Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    20/11/2020    1 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo dodicesimo 
 

Tallulah aprì la porta ed uscì nell’aria frizzantina, posando la scopa e godendosi un po' il cinguettio degli uccelli ed il verde tutto intorno: la segretezza attorno agli esperimenti che Hanje voleva fare su Eren li aveva portati in quell’area remota di Rose e sinceramente non le dispiaceva affatto. Gli alberi circondavano il piccolo cottage ed erano molto più rigogliosi di quelli nei pressi del loro quartier generale; in più era assieme a tutti i suoi amici e c’era anche Levi che dormiva a due passi da lei. Onestamente la cosa non le aveva fatto chiudere occhio, a dispetto di tutte le cose ben più importanti che dovevano affrontare. Anzi, quando aveva sentito il respiro addormentato di Mikasa non aveva resistito: le dita le erano scivolate dentro il pigiama, oltre le mutandine, e si era toccata con il suo nome sulle labbra. Era una cosa nuova per lei, non aveva mai sentito quell’impulso prima, ma Levi la faceva andare fuori di testa. Sorrise al nulla, riprendendo a spazzare il vialetto di pietra, ben attenta a non calpestare la gonna troppo lunga che le avevano fornito. Era la cosa più simile ad un vestito che indossava da anni. Lo stridio di una carrozza le fece alzare gli occhi e alzò un braccio per salutare Armin, Sasha e Jean di ritorno con le provviste.  
«Vi serve una mano a scaricare?» esclamò quando si fermarono lì di fronte.  
«No, grazie, in realtà c’è poca roba. Il capitano è tornato?» si informò Sasha. 
«Non ancora»
«Sasha» la rimbeccò Jean «Se lo stai chiedendo per sgraffignare qualcosa di nascosto, ti farà a pezzettini».  
Tenne loro la porta aperta per farli entrare e ascoltò divertita le grida di Eren sulla polvere che stavano portando in casa.  
«Oh, ragazze siete già tornate?». 
Mikasa e Historia spuntarono dal retro, cariche di legna. 
«Sì, qui ci sono tronchi in abbondanza».  
Entrarono con sguardo similmente vuoto e alzò gli occhi al cielo: saranno state in silenzio per tutto il tempo? Tornò al suo lavoro ed iniziò a canticchiare un motivetto sottovoce, in sottofondo le chiacchiere dei suoi amici. Il pensiero di poter vivere così per sempre le provocò una forte nostalgia, nostalgia per qualcosa che non sarebbe mai accaduto. Eppure, c’era una strana atmosfera di pace lì, come se avessero messo il mondo in pausa. A Maria sarebbe piaciuto così tanto.
«Non si spazza così, mocciosa. Stai disseminando terra dappertutto». 
Si voltò verso la voce profonda che la interruppe di nuovo e sorrise.  
«Bentornato Capitano».  
Levi sentì il cuore accelerare nel vederla sull’uscio ad accoglierlo e gli sfuggì una smorfia stizzita: avanzò verso di lei e le prese bruscamente la scopa dalle mani, sfregando le setole per terra con movimenti più decisi. Tallulah lo fissò con un’aria tra il sorpreso e il divertito.
Scommetto che nessuno si immagina il soldato più forte dell’umanità alle prese con una scopa...
«Ohi! Devi guardare a terra, non me». 
Arrossì e abbassò gli occhi con un mezzo sorriso «Scusi». 
L’uomo le restituì la scopa e si costrinse a volgere lo sguardo.
«Sono tutti dentro?» 
«Sì, abbiamo quasi finito le faccende, Eren è in modalità casalinga da ore» scherzò e Levi sollevò le sopracciglia alla confusione che proveniva dall’interno.  
«Tch. Scommettiamo?».  
Tallulah lo seguì nell’abitazione, togliendosi il fazzoletto dai capelli.  
«Cos’è tutto questo chiasso?» chiese il soldato, a sua voce persa nella baraonda generale e nemmeno il gesticolare di Tallulah riuscì ad attirarne l’attenzione. Levi passò la mano sotto il tavolo e si osservò poi le dita con fare seccato: a quel punto era calato il silenzio e la ragazza contrasse le labbra per evitare di ridere alla vista della faccia terrorizzata di Eren. Se si fosse lasciata scappare un solo suono Levi l’avrebbe messa sotto torchio per tutta la settimana successiva.
«Vi pare d’avere tempo per ciarlare come delle galline?».
Il tono della sua voce le fece salire un brivido lungo tutta la schiena e non sapeva se fosse di paura o di eccitazione. Forse entrambi. Nessuno osò rispondere e l’uomo tirò fuori il suo fazzoletto.
«Non importa. Parleremo delle vostre insoddisfacenti pulizie più tardi. Eren, Hanje sta morendo dalla voglia di cominciare gli esperimenti. Muovi il culo»
«Ah, sì!» rispose il ragazzo titano e si sfilò il grembiule di dosso. Tutti ripresero a respirare e tornarono alle loro mansioni in fretta, per poi cambiarsi e raggiungere la radura che avevano scelto come campo di addestramento. 
 
I primi esperimenti non andarono come previsto. Eren creava giganti prematuri, troppo smilzi o troppo bassi, nonostante gli sforzi.
«Secondo me Eren deve solo esercitare il corpo ad uno sforzo del genere. Tutta questa storia del gigante è fin troppo recente» ipotizzò Tallulah in risposta ai dubbi di Armin. «Il tuo piano non ha nulla che non va, lo ha detto anche Levi».
