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Autore: Nao Yoshikawa    25/11/2020    2 recensioni
In un altro mondo, in un tempo indefinito...
Rose Tyler è una studentessa di fisica quantistica all'Imperial University di Londra. Quando lo stravagante professore John Smth entra nella sua vita, Rose inizia a fare strani sogni che riguardano qualcosa di blu, sogni che puntualmente svaniscono. Chi è davvero quell'uomo e perché le sembra così familiare?
Allora Rose si fece più avanti, picchiettandogli su una spalla.
«Signorina Tyler!» esclamò concitato. «Mai interrompermi mentre sto pensando.»
«Ah, scusi» la gola improvvisamente le era diventata secca. «Se vuole torno più tardi.»
«No, oramai sei qui» sospirò lui, togliendosi gli occhiali che ogni tanto indossava, quando doveva leggere a lungo qualcosa. «In cosa posso esserle utile?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le rose son blu

Parte seconda

Un fulmine improvviso aveva fatto sussultare Rose.
Avevo solo un nome diverso.
Quand’è che aveva preso a piovere? E perché era buio? E perché si trovava stesa sul suo letto?
Sì, quella doveva essere camera sua, aveva riconosciuto i vari poster e foto attaccate alla parete, la morbidezza dei cuscini. Sospirò, sentendosi sollevata per qualche istante, ma quello stesso sollievo si estinse subito: la sua conversazione con l’insegnante John Smith non era certo stata un sogno, era accaduto davvero.
Com’è che di questo ne era sicura?
E poi cos’era successo? Giusto, era scappata via, ma dopodiché sembrava esserci una voragine nel flusso dei suoi ricordi. Si rigirò da un lato, i capelli biondi sparsi sul cuscino. E allora ci pensò.
E fu certa che non si trattava di un sogno, perché altrimenti lo avrebbe già scordato.
 
Lui aveva poggiato la mano sulla sua. Rose sentì il desiderio di scostarsi e rimanere, scappare e stare immobile, zittirsi e continuare a parlare.
Era la prima volta che lui la toccava e non capiva se si sentisse così semplicemente per via dell’attrazione che provava o per altro.
Sì, doveva essere impazzita, non c’era altra soluzione. Quei sogni avevano compromesso la sua mente, influenzandola.
Rose si fece forza, scostandosi.
Lui la stava prendendo in giro. Se aveva sempre ammirato quel suo essere così stravagante e assolutamente non ordinario, in quel momento non riusciva a sopportarlo.
«Ti faccio per caso paura?» domandò John Smith. «Non devi. Io conoscevo una persona, una volta. In un altro tempo, un altro spazio. Mi crederesti se ti dicessi che quella persona sei tu?»
Questo era davvero troppo.
Rose serrò le labbra e poi si lasciò andare ad un sorriso amaro.
«Lei mi prende in giro perché ha capito che provo qualcosa nei suoi confronti, non è vero? Questo è crudele.»
«Non è così, Rose.»
«No, lasci stare. Non dovevo superare certi limiti, d’accordo? Adesso me ne vado. Sì, è meglio se me ne vado.»
Ma l’avercela con lui era soltanto una scusa, perché semplicemente Rose voleva togliersi dalla mente certe cose. Aveva preso a pensare, qualcosa nella sua testa si era attivato. John Smith non cercò di andarle dietro (forse lo avrebbe voluto?), e senza che quasi se ne accorgesse, Rose arrivò fuori, passando davanti a Clara che era rimasta lì ad attenderla con un ombrello.
«Rose? Ma dove stai andando? Guarda che piove!» le fece presente.
Rose però non sembrava neanche starla ascoltando.
Come osava lui prendersi gioco delle sue fragilità in questo modo? Non c’era affatto bisogno che la facesse sentire più folle di quanto già non si sentisse.
«Io… adesso vado a casa.»
«Ma ti bagnerai, così! Rose, aspetta…!»
Clara cercò di andarle dietro, ma lei non avrebbe comunque ascoltato nessuno.
 
