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Autore: coopercroft    21/11/2020    0 recensioni
Ritrovare un padre dopo anni di abbandono e adozioni, finite spesso male. Sherrinford ha un nome eccentrico, come tutti nella sua singolare famiglia. Un padre chiamato “Ice Man”, una zia Eurus rinchiusa in una fortezza e uno zio detective famoso : Sherlock Holmes. Come potrà adattarsi a vivere con loro? Dopo anni di vita fisicamente disastrosa al limite dell’autodistruzione. Ritrovare un affetto stabile lo aiuterà a superare il dolore e i torti subiti?
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Notte Hayc ci sentiamo domani, cerca di arrivare in orario."

Il vecchio Stuart mi saluta mentre si riprende la bicicletta e la porta al deposito.

Gestisce i rider della zona est di Londra, lavoro per lui.

Mi appoggio con la schiena al muro, non vedevo l'ora di finire, sta diventando sempre più pesante pedalare per portare in giro la cena degli altri.

Sorrido, mi chiamano Hayc ma il mio vero nome è Sherrinford. Un nome altisonante, per uno come me che ha passato la vita in orfanotrofio.

Stringo un altro foro della cintura dei calzoni. Mi rovisto nelle tasche, la stoffa lisa si è bucata e le poche sterline sono finite nella fodera, ma sono sufficienti per pagarmi la cena.

Quando ho compiuto diciotto anni ho dovuto lasciare l'istituto e sono iniziati i problemi.

Mi infilo il cappello di lana, che trattiene i disordinati capelli neri. Ho ripreso fiato e mi avvio camminando per raggiungere la periferia di Londra, dove ho una "casa" che non è altro che una specie di stanza, fredda e anonima, ma costa poco, quindi va più che bene.

Rabbrividisco, la vecchia giacca non fa più il suo dovere. Troppo usata e troppo logora. Il mio prossimo obiettivo sarà acquistarne una più calda. Questo mese sono riuscito a comprarmi un paio di scarpe nuove e sono contento. Una piccola soddisfazione per uno come me che non ha prospettive se non quella di sopravvivere. Non sono un tipo che ha molte pretese, mi basta fare qualche lavoretto di tanto in tanto per avere qualche sterlina in tasca.

"Ti stai lasciando andare Hayc, trova un lavoro serio, così non va bene." Sento dentro la testa la voce petulante dell'assistente sociale.

Mi devo presentare da lei due volte al mese da quando sono uscito dall'istituto. È l'unica che si interessa di come vivo.

In effetti ogni tanto mi perdo, mi lascio prendere dallo sconforto. Non riesco a reagire, così mi faccio, anche se non sono un tossico, oppure mi sbronzo perché costa meno. Mi stordisco, mi fa sentire meglio, so che è sbagliato, ma mi addormento senza pensieri in quella stanza fredda visto che non ho abbastanza soldi per pagare il riscaldamento. Stasera ho la testa che viaggia da sola, sono patetico!

Perché è sempre la solita storia, mi prende una rabbia cattiva che mi distrugge dentro quando penso al perché mi abbiano abbandonato.

Mi massaggio le vecchie cicatrici sul braccio, e maledico la sfortuna di tutte le volte che mi hanno adottato e non ha funzionato.

Come può una madre lasciare un figlio? Me lo chiedo da anni, senza trovare risposta. Forse il freddo mi rallenta il cervello, sono mesi che non ripenso alla mia vita.

Prendo a calci una pigna, caduta dal vecchio albero del parco. Un calcio a tutti quelli che non mi hanno voluto.

Il mio respiro si fa leggero, mi sale un colpo di tosse.

Meglio lasciare stare la droga stasera, tre settimane fa per poco non ci rimanevo, quindi adesso mi sbronzo e basta. Ho già dato in termini di sballo, meglio rallentare con l'autodistruzione.

Non avere alcuna regola, mi porta a infrangerle tutte.

Aumento il passo per arrivare a casa. Un gatto tigrato attraversa coraggiosamente la strada, si ferma a farmi le fusa. Due sere prima gli ho dato delle crocchette e da allora mi aspetta. Gli faccio due coccole, stasera è l'unica cosa che posso regalargli.... Meglio prendermi del cibo, la solita pizza, mi basta e avanza.

Da alcuni giorni ho la maledetta impressione di essere seguito. Non ho conti in sospeso e non ho idea di chi potrebbe essere, mi comporto bene ultimamente.

Sono arrivato a casa e mi fermo al solito locale. Aspetto la mia cena, inganno l'attesa guardando fuori. Eccola, la solita auto scura di quelle che usano al governo, ultimamente la vedo spesso. Cosa ci faccia da queste parti, proprio non lo capisco, forse qualche pezzo grosso che vuole un'avventura fuori standard. Questo posto è pieno di escort disponibili e costose.

