Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |       
Autore: Vento di Fata    22/11/2020    0 recensioni
[AU!] [Akuroku, accenni di Zemyx, XemSai, KaiXion, background VanVen]
"Sono tutti quel tipo di bambini che gli insegnanti definiscono “problematici” o “disagiati”, e forse è questo che li ha fatti avvicinare, come un branco di cani randagi che si raduna per difendersi contro il mondo e per leccarsi le ferite dopo ogni battaglia.
Alle volte Roxas, con i vestiti di seconda mano che ha troppa paura di sporcare e la cartella di scuola nuova e un fratello che gli vuole bene che lo aspetta a casa, si sente un pesce fuor d’acqua, sembra sempre che ci sia qualcosa che li divide, una consapevolezza che non riesce a comprendere, qualcosa che non li fa avvicinare. Ma in fondo gli piacciono quella nuova vita e quegli amici, anche se ogni tanto sente Ventus che torna tardi dal secondo lavoro e piange in salotto, quando crede che sia lui che Vanitas stiano dormendo."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Saix, Xion
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota dell’autore, valida per tutti i capitoli:
questa fanfiction parla di argomenti pesanti, tra i quali l’uso e abuso di droga da parte di minorenni e non, l’abuso sessuale e la violenza sui bambini. Ci sono anche delle scene di intimità (non sessualmente esplicita, in quanto ciò infrangerebbe le regole del sito) tra un quattordicenne e un diciottenne, quindi con una differenza di età che può facilmente essere considerata problematica. È un’opera di finzione e tale va considerata, il rating esiste per un motivo.


 
"I am aware it's aggressive
I am not here for acceptance
I don't know what you expected
But what you expect when you walk in a therapy session, huh?"
- Therapy session, NF
What do you expect from a therapy session?
 
 
La periferia di World That Never Was è sempre sporca, grigia e piena di smog.
 
Roxas vi si trasferisce pochi giorni dopo aver compiuto nove anni. È estate e il caldo gli appiccica i capelli al collo mentre osserva il mare che scorre vicino alla strada, plumbeo e pesante come il cielo e come il suo cuoricino.
«So che non è molto bella,» dice suo fratello Ventus mentre guida, facendogli dallo specchietto retrovisore un sorriso tirato come poche cose al mondo. Hanno guidato per sei ore senza quasi sosta ed è stanco morto. «ma è vicino alla scuola elementare e alle medie per quando ci andrai.» Roxas non risponde, stringendo tra le braccine un peluche stracciato, una delle poche cose oltre ai vestiti che sono riusciti a portare via da casa. “Ti compreremo delle cose nuove quando saremo a World That Never Was, va bene?” aveva promesso Ventus mentre gli allacciava in fretta la cintura prima di precipitarsi al posto del guidatore della macchina e partire a tutta velocità, lasciandosi alle spalle la loro casa e le sirene della polizia. «C’è un bel balcone sulla tua camera, se chiediamo a Vanitas di aiutarci potremo piantare dei fiori o della verdura, che ne dici?»
«mhm» sospira Roxas, e vede il viso di suo fratello venire attraversato dalla tristezza che ha tentato di nascondere per l’intero viaggio mentre torna a guardare la strada, una canzone che non conosce alla radio a riempire il silenzio.
Quando arrivano, Ventus gli dice di restare fuori mentre entra nel condominio per andare a chiamare Vanitas, ma almeno lo lascia sedere all’ombra sui gradini dell’ingresso, mentre si gratta un morso di zanzara sul ginocchio che dopo due settimane non è ancora guarito, grattando via la crosta e osservando pigramente il sangue che esce e scende lungo la gamba.
È così concentrato a osservarsi che non si accorge dei ragazzini che stanno camminando verso di lui. Due paia di sandali azzurri compaiono di fronte ai suoi verdi, e i piedi al loro interno sono arrossati dal sole e pieni di cerotti e piccoli lividi.
«Sei il bambino nuovo,» uno dei due afferma, più che chiedere, ma Roxas annuisce comunque, alzando lo sguardo verso di loro. Sono due ragazzini di qualche anno più grandi di lui, con i capelli scuri e gli occhi verdi, che si tengono per mano. Sembrano gemelli. «Come ti chiami?» chiede quello che ha parlato per primo, e Roxas si stringe nelle spalle, continuando a grattarsi la ferita sul ginocchio. «Sei muto?» scuote la testa, premendo le unghie nel ginocchio. Il dolore lo aiuta a stare concentrato.
«Isa, vieni subito qui!» urla una voce adulta da lontano. Il gemello che non ha parlato sbuffa e lancia un’occhiataccia a Roxas, prima di lasciare la mano del fratello e correre via. I suoi sandali sono rotti dietro, come a fare spazio a un piede troppo grande. L’altro continua a fissarlo con un broncio sulla bocca, gli occhi verdi pensierosi, ma anche lui è chiamato da qualcuno – un bambino come loro, che grida «Lea! Zexion continua a tirarmi i capelli!» - e dopo un “ciao” sbuffato scappa via. Roxas resta solo fino a che Ventus e Vanitas non lo raggiungono («Come stai, pulce? È da tanto che non ci si vede» dice Vanitas prendendolo sulle spalle, e Roxas si permette, solo un po’, di rilassarsi a quel contatto così familiare) ed entrano insieme in casa.
Il giorno dopo ottiene il permesso di andare a giocare nel parchetto del quartiere – più simile a una scena da film apocalittico che a un parco giochi – e mentre legge un fumetto seduto all’ombra di un albero gli si avvicina uno dei ragazzini del giorno prima, tutto capelli sparati e braccia magre piene di lividi.
«Isa dice che dovremmo fare amicizia.» considera schietto Lea. Ha un livido sotto l’occhio e un cerotto sul mento. «È mio fratello.»
«mh.» Roxas alza le spalle e continua a leggere.
«È tutto quello che sai dire?»
«mh.»
Ed è in quel momento che Lea scoppia a ridere, forte e di pancia. Roxas lo osserva con occhi perplessi fino a che il ragazzino non si ricompone ed esclama: «Vieni a giocare con noi!» Roxas annuisce timidamente – non è mai stato bravo a giocare con gli altri – e Lea finalmente gli sorride mentre lo tira verso suo fratello e un gruppetto di ragazzini che non conosce, e Roxas tenta di sorridere di rimando.


