare:
“Tutto è follia nel mondo ciò che non è piacer.”
E quale piacere sarà più grande che far strozzare i critici nel loro stesso veleno con l’esibizione del secolo?

  
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