Film > Thor
Segui la storia  |       
Autore: shilyss    22/11/2020    8 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 19

 

Nessuna preghiera poteva salvarla. Invocare gli Antenati non sarebbe bastato, perché loro erano in grado di scrutarle nel cuore e vedere le fiamme che le consumavano l’anima. Sognava le labbra di Loki, le sue mani che la stringevano, pregava per il suo ritorno, lo malediceva perché si era lasciato catturare. L’ha fatto apposta, dicevano alcuni. È un’abile mossa, il ragazzo ha la stoffa del grande stratega, sussurravano altri. Sigyn ascoltava e taceva, sforzandosi di concentrarsi sulla preghiera, lo studio, il ricamo o qualsiasi altra attività le tenesse le mani occupate, la mente puntata verso un obiettivo. Un pomeriggio approfittò dell’ingenuità di Balder per domandargli se ci fosse qualche notizia di Loki, ma il bambino si strinse nelle spalle e scosse la testa, senza distogliere l’attenzione dai suoi giochi. L’ancella si chiese che effetto dovesse fare, avere due fratelli così scapestrati, audaci e carismatici ed eleggerli a propri personali eroi, come aveva fatto il ragazzino. Quando Thor tornò ad Asgard privo del proprio immancabile braccio destro, Sigyn fece di tutto per incrociare i suoi occhi franchi e azzurri: voleva capire se il primo figlio di Odino era preoccupato; leggere, sul suo volto deciso, se quella di Loki era stata una mossa azzardata, ma voluta, o un disastro che l’astuto mago sperava di poter volgere a suo favore. Riconobbe una traccia di malcelata impazienza nel modo in cui Thor si muoveva e rispondeva alle domande altrui. Sembrava che la terra gli bruciasse sotto gli stivali e che ambisse solo ad andarsene al più presto dai giardini di Frigga, dalla sala del trono, dalle scuderie, da Asgard stessa. Non era mai stato particolarmente loquace e detestava dover spiegare e raccontare. Era abituato a lasciare a Loki tale incombenza e l’assenza del fratello, ora, gli pesava. Ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.

Eppure, Thor, che evitava con stizza le occhiate di tutti, alla fine le rivolse un sorriso mesto, non privo di una certa dose di recondita consapevolezza, come se, tra loro, ci fosse un qualche segreto.

“Loki non mi ha parlato di te,” esordì non appena ne ebbe modo, il giorno seguente. “Ti gira attorno, passa il suo tempo libero occupandosi di quella cosa che hai senza nemmeno rendertene conto, eppure non aveva niente da dire. E Loki, vedi, ha sempre qualcosa da dire, su tutto,” aggiunse, certo che lei, ascoltandolo, sarebbe arrivata alle sue stesse conclusioni.

Sigyn avvampò. Pensò all’anello regalato con l’inganno, alle ultime parole che si erano scambiati, al suo destino crudele, alle loro labbra che si lambivano e sfioravano. “Forse non mi giudica un argomento degno di interesse,” fremette.

“O magari non vuole condividere. Mio fratello non ama le spartizioni, del resto – è avido, come tutti gli Æsir,” concluse Thor, senza togliersi dalla faccia quel suo sorriso franco e gioviale, che non aveva nulla della furba malizia dell’altro.

Sigyn si sforzò di ignorare l’allusione appena udita. Il principe ventilava, come se niente fosse, un possibile sacrilegio con la stessa leggerezza dell’ingannatore: entrambi si ritenevano al di sopra delle leggi e credevano di essere eroi così superiori a tutti gli altri che, per loro, le regole non avevano significato. Poiché il tonante non aveva altro da aggiungere e se ne stava andando, tentò di trattenerlo volgendo il discorso su ciò che le premeva di più sapere.

“Sei preoccupato per lui?”

Thor s’irrigidì e contrasse la mascella squadrata. Sigyn suppose che avesse risposto a quella domanda troppe volte, da quando era tornato; certamente non desiderava parlarne ancora con lei, un’estranea, un’ospite la cui fedeltà non era nota né provata. Non ancora, almeno, ma questo, la scintilla, non poteva saperlo. “Mio fratello se la caverà. Se la cava sempre,” disse a mezza voce. Non le concesse altro.