Nonostante siano gemelli, Isa e Lea non possono essere più diversi tra di loro. Dove Lea è estroverso ed esplosivo, Isa è taciturno e costantemente sulle sue. Lea è sempre la mente dietro i loro migliori casini, che finiscono sempre col fare a botte, gridare e tirare pallonate ai bambini più piccoli e a riderne, mentre Isa è seduto in un angolo, imbronciato e perennemente con il naso in un libro. Ogni tanto Ienzo, uno dell’altra coppia di gemelli che vive nel condominio accanto, si unisce a lui e leggono insieme.
Isa e Lea a tredici anni, con i loro lividi e graffi e le sigarette nascoste nelle tasche sono i più grandi del gruppo e sembrano prendere con estrema naturalezza la parte dei leader. Xion con i suoi dieci anni che indossa sempre gli stessi vestiti per settimane e ha mollato un pugno in un occhio a Roxas l’unica volta che le ha toccato una mano era la più piccola prima che arrivasse Roxas, poi ci sono Ienzo e Zexion con il taglio di capelli uguale e gli occhiali scheggiati e fin troppo intelligenti per la loro età che di anni ne hanno dodici, infine Demyx di undici anni con la sua chitarra sempre in mano e le sue fisse e gli strani versi che fa quando è felice.
Sono tutti quel tipo di bambini che gli insegnanti definiscono “problematici” o “disagiati”, e forse è questo che li ha fatti avvicinare, come un branco di cani randagi che si raduna per difendersi contro il mondo e per leccarsi le ferite dopo ogni battaglia. Alle volte Roxas, con i vestiti di seconda mano che ha troppa paura di sporcare e la cartella di scuola nuova e un fratello che gli vuole bene che lo aspetta a casa, si sente un pesce fuor d’acqua, sembra sempre che ci sia qualcosa che li divide, una consapevolezza che non riesce a comprendere, qualcosa che non li fa avvicinare. Ma in fondo gli piacciono quella nuova vita e quegli amici, anche se ogni tanto sente Ventus che torna tardi dal secondo lavoro e piange in salotto, quando crede che sia lui che Vanitas stiano dormendo.
Un giorno di maggio Roxas, Lea, Isa, Demyx e Zexion sono seduti nell’erba ingiallita del parco, le cartelle e gli zaini abbandonati a terra, intorno a un grasso gatto nero che a pancia all’aria si lascia accarezzare. Demyx, che ha compiuto dodici anni la settimana prima, dice che somiglia ad Lea e si prende uno scappellotto che gli arruffa tutti i capelli, e tutti ridono mentre Roxas si abbraccia le ginocchia e continua ad accarezzare la testa del gatto.
«Roxas, a te piacciono i ghiaccioli al sale marino?» gli chiede in quel momento Zexion, facendogli alzare lo sguardo. Dopo un momento a pensare, scuote la testa, e Lea fa il verso più offeso che abbia mai sentito.
«Ma da che cazzo di pianeta vieni?!» esclama. Isa ride piano e Roxas resta lì a fissarlo, gli occhioni spalancati.
«Hai detto una brutta parola.» considera a bassa voce. Lea batte le palpebre una, due, tre volte, e un sorriso che promette birichinate gli si apre sul viso.
«Cazzo» urla. Roxas sobbalza e Isa ride di nuovo. «Cazzo! Cazzo! Cazzo!» Lea continua a cantilenare mentre il gatto scappa via spaventato dalle urla e Roxas indietreggia offeso, e dopo poco anche Demyx si aggiunge al coro e poi Zexion.
«Scemi!» grida Roxas oltraggiato, prima che Lea gli catturi la testa nell’incavo del braccio e gli arruffi i capelli con le nocche, e le sue strilla si trasformino in risate. Poco dopo stanno camminando verso casa, Roxas pochi passi dietro tutti gli altri, fino a che Demyx non lo afferra per la manica e lo tira avanti, prendendogli la mano nella sua, e Roxas si lascia sfuggire un sorriso.

