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Autore: milla4    21/11/2020    3 recensioni
Edizione nuova della storia "La morte è come un'onda".
Una famiglia è un nucleo di sicurezza, qualsiasi cosa ci dimori dentro, anche se oscuro e negativo, troverò al suo interno il suo posto.
Questa storia partecipa agli Oscar della Penna 2022 indetti sul Forum "Ferisce più la penna"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  Una famiglia
 (La morte è come un'onda)

 
 
I momenti che passavano in macchina erano i peggiori, era impossibile tenerle ferme; le due bambine fremevano sui sedili posteriori, cercavano di trattenersi per non creare disagio al padre ma era molto difficile non mostrare l‘eccitazione per quell’uscita, era da troppo tempo che l' aspettavano.
Era mercoledì pomeriggio, i bambini e i ragazzi della città si riversavano nei vari parchi pubblici ma Brishem Park era quello preferito dalle due sorelline.  Posizionato nella zona sud-est della città era un luogo riparato, di zona, non molto grande né dispersivo, un posto dove sentirsi al sicuro e dove le madri potevano riunirsi senza sentirsi in dovere di controllare assiduamente la propria prole.
L’uomo aprì la portiera e fece scendere la figlia maggiore, Agathe, che gli sorrise riconoscente prima che qualcosa la attirasse intensamente facendola allontanare senza guardarsi indietro... tese poi la mano alla piccola Rosie che l’afferrò con dolcezza. Mentre attraversavano il parcheggio riuscì a scorgere il viso amichevole di una sua compagna di classe. Cominciò ad accelerare il passo, la bambina avanzava con più velocità, pian piano arrivò a strattonare suo padre che, come se fosse inciampato, cadde quasi in avanti.
«Non riesce a reggersi in piedi… avrà bevuto un’altra volta…» sottili sussurri come fili di una ragnatela fluttuavano nell’aria del parco, le parole che circolavano erano sempre le stesse Jace incespicava nei propri piedi, le gambe reagivano scoordinate ad ogni passo, la testa ciondolante senza nessuna forza, non vedeva dove stesse andando, seguiva pedissequamente la figlia più piccola, si lasciò trasportare come un cane fa con il suo padrone. Rosie cominciò a correre lasciando la mano del padre che, improvvisamente, si ritrovò a sobbalzare senza il suo traino, arrestandosi a circa mezzo metro dalle due amichette. Agathe passò accanto al quadretto, finalmente sorridente e in pace con se stessa, per dirigersi al centro del piccolo parco giochi e mettersi a cercare la sua prossima vittima. Scrutava con attenzione ogni piccolo particolare, studiando le criticità dal peso corporeo al costo dei loro vestiti, indici importanti del loro stile di vita e del loro potenziale come nutrimento.
Intanto Rosie si era gettata tra le braccia di Susan, la madre della sua amica: aveva un buon odore, sapeva di arrosto e candeggina, due aromi molto distanti fra loro ma per il suo naso complementari.
Il padre rimase fermo, lì, in mezzo al parco scrutando ogni azione delle proprie figlie, non distoglieva mai lo sguardo contornato da profonde occhiaie scure; dalla sua bocca uscivano soltanto piccole frasi di cortesia se solo qualcuno avesse provato a rivolgergli la parola. L’uomo aveva un comportamento strano, fermo in un punto senza muoversi mai, così diverso dagli affettuosi papà che giocavano con i propri figli: da qualche mese avevano cominciato a girare voci nella noiosa cittadina sulla morbosità con cui Jace Jodyn controllasse le figlie e lui, probabilmente, ne era a conoscenza. Conosceva ogni sordido pettegolezzo circa la sua ossessione per le piccole Agathe e Rosie e sulla presunta scomparsa dalla scena pubblica di sua moglie che, per alcune delle voci più insistenti, era certezza di un crimine a cui nessuno poteva dare una prova… ma Jace non fece mai nulla per mostrarsi diverso da quello che si credeva, non aveva la forza per pensare anche a quello: il suo scopo da quando si alzava dal letto a quando chiudeva la porta di casa era quello di controllare le due bambine e  cercare di far rimanere il loro segreto oscuro e inviolato. Era allo stremo, ma era il genitore che ancora si reggeva in piedi e doveva essere lui a badare alle sue creature. 




 



 

 Ne avrebbe preso a volontà, ma Rosie non poteva dimenticare mai che per vivere in armonia in quel mondo un requisito essenziale era la sopravvivenza certa della vittima; ne avevano discusso tanto in casa, una volta suo padre era stato talmente duro che l’aveva fatta piangere e allora era corsa tra le sue braccia di sua madre e l’aveva morsa, per calmarsi. Da quella volta Jace non fu mai aggressivo o almeno così tanto da turbare sua figlia, sua moglie non poteva permetterselo.
 Susan non si sarebbe ricordata di lei, delle sue trecce bionde e dei suoi occhi verdi o della piccola bocca sporca del suo sangue: nella memoria della vittima ci sarebbe stata una sensazione ovattata e confusa, come se quel ricordo fosse immerso in una nebbia che  impediva di essere visto in modo limpido. Soltanto accenni di un potenziale aggressore, probabilmente un pipistrello che l’aveva presa alle spalle. Rosie non amava quei piccoli topi volanti, le facevano paura, ma Agathe era sempre più dispiaciuta della cattiva fama che avevano cucito per loro. La loro maledizione era la causa dell’odio immotivato per quei piccoli animali innocenti.
La madre di Sandie era così dolce, il sangue era caldo e accogliente come lei; Rosie non sceglieva gli amici per la loro simpatia ma per la salute dei loro genitori. Aveva scartato compagni di gioco per via di un genitore troppo stressato o con un odore strano per i suoi gusti, non avrebbero potuto essere buoni donatori per lei.

