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Autore: ImperialPair    27/11/2020    3 recensioni
Tom sta bevendo una tazza di tè verde aromatizzato al fico nel bar gestito dal fratello gemello del professore di cui è innamorato e ripensa agli atti di bullismo che riceve continuamente a scuola.
“Questa storia partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Titolo: Diverso da tutti, diverso da nessuno
Fandom: Originale
Pairing: Slash
Pacchetto: 
è verde aromatizzato al fico + “sono un diverso”
Genere: Introspettivo
Rating: Giallo
Parole: 1159 (contacaretteri.it)

“Questa storia partecipa al contest “Voglia di tè (II edizione)” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”.

 
Diverso da tutti, diverso da nessuno
 
Il tè verde aromatizzato al fico poteva sembrare una bevanda insolita, ma io, dopo la scuola, ero solito berlo perché era una delle poche cose che riuscisse a farmi andare avanti.
So che sarebbe anche potuto bastare questo per definirmi un ragazzo strano, un giovane diverso dagli altri, ma tutti mi definivano già così per il fatto che io preferissi i ragazzi piuttosto che le ragazze.
Perché io, secondo i miei compagni, ero diverso da loro, diverso da tutti, un mostro, uno sbaglio della natura, un malato che avrebbe potuto contagiare tutti anche semplicemente guardandoli con gli occhi.
Io ero gay, solamente questo, ma gli altri non sembravano accettarmi per quello che io ero, solamente un ragazzo normale che non si sarebbe mai innamorato del gentil sesso.
Questo ai loro occhi era una diversità, qualcosa da usare contro di me per bullizzarmi e per dimostrare quanto loro fossero omofobi.
“Fisher, non avvicinarti o ci contagerai!” non so quante volte mi avevano detto quella frase con disgusto mentre andavo al mio armadietto.
Stai alla larga frocio di merda!” Lo dicevano spesso alla mensa mentre cercavo di sedermi dove trovavo un tavolo con qualche posto ancora libero.
Io ero arrivato al punto da dover mangiare da solo, lontano dagli occhi degli altri, lontano da quei ragazzi che mi giudicavano solo per il mio orientamento sessuale.
Questo però erano solo una minima parte degli insulti che ricevevo quotidianamente, offese che, nonostante fossero passati due anni, continuavano a farmi male come quando mi dichiarai al ragazzo per cui avevo una cotta e fu proprio da lui che incominciò tutto.
Lui fu il primo a guardarmi con occhi nauseati e dirmi quella frase che mi distrusse completamente: “Non penserai che a me possano piacere i ragazzi? Che schifo! E poi ti sei mai visto, con quella scodella che hai in testa sei ridicolo, chi vuoi far ridere?”, poi, come se non bastasse, mi spintonò facendomi sbattere con le spalle contro l’armadietto.
Da allora io non ebbi più una vita facile.
Non ero più uno studente comune, ma solo il frocio con il taglio a scodella che si era dichiarato al capitano della squadra di basket, quello bello con gli occhi azzurri e capelli biondi che faceva cadere ai suoi piedi tutte le ragazze della scuola.
Non volevo in nessun modo avere ulteriori problemi, almeno non più di quanto già ne avessi.
Avevo cercato di vivere per la mia strada, facendo finta che loro non esistessero. In fondo speravo che con il tempo si sarebbero dimenticato di un ragazzo che non  non darebbe mai uscito con la figa di turno.
Con i continui soprusi del capitano, io avevo rimosso tutti i sentimenti positivi che provavo nei suoi confronti. Avevo perso la stima che avevo nutrito fin dalla prima partita in cui lo vidi giocare.
Perché sarei dovuto essere innamorato di un ragazzo che mi bullizzava? Nonostante fosse il più bel ragazzo della scuola? Non potevo per il modo in cui mi trattava.
Con il tempo il mio interesse si era spostato da tutt’altra parte, verso l’unica persona che nutriva un po’ di premura nei miei confronti, c’era solo un problema: era un uomo, era etero, era sposato e per non bastare era un mio professore.
A lui non sembrava importare che io fossi gay, perché lui aveva un gemello omosessuale e capiva quello che io stavo passando: lo aveva visto con i propri occhi verso il fratello.