 
«Ven ha detto che devo tornare per cena. Domani ho una verifica e se vado bene mi compreranno una macchina fotografica.» dice Roxas a Demyx e Xion mentre camminano verso il parco. Sono nella stessa classe di prima media nonostante Dem abbia due anni più di lui e Xion uno, e hanno preso l’abitudine di camminare a casa insieme. Xion grugnisce qualcosa in segno di assenso, grattandosi il gesso al braccio. Se lo è rotto cadendo dallo skate, ha detto.
«Io devo andare da un dottore a fare degli esami,» Demyx fa una faccia storta; «secondo la prof sono autista o qualcosa del genere. Dice che è per questo se sono fissato con gli strumenti musicali e l’inglese e faccio i versi quando sono contento.»
«È una cosa buona che te lo dicano se hai qualcosa, no?»
«Dunno. Mamma è arrabbiata perché dice che io sono normale e non come dice la prof» Demyx si stringe nelle spalle. Entrano nel parco e vanno a sedersi vicino alle altalene, Demyx tira subito fuori la chitarra dalla custodia che porta sulle spalle e si mette a suonare quella che sembra una versione stonata di Don’t You Worry Child mentre Xion si siede sull’altalena e dondola distrattamente i piedi. Roxas si siede all’ombra di un albero e tira fuori un quaderno nero dalla copertina rigida, iniziando immediatamente a scrivere; ha iniziato a scrivere una storia, di sette avventurieri che partono per andare a combattere un drago. Esternare in un’avventura i suoi pensieri e i suoi desideri li fa sembrare più concreti ai suoi occhi, e lo aiuta a concentrarsi su di essi come prima lo aiutava premere le unghie nelle ferite.
Dopo un po’ di tempo ad aspettare arrivano anche Zexion e Ienzo, e persino Roxas riesce a vedere il modo in cui il viso di Demyx si illumina alla vista del più alto dei gemelli, come se improvvisamente fosse arrivato il sole in persona.
«Dove sono Lea e Isa?» chiede Xion, e Zexion risponde con un’alzata di spalle prima di ricominciare a parlare con Demyx di musica.
Passano un paio di ore, e dei gemelli non c’è nemmeno l’ombra, finché quando ormai stanno per salutarsi e sentono Lea chiamarli con un tono stranamente eccitato. Quando finalmente corre da loro, seguito da Isa, è evidente il perché. I capelli neri di Isa e Lea, distinguibili solo perché Isa li teneva legati e bassi e Lea li aveva sparati da tutte le parti, sono spariti: o meglio, hanno cambiato colore. Adesso Lea li ha di un brillante colore rosso fuoco, mentre Isa li ha colorati di azzurro.
Roxas resta bloccato insieme a Demyx, che fa una smorfia. «Che diamine avete combinato?» chiede.
«Il vostro vecchio volpone ha trovato un lavoretto per pagare a sé stesso e a suo fratello un bel cambio di look, Dem, questo abbiamo combinato» risponde Lea con un sorriso sornione, che però non contagia quasi nessuno nel gruppo. Tutti sanno l’unico tipo di lavoro può fare in quel quartiere un quindicenne. «Levatevi quei brutti musi, non sono andato a vendere il culo. Faccio il ragazzo delle consegne, se così possiamo dire.»
«Sarà meglio,» è il commento di Xion. «Quando mi levano il gesso posso farvi le trecce?»
Il resto della conversazione sfuma dalle orecchie di Roxas mentre continua a osservare il rosso fuoco che tinge i capelli – e le sopracciglia, forse? – di Lea. È un bel colore, gli sta bene e si adatta alla sua personalità. Anche Isa col suo blu è veramente bello.
La prima foto che Roxas fa con la sua macchina fotografica che riceve due settimane dopo – una polaroid di quarta mano e probabilmente dell’età di Ventus – è proprio di Isa e Lea, seduti sul muro con il sole che illumina ancora più intensamente il colore dei loro capelli.