Il biondo aggrottò le sopracciglia al tono informale con cui l’amica aveva nominato il Capitano, ma rispose facendo finta di nulla, lo sguardo sulle bucce delle carote e delle patate che aveva iniziato ad ammucchiare lì accanto.
Ma non abbiamo molto tempo. È un miracolo che non ci abbiano già scoperti»
«Nemmeno il tempo può avere la meglio sul tuo genio, Armin» ridacchiò lei, mentre l’amico alzava gli occhi al cielo.
«Non sono un genio»
«Sì che lo sei. Riesci sempre a trovare la soluzione giusta» la ragazza sorrise alle patate ed Armin si bloccò.
«Non sempre. O non avresti dovuto mettere la tua vita in pericolo per colpa mia» disse in tono grave e Tallulah smise di respirare per qualche secondo. La ragazza sentì il cuore stringersi e gli afferrò una spalla per costringerlo a guardarla.
«Avresti fatto esattamente lo stesso per me. Smettiamola di sentirci sempre in colpa l’uno per l’altra, ok?».
Il biondo guardò il volto agitato dell’amica e si sentì sollevato, tanto da curvare la bocca in un sorriso.
«Sei sporca di farina».
Tallulah sbuffò un mezzo sorriso, rilasciando quell’improvvisa tensione. Allentò la presa e sbadigliò; Armin le lanciò un’occhiata tra una carota e l’altra. 
«Stai riuscendo a dormire?» le chiese, cambiando discorso.
«Più o meno» rispose lei, spostandosi con il dorso della mano una ciocca di capelli. «Spero di fare tutta una tirata stanotte, domani parto con Hanje»
«Già... Ma come mai state andando a Trost?»
«Non lo so». Tallulah scosse la testa e si guardò attorno per assicurarsi che fossero soli. «Secondo me c’entra il reverendo, ma non credo che ci rivelerà altro. L’ultima volta era sconvolto e ci ha solo dato un nome»
«Historia». Armin si fermò per qualche secondo come se fosse sovrappensiero «A volte mi chiedo come abbiamo fatto a non accorgerci di così tante cose». 
La ragazza non rispose, ma strinse troppo la presa sul coltello e la lama le affondò sull’indice. 
«Cazzo»
«Ferma, non toccare». L’amico mollò il lavoro e le afferrò delicatamente il polso per vedere la lieve ferita. «Sei sempre distratta» mormorò a bassa voce e un istante dopo chinò la testa prendendo il polpastrello tra le labbra. Tallulah si immobilizzò al contatto con la lingua umida del biondo e lo fissò sconcertata; solo qualche secondo dopo Armin si rese conto di cosa stesse facendo e quando rialzò la testa era rosso in volto. 
«Ho letto-Ho letto che la saliva può disinfettare» farfugliò, tornando in fretta alle sue carote. La riccia sbatté le palpebre, incerta e vagamente imbarazzata. 
«...Arm-». 
Dei passi la zittirono prima che potesse proseguire e fece un cenno a Connie appena entrato in cucina con della legna. Poi prese il suo fazzoletto e se lo legò attorno al dito, riprendendo il coltello in mano. Per un po' ci fu il silenzio, interrotto solo dal rumore dell’attizzatoio. Tallulah si voltò per mettere a bollire dell’acqua nel grosso pentolone, ma la vista di Connie sotto i fornelli che guardava assente le fiamme la bloccò.
«È un po' che ci penso...» cominciò allora e i ragazzi quasi sobbalzarono a quell’improvviso suono. Connie si era quasi dimenticato della presenza degli amici ed Armin era troppo immerso nel ripercorrere con vergogna gli istanti precedenti. In quel momento Mikasa si unì a loro dirigendosi verso il lavabo. 
«Che ne pensate di scambiarci i regali tra di noi? Per la festa della quadriglia, intendo» chiese, trattenendo il fiato. Aveva deciso di non dire nulla e lasciar correre vista la situazione, però credeva davvero che un po' di distrazione avrebbe fatto bene a tutti. Sorprendentemente la prima a rispondere fu proprio Mikasa, intenta a riempire un bicchiere d’acqua. 
«Mi piacerebbe fare un regalo ad Eren. Potrebbe tirargli su il morale» disse semplicemente ed Armin ci pensò su. 
«Sarebbe bello, ma dovremmo ricevere il permesso per andare in paese a comprarli»
«Potrei chiedere ad Hanje di intercedere per noi» propose la riccia e lo sguardo di Connie si ravvivò appena, per poi spegnersi nuovamente. 
«Non ho abbastanza soldi per prendere dei regali per tutti voi...»
«Di che state parlando?» proruppe Sasha, attirata dal profumo del cibo che cominciava a diffondersi nella casa. 
«Tallulah ha pensato di fare la festa della quadriglia tra di noi».
La riccia alzò un braccio, tentando di spiegare che aveva proposto solo dei semplici regali. «N-no, veramente io-» 
«Che bello! Potremmo preparare una cena speciale!» esultò Sasha battendo le mani e alzò lo sguardo al soffitto immaginando dio sa cosa. «Magari potessi fare lo stufato di carne di mio padre...»
«Ohi, è l’ora del cambio di guardia! Chi di voi ha il turno?» si intromise improvvisamente Jean da fuori, bussando alla finestra. Dietro di lui, Historia li fissava imperturbabile.
«Jean! Che pensi di una festa?» gridò Connie per farsi sentire, mentre Armin aveva cominciato a parlare con Sasha di come distribuire i regali. 
«…........... sorteggio.........pesca il nome.............a cui.....» le arrivavano solo frammenti del discorso, mentre continuava a girare le patate.
«EH? TI FA MALE LA TESTA?» urlò Jean in risposta a Connie, il quale prese a gesticolare. 