Salgo le scale con la pizza in mano. Arrivo alla porta ma la trovo socchiusa. Forse, stanco com'ero, l'ho dimenticata aperta.

Entro e mi prende un colpo. La luce nella camera è accesa. Lascio la pizza su di una sedia, afferro il coltello a serramanico che porto sempre con me e avanzo lentamente.

Quello che vedo mi lascia senza fiato. C'è un uomo che mi dà di spalle, ma come mi sente si gira. Al braccio ha un ombrello che ondeggia verso di me.

Io impugno più forte il coltello. Deglutisco a vuoto.

"Non ci proverei, Sherrinford, non sono una minaccia." La sua voce non ha alcuna inflessione ma sembra voglia rassicurarmi.

Si ferma puntando l'ombrello sul pavimento dove appoggia tutto il suo peso. È elegante, indossa vestiti costosi e un cappotto Crombie che mi pagherebbe l'affitto per due mesi.

"Chi diavolo è lei? E cosa ci fa dentro casa mia?" Quasi urlo, abbasso la mano con il coltello, che trema un po'.

"È impegnativo chiamarla casa." Lui inclina il capo di lato, mi fissa. Fa un sorrisetto sostenuto, mi studia.

"Insomma cosa vuole da me? Devo chiamare la polizia?" Mi rigiro il coltello fra le mani, comincio a indietreggiare.

"Ragazzo, diciamo che non è il caso. Voglio solo chiederti un paio di cose." Si accomoda sulla sedia e si concentra su di me. È calmo e questo allenta anche il mio disagio, le mani sempre strette su quell'assurdo ombrello.

"Per quale motivo dovrei rispondere a un estraneo, che è entrato in casa mia di soppiatto?"

Aumento il respiro e appoggio il coltello davanti a lui sul tavolo. Non mi fa paura, non so per quale ragione. Tolgo la giacca, mi siedo.
Lui ha un che di familiare che mi rimescola.
Abbiamo la stessa altezza, lo stesso corpo asciutto, gli occhi grigio chiaro sono come i miei. Ma i capelli sono troppo corti per giudicare, i miei sono neri e mossi.

"Come sa il mio nome? Non è molto comune, nessuno mi chiama Sherrinford. Devono avermi fatto uno scherzo quando me l'hanno dato. Sono Hayc per tutti, più comodo e più stupido." Faccio una smorfia che è un mezzo sorriso.

"Potrebbe avere un perché. Non trovi?" Ed eccola comparire, quell'espressione sarcastica sul suo volto, che mi risulta un po' antipatica.

"Ma lei chi è?" Stropiccio il fondo liso della giacca. "Sto conversando con un estraneo che mi è entrato in casa. Devo essere ubriaco!" Sbotto seccato.

"Già, bel modo di passare le sere, bevendo e fumando erba. Ottimo per accorciarsi la vita." Il tipo fa un sospiro rassegnato. "Ne conosco un altro che faceva spesso come te. Vi piace rovinarvi la vita e di conseguenza anche la mia."

"Allora, lei chi diavolo è?" Stavolta lo fisso torvo, la voce tagliente, voglio una risposta.

Fa una pausa come se prendesse fiato, poi mi guarda dritto negli occhi. "Mi chiamo Mycroft Holmes, ma non ti dirà un granché." Inghiotte a vuoto. "È molto probabile che io sia tuo padre."

Subito non elaboro, lo guardo e non respiro, il cuore me lo ritrovo in gola. Inizio a tremare come spesso mi succede visto tutte le sbornie e la droga.

"Non può essere! Lei, mio padre? Cos'è, uno scherzo?" Mi alzo e incespico, vado a prendermi dell'acqua.

Eppure lo sento che qualcosa di vero c'è. La sensazione che lo possa essere davvero mi devasta. Torno dalla cucina e lui è sempre lì. Un mezzo incubo.

Bevo, mi fissa immobile, mi vede tremare. "Dovresti smetterla di farti del male, Sherrinford."

Gli offro da bere, molto probabilmente lui è un tipo da costosi scotch di marca.

Gli allungo la bottiglia e un bicchiere pulito, appoggio tutto sul tavolo. Mi siedo scomposto, mentre lui si versa l'acqua e beve. Non tradisce alcun tremore e questo accresce il mio smarrimento per la sua freddezza.

"Cosa vuole sapere? Non se lo aspettava di trovarsi uno come me, vero? Un ragazzo problematico e rozzo." Rido, ma lui non è sorpreso. È impassibile, nemmeno una smorfia, alza solo le sopracciglia.