«Cosa scrivi, Roxaaaaahs?» chiede Lea, saltando sul muretto con una prontezza di riflessi insolita per uno che si è appena fumato abbastanza erba da stendere un elefante. Lo guarda con gli occhioni spalancati, come un bambino, e scoppia a ridere quando per tutta risposta Roxas chiude il quaderno e lo infila nello zaino.
Roxas fa una smorfia e allontana Lea spingendogli una mano contro la guancia. «Puzzi come se fosse andato a fuoco un campo di marijuana» sbuffa, «io non mi prendo la responsabilità se cadi e ti spacchi la testa.»
«Già fatto» commenta con estrema nonchalance Lea, sorridendogli sghembo. «e poi dobbiamo festeggiare il compleanno di Dem!»
Roxas si concede un sorriso, distogliendo lo sguardo dal rosso collassato e rivolgendolo a Demyx, che già in piena fame chimica sta divorando un sacchetto di confetti come fossero noccioline, con la testa appoggiata sulla spalla di Zexion che per quella sera ha preso in carico la chitarra del biondo. Xion è già andata a casa da un pezzo, dicendo di dover fare da babysitter a sua sorella, e Ienzo e Isa si sono dileguati da qualche parte a leggere.
«Non sei divertente» dice in quel momento Lea, sdraiato sul muretto a testa in giù e un broncio sul volto. «Perché non ti unisci a noi?»
E come mai siamo amici noi? È sul punto di dire Roxas, ma la vista degli occhioni che Lea fa sempre quando è fatto lo fa troppo ridere perché riesca a stare serio. «Perché qualcuno qui deve fare l’adulto e assicurarsi che non sveniate, e visto che tu sei troppo fatto per farlo e Demyx e Zexion tra poco si addormentano tocca a me.» spiega.
Lea borbotta qualcosa e alza la testa, spostandosi in modo da appoggiarla contro la gamba di Roxas. Restano in silenzio per un po’, nell’aria solo il frinire dei grilli e il rumoroso masticare di Demyx.
«Tu che sei in classe con lui, cosa gli hanno regalato i genitori di Demyx?» chiede improvvisamente Lea.
«Da quel che ne so, un bel niente.» risponde Roxas. «A quanto pare gli sta ancora sul cazzo l’idea di avere un figlio autistico, immagino.»
«Che merda.»
«Già.»
Lea sbuffa, stiracchiandosi le gambe lunghissime – a diciassette anni lui e Isa stanno sfiorando il metro e ottanta, con grande fastidio di Roxas e di quasi tutti gli altri. Sembra riflettere un po’, poi si illumina e corre da Demyx, parlottandogli a un orecchio.
Quello che succede dopo solo Roxas che era sobrio se lo ricorda, e ne custodisce gelosamente le foto nel suo album, ma la settimana seguente Demyx arriva a scuola con una custodia di pelle per la chitarra, con il suo nome inciso delicatamente sopra. Non dice a nessuno da dove viene, ma quel pomeriggio prima ancora di salutare Zexion si lancia tra le braccia di Lea gridando ringraziamenti ai quattro venti.