«Ma che sta succedendo?». Tallulah a stento sentì la voce assonnata di Eren, riemerso da un sonno ristoratore e non fece in tempo a dire nulla che tutti cominciarono a parlare nello stesso momento, improvvisamente animati. La riccia sorrise sotto i baffi, soddisfatta di quel risultato insperato; un colpo di tosse, tuttavia, spense quell’entusiasmo all’istante e tutti si voltarono verso la figura altera sulla porta. 
«Vedo che l’avvertimento di stamattina non è servito» pronunciò Levi con tono fin troppo calmo. I ragazzi si guardarono imbarazzati e dopo alcuni secondi Sasha prese coraggio, puntando però il dito alla sua destra. 
«Tallulah pensava di organizzare una festa! Con cibo, regali e tutto il resto». 
La diretta interessata sbiancò e lanciò uno sguardo assassino all’amica. Gli occhi di Levi saettarono su di lei e poté giurare di vederli contrarsi in modo minaccioso. 
«Sasha intende dire che avevo pensato solo di scambiarci qualche regalo per la festa della quadriglia... Con il suo permesso ovviamente, Capitano» pigolò, cercando di rimediare con un sorriso indeciso. Levi tacque e fece di tutto per ignorare il suo io interiore, distratto dal rossore delle guance della ragazza. Non sapeva cosa gli stesse succedendo in quegli ultimi giorni, forse era quell’improvvisa vicinanza o il fatto che lei continuava a guardarlo come se fosse la cosa più bella della sua giornata, a dispetto della sua freddezza; fatto sta che si sentiva continuamente deconcentrato, sopraffatto. Vulnerabile, ma non lo avrebbe mai ammesso.
«Mh. Vedremo» fu la sua unica risposta e lo stupore generale si lesse negli occhi di tutti. Solo quelli di Armin si posarono su Tallulah con un lampo di comprensione.
 
Il carro si muoveva troppo lentamente in confronto all’ansia che Hanje aveva di tornare all’accampamento. Tallulah guardò il paesaggio inondato dall’arancione del tramonto e ripensò a ciò che avevano appena visto. Mandò giù un grumo di bile al ricordo degli occhi esangui e spalancati del reverendo, riversi in chiazze di sangue. Le aveva ricordato in modo inquietante il viso morto di Maria. Tornò a guardare la donna, soffermandosi sul sudore che le imperlava la fronte e sulle spalle rigide. Non aveva detto nulla da quando avevano lasciato la caserma, se non qualche indicazione a Moblit ed un altro soldato che non conosceva. 
«A cosa sta pensando?» le chiese ad un tratto, sperando di interrompere il flusso dei suoi pensieri sicuramente spiacevoli. Lo sguardo di Hanje tornò alla realtà e incrociò quello di Tallulah, dritto e deciso come se volesse penetrarle la mente; la donna si costrinse a metterla in ordine per permetterle di entrare.
«Hai visto anche tu ciò che ho visto io?» le chiese per una conferma in realtà inutile.
«Intende se ho visto un omicidio per furto o una tortura?».
Hanje non rispose e lei lo interpretò come un silenzio assenso; rifletté per alcuni secondi, richiamando alla mente la macabra scena «Come ha già detto le nocche di quel soldato erano sbucciate; inoltre, il reverendo aveva segni di corda sulla camicia all’altezza delle braccia e dei polsi. A mio parere ha ragione lei, ma la verità viene sempre stabilita dal potere».
Il solco sulla fronte di Hanje aumentò. Se solo avesse anticipato quel viaggio, se solo avesse avuto più mezzi a disposizione per assicurargli una copertura migliore ora Nick non sarebbe morto.
«È stata molto forte, Hanje».
La donna sollevò la testa, stupita.
«Intendo, con quei gendarmi. Probabilmente si sta incolpando, ma lei ha fatto il possibile per proteggerlo; il reverendo non avrebbe potuto avere un’amica migliore».
Hanje sorrise appena e si aggiustò gli occhiali sul naso, voltando il capo, imbarazzata.
«A volte mi inquieti mia cara».
 
Forse c’era qualcuno lassù che godeva nel farla soffrire. A questo pensava osservando da un promontorio il suo piccolo cottage circondato da soldati armati che probabilmente avevano sperato di sorprenderli mentre dormivano. Sapeva che c’erano situazioni molto pericolose in ballo, ma non aveva potuto farne a meno: si era lasciata sedurre dall’illusione di una vita tranquilla. Il messaggio di Erwin era arrivato a Levi nel bel mezzo del resoconto del loro viaggio a Trost e Tallulah aveva visto i tratti del soldato mutare in un nanosecondo. Aveva intuito la gravità ancor prima che dicesse loro di sloggiare. Si voltò verso gli amici, vestiti di tutto punto, e poi rabbrividì, oltrepassandoli con lo sguardo per puntarlo sull’orizzonte.
«Mi sento osservata» mormorò a nessuno in particolare ed Armin la guardò con il fucile tra le mani, prima di girarsi verso Levi. 
«Come faceva il Comandante Erwin a saperlo?»
«Ordini dal governo centrale, sembra. Le spedizioni fuori dalle mura del corpo di ricerca sono sospese. Dobbiamo consegnar loro Eren e Historia». L’uomo ignorò il sussulto di molti tra loro e Nifa si intromise.
«Non è tutto: subito dopo aver preso in consegna la lettera ho visto i gendarmi arrivare nell’edificio del Comandante»
«Ci stanno trattando come dei criminali!» si infervorò Hanje, stringendo i pugni.