E così, anziché sentirsi meglio o compresa, era stata gettata nel buio.
Possibile che si fossero conosciuti davvero in un’altra vita, un altro tempo, un altro mondo? Cose del genere erano possibili o era solo influenzata da tutte le sciocchezze che aveva letto nei libri?
Ah, ma una cosa era certa: non voleva mai più rivedere quell’uomo in vita sua! Era colpa sua se aveva iniziato a nutrire dubbi su tutto ciò che conosceva.
E doveva essere colpa sua se aveva finito con il provare un sentimento.
Sciocchezze da ragazzine, doveva metterci una pietra sopra. Non esistevano quelle storie a cui una parte di lei continuava ad aggrapparsi.
Infilò la testa sotto il cuscino e solo dopo diverso tempo riuscì ad addormentarsi.
La mattina seguente pioveva ancora. Rose non aveva intenzione di andare a lezione quel giorno, per questo se ne stava in cucina con addosso ancora il pigiama e una tazza di caffè. Era già al telefono con Clara, la quale preoccupata nel non  essere stata avvisata, le aveva subito telefonato.
«Perché non vieni? Hai la febbre, vero? Ecco, lo sapevo» le disse.
«Sì, infatti, sto malissimo» Rose simulò una tosse, ma Clara non ci cascò.
«Ma certo, pensa pure di potermi prendere in giro. Guarda che so benissimo che l’unico male che hai è quello del cuore.»
Rose si bloccò, se avesse potuto vederla Clara avrebbe riso della sua espressione.
«Non so di cosa parli.»
«Forse del fatto che non mi hai detto nulla della tua conversazione di ieri con il nostro insegnante. Deve essere successo qualcosa e adesso non vuoi vederlo. Tu con me non vuoi mai parlare.»
Rose si massaggiò una tempia, chiudendo gli occhi.
«Non crederesti a quello che voglio dirti.»
«Mettimi alla prova. E ti informo che non è un suggerimento.»
L’ultima volta che aveva provato a parlarne non era andata molto bene. Ma Clara non l’avrebbe mai potuta giudicare.
Si sedette, sconsolata.
«Clara, temo di stare impazzendo. E non mi riferisco solo a quei dannati sogni, quelli c’entrano, ma solo in parte. È per tutto. Io credo davvero di averlo conosciuto, solo non in questa vita. Ma ciò è assurdo, non trovi? Ma soprattutto, perché mi sono innamorata di lui? Io non lo conosco nemmeno, non so niente. E quando ho provato a dirgli come mi sento, sai cosa ha fatto? Mi ha dato corda dicendomi che sì, è vero, noi ci siamo già incontrati. E altre sciocchezze del genere. Forse avrei preferito che mi dicesse che sono pazza!»
Rose aveva parlato senza riuscire a fermarsi, non era certa che Clara ci avesse capito qualcosa. Ma sperava comunque che lei, con il suoi fare pratico e logico, l’aiutasse.
E invece la risposta la sorprese.
«Io proprio non ti capisco, Rose. Volevi che qualcuno confermasse i tuoi dubbi, no? E adesso non ti va bene?»
Rose fu molto sorpresa.
«Clara, non mi dire che credi a quello che mi ha detto. Come può aver conosciuto me, in un altro tempo, da un’altra parte? Queste cose non…?»
«Esistono?» domandò lei. «Oh, dopotutto noi siamo solo esseri umani. C’è così tanto che non sappiamo. Magari è lui l’uomo che tormenta i suoi sogni, una parte che non riesci a ricordare al risveglio. Credo che in fondo tu sappia quale sia la risposta giusta, ma non è di certo con me che dovresti parlare.»
Rose adesso più che sorpresa era sconvolta: non riusciva a credere alle sue orecchie!
«Ma io non… no, qui stanno impazzendo tutti.»
«O forse non è la pazzia il problema» sospirò Clara impazientita. «Senti Rose, adesso devo andare. Ma dovresti venire qui, non puoi scappare per sempre dalla realtà.»
Sì, aveva ragione. Ma qual era la vera realtà?
Rose si massaggiò ancora le tempie.
«Senti… facciamo che mi prendo qualche giorno, d’accordo? Devo rimettere a posto le idee.»
Clara non si oppose e lei gliene fu grata.
 
 
Di giorni ne passarono tre. E quel tempo trascorso in solitudine le servì per riflettere molto, in effetti. Rose non poteva essere pazza. O almeno, non sentiva di esserlo. Clara aveva ragione, prima o poi sarebbe dovuta uscire di lì, tornare in università e affrontare John Smith. Per dirgli cosa non lo sapeva, ma era già un primo passo.
La vera spinta l’ebbe all’alba, quando si svegliò di scatto, mettendosi seduta sul letto e con il respiro mozzato: l’ennesimo sogno – o incubo?
La differenza era che questa volta non aveva dimenticato, non tutto almeno. La cosa blu era una cabina della polizia. Nel sogno c’era lei e poi c’era lui. Non ricordava altro, né cosa facevano insieme né cosa si dicevano, ma il viso era quello, era il suo. Rose non si fece domande sul perché proprio adesso tutto fosse diventato improvvisamente più nitido, non gliene importava nulla.
Né di essere pazza, né  di scoprire una realtà che forse temeva, ma se c’era qualcosa che la riguardava, qualcosa che doveva sapere, allora avrebbe voluto conoscerla.
E cosa faresti se scoprissi che la tua vita non è quella che hai sempre avuto? Se scoprissi che hai qualcosa di importante che hai dimenticato?
Quelle domande le affollavano la mente, mentre si infilava la sciarpa per evitare di prendere freddo.
Io non so tu chi tu sia, né chi sono io, ma so che qualsiasi cosa mi porterà a te.
E così uscì, dimenticando di nuovo l’ombrello.
 