 

Loki tornò ad Asgard alcune settimane dopo. Il suo bel sorriso beffardo era segnato da una ferita fresca, che gli impediva di articolare anche la più semplice frase senza che una fitta di dolore lo trafiggesse. Entrò nella sala del trono di Odino col passo deciso del condottiero trionfante e un bagliore sinistro negli occhi. In una mano stringeva un sacco che si rivelò contenere la testa di un generale avversario. La offrì a suo padre con feroce soddisfazione, incurante delle sopracciglia aggrottate dell’altro. Si era liberato, ma nessuno sapeva da cosa e l’ingannatore non raccontò che pochi dettagli della sua prigionia. Particolari ammantati di bugie, create appositamente per far spiccare lui, Loki, e far sembrare la cattività come una festa noiosa, nient’altro. Sigyn all’inizio gli credette. Non aveva avuto modo di avvicinarlo ed era sollevata per il suo ritorno. Pensò che la sua gioia era dovuta al senso di colpa che le stringeva il cuore, perché le ultime parole che si erano scambiati prima che lui partisse erano sembrate una maledizione alle orecchie di entrambi; non poteva nascondere di aver creduto, nelle fredde notti di Asgard, che l’astuto principe fosse stato punito dalle Norne per volere degli Antenati a causa di quel bacio tanto anelato e per nulla fugace, espressione di un desiderio che si era infilato nella carne, nelle vene, nel sangue e nei pensieri di entrambi. Lo vide e fu felice. Non si curò del fatto che l’ingannatore si era limitato a rivolgerle non più di qualche breve e bruciante occhiata e non notò nulla di strano, in lui.

Non all’inizio, almeno.

 

La ferita al labbro tormentava il dio dell’inganno. Era stata malcurata e si era riaperta più volte. Bruciava ogni volta che apriva bocca per parlare, sorridere, mangiare e bere, persino. L’idromele, anziché essere un balsamo, sembrava una punizione, eppure non riusciva a farne a meno. Ne aveva bisogno per stordirsi, per addormentarsi senza risvegliarsi di colpo, con uno strato di sudore gelido addosso. Subito, nei primissimi giorni del suo ritorno, quando le domande sulla sua avventura non si erano ancora placate, s’impose di bere il meno possibile; non desiderava diventare schiavo di un vizio che, presso gli Æsir, era la prima delle maledizioni, capace di fiaccare persino il guerriero più valoroso. Da ragazzino aveva assistito all’inevitabile declino di molti eroi, e l’aveva fatto col piglio giudicante che solo chi è appena uscito dall’infanzia possiede.

Accolse con un moto di stizza la notizia che gli sarebbe rimasto per sempre il segno della prigionia addosso, a tagliargli verticalmente il sorriso. Per tutta risposta, vuotò un corno nonostante il dolore lancinante, anzi, a dispetto di esso e di tutti i suoi propositi di limitare l’alcol.

Sigyn lo incrociò in quel momento, con la mano che reggeva, facendolo dondolare appena, il lungo corno ormai leggero. Lui puntò, finalmente, i suoi occhi accesi e chiarissimi su di lei, ma non allo stesso modo di un tempo, no. C’era qualcosa di diverso; un barlume di follia che non se ne sarebbe mai andato, capace di far tendere la schiena dell’ancella dalle labbra violate, dal cuore ormai impuro. La osservò per un momento, come se stesse ponderando con attenzione se convenisse parlarle. Erano soli, fatta eccezione per una guardia assonnata il cui turno stava per terminare, a cui certo non interessavano più di tanto i movimenti del principe cadetto. Loki accennò il principio di un ghigno, nei limiti consentiti dalla ferita ancora dolorante.

“Pare che nemmeno l’ira degli Antenati abbia potuto fermarmi,” esordì, sollevando con fierezza il mento.

Sigyn trovò che fosse crudele e insinuante. Lesse nel suo volto affilato un compiacimento sfacciato laddove lei bruciava per i sensi di colpa. Loki la guardava impallidire e, senza il taglio, avrebbe sorriso, anzi, sarebbe scoppiato a ridere come faceva lui, buttando la testa all’indietro. Lo divertiva che lei avesse pensato di essere, in qualche modo, responsabile di un incidente che si era risolto, sebbene per vie oscure. E l’ingannatore sembrava voler continuare a considerare l’intera questione come uno scherzo, perché aveva in spregio gli Antenati e non riconosceva la loro autorità. Sbagliava, pensò Sigyn.