«Ormai hanno smesso di badare alle apparenze»
«Quale sarà il segreto delle mura se si spingono a tanto per proteggerlo? E perché vogliono i ragazzi? Vogliono prenderli vivi»
«Chissà» le rispose Levi distaccato «In ogni caso, rimanere qui fermi con le mani in mano è troppo rischioso».
Dopo una veloce valutazione della situazione avevano deciso di andare a Trost, per guardare il nemico in faccia come aveva detto Levi e a quel punto Tallulah non provò nemmeno a fare delle ipotesi su chi fosse il nemico. C’erano troppe variabili in gioco. Non dormirono molto quella notte perché misero a punto un piano di emergenza, interamente basato sulla protezione di Historia ed Eren: per la gioia di Jean dovettero riutilizzare lo stratagemma dei sosia e stavolta ci andò di mezzo anche Armin.
«Sei davvero carina» gli disse la mattina dopo, non riuscendo a trattenere un sorrisetto mentre gli lisciava la frangetta sulla fronte. I preparativi erano quasi ultimati, gli altri aspettavano solo loro per uscire. Aveva insistito per occuparsi lei di aiutarli, pensando che Armin sarebbe stato meno imbarazzato, ma a quanto pare si era sbagliata di grosso.
«Non guardarmi!» mormorò lui e il rossore sulle sue guance si intensificò. Jean se ne stava in un angolo con un gran broncio, ma stavolta non osò lamentarsi davanti ad Armin, stretto nei vestiti di Historia: poteva decisamente andargli peggio. Il piano prevedeva che i sosia dei ragazzi attraversassero la città insieme a loro, mentre Eren ed Historia sarebbero saliti su un carro per raggiungere la dimora del Comandante Pixis. Tallulah si fece seria e si allontanò dall’amico: era leggermente in ansia, per la prima volta non sapeva cosa aspettarsi. Nelle spedizioni al di fuori delle mura conosceva l’orrore da affrontare, conosceva i giganti, la formazione, l’obiettivo. Adesso sembrava tutto nel caos e in più Armin era la esca.
«State attenti ragazzi».
 
Fuori la giornata era bellissima e l’atmosfera per le vie allegra e rilassata. La gente era felice per le provviste che il re aveva distribuito in occasione dell’anniversario della monarchia. Tallulah osservò le bandierine colorate e pensò che ormai potessero anche scordarsi la festa della quadriglia. Erano passati dall’essere soldati all’essere ricercati in un battito di ciglia. Distratta com’era si accorse troppo tardi che Levi si era fermato di botto ed andò a sbattere contro il suo zaino.
«Che cos-».
«Attenti! Dietro di noi!» gridò e Tallulah soffocò un grido quando si sentì afferrare per le braccia e spingere all’indietro. Un carro sfrecciante divise il gruppo e per qualche secondo l’unica cosa che sentì fu uno strepitio di zoccoli e ruote. Riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo di Levi, rendendosi conto di essere rannicchiata tra le sue braccia. L’uomo la scansionò in fretta per accertarsi che stesse bene, poi si rialzò e guardò il carro allontanarsi velocemente.
«Hanno rapito di nuovo Eren ed Historia!» gridò Sasha e Tallulah si riscosse, cominciando a correre per seguirli. Non dovevano lasciar nulla al caso.
 
«Mikasa, non possiamo starcene con le mani in mano!» sussurrò Tallulah alla corvina, la quale fissava la stessa scena dall’altro lato della finestra.
«Aspettiamo ancora un po’» mormorò lei con espressione concentrata. La riccia si morse le labbra con rabbia e tornò a fissare quel porco che metteva le mani addosso ad Armin.
«Scopriranno il trucco» ci provò nuovamente, stizzita, e strinse l’elsa delle sue lame, bruciando dal desiderio di sfondare quella finestra. Mikasa non rispose e Tallulah si arpionò nuovamente sul tetto, notando con sollievo la presenza di Levi.
«Capitano! Dobbiamo intervenire» lo raggiunse e l’uomo voltò appena il capo verso la sua voce concitata. «Non si può più aspettare, Armin è-».
«Mocciosa» la richiamò aspramente, interrompendola non appena sentì quel nome «Non puoi agire sulla base delle tue emozioni».
«Ma-»
«Vado da Eren. Ve la caverete benissimo da soli, questi furfanti sono dei novellini».
L’uomo si alzò, ansioso di allontanarsi dall’influenza snervante della ragazza. «Dopo che li avrete sconfitti venite da noi il prima possibile».
Tallulah annuì in silenzio e stava per tornare alla finestra quando la voce del soldato la bloccò.
«Un’altra cosa. Da adesso combatteremo non solo contro i giganti, ma anche contro le persone. Riferisci ai tuoi compagni».
Tallulah sgranò gli occhi e prima che potesse dire qualsiasi cosa lui volò via, lasciandola masticare il senso delle sue parole. Poi, l’immagine di Armin la riscosse.
Non ho tempo per pensare.
Scivolò giù dal tetto e fischiò per richiamare l’attenzione di Mikasa e Sasha.
«Procediamo» disse loro e fracassò quel dannato vetro, entrando nel deposito e arpionandosi alle travi in legno.
«Chi c’è?!» gridò l’uomo, ma non si mosse dal corpo dell’amico.
«Togligli le mani di dosso, maiale schifoso». Tallulah sorrise sadicamente poggiando i piedi a terra e cominciò a correre verso di lui che si allontanò da Armin di qualche passo.