Clara si annoiava sempre quando Rose non veniva a lezione. Aveva altri amici, ma nessuno era come la sua a volte scapestrata e distratta Rose. E per quanto  riguardava il professor John Smith, nemmeno lui sembrava tranquillo come sempre. Parlava con meno entusiasmo e i suoi occhi erano sempre alla ricerca di un fiore raro in mezzo a quel campo.
Clara alzò gli occhi al cielo a quel pensiero così melenso. Se conosceva bene Rose – e la conosceva davvero bene – sapeva che sarebbe sbucata dal nulla di lì a breve.
E il suo pensiero non fu sbagliato: poco dopo, aguzzando l’udito, Clara sentì dei passi provenire dal corridoio. E anche lui se n’era accorto, perché per un istante aveva smesso di parlare.
Rose entrò. Forse aveva creduto di fare un’entrata ad affetto, ma in verità nel ritrovarsi di fronte i suoi compagni di corso che la guardavano curiosi, si sentì un po’ stupida. Ma decise di non badarci troppo  e, ancora con il respiro corto, allungò un braccio, indicandolo.
«Lei… noi… dobbiamo parlare…»
John Smith sollevò le sopracciglia, ma più che sorpreso sembrava solo una persona che aveva sempre saputo fin dall’inizio che lei sarebbe venuta da lui.
Si allontanarono dall’aula, giungendo vicino alle aiuole e alle panchine dove di solito gli studenti si fermavano a studiare o a far ripasso.
«Ha proprio fatto un’entrata d’effetto, signorina Tyler!» esclamò senza ironia o alcuna intenzione di prenderla in giro, mentre sollevava lo sguardo al cielo nuvoloso.
Rose assottigliò lo sguardo, un leggero vento gelido a sfiorarle il viso.
«Se è vero che non sono pazza e che sono sana di mente tanto quanto lei, mi dica chi è.»
John Smith tornò a guardarla. Adesso che lo osservava, adesso Rose poteva vedere nei suoi occhi sollievo, ma anche tristezza.
«Ti sei mai chiesta come mai hai deciso di intraprendere questo corso di studi, nonostante non brilli troppo?»
Rose arrossì. A parte che aveva iniziato a darle del tu, poi con quale tranquillità affermava una cosa del genere?
«Io sono… semplicemente stata sempre affascinata dalla fisica!»
«Appunto. E ti sei mai chiesta il perché?»
Si era avvicinata di un passo e la pioggia aveva iniziato a cadere.
«Io non lo so!» sbottò. «Ma cosa c’entra? Perché non la smette di rispondere alle mie domande con altre domande?»
Stupido uomo strano che tormentava i suoi sogni.
«Allora, mi dice perché tormenta i miei sogni?» chiese ancora facendo di quel pensiero una domanda.
Lui la guardò, chinando il capo di lato.
«T.A.R.D.I.S» rispose.
«Che cosa?»
«È così che si chiama la cabina blu che hai disegnato su quel foglio. Il tuo inconscio lo sa. E sa probabilmente chi sono io. Di solito mi chiamano Dottore.»
E dicendo ciò la afferrò per un braccio. Rose ne fu terrorizzata, ma non ebbe comunque il coraggio di scostarsi, perché ciò che le stava dicendo era quanto più di estraneo e familiare potesse esserci.
«C-cosa?» balbettò lei, che senza sapere perché aveva iniziato a lacrimare. «Non capisco. Perché io… perché mi sento così triste…? Io non… non so perché…»
Non so perché tutto questo mi sembra così naturale.
Il Dottore afferrò il suo viso tra le mani, sussurrandole qualcosa:
«Ti ho cercata in ogni dove per secoli.»
E dicendo ciò fece ciò che si era sempre proibito, l’avvicinò dopo averla dovuta tenere lontana. La baciò e Rose sentì di ricordare un vecchio sogno, sentì che tutto ciò aveva fatto parte di lei. Di una lei che era oramai passata.
Si sentì debole e continuò a lacrimare, a singhiozzare, mentre lui le faceva il dono – o la maledizione – della conoscenza. Chiuse gli occhi e si ricordò. Era un mondo lontano, un’altra se stessa, un altro tempo, ma il Dottore era sempre lui, venuto da chissà dove per ritrovarla.
Rose si staccò dopo istanti che le parvero infiniti, fissandolo. E poi lo colpì.
«Ahi!» si lamentò il Dottore. «Immagino… che questo fosse necessario…»
«Non dire… una parola!» esclamò lei, nervosa. «Allora non sono pazza. Tutto quello che ho sempre provato aveva un senso! Tutto ciò che io ho fatto mi ha portato… a te.»
Il Dottore annuì.
«Perdonami se ci ho messo tanto. Ma non potevo sconvolgerti la vita, era necessario che tu capissi.»
Rose sgranò gli occhi e poi lo colpì ad un braccio.
Sconvolgerle la vita? Aveva passato tanto tempo con un vuoto, credendo di ricordare una vita che in realtà non c’era mai stata, un uomo che non era mai esistito. E invece lui era lì.
E quell’amore che provava non era nato dal nulla. Era sopravvissuto.
Era impossibile. Loro erano impossibili.
Avrebbe voluto dire tutto ciò, ma riuscì solo a singhiozzare più forte.
Il Dottore allora si avvicinò, la strinse lievemente, rendendosi conto ancora una volta di quanto fosse reale.
Erano reali entrambi, impossibili, eppure esistevano.
Mentre la pioggia cadeva ancora, rendendo tutto annebbiato, Clara aveva lanciato un occhio dal finestrino, lasciandosi andare ad un sorriso.
In fondo sapeva che sarebbe andata a finire così.
 