Quella sera, il prof Jonson mi stava confortando in un bar poco distante, lo stesso dove lavorava suo fratello gemello e dove io ero solito bere quella fumante tazza di tè dopo le lezioni.
«Devi reagire Fisher, lo dico per il tuo bene, potrebbero arrivare ad esagerare: so di cosa possano essere capaci gli adolescenti».
«Sono un diverso».
«Non sei diverso da nessuno, sei un ragazzo come gli altri».
Questo lo sapevo già da me alla fine, ma avevo bisogno di sentirmelo dire da qualcuno, di sentirmi vicino almeno una persona, che non fossero i miei genitori. Volevo che mi dicessero quanto io fossi normale, ma avrei voluto sentirlo da un mio coetaneo e non da un adulto.
«Preferisco rimanere in solitudine, è un modo per tirare avanti».
Il professor e suo fratello, lo stesso uomo che stava prendendo la tazza di tè che avevo appena finito di bere.
Potevano capirmi, no? Loro avevano vissuto con i propri occhi atti di bullismo e di omofobia.
Earl e Clark  Johnson, due fratelli, così diversi fra loro che, pur essendo gemelli non avevano nulla in comune se non il colore castano dei capelli.
Uno dei due aveva un viso alquanto comune, uno di quelli che passano inosservati e, all’età di trentatré anni incominciava già ad essere stempiato, difetto genetico che il gemello non aveva ereditato. Come se non bastasse, era anche in leggero sovrappeso.
Al contrario, l’altro era un uomo affascinante, uno di quelli che si potevano benissimo trovarsi dietro una cinepresa, aveva un corpo tutto sommato tonico e un viso con dei lineamenti così eleganti e raffinati da far perdere la testa.
Avevo sempre pensato che fosse sprecato come barista.
Sarebbe potuto sembrare strano, no? Io non mi ero innamorato del professore per il suo aspetto fisico, perché m’importava poco che stesse perdendo i capelli o che non fosse in forma, ma ad avermi conquistato era la premura che aveva sempre nutrito verso di me.
Non m’importava se i miei sentimenti per lui sarebbero rimasti a senso unico, perché io non avrei mai preteso nulla da lui.
«Tom, ti bullizzano ancora a scuola?»
«Sì».
«Le cose alla fine non sono cambiate per nulla dai miei tempi, però tu cerca di reagire, fa qualcosa perché potresti finire male».
Sapevo che una qualche angheria di troppo sarebbe potuta degenerare, ma fortunatamente non avevano ancora superato il limite, ma avrebbero potuto farlo da un giorno all’altro. Io n’ero perfettamente consapevole.
«Lo posso immaginare».
«Almeno l’hai detto ai tuoi genitori?»
«No, non voglio che sappiano quello che io stia passando, ne soffrirebbero».
Mi sembrava davvero troppo dirgli che, per colpa della mia omosessualità, io ero preso di mira da dei bulli: loro non lo avrebbero mai accettato.
Perché io ero un diverso, perché io ero il Tom Fisher che si era dichiarato al capitano della squadra di basket, il frocio, la checca, il mostro, il malato, quello con l’orribile taglio a scodella, il ragazzo che tutti dovevano evitare.
Non potevo in nessun modo vivere alla luce del giorno.
Io però non ero un diverso, ma ero solo un ragazzo come loro, ma quei bulli omofobi non sarebbero mai stati in grado di capirlo, perché a loro importava solo dell’apparenza.
Se non eri etero, non eri nessuno, se non ti piacevano le donne, eri solo un bersaglio.
Io non potevo combatterli, avevo paura delle conseguenze, perché proprio come aveva detto Clark, le cose sarebbero potuto degenerare.
Volevo solamente vivere la vita liceale con tranquillità, ma questo, con molta probabilità, mi sarebbe sempre stato precluso.
   
 
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