“Ero preoccupata per te,” ammise abbassando il capo. Non voleva che la squadrasse ancora, e la metteva a disagio la nuova luce che non accennava ad abbandonare il suo sguardo. Non lo avrebbe fatto mai più, ma l’ancella non poteva sapere nemmeno questo.

“Dovevi, in effetti,” fu la risposta, piccata solo all’apparenza.

All’ancella sembrò che qualcosa, tra loro, si fosse rotto, spezzato. Le mancarono le parole per apostrofarlo riguardo l’anello o soltanto per dirgli che condividevano, oltre al bacio sacrilego, il fatto di essere stati trattenuti contro la loro volontà. Eppure, quest’ultima considerazione sapeva di menzogna. Rapidamente, Sigyn rifletté sul fatto che non avrebbe dovuto custodire il gioiello per tutte quelle settimane. Sentiva di essere stata in qualche modo complice di Loki e che, se avesse restituito il prezioso, avrebbe dovuto ammettere ad alta voce di averlo baciato, sognato, atteso. E tutto questo non riusciva né poteva articolarlo né davanti a lui né nei propri pensieri; non ancora, almeno.

E poi, qualsiasi cosa fosse successa all’ingannatore, le loro esperienze non erano minimamente accostabili. Lui portava sul bel viso affilato i segni palesi di una tortura. Era stato catturato e costretto a una prigionia oscura durata settimane: l’ironico disinteresse con cui elargiva qualche sporadico dettaglio sulla vicenda spaventava Sigyn, perché conosceva poco il figlio cadetto di Odino, ma si era accorta che amava parlare di sé ed essere il protagonista assoluto delle sue storie; eppure, ora che avrebbe potuto tenere alta l’attenzione di tutti gli ospiti dei grandi banchetti di Odino spiegando cosa era successo e come si era liberato, nicchiava. Thor sosteneva, con voce annoiata, che si trattava di qualche tecnica messa in atto ad arte da quel pedante del fratello; il silenzio acuiva il mistero, ammantava la sua cattività di un’aura leggendaria. Il giovane dio dell’inganno creava un mito senza avere bisogno nemmeno di raccontarlo. Ma Sigyn, che, seppure in modo diverso, si fregiava del titolo di prigioniera, non era di questo avviso. Sapeva che nell’animo scaturiscono strane idee, quando la libertà viene negata. E se lei, cui era stata inculcata fin dalla nascita l’idea che il suo destino dovesse esaurirsi dentro il chiostro di un tempio, la sua vita trascorrere nella contemplazione e nella preghiera, aveva vacillato, cosa poteva essere scattato nella mente di un giovane uomo volitivo e sfrontato come Loki, nato per essere re?

Il principe di Asgard attese ancora qualche istante che lei parlasse, poi la lasciò sola, perdendosi nelle sue riflessioni contorte, nei ricordi che celava e in quelli condivisi con parsimonia. La mente di Sigyn fabbricò pensieri che lei non ebbe modo di filtrare o bloccare; l’ingannatore le dava già le spalle e si allontanava sempre più con il suo passo deciso ed elastico, la schiena fiera, la testa alta. Il mantello verde cupo, ormai, le ondeggiava davanti, sempre più distante. Lo rincorse quel tanto che bastava perché lui la udisse; disse di essere dispiaciuta, informandolo che, di lì a qualche ora, sarebbe andata in biblioteca. Loki non si voltò, né diede segno di essersi stupito per quel mezzo appuntamento concesso.

 

 

Alla scintilla si ruppe il cuore.

Si frammentò in schegge dolorose come ognuna delle parole di Thor. Aveva una voce diversa, il primo figlio di Odino; più grave e adulta di quella che ricordava, come se la sua anima fosse stata scalfita così profondamente dalla perdita e dal tradimento da risvegliarsi completamente. Era stato un principe arrogante e superbo, ma non privo di un coraggio genuino e cristallino. Ora era un uomo, definitivamente. Uno che era venuto a visitarla per condividere con lei un lutto a costo di lasciarla con l’anima lacerata e sanguinante. Loki non c’era più. Si era lasciato cadere, punendosi per non essere stato degno dell’amore di un padre che l’aveva ingannato. Scoprendo di essere uno Jotunn, non era riuscito a riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio, lui, che era un gigante di ghiaccio con lo spirito di un Ase. E Sigyn ripensò alle albe fredde e meravigliose che aveva passato accanto a Loki, cercando d’imprimersi nella mente ogni particolare del suo corpo, ogni lineamento del suo viso affilato. C’era stato un tempo in cui si risvegliava in un letto che tratteneva tra le coltri il profumo mescolato della loro pelle. Allungando la mano, poteva incontrare la schiena larga e perfettamente scolpita di Loki addormentato, cingergli i fianchi asciutti, carezzargli un braccio, posargli un bacio leggero tra la nuca e il collo, stringersi contro di lui e modulare il respiro con il suo, regolare e profondo. Ma il dio dell’inganno non c’era più.