A differenza della sorella minore, Agathe era diventata meno selettiva con il tempo, le sue abilità si erano raffinate, era già capace di atterrare un uomo adulto, ma le era rimasto il divertimento di scovare la vittima per lei perfetta tra il branco di prede. Aveva delle caratteristiche precise che ricercava in un modo metodico, di solito uomini sulla ventina, dai capelli biondi e dal volto magro. Ne era attratta in modo quasi maniacale, ma in fondo aveva diciotto anni: era rimasta infantile nei gesti e nei pensieri, il suo cervello non era progredito dagli otto anni d'età che aveva al momento della sua mutazione, ma ogni tanto la donna che avrebbe potuto essere faceva capolino, come per esempio nelle vittime che cercava.


Non era difficile per loro prendere ciò che volevano, il loro aspetto acerbo non lasciava adito a insicurezze o paura, in quel caso li avevano attirati nel bosco con una banale scusa. Con un dente, poi, avevano rotto la carotide e dalla fontanella uscita era stato succhiato il loro nutrimento: tutto era accaduto in velocità, non si erano accorti di nulla.


 


 
Jace guardò, per l’ennesima volta in quel pomeriggio primaverile, l’orologio: erano passate due ore abbondanti, ormai avrebbero dovuto aver finito tutto quanto.
«Rosie! Agathe! È ora di tornare a casa!» agitò le mani in aria per farsi vedere, dovunque esse fossero; da due zone differenti del bosco sbucarono fuori le due bambine, per tutti lì nel parco erano esattamente come quando erano arrivate ma l’occhio esperto del padre aveva riconosciuto nei loro sguardi la solita calma che veniva dopo il pasto. Le bambine salutarono i loro amici e salirono nuovamente nell’auto, il padre arrivò poco dopo: faceva difficoltà a camminare e quel giorno si erano trattenuti più del previsto. Salì in macchina, trattenendo a stento una smorfia di dolore.
«Papà, tutto bene?» Rosie preoccupata posò una mano sul viso di suo padre, Jace stava per scansarla ma si ricordò di chi fosse quella mano e desistette. Piano piano, quasi piangendo rispose che sì, era tutto ok. Le due vittime furono trovate soltanto un’ora più tardi, in stato di shock.
 
«Mamma, mamma, siamo tornate!» le bambine entrarono urlando entusiaste e si diressero in cucina, aspettando di trovare la madre, ma una rapida occhiata alla stanza vuota fece capire loro di dover andare in salone.
Angela Josyn era sdraiata sul divano, le braccia gettate all’infuori, il respiro affannato, i lividi erano così grandi che erano come uniti a formare una ragnatela giallastra.
«Bambine, è andato tutto bene?» cercò di sorridere e di alzarsi, ma il marito le premette una mano sulla spalla per farla desistere.
Jace premette la mano quasi a farsi sbiancare le nocche: era il suo amore questo, il suo autentico desiderio da quasi trentanni; l’aveva sposata perché l’amava e ora vedere il suo corpo divenire un vuoto involucro lo faceva morire dentro. Ne vedeva la pelle bianca perdere tonicità, i capelli cadere, gli occhi spegnersi di giorno in giorno e a quel punto avrebbe voluto prendere la bombola del gas e far esplodere quella casa. Sarebbero morti tutti, insieme, un boato e tutto sarebbe finito, avrebbe riavuto la sua bellissima moglie e avrebbero trascorsero il resto della vita insieme, magari avrebbero viaggiato come avevano previsto di fare con le loro splendide figlie quando ancora era tutto così normale, o sarebbero rimasti lì, nella stessa città ma liberi. Aveva bisogno di ricordare che c’era un passato, che si potesse vivere anche in un altro modo.
Avevano parlato troppe volte, alla fine avevano capito di non aver molto ancora da dirsi.
 
Quei pensieri di morte, però in Jace lasciavano spazio al senso di colpa per aver pensato una cosa così sbagliata e ingiusta, facendolo sentire il primo dei peccatori. Erano le sue bambine quelle e non era colpa loro. Non era colpa loro se quella notte di dieci anni prima aveva lasciato la finestra aperta e quel mostro era entrato per prendere le loro anime. Era stata colpa sua, solo colpa sua e per questo stava pagando anche la sua Angela.
Avevano giurato insieme di non far trapelare nulla riguardo la questione, che ci avrebbero pensato il più possibile da soli, in casa, ma con il tempo avevano dovuto lasciarle andare: il loro sangue era poco e le piccole ne richiedevano sempre più; non si può fermare l’onda della morte, si può arginare ma non interrompere. Avevano ricominciato ad andare a scuola, a vivere una vita pressoché normale, solo che non cambiava mai. Presto avrebbero dovuto cambiare nuovamente città per non destare sospetti. E il tempo dei coniugi Josyn stava terminando: cosa avrebbero fatto senza loro a vegliarle, era la domanda che li teneva svegli tutte le notti.


 
 

NOTE:  Buonasera, gente. Questa storia è la seconda versione di una storia già presente nel mio profilo, intitolata “La morte è come un’onda”. Per un contest indetto da Spettro 94 sul forum di Efp (La Rivincita delle edite) ho dovuto editare la vecchia storia e aggiungere delle parole. Io ho cambiato alcune cosine e ho aggiunto delle parti. Spero di non aver fatto troppi casini
Spero che almeno a qualcuno piaccia, se lascerete un commento mi fareste molto felice

a presto (temo)

milla4
 
   
 
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