«Tu chi sei-». Un gomito sul mento spezzò sul nascere le parole dell’uomo e Tallulah ne approfittò per calciargli lo stinco. Lo vide cadere sulle ginocchia con un lamento rauco. Abbassò gli occhi, notando con disgusto il cavallo dei pantaloni teso e dei ricordi presero campo nella sua mente.
Si ritrovò con la faccia schiacciata contro il cemento, mentre un corpo le si imprimeva addosso con forza.
Lo colpì con un calcio dritto nell’inguine, guardandolo cadere all’indietro e portarsi le mani sulla parte dolorante. 
Tentò di divincolarsi dalla stretta che le arpionava il capo e le braccia, ma le mani erano tante, così tante e le sue spinte troppo deboli.
Gli fu addosso e ignorò i suoi occhi terrorizzati: un pugno furioso saettò su quella mascella squadrata, poi un altro e un altro ancora, alla cieca. Quanto doveva picchiarlo? Se l’avesse ucciso avrebbe smesso di provare quella paura?
Provò a gridare, scoprendo con orrore che le usciva solo un filo di voce. 
Tallulah.. 
Tallulah..!
«Tallulah, basta!»
Le braccia di qualcuno la trascinarono via dal corpo svenuto dell’uomo e la realtà tornò al suo posto tra i suoi respiri affannati.
«Dannazione, hai sporcato di sangue il pavimento. Si accorgeranno subito che qualcosa non va». 
Levi?
Qualcosa in quella voce la calmò e smise di agitarsi; solo dopo si accorse che il corpo morbido sulla schiena non era quello di un uomo. Mikasa allentò la presa su di lei solo quando fu sicura che sarebbe rimasta ferma: non sapeva cosa le fosse preso, ma era certa di non averla mai vista così fuori di sé. Tallulah deglutì e si pulì le nocche doloranti sul pantalone della divisa, osservando Sasha e Mikasa che spostavano il corpo svenuto dell’uomo.
«Vuol dire che li faremo fuori non appena entreranno» rispose a fatica e si avvicinò ad Armin, alla disperata ricerca di un contatto nonostante lo sapesse legato e a corto di tempo «Stai bene?». 
Il biondo annuì con forza «Tu stai bene?». 
Non ebbe il tempo di rispondere perché Connie bisbigliò un Arrivano dall’alto e tutti si sbrigarono a nascondersi per tendere la trappola ai rapitori.
 
«È stato più semplice del previsto
«Il Capitano aveva capito che si trattava di inesperti» disse Tallulah e Armin si portò una mano tra i capelli, i suoi veri capelli finalmente.
«È strano. Perché lasciare una missione considerata così importante a gente incompetente?».
«Cosa facciamo adesso?» chiese Connie e Tallulah riferì ciò che le aveva detto Levi. I volti dei suoi amici si irrigidirono, senza capire.  
«Avete sentito?» Sasha interruppe la conversazione e tutti si voltarono verso di lei «Rumore di spari, laggiù!».
Tallulah si mise in ascolto, improvvisamente all’erta.
«Deve essere successo qualcosa» mormorò Mikasa, scura in volto, ed un secondo dopo si era già lanciata nella direzione da cui provenivano. Tallulah non esitò a seguirla e ben presto tutti si ritrovarono a sorvolare la città con il dispositivo tridimensionale; fortunatamente le case erano abbastanza alte e permettevano una visuale completa. Fu Connie ad avvistare per primo il loro carro, ora scoperto e guidato da un soldato della gendarmeria.
«Ehi, sono Eren e Historia!».
Tallulah vide i ragazzi addormentati e con le mani legate.
«Li avranno drogati» mormorò tra sé e si arpionò ad un muro più basso per avvicinarsi con discrezione. Un secondo dopo una familiare figura sbucò da sinistra e diede di tutto gas per seguire i loro amici. Tallulah scese ancora senza togliergli gli occhi di dosso: il Capitano non aveva più mantello, né la giacca della divisa, quindi doveva aver già combattuto. Stava facendo quelle considerazioni, quando l’ombra armata che gli vide apparire alle spalle le gelò il sangue.
Levi.
Non doveva essere stato solo un pensiero, doveva averlo gridato perché vide il capo dell’uomo voltarsi appena verso di lei e fissarla, prima puntare l’arpione verso il nemico e trafiggergli le carni per tirarlo dritto verso la sua lama. Tallulah fissò pietrificata il suo volto deformato in una maschera d’odio; se si fosse girata verso i suoi compagni avrebbe letto lo stesso sbigottimento.
«Inseguiamo la carrozza» ordinò loro, una volta liberatosi del corpo di quel soldato.
«Signorsì». Mikasa fu l’unica a rispondergli e la squadra si riunì in quell’inseguimento.
«Ascoltate: quelli sono esperti nella lotta antiuomo, hanno già ucciso tre dei nostri. Non possiamo esitare, uccidete alla prima opportunità, ci siamo capiti?»
Levi osservò la squadra disperdersi mantenendo abbastanza distanza da tenere tutti sotto controllo: si sentiva incredibilmente teso. Se quegli uomini erano sotto il comando di Kenny non sarebbe stato facile riprendersi i mocciosi ed aveva già perso abbastanza persone quel giorno. Lui stesso aveva faticato ad uscirne vivo. Lo sguardo scivolò su Tallulah e un sibilo gli rimase incastrato in gola. Iniziava a pentirsi di averla presa nella sua squadra, l’aveva messa in pericolo più di quanto già non fosse. La seguì mentre si librava tra un ostacolo e l’altro, gli occhi fissi sul biondino nel carro, e risentì quell’irritazione di poche ore prima. Stava per superarla quando la vide tirare il cavo uncinato e scendere in picchiata verso il carro. Jean era sotto tiro.