Aveva scelto di morire, di andarsene, di rinunciare a una sepoltura che avrebbe accolto le lacrime di chi l’avrebbe pianto. Lo immaginò altero e sprezzante com’era sempre stato, che prendeva la decisione di scomparire anziché chinare il capo. Com’era da lui.

Imprigionata nel buio senza soluzione in cui era costretta, si accasciò a terra, tremante, graffiandosi il viso, trattenendo un singulto che partiva dal centro di lei, dal suo cuore dolorante e infranto.

Thor raccontò di una battaglia avvenuta sul Bifrost, del suo esilio e della breve reggenza di suo fratello, oscuro e tormentato com’era sempre stato, ma Sigyn non riuscì a seguire il filo di quel racconto. Mentre lui descriveva con voce bassa e commossa di come entrambi fossero rimasti appesi alla lancia di Odino finché Loki non aveva, di sua sponte, lasciato la presa, la scintilla ricordava come quelle mani di mago dalle linee eleganti intagliassero con velocità e perizia giocattoli per Balder bambino, le sue dita scrivessero con fluidità e precisione appunti e formule sulla pergamena spessa e porosa, la sua bocca la baciasse con infida e bruciante voluttà. Loki non c’era più, era morto. Il suo corpo si era disfatto, e anche se qualcuno l’avesse raccolto, il dio dell’inganno non esisteva: le sue spoglie giacevano sole, prive dell’anima. Frugò nella sua memoria sempre più labile in cerca del principe cadetto degli Æsir, tentando di trattenere qualcosa di lui. Il modo di inarcare le sopracciglia, la studiata lentezza con cui accostava un corno d’idromele alle labbra, il ghigno sfacciato e la postura che teneva durante i banchetti, a metà strada tra l’irriverente e l’annoiato. Non c’era più e il buio si chiuse, definitivamente su Sigyn.

 

Non era più solo l’assenza della vista, a tormentarla. Parlava, pregava e lavorava con la stessa solerzia di sempre, ma in maniera meccanica, come se non fosse nel chiostro, a curare le rose di un giardino che non poteva vedere, ma altrove, in un limbo grigio abitato da fantasmi. Respirava, ma con l’indolenza di chi replica un gesto per abitudine, senza chiedersene il motivo. Così passò l’inverno e poi l’estate, e poi un altro inverno ancora, in un susseguirsi di stagioni che, nel loro rincorrersi, per Sigyn, non significavano nulla. Di visioni, dopo che Loki cadde dal Bifrost, non ne ebbe più, così come scelse di non tirare mai più fuori dal suo nascondiglio l’anello, dono fatto con l’inganno da un affascinante bugiardo, portato con sé come pegno di un amore perduto e di una vanità sacrilega. Non ne sfiorò la pietra rosata fino a quando, anni dopo, una banda di predoni, all’improvviso, non assaltò il tempio.

Era un’altra delle cose che la scintilla non aveva visto. Lui se n’era andato e, nonostante la maledizione che attanagliava Sigyn fosse sempre più vicina a compiersi, la sua capacità di vedere era svanita. E che spiraglio di futuro aveva scorto, poi? Sogni confusi sul destino di Asgard, sul Ragnarok promesso da un’altra veggente, nella Voluspa che era un poema e una predizione insieme.