Il giorno del quattordicesimo compleanno di Roxas, Lea gli fa provare la sua prima canna.
Sono seduti al parchetto insieme a tutti i ragazzini della compagnia – Zexion e Ienzo, quest’ultimo impegnato in una lettura con Isa, Demyx che strimpella la chitarra che ha due corde rotte da ormai tre mesi, e Xion con i capelli rasati per via dei pidocchi e sua sorella piccola Naminé in braccio, che anche se è ancora una poppante è ammessa solo perché i loro genitori sono quasi sempre fuori a spassarsela e per quanto siano tutti scemi non vogliono un bambino sulla coscienza.
Bisogna festeggiare il suo ingresso ufficiale tra loro grandi, gli spiega Lea mentre prepara la canna e la accende. Prende una boccata e la passa a Xion che fa lo stesso – spostando la testa in modo da non far finire il fumo addosso a Naminé e la dà a Demyx, fino a che non arriva in mano a Roxas, che incerto la porta alle labbra e aspira come ha visto loro fare mille volte. Il primo tiro non va quasi mai a buon fine, infatti Roxas si trova a sputacchiare e tossire come un idiota mentre tutti si fanno grasse risate. Alla fine, Isa prende pietà di lui e una volta finito di ridere gli mostra come fare, sorridendogli da sopra il colletto della felpa quando riesce a prenderci la mano.
«Benvenuto tra gli adulti, piccolo» gli dice. Ventus, che già guarda storto quella compagnia più grande di lui, lo ucciderebbe se lo sorprendesse a fumare, erba per di più, ma Roxas non può fare a meno di sentire un sorriso allargargli il volto per la felicità di sentirsi accettato. Rifiuta il secondo tiro però, promettendosi di limitarsi alle sigarette, e si appoggia al tronco dell’albero con un sorriso pigro mentre guarda Xion ridere a crepapelle a una battuta di Ienzo.
Piano piano, finita la canna, finite le risate e quando hanno smesso di sembrare troppo fatti, se ne vanno tutti alla spicciolata nelle rispettive case, fino a che non restano solo Lea e Roxas. Isa è l’ultimo ad andarsene, con un’occhiataccia a Lea e un «fai in fretta» detto tra i denti, prima di correre via.
«Non dovevi andare con lui?» chiede Roxas, sdraiato sul prato secco, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno al dito – dovrebbe chiedere a Ventus di tagliarglieli.
«Devo prima darti il tuo regalo di compleanno» dichiara il diciottenne, sdraiandosi accanto a lui. Non c’è molto da vedere sopra di loro, il cielo è scuro per lo smog e la luce della luna è di un pallore giallastro che a malapena illumina i contorni degli edifici.
Roxas sospira e si gira verso di lui; «e cosa devi darmi?» chiede. Lea si gira a sua volta e nei suoi occhi verdi brilla una luce malata, la luce di un incendio boschivo e di un abisso mortale. Un sorriso pazzo gli si apre sul volto prima che afferri il viso di Roxas tra le mani e gli dia un bacio sulla bocca.
La prima reazione di Roxas è di tirargli una testata. «Sei scemo?!» gli dice, le guance che bruciano come fiamme, indietreggiando col sedere finché non si trova con la schiena contro il muretto. Lea sembra perplesso, quasi estraniato mentre si tocca il naso sanguinante prima di scoppiare a ridere. Ride forte, come un pazzo, e Roxas si sente come se l’universo lo stesse prendendo in giro. Sente lo stomaco torcersi in mille nodi e si alza ficcandosi le mani nelle tasche. «Scusa,» borbotta imbarazzato. «ti sei fatto male?»
Lea si pulisce il sangue dal viso, strofina la mano sporca sui pantaloni e gli fa un sorriso sornione; «assolutamente no, piccolo. Hai una bella testa dura» considera come se niente fosse, raccogliendo da terra lo zaino distrutto. Si avvicina a Roxas e lo attira in un abbraccio, premendogli le labbra tra i capelli. «Ti voglio bene Rox. Buon compleanno.»
Quel migliaio di nodi nello stomaco di Roxas si fa di nuovo sentire mentre stringe tra le mani la maglietta di Lea, ascoltando il battito del suo cuore. «È per l’erba che sei così o sei diventato sentimentale?» mormora. Sente Lea ridacchiare e stringerlo un po’ di più.
«Guai a te se lo dici a qualcuno.»
Lo accompagna davanti alla porta del condominio e aspetta che suoni il citofono e Vanitas gli apra, prima di salutarlo con un sorriso sghembo e andare via. Roxas resta per un po’ sulla porta a guardarlo mentre cammina via, i capelli rossi illuminati dalla luce arancione del lampione, tutto braccia ossute e vestiti scuri e lividi, l’8 in numeri romani che si è tatuato l’anno prima sopra il gomito e un pacchetto di sigarette che spunta dalla tasca posteriore dei pantaloni stracciati. Quasi senza accorgersene Roxas porta una mano al viso, sfiorandosi con le dita le labbra dove Lea lo ha baciato.
Guai a te se lo dici a qualcuno.
Con un sorriso e un calore nel petto, entra in casa.
*