"Sherrinford è un po' che ti seguo, so quello che fai, il modo disdicevole in cui vivi. Voglio solo che tu sappia che ignoravo la tua esistenza fino a poche settimane fa. Ho dovuto faticare parecchio per trovarti, nonostante disponga di innumerevoli mezzi." Sembra sincero, gli occhi velati, ma si riprende subito.

"Sono stato in orfanotrofio quasi tutta la vita. Ho vissuto per qualche mese con una famiglia adottiva ma le cose non hanno funzionato. Me ne sono andato quando ho avuto diciotto anni. E ora lei, signor Holmes, arriva e improvvisamente si sente pieno d'istinto paterno. Grande! Un po' in ritard, mi sembra."

Mi alzo, più deluso che arrabbiato, mentre lui rimane immobile con le mani strette al suo ombrello. Eppure sento che potrebbe essere la verità.

"Cosa vuole adesso da me signor Holmes? Non posso darle nulla e mi sembra sia tardi per il perdono."

"Non lo pretendo, so che sei arrabbiato per quello che ti è successo. Ma te lo ripeto, non sapevo nulla. Vorrei solo due cose da te." Holmes si alza, abbandona il suo amato ombrello. Sembra titubare, ma è un attimo, mi osserva poi parla.

"Lo so che ti sto chiedendo molto. Dimmi se hai una voglia scura sul braccio destro appena sopra il gomito."

"Che richiesta è questa? Una prova per Dio?" Prendo, tiro su la manica seccato e gliela mostro quella "voglia" che ho sempre odiato. La esamina, muove appena il sopracciglio. Vedo i suoi occhi in tempesta.

"Dimmi ragazzo hai una cicatrice sotto il piede sinistro, una specie di sutura mal riuscita?"

Rimango immobile con il fiato corto. Per Dio! Allora questo potrebbe essere davvero mio padre. Lui aspetta che digerisca il fatto. Prendo e con le dita irrigidite slaccio la scarpa sinistra, mi vergogno dei calzini bucati e gli mostro la ferita.

"Contento signor Holmes?" Mi prende un'amarezza profonda per quell'abbandono subito senza risposte, forse l'arrivo di questo sconosciuto significa che ora potrò averle. Lui annuisce e si risiede. Stavolta sembra rilassarsi, si scioglie quel tanto che mi può concedere.

"Bene ragazzo, direi che siamo sulla strada giusta, ora se me lo permetti vorrei un po' della tua saliva per il tampone del DNA. Voglio la sicurezza che tu sia mio figlio. Spero tu possa capire che io mi sento responsabile. E vorrei porre rimedio a tutto questo." Mette sulla tavola la provetta e lascia che io decida, non mi impone nulla, aspetta paziente.

Mi arruffo i capelli, prendo tempo. Entra a gamba tesa nella mia vita, non so se posso accettarlo.

Lo guardo irritato, indeciso se cacciarlo da casa o cercare un rapporto con lui. È curiosamente tranquillo, io stupidamente agitato. Quest'uomo enigmatico mi attrae molto e vorrei conoscerlo. Se lui fosse mio padre, una parte della mia vita, potrebbe svelarmi chi sono veramente.

Avere una vita normale, sapere da dove vengo. Davvero potrei aspirare a tanto? Avere qualcuno che si prenda cura di me, che mi voglia bene? È lui la persona che voglio al mio fianco? Se mi ha cercato, se è qui di fronte a me, potrebbe essere un inizio.

Non so se posso fidarmi di questo sconosciuto che mi osserva e attende una mia risposta. Ma ho fame di affetto e non voglio rimanere da solo. Accolgo la sua richiesta, abbassando la testa, incapace di guardarlo in volto.

"Bene, d'accordo, cosa devo fare?" Infilo le mani nelle tasche sformate dei calzoni.

Scosta la sedia e l'ombrello, si avvicina e mi prende un po' di saliva con il tampone, mi sfiora la guancia con la mano e quel contatto mi rimescola. Holmes mi vede vacillare.

"Tranquillo, va tutto bene, non voglio disturbarti di più." Sembra sincero, quasi sereno, ma si sente in torto. Si aggiusta la cravatta, riprende l'ombrello e lo punta dove è appoggiata la scatola della pizza.

"Visto che la tua cena è andata, posso portarti a mangiare qualcosa di caldo? Fa piuttosto freddo in questa specie di casa." Si gira senza aspettare che risponda, le mani talmente strette sull'impugnatura del suo prezioso ombrello da apparire scolorite. Ha già il suo cappotto addosso.

Accetto, mi accorgo che si è leggermente scoperto, maschera la paura di un mio rifiuto. Allora forse è umano e pieno di dubbi quanto me. Decido di seguirlo, soprattutto perché sono affamato e infreddolito.

 

   
 
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