Quando i predoni assaltarono il tempio, Sigyn sapeva solo che non sarebbe morta così, tra le fiamme e le urla delle sue consorelle. Kalfr rimase ucciso, la sua testa venne infilata su una picca posta all’ingresso del Tempio. Molte delle ancelle lo seguirono, quel giorno. A lei, toccò in sorte qualcosa di diverso. Si fece portare via senza protestare né tentare di fuggire: non aveva più una casa e certo non considerava tale il tempio. Sentiva di appartenere già al mondo degli spiriti, di essere fredda e morta come lo era Loki, il cui corpo disperso non sarebbe mai stato ritrovato. Dopo la sua caduta, gli Æsir avevano frenato le loro incursioni e conquiste. La proverbiale accortezza di Odino si era trasformata in cautela e, infine, era diventata stanchezza. Thor, poi, anziché affiancare il genitore nell’arte del governare, aveva preferito concentrare ogni sua attenzione su Midgard, di cui sentiva una nostalgia profonda.

Quando i predoni entrarono nella sua cella per portarla via, Sigyn non oppose alcuna resistenza. Si alzò con la dignità con cui, in un altro tempo, era salita sul drakkar che l’avrebbe condotta ad Asgard. Allora aveva sollevato appena la bella gonna del suo abito rosso e un principe sfacciato le aveva riservato la galanteria di aiutarla, dopo averla pretesa per sé. Era stato l’inizio di un amore che durava ancora e sarebbe durato finché la scintilla non sarebbe discesa nuovamente nelle profondità dell’Yggdrasill, dove, tra le radici marce del frassino sacro, l’aspettava l’essere cui suo padre l’aveva immolata, da cui nemmeno l’astuto Loki era riuscita a salvarla. Quello era il suo destino: l’aveva visto con nitidezza grazie al potere che, ormai, sembrava esserle scivolato via dalle dita. E l’ingannatore, che non amava le profezie perché nessuno doveva intralciare i suoi piani, nemmeno le Norne coi loro telai, si era sforzato di non leggere la verità nei suoi occhi, di non cogliere i segni evidenti della sua vista che, per punizione, si andava abbassando, portandola verso la cecità. Riteneva di aver perso una battaglia, ma non la guerra, incapace com’era di accettare la sconfitta, di inghiottire l’amara realtà dei fatti. L’aveva chiamata bugiarda e aveva ragione, dimenticandosi, però, che ogni menzogna, per risultare davvero perfetta, necessita di qualcuno disposto a lasciarsi incantare. Quel ruolo era toccato a lui e l’Ase non era riuscito a perdonarlo né a lei né a se stesso.

Ma il principe cadetto di Asgard era polvere nel vento, apparteneva alla schiera delle anime che popolavano l’Oltretomba.

 

A Sigyn non fu torto un capello né rivolta la parola durante il breve viaggio che le toccò affrontare. I predoni erano superstiziosi e temevano la malasorte. La strega cieca, con i lunghi capelli sciolti e spettinati che le scendevano sulla schiena, al contrario delle altre ancelle non aveva gridato né supplicato, sentendoli entrare. Si era limitata a rivolgere il bel viso pallido e stanco verso di loro, alzandosi con la dignità della principessa che era stata, come se l’abito nero che indossava, coprendola dal collo ai piedi e lasciandole scoperte solo le mani, fosse stato di seta e non di lana. In altre circostanze l’avrebbero trovata graziosa, riconoscendo nel naso deliziosamente a punta e nelle labbra invitanti i segni di una bellezza particolare e curiosa, ma l’austerità della sua cella, il lutto che ostentava e la sua aria folle e scarmigliata, la facevano assomigliare più a uno spettro che a una donna ancora giovane. E poi, Sigyn portava su di sé, incontrovertibili ed evidenti a qualsiasi occhio, i segni della maledizione che la voleva immolata a qualcosa di oscuro.

 Li aspettava, o non aveva nulla da perdere, oppure ricordava l’insegnamento antico che le aveva dato il figlio dagli occhi verdi e il sorriso furbo di un pirata: che non bisogna rinunciare alla fierezza nemmeno di fronte alla cattività o alle sconfitte. Così lei offrì le braccia dai polsi sottili, di fata, e si limitò a stringersi nel suo mantello nero, certa che il suo sguardo grigio e offuscato, ma evidentemente terrificante, avrebbe impedito agli uomini di frugarle gli abiti. Se lo avessero fatto, l’incantevole anello che Sigyn incautamente custodiva ancora, sarebbe saltato fuori. Ma i predoni erano stati addestrati nella paura dell’ignoto e dell’inconoscibile e temevano fortemente la magia. Così, la silenziosa strega cieca non venne disturbata fin quando qualcuno non osò avvicinarsi a lei quel tanto che bastava perché la scintilla sentisse due dita fredde sfiorarle la guancia. Si ritrasse e serrò le labbra.