«È da allora che avete iniziato a stare insieme?»
Roxas fa un sospiro, lasciando ricadere sul tavolino basso la foto che aveva tenuto fino a quel momento tra le mani – l’ultima che aveva scattato con Lea. «Non ci siamo mai dati un’etichetta vera e propria,» sentenzia fissandosi la punta dei piedi; «era tutto come prima, solo che ogni tanto ci tenevamo per mano e quando eravamo da soli ci baciavamo.»
«Non lo avete mai detto agli altri?» gli occhi verdi della psicologa – Aerith – lo scrutano, e Roxas sa che sta cercando il minimo segno di disagio o agitazione. Non sarebbe la prima volta che fa una scenata quando parlano di Lea.
«A un certo punto lo avranno capito, immagino. Più che altro ci tenevamo nascosti da Ven e dai genitori di Lea, per gli altri credo non ci importasse molto.»  spiega Roxas; «E poi erano Demyx e Zexion la coppietta che non si decideva a mettersi insieme, era molto più divertente prendere in giro loro.»
Aerith fa un cenno d’assenso, scrivendo qualcosa sul suo foglio. «E dopo quel giorno cos’è successo? Eri felice?»
Roxas annuisce, piegando le gambe fino ad abbracciarsi le ginocchia e vi poggia sopra il mento. «Mi sembrava di essere sulle nuvole. Eravamo in un posto di merda con gente di merda, girava più droga che voglia di vivere, ma improvvisamente non mi importava. Non mi importava nemmeno che dovessimo nasconderci, ero il suo mondo, mi guardava come se fossi la cosa più bella e non con la pietà con cui si guarda un bambino sperduto e triste.»
«I vostri amici non lo facevano?»
«Sì, ma con lui era diverso... puoi capire come mai.» Aerith sorride allo sguardo di Roxas, che è tornato a guardare la foto sul tavolino con una dolcezza infinita negli occhi.
«Continua pure se te la senti, Roxas. Abbiamo tempo.»
 
 
 

Buonasera, buongiorno e buonanotte signori!
Dopo tre mesi di iperfissazione con Kingdom Hearts, dopo aver divorato tutte le Akuroku trovabili e non su ArchiveofOurOwn e qui su EFP (in particolare quelle di _Ella_, che sono di una bellezza incredbile), ho deciso di scriverne una io.
Ma ovviamente a casa Auditore la felicità non è di casa, quindi ecco a voi l'hurt/comfort.
Come ho detto nelle note dell'autore, i temi in questa ff saranno piuttosto forti, e non sono sicuro che la storia d'amore sia particolarmente sana, maaaaa guess who doesn't care :D
Il prossimo capitolo verrà pubblicato domenica, quindi se volete scoprire come continui Spirals assicuratevi di seguirla e/o ricordarla!

Detto questo vi saluto, spero che abbiate gradito il capitolo e se lo avete fatto vi invito a lasciare una recensione per dirmi cosa ne pensate, anche le critiche se costruttive sono ben accette.
See you on the flip side.
Vento di Fata


p.s. ho composto una playlist Spotify con una serie di canzoni per dare il mood delle storie, sono divise in quattro gruppi da cinque, tra cui le canzoni che danno il nome ai capitoli. Se volete andate a darci un ascolto.

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Vento di Fata