Era stato come risvegliarsi da un sogno durato una vita. Tutto era diventato chiaro, anche se alcune parti erano ancora nebulose. Rose adesso sapeva di averlo conosciuto in un’altra vita, di aver viaggiato con lui nel tempo e nello spazio.
Adesso aveva smesso di piovere e le erano rimasti i capelli umidi, così come i vestiti.
«Mi devi una spiegazione. Sì, me la devi senza ombra di dubbio, Dottore. Perché sono qui? Sono io la stessa persona che ha vissuto con te? Son-»
«Rose, parli troppo e non riesco a pensare» la zittì il Dottore, ritrovandosi una goccia di pioggia sui vestiti. In effetti si trovavano sotto gli alberi del viale, si erano totalmente dimenticati di trovarsi in università, era scomparso tutto il mondo per loro.
«Non zittirmi, sono confusa. Allora, sono sempre io?»
«Sei sempre tu, Rose. È solo che…»
E improvvisamente i suoi occhi si fecero di nuovo tristi.
«È solo che ti ho persa…»
Rose indietreggiò.
«In che senso…? Sono morta? Ma come…?»
«Il mondo che conoscevamo non esisteva più. Non ero riuscito a salvarti, non ero riuscito a salvare nessuno, ma soprattutto non te! Innamorarmi di un essere umano è stata la cosa peggiore che un Signore del Tempo potesse fare»
«È questo che mi dici dopo tutto questo tempo?» domandò Rose, non davvero arrabbiata, dopotutto lo conosceva così bene. «Quindi come sono finita qui?»
«Ho fatto sì che tu nascessi un’altra volta, solo… in un altro mondo. Renditi conto di quello che ho fatto per te. Tu eri morta, e adesso sei viva.  E io ti ho cercato per una vita intera, cercandoti tra i mondi.»
I suoi occhi adesso erano velati di lacrime. Rose si portò una mano sul cuore.
«Ma non pensavo ricordassi tutto, vedendomi. Questa cosa che voi umani chiamate amore è più forte di quanto sembri…» disse il Dottore scuotendo il capo.
Rose, seria, lo osservò.
«E io sono la stessa persona che hai conosciuto? Sono certa che tu sei tu, ma come puoi sapere che io sia io? Non ha senso… vero?»
Il Dottore si avvicinò, le afferrò dolcemente il viso con una mano.
«Io non so come faccio saperlo, ma lo so e basta. Non ti ho ritrovata per avere di nuovo paura.»
Rose era impaurita, spaventata. L’idea di essere morta e rinata, pur mantenendo coscienza e ricordi, era strana, se non assurda, ma dopotutto quante ne aveva viste con lui? Alzò gli occhi, guardandolo.
«Ricordo che ti ho amato. E che ti ho sempre amato, ma non lo sapeva con certezza prima di oggi.»
Non lasciarmi, avrebbe voluto dirgli, ma in verità non si erano mai lasciati. Fecero per baciarsi di nuovo, quando Clara apparve sugli scalini.
«Amh, amh, scusi professore, ma ha lasciato i suoi studenti in asso. Se vuole faccio io da lezione.»
Rose arrossì, capendo solo in quel momento che probabilmente Clara doveva sapere qualcosa da molto più tempo di lei.
«Basta chiamarmi professore, non mi si addice come Dottore!» esclamò lui. «Scusi signorina Oswald, ma temo dovrete cercarvi un altro insegnante!»
Rose lo vide passargli davanti.
«Penso di sapere dove stai andando.»
E infatti poco dopo dal nulla comparve il Tardis blu che aveva tormentato i suoi sogni.
«Ci sono delle cose che dobbiamo fare, adesso. Clara, ti spiace?»
«Assolutamente no, Dottore» rispose lei ammiccando. Rose spalancò gli occhi.
«Tu avevi capito qualcosa? Traditrice, tu..!»
Clara la salutò con la mano.
«Prego, non c’è di che. Riportamela sana e salva. Tranquilla Rose, ci vediamo presto!»
Rose entrò dentro al Tardis, totalmente stordita, trascinata dagli eventi che avevano stravolto la sua esistenza, ma con un senso di felicità ritrovata addosso.
«È sempre più grande di quanto non sembri. Adesso ricordo quanto mi è mancato.»
Non era mai stata pazza, ed era stato tutto reale: entrambe le sue vita, tutti i rapporti e i legami che aveva creato.
Poi lo guardò, avendo quasi paura che tutto potesse sfumare, che potesse essere anche quello un sogno.
«Dimmelo. Dimmi che mi ami, perché sono piuttosto certa che nella mia vita passata tu non l’abbia fatto nemmeno una volta.»
«Non è molto gentile da parte tua. Ad ogni modo, adesso che ti ho di nuovo qui con me possiamo fare ciò che abbiamo sempre fatto.»
Rose sgranò gli occhi, facendo per indietreggiare. Quante volte insieme erano stati ovunque e dappertutto? Quante volte quei ricordi le erano venuti alla mente, camuffandosi da sogni?
«Aspetta, che cosa?! T-tu non puoi! Sei sempre il solito, arrivi a sconvolgermi la vita e non mi dai nemmeno il tempo di…!»
Ma prima che potesse finire di parlare, il Dottore si chinò su di lei, sussurrandole qualcosa. Era quel ti amo tanto bramato , quello che aveva resistito al tempo, allo spazio, a tutto. Ora Rose era pronta a tutto, anche a salvare un qualche pianeta lontano disperso nella galassia.
 