“Stai commettendo un sacrilegio,” sibilò, avvolgendosi più strettamente nel mantello color pece. Non poteva saperlo, ma viaggiavano su una nave veloce e snella, dalla prua aguzza, orgoglio di un guerriero il cui nome, nei Nove Regni, non veniva mai pronunciato. L’avvertimento di Sigyn non sortì alcuna risposta, ma l’ancella ebbe la netta sensazione che chi l’aveva sfiorata stesse sorridendo. Di certo, era ancora davanti a lei e la fissava con ostinazione. Lo sentì spostarsi di due passi indietro, intuì che stesse impartendo qualche ordine, ma il rumore delle armature metalliche e della nave stessa le impedirono di cogliere qualsiasi intonazione o voce potesse esserle utile per capire cosa stesse succedendo. Ragionò su ciò che sapeva – che niente avrebbe cambiato il suo destino perché l’aveva visto: le radici marce dell’Yggradsill l’attendevano, pulsanti e nauseabonde, e nella grotta naturale sottostante c’era l’oscurità, in fremente attesa. Infine, una voce ignota la distolse dai suoi ragionamenti, ordinandole di alzarsi.

 

 

Loki non venne in biblioteca, quella sera. Sigyn lo aspettò invano, sfogliando i libri che parlavano delle imprese di Bor e di Odino. Era altrove, era lontano, sembrava non essere mai veramente tornato ad Asgard. E l’ancella, chiudendo i libri, si rese conto con dispetto e sgomento che lo aveva atteso e non smetteva di pensare al bacio che si erano scambiati, all’immagine dell’Ase a torso nudo durante il rito, alla sua figura agile e scattante che montava a cavallo, camminava su un drakkar e maneggiava le armi come se non il trono di Odino, ma l’universo intero fosse suo di diritto. Tormentando una lunga penna di corvo con cui aveva preso qualche appunto distratto, ripensò ai poemi d’amore e alle poesie che si bisbigliavano l’un l’altra lei e le sue sorelle sotto le coperte: frasi imparate a memoria, di cui loro, bambine e poi ragazze dall’immaginazione fervida e nessuna distrazione, coglievano a malapena il senso, ma che ora riaffioravano sulle labbra nervose di Sigyn: struggimento. Era questo il nome del nodo che le serrava lo stomaco e il cuore? E perché, per quale motivo il figlio più oscuro di Odino destava il suo interesse? Doveva odiarlo per come la guardava – con insistenza, divertimento e qualcos’altro, per l’ironia tagliente che le riversava contro, per l’anello, dono magnifico e oltraggioso, per i complimenti assolutamente fuori luogo, per la verità che, con difficoltà, le aveva confessato, per aver premuto le proprie labbra sulle sue, attirando su entrambi la sventura, sporcando i suoi pensieri di ancella devota e fedele. Si coprì il viso con le mani: almeno da questa colpa, Loki doveva essere sollevato: i suoi pensieri si erano già macchiati, ben prima di quel bacio.

Loki non venne quella sera, ma il pomeriggio seguente si sedette davanti a Sigyn come se nulla fosse, adagiando le spalle sulla sedia come se si trovasse su un trono. La ferita che gli tagliava la bocca era ancora rossa e lui stirò appena le labbra. “Ho trovato un modo per aiutarti,” esordì, allungandole una pergamena accuratamente piegata in quattro parti.  

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

avete avuto una pazienza infinita nell’aspettarmi per quasi un mese! Dato che Natale è vicino mi sono ripromessa di ritagliarmi un po’ di tempo – è quello che manca, mai l’ispirazione per questi due piccioncini adorati ♥ - per scrivere un po’ di più. Non dico che potrei riuscire ad aggiornare tutte le settimane, però sicuramente il capitolo 20 e il 42 di Accordo arrivano presto, anzi, prestissimo. Ringrazio di cuore Miryel per avermi dato il bellissimo prompt che ha dato via a questa storia (te possino, Co’, doveva essere al massimo una minilong!). Ah, rileggo rapidamente e posto, sperando che non ci siano troppi refusi, ma o adesso o mai più, sapete come si dice…

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra, presente anche nell’assenza,

Shilyss

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: shilyss