Non faccio in tempo..!
Uno sparo risuonò nell’aria e gli si drizzarono i peli sulle braccia. No, lei era viva, era stato Armin a sparare con un braccio tremante; Tallulah fu sul carro due secondi dopo e ricambiò lo sguardo disperato del biondo prima di tentare di prendere le redini. Non potevano fare altrimenti, Levi l’aveva messo in chiaro: o loro o noi. Riuscirono ad avere il controllo solo per qualche minuto. Altri rinforzi nemici arrivarono da ogni lato e furono costretti a ritirarsi, lasciando Eren ed Historia nelle loro mani. Tutta la squadra rimase ad ascoltare le urla di Mikasa, scambiandosi uno sguardo impotente.  
 
Si erano rifugiati in un enorme deposito merci per mangiare qualcosa e riposarsi. Non era stata una conversazione facile da ascoltare, quella tra Armin, Jean e Levi. Non dopo aver passato quasi tre quarti d’ora a reggere la testa all’amico mentre vomitava tutto quello che aveva in corpo. La straziava non poter alleggerire il peso che d’ora in avanti avrebbe dovuto portare sulle spalle. Cosa si provava ad uccidere una persona? Era davvero necessario? Le parole di Levi le avevano evocato sentimenti contrastanti: se una parte di lei gli dava ragione, l’altra era gelata dalla sua indifferenza. Venire a patti con la morte ti trasformava il cuore in un masso di granito, questo lo sapeva; ma allora quanta morte aveva visto Levi per arrivare a questo? Accarezzò i capelli dell’amico che si era addormentato sulle sue gambe, gli occhi ancora gonfi e il colorito pallido. Era stato difficile farlo smettere di tremare, ma Tallulah sapeva che doveva assolutamente riposare o sarebbe crollato definitivamente. Perciò aveva fatto quello che lui faceva sempre quando veniva presa dal panico, l’aveva stretto e gli aveva sussurrato nell’orecchio ciò che pensava.  
Non sei cattiva, Tallulah. Sei sempre tu, la mia Tallulah.
Non sei un mostro. Sei sempre Armin, il mio Armin.  
Sospirò e osservò gli amici rannicchiati contro i sacchi di farina per cercare un po' di calore; solo lei e Mikasa erano sveglie e mute, persino i prigionieri della compagnia Reeves dormivano, legati alle botti di legno sparse qua e là. Si scostò in silenzio, spostando il più delicatamente possibile la testa di Armin sul suo zaino. Si alzò in piedi e gli occhi di Mikasa si sollevarono vuoti su di lei. Le si avvicinò accovacciandosi al suo fianco sulle punte dei piedi e le carezzò una guancia con sguardo mesto. Sapeva che era inutile dirle di dormire, senza Eren si sentiva persa, e di certo lei era l’ultima persona che poteva insistere.
Voleva uscire da lì. Voleva cercare Levi. 
Non le ci volle molto prima di scorgerlo sotto la fioca luce lunare: era seduto su una cassa di legno, il fucile in spalla e lo sguardo rivolto verso il cielo.  
«Capitano» mormorò, ma lui non diede segno di averla sentita. Fece altri passi verso di lui e lo chiamò ancora, piano, quasi timorosa di disturbarlo. L’uomo seguitò a non rispondere e Tallulah tacque, alzando la testa e seguendo lo sguardo dell’uomo. La notte era serena, ma non si vedevano molte stelle.  
«Posso sedermi?». 
La ragazza fu sollevata nel non sentire risposta; sapeva che se non l’avesse voluta l’avrebbe rispedita dentro senza troppe cerimonie. Quel pensiero le fece domandare che cosa il soldato provasse davvero nei suoi confronti: tra di loro c’era sempre stato quello strano senso di familiarità e prima che la baciasse credeva fosse unilaterale. Però quel bacio...Per quanto provasse a negarlo, c’era stato e non passava giorno in cui non si chiedeva perché? Si sedette al suo fianco, sfiorando appena la sua gamba con la propria, e voltando il capo verso di lui. Le ciocche corvine ricadevano morbide sugli occhi, la linea delle sopracciglia curvata in una piega dura. C’era qualcosa di strano, lo percepiva. Il suo primo impulso fu di toccargli il braccio, ma lo trattenne perché aveva paura di infastidirlo. 
«Perché non stai dormendo?».
Levi parlò all'improvviso e la sua voce bassa la fece quasi sobbalzare.
«Potrei farti la stessa domanda» rispose, giocherellando con l’orlo della manica. Poi si morse un labbro, pentendosi. «Scusa-scusi. Non riuscivo a dormire».
«Quindi hai pensato che venire a rompermi i coglioni fosse un buon rimedio contro l'insonnia?». Tallulah alzò gli occhi al tono aspro dell'uomo e lo trovò a fissarla impassibile. Forse era la prima volta che le parlava a quel modo: non che Levi fosse un esempio di cordialità, ma non era mai stato così rozzo o almeno non con lei. Stranamente non ne fu toccata e resse il suo sguardo distante.  
«Sì», disse semplicemente «La sua presenza mi tranquillizza». 
Nessuno dei due mosse un muscolo. 
«Beh, non sono un fottuto peluche» 
«Lo so. Altrimenti la starei già stritolando nel sonno».  
Tallulah arrossì mentre lo disse e si schiaffeggiò mentalmente. Levi ruotò gli occhi con un sospiro irritato «Sei fottutamente molesta, mocciosa».  
L’uso familiare di quel nomignolo le fece rilassare i muscoli, come se sottintendesse una sorta di contorto affetto. Decise di provare a spingersi un po' più in là.  