Nota dell’autrice
Ed ecco questa seconda  ed ultima (per me difficilissima) parte della storia, mi rendo conto che sembra più un prequel di qualche altra cosa che una storia vera e propria (chissà, devo ancora capire bene.)
Devo confessare una cosa, sono una grande amante di Doctor Who e simili, ma nel momento in cui mi ritrovo io stessa a imbastire certe trame mi ritrovo in difficoltà, quindi ecco che parte lo spiegone, forse non necessario, ma sempre meglio farlo: In circostanze non ben specificate e per motivi non noti, la Terra è stata distrutta e il Dottore ha fallito nel suo tentativo di salvare gli umani, Rose in primis. Non sono scesa troppo nei dettagli, non sapevo bene come parlarne senza far andare la storia “fuori tema”, ma è pure vero che mi sono lasciata uno spiraglio aperto perché mi piacerebbe scrivere una sorta di spin-off (che avrebbe più che altro come protagonisti il Dottore e Clara, ma a lei ci arrivo dopo). A causa di ciò, ha creato una sorta di universo alternativo dove Rose è nata, cresciuta, ma dove ha tenuto dentro di sé i ricordi della sua vita passata (direi che quindi questa è pure una reincarnation!AU o qualcosa del genere), ma per raggiungerla il Dottore ha dovuto attraversare gli universi e i secoli eccetera. Forse questa cosa ha senso solo nella mia testa, ma la trovavo un’idea romantica, caso mai la colpa è del mio sentimentalismo.
Clara: al contrario di Rose lei non ha ricordi legati alla sua vita passata, ma qualcosa percepisce. Diciamo che off-screen c’è stato un incontro con Ten, dove lui le ha spiegato tutto, che è appunto un’altra cosa che vorrei approfondire. Diciamo che come prima storia nel fandom non mi sono andata a scegliere qualcosa di molto semplice, però sono felice di averla resa pubblica, rischiava di rimanere tra i file del pc.
Spero di tornare a pubblicare qualcosa. Le idee ci sono, intanto grazie per chiunque sia arrivato alla fine di queste fin troppo lunghe note.
   
 
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