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Autore: Ink_    24/11/2020    1 recensioni
Ci si abitua a tutto, davvero.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonnie & Clyde 
 

Se ne stava immobile, ritta come una candela, a guardare il mucchietto di cocci a terra: un quadro sconnesso, una sorta di unisci  i puntini senza una precisa soluzione. Fissava intensamente i pezzi come se potesse obbligarli a tornare insieme con la sola forza del pensiero. Se ne stava ferma – immobile e concentrata, tirando occasionalmente su con il naso.

Quando lui arrivo alzò gli occhi al cielo, il ritratto della pia esasperazione. Aveva sempre avuto tendenze melodrammatiche.

«L’hai rotto, vero?»

Lei stilò mentalmente una lista di oggetti che si potrebbero rompere a seguito di un brutto impatto con un asettico pavimento bianco, altrimenti detto “realtà”: un vaso.
Un osso.
Un bicchiere.
Una promessa.
Uno di quei brutti soprammobili di porcellana.
Un cuore.

Ripassò la lista due volte prima di girarsi con foga, sventolando i capelli. «Io l’avrei rotto?!»

Lui fece un passo indietro, alzando le mani. «Però stiamo calmi, eh».

Tornò a fissare i cocci stridendo nervosamente i denti. Denti. Ecco un’altra cosa che si rompeva facilmente a seguito di un brutto impatto con un asettico pavimento bianco, altrimenti detto “realtà”.  Diede un calcetto al mucchio facendo tintinnare i pezzi e alzando un po’ di polvere. «Ehi! Fai piano!» la rimproverò lui fra gli starnuti.

Pensò a quanta polvere e a quanto schifo si possa nascondere sotto ad un tappeto persiano, prima che questo venga sollevato e tutti quei brutti insetti scappino in  giro per la casa alla ricerca di un anfratto buio in cui nascondersi. Quanto sporco si può nascondere sotto ad un tappeto pulito prima che si sporchi? Quante urla possono sopportare le orecchie umane prima di sanguinare? Quante volte devi lanciare un cuore contro il muro prima che rimanga un bel segnaccio rosso sulla parete e chiamarlo un’opera d’arte? Oh grazie per il colore, grazie per il dolore, mi serve per la mia arte.

Diede un altro calco ai pezzi rotti, altra polvere e altre sgridate. Sbuffò «È rotto ormai, che importa».

«Sì, perché l’hai rotto tu».
«Era già così quando sono arrivata».
«Non è vero, ieri era tutto intero».
«Balle. Ieri aveva una crepa così, proprio al centro. L’ho vista e l’altro ieri non c’era. E se c’era era più piccola».

Lui incrociò le braccia e guardò dall'altra parte, esibendosi nella sua performance preferita: il silenzio offeso dell'onesto.
Lei si chiese quante volte si potesse assistere ad uno spettacolo prima di abituarcisi, prima di stufarsi. Prima di impararne le battute a memoria e prima di privarlo di qualsiasi sentimentalismo. Ci si abitua a tutto, davvero.

«Io me ne vado a casa»
«Non puoi andartene. Bisogna pulire questo macello»
«Non ci penso nemmeno»
«Io sono allergico alla polvere»
«Tu sei allergico ad un sacco di cose»
«Non posso pulire da solo»  insistette lui.

Ripensò alla lista di poco prima, alle cose che si potrebbero rompere a seguito di un brutto impatto con un asettico pavimento bianco altrimenti detto realtà: un vaso.
Un osso.
Un bicchiere di vetro.
Una promessa.
Uno di quei brutti soprammobili di porcellana.
Un cuore.
Ah, e un dente.

Si grattò il bordo seghettato del buco che aveva nel petto. Sapeva di non doversi grattare perché sarebbe potuta rimane la cicatrice, ma le prudeva davvero un sacco tra lo sterno ed il polmone. Il genere di prurito insistente che porta alla follia. E poi aveva letto in una rivista di medicina che se la ferita prude è perché sta guarendo.

Diede altri colpetti al mucchietto di vetri colorati che ammiccarono sotto le luci artificiali. Pensò che il cuore non dovesse stare nella lista di cose che si potrebbero rompere in seguito ad un brutto impatto con un asettico pavimento bianco altrimenti detto realtà, perché il cuore ha l'ostinata resilienza dei clown gonfiabili, quelli che puoi colpire quanto vuoi che tanto tornano sempre su. Un cuore puoi lanciarlo contro il muro quanto ti pare che tanto non finisce mai il colore e puoi dipingere tutti i tramonti che vuoi.

Ci si abitua a tutto, davvero.

«Io me ne vado a casa» ripeté.

Lui gesticolò forsennatamente, come uno scarafaggio impazzito. Per educazione lei attese che finisse. E nel frattempo pensò che poteva mettere dei fiori nel buco o accogliere una nidiata di pettirossi in attesa che si rimarginasse. E se fosse rimasta la cicatrice poteva sempre coprirla con un altro tatuaggio.

«Non posso pulire! I cocci sono taglienti e non ho nemmeno i guanti! E la polvere mi fa starnutire e - e lacrimare gli occhi e... Oh lasciamo perdere!» (Atto secondo: la fiera ma miserabile arresa dell'onesto). La sua voce aveva lo sgradevole stridio di uno scarafaggio schiacciato sotto la suola.

«Non ti preoccupare»  rispose lei «Ci si abitua a tutto, davvero».
 
 

 
***
Il fatto che sia un “lui” il cattivo della situazione non significa che tutti gli uomini siano degli scarafaggi, questa è stata solo la mia … esperienza.


 
   
 
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