«E lei è scontroso come un vecchio zio, Capitano > 
«Tch. Non vale nemmeno la pena offenderti»  
Levi la guardò aggrottare la fronte e guardarlo come se le avesse detto che il suo giocattolo fosse un vero schifo rispetto al proprio. Si accigliò; ci teneva così tanto alla sua opinione, a stargli attorno? Levi chiuse gli occhi per qualche secondo: era stanco di combattere, in tutti i sensi.  
«Non prendere tutto così seriamente». 
Tallulah tacque e per un po' nessuno dei due parlò. Lo stridio di alcuni grilli era l’unico suono che si sentiva.  
«Anche da piccola faticavo a dormire». Levi rimase in silenzio, ma sentiva la sua attenzione su di sé e questo la spinse a continuare «I nonni le avevano provate tutte, per un periodo mi mandavano persino a letto con un paio di bicchieri di vino caldo».  
«Non esattamente la migliore delle ninne nanna» rispose l’uomo sommessamente. 
Tallulah tirò su le ginocchia e le circondò con le braccia «Suppongo di no». 
«Com’erano?» le chiese e Tallulah nascose un sorriso dietro le gambe. 
«Mia nonna era una chiacchierona sempre allegra, ma se facevo qualcosa di sbagliato era lei quella di cui avere paura. Mio nonno era silenzioso come un topolino, ma buono come il pane. Non mi ha mai sgridata...» la tremò appena la voce al ricordo dei suoi occhi dolci.  
«Non conosci i tuoi genitori?». 
Tallulah incrociò il suo sguardo, stupita.  
«Ti interessa sul serio?» 
«Non spreco mai il fiato per qualcosa che non mi interessa» rispose con tono monocorde, dimenticando l’assenza di formalità, e Tallulah sorrise tornando a guardare il cielo.  
«Non li ho mai conosciuti. Mia madre mi ha lasciata poco dopo la mia nascita e mio padre non so nemmeno chi sia; sinceramente non mi serve saperlo. Ho avuto tutto l’amore di cui avevo bisogno dai nonni e da Sadie che-» si bloccò a metà frase, sgranando gli occhi. Levi notò la luce agitata nei suoi occhi, proprio come quella volta durante il loro allenamento.  
«Cosa successe?» le domandò e la voce gli si era ammorbidita. Tallulah si morse un labbro e non osò guardarlo. Solo Armin conosceva quella parte della sua storia: se gli avesse raccontato tutto l’avrebbe disprezzata.
«Ti sei mai sentito...Come se fossi sott'acqua senza poter respirare, ma senza nemmeno affogare?» bisbigliò sotto lo sguardo attento del soldato «Quando penso a lei mi sento così». 
No. Lui non provava nulla, era arido come una landa abbandonata. Levi sentì un dolore sordo da qualche parte nel petto e un’immagine si proiettò nella sua mente. Dei capelli lunghi, delle dita gentili.  
Ehi, amore, vieni qui?
Tallulah abbassò gli occhi sul pugno improvvisamente serrato dell’uomo e quella strana sensazione le tornò di nuovo. C’era qualcosa che non andava. Allungò lentamente una mano con il respiro sospeso e gli sfiorò le nocche, tracciandone i contorni in una carezza leggera. Levi chinò la testa e fissò quelle dita su di lui: immaginò di aprire la mano e lasciare che scorressero sul suo palmo, no, lungo tutto il braccio, sul petto e poi sulla sua guancia, solo per verificare se fossero davvero dolci come sembravano. Quel dolore si intensificò e rilasciò un sospiro frustrato passandosi una mano tra i capelli. Voleva dimenticare quella giornata, no, voleva dimenticare la sua intera vita. Voleva fare l’egoista. 
«Levi» soffiò la ragazza, con una punta d'angoscia. Non aveva mai visto quel tormento nei suoi occhi «È successo qualcosa, vero?». 
D’improvviso lui fu in piedi e lei ritirò la mano, mordendosi le labbra. Aveva osato troppo? 
«Alzati» le ordinò e lei sentì le sue gambe obbedirgli senza indugio, ma con una punta di trepidazione: la sua espressione era impossibile da decifrare. Levi si avvicinò di un passo senza smettere di guardarla e sollevò una mano, scivolando dietro la sua nuca per sospingerle la testa verso di lui. A stento udì il suono di sorpresa che emise prima che la sua bocca lo soffocasse prepotentemente. Tallulah si sentì mancare le forze e lui le circondò la vita, come se le avesse letto nel pensiero. Chiuse gli occhi e mosse le labbra su quelle fredde dell’uomo con circospezione, quasi ad accertarsi che fosse reale; forse per quello stesso motivo cominciarono a tastarsi a vicenda, le braccia di lei risalirono sul suo collo, per poi accarezzargli l’undercut e infilare le dita tra i suoi capelli morbidi, mentre lui percorse la sua schiena, tracciandone la linea sinuosa. Qualcosa accelerò, il respiro o la fame, se la sentirono addosso mentre continuavano a mangiarsi le labbra, ansiosi di rubarsi il più possibile prima che quel momento finisse di nuovo. La spinse contro qualcosa di duro alle sue spalle e strinse la presa su di lei già fin troppo eccitato da quei baci: aprì la bocca e incontrò la sua lingua calda mentre tentavano di stringersi di più, come se fosse possibile. I baci divennero via via più irruenti e disordinati: Levi le carezzò i denti con la lingua e Tallulah gliela morse in una timida vendetta, quanto diamine ti ci è voluto, sembrava rimproverarlo e il soldato ringhiò nella sua bocca e le strinse la pelle tanto che le sarebbero venuti i lividi, attenta a come parli. Un languore sconosciuto si diffuse nello stomaco, mentre i baci di Levi scesero sul suo mento, sulla giugulare, prima che le labbra si chiudessero su un lembo di pelle in una brusca suzione. Tallulah ansimò e le sue mani scesero sui fianchi di lui: d’impulso mosse il bacino, strusciandosi sulla sua erezione e Levi si scostò di scatto con un sibilo strozzato. Sentendolo allontanarsi lei riaprì le palpebre e gli mostrò quello sguardo adorante e offuscato che era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Prese un respiro profondo, come per controllarsi: quella mocciosa sfrontata voleva di più e non se ne vergognava affatto. Lo guardava con le labbra gonfie e l’espressione sconvolta, sembrando tutto fuorché pura, come nel suo sogno. Lo faceva andare fuori di testa.  
«Cazzo» gli sfuggì e voltò il capo verso sinistra, liberandosi da quella tentazione. Tallulah non capì perché si fosse allontanato, aveva la mente annebbiata, ogni pensiero razionale annullato. Riusciva solo a percepire quanto lo desiderasse, totalmente e incondizionatamente. Anche lì fuori, nella notte, sotto gli occhi di chiunque.  
Che sta facendo? Perché non mi bacia ancora?  
Quei pensieri frustrati furono gli unici che raggiunsero la sua coscienza e cercò di richiamarlo da lei, posando le labbra sul suo zigomo e lasciando una scia di baci teneri e umidi fino al lobo morbido dell’orecchio. Stava per prenderlo tra le labbra quando una mano solida e decisa le si infilò tra le gambe, premendo con tanta forza sulla sua intimità che vacillò, serrando le cosce d’istinto.  
«Stai ferma, avida mocciosa» le ordinò con un sussurro rabbioso e Tallulah annaspò sotto i suoi occhi, adesso scuri come l’argento liquido; le pupille gli si erano allargate come quelle di un felino in piena caccia notturna. Levi cominciò a muovere la mano sfregandola duramente contro il tessuto dei suoi pantaloni e si bevette le emozioni che si susseguirono sul viso di lei ad una velocità impressionante. Tallulah aprì le labbra e contrasse le sopracciglia, divisa tra la voglia di abbandonarsi ad un gemito e quella di scansarsi da quel contatto quasi doloroso. L’uomo ruotò appena il polso e lei sentì fin troppo bene le sue dita arcuarsi e penetrarla leggermente.  
«Le-Le…» singhiozzò a bassa voce ed il soldato sentì un brivido scorrergli fino al bassoventre. Come doveva essere sentirla gemere il suo nome mentre la scopava dietro quel container? Quel pensiero si fece prepotentemente largo nella sua testa e dovette sforzarsi per non strapparle via l’attrezzatura e i vestiti di dosso. Dal modo in cui stava reagendo al suo tocco doveva essere la prima volta per lei e se da una parte questo lo spingeva a trattenersi, dall’altra lo tentava come un banchetto preparato apposta per lui. Tallulah si aggrappò alle sue spalle non appena sentì qualcosa incendiarle le viscere e i suoi fianchi presero a muoversi sulla sua mano, come se sapessero istintivamente cosa fare. Levi trattenne un ansito, rapito da quei movimenti e dai respiri spezzati che sentiva sul collo: comprese prima di lei quanto fosse vicina e scese a cercarle la bocca per soffocare i suoi gemiti. Un piacere totalizzante la colse impreparata e venne nei suoi vestiti, mugolando sulla lingua morbida di lui, il cuore martellante contro la gabba toracica e le gambe tremanti. Avrebbero sicuramente ceduto se Levi non l’avesse tenuta, mettendo fine ad un bacio languido che la lasciò sfinita e disorientata. La ragazza scese lentamente da quel picco d’artificio, riprendendo coscienza di ciò che la circondava e del corpo premuto contro di lei. Alzò gli occhi su quelli di lui e riprese fiato, ancora incredula per ciò che era appena successo.   
«È... È stato...». Tallulah perse la voce e raggiungeva la piena consapevolezza di quello che avevano fatto, che Levi le aveva fatto. Levi l’aveva toccata. L’uomo osservò la sua espressione sconvolta e si irrigidì.
«È stato cosa? Se cerchi tenerezza, favole o altre stronzate farai meglio a tirartene fuori. È così, prendere o lasciare».
La riccia increspò le labbra, presa in contropiede da quel tono ostile che la strappò dal suo intorpidimento. All’improvviso si rese conto che stava accadendo qualcosa di importante, più importante dei baci di un momento prima: ad un tratto ebbe paura. No, non una sola paura, tante paure tutte indefinite e accavallate. Poi però scorse il suo riflesso nelle iridi di nuovo azzurre dell’uomo e le venne voglia di baciarlo ancora.
«È troppo tardi» mormorò, emozionata e turbata allo stesso tempo «Ci sono dentro fino alla radice dei capelli». 
Levi la studiò, cercando segni di ripensamenti sul suo viso e quando non ne trovò rilassò le spalle. Stava per lasciarla andare quando lei lo bloccò.
«E tu?» gli chiese stringendo il tessuto della sua divisa e Levi sollevò impercettibilmente le labbra davanti alla sua espressione ansiosa. Qualcosa di lei aveva placato quel dolore al petto e capì che aveva proprio ragione: era troppo tardi.
«Sì. Anche io, mocciosa».
 
 
Could you take care 
Of a broken soul? 
Will you hold me now? 
Will you take me home? 

 
   
 
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