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Autore: AlbAM    29/11/2020    50 recensioni
Yetunde ha 12 anni. Ha appena cambiato scuola e la sua vita non sarebbe male se non fosse per Marco che insieme al suo gruppo di bulli lo ha preso di mira.
Ispirato da una frase della sorella che cercava di consolarlo, decide di provare un incantesimo imparato da una serie TV e farsi aiutare da un demone infernale.
Ma giocare con gli incantesimi può essere molto pericoloso e Yetunde si ritrova a fare i conti con Azaele, un demone infernale un po'... insolito.
«Questa storia Partecipa alla sfida “Prompts, our Wires” indetta da Soul Dolmayan su EFP»
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Universo Aza&Miky'
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Ohi, mamma, ma’

Senti qua che storia

Son straniero nella mia città

Io che poi mi innamoro con la C aspirata, ti dico

Ohi, mamma, ma’

Senti qua

Cosa c’è

Senti qua, senti qua,

senti Mamma parlavo con la Caterina

Mi ha dato la mano e mi ha detto cammina

Mi ha fatto vedere i piccioni a Firenze

Mi ha fatto notare le differenze

Ma tutti hanno un becco, due zampe e due ali

Son tutti diversi, ma son tutti uguali

Siam tutti diversi, ma siam tutti uguali


Una Coca-Cola Con La Cannuccia Corta Corta

Testo e Musica: Lorenzo e Michele Baglioni


https://www.youtube.com/watch?v=YtdcvUBU0rc



Una Coca-Cola Con la Cannuccia Corta Corta



L'aveva vista di nuovo, la signora Marchetti, cancellare quella stupida scritta alla lavagna "Yetunde, tornatene a casa tua".

Yetunde sospirò rattristato, non riusciva a capire perché Marco e gli altri ce l'avessero tanto con lui, era sempre andato d'accordo con tutti, era un ragazzino tranquillo e allegro, o almeno era stato allegro fino a quando all'inizio della seconda media la sua famiglia si era trasferita in un nuovo quartiere e aveva dovuto cambiare scuola.

I primi giorni nella nuova scuola a dire il vero erano andati bene, non solo non vedeva l'ora di fare amicizia con i nuovi compagni, ma c'era anche quella ragazzina con i capelli rossi così carina, prima o poi avrebbe trovato il coraggio di presentarsi, ne era sicuro!

Dopo neanche un mese però un gruppetto di ragazzi di terza, capitanato da Marco, un ragazzo bruno dagli occhi chiari, aveva iniziato a tormentarlo.

Non facevano altro che offendere lui e i suoi genitori.

"Torna a casa tua, Africa!"

"A Firenze gli extracomunitari non li vogliamo!"

"Africa, non ti sforzare a usare le posate, mangia con le mani che fai più bella figura!"

E giù risate sguaiate.

Insomma era un tormento continuo e purtroppo non molto tempo dopo alle offese si era aggiunta la solitudine perché i bulletti avevano cominciato a minacciare i compagni di classe che mostravano simpatia nei suoi confronti, con il risultato che ormai Yetunde era rimasto solo nel banco e durante l'ora di ricreazione nessuno gli rivolgeva la parola.

E per quanto riguardava la ragazzina, non aveva ancora trovato il coraggio di parlarle.

Non si era mai sentito così solo in vita sua.

Gli erano rimasti soltanto la chitarra e il tablet a fargli un po' di compagnia, quando tornava a casa da scuola, dopo aver fatto i compiti si chiudeva in camera e suonava per ore e quando non suonava accendeva il tablet e spegneva il cervello guardando intere serie TV una puntata dopo l'altra, fino a notte fonda.

Sua madre e suo padre erano molto preoccupati perché Yetunde non aveva mai spiegato cosa lo avesse reso così triste da un giorno all'altro e ogni volta che provavano a parlargli sbuffava e rispondeva infastidito “Niente!” e si chiudeva in camera.

Non se la sentiva di parlare con i suoi genitori e poi cosa avrebbe potuto dir loro, che era nato a Firenze, parlava con l'accento toscano, si sentiva italiano, eppure per i suoi compagni non sarebbe mai stato italiano?

Non voleva rattristarli.

Si buttò per l'ennesima volta sul letto, mise le cuffie per isolarsi dal mondo e cominciò a guardare una nuova serie il cui titolo lo aveva incuriosito in modo particolare Le Terrificanti avventure di Sabrina.


Yetunde, chiuso come al solito nella sua cameretta, piangeva disperato, quella mattina era stata una delle più terribili da quando era arrivato nella nuova scuola, Marco e gli altri si erano scatenati, gli avevano rubato la merenda e poi l'avevano sparsa per tutto il cortile urlando che a scuola non era ammesso il cibo per scimmie, poi nei bagni lo avevano tenuto in quattro mentre Marco gli rovesciava addosso un secchio d'acqua sporca, abbandonato inavvertitamente dalla signora Marchetti, urlando "Lavati, Africa, puzzi di cacca di elefante!".

Come se non bastasse la professoressa Toninelli aveva deciso di mettere una nota sul registro a tutti i ragazzi coinvolti nella rissa e Marco aveva giurato che gliel'avrebbe fatta pagare cara.

Arrivato a casa si era chiuso in camera senza parlare con nessuno, finché sua sorella maggiore non era riuscita a farsi aprire.

Alissa aveva sedici anni e molta più fortuna di Yetunde con i compagni di scuola, Maria la sua migliore amica era stata la sua compagna di banco dalla prima alla terza media e la loro amicizia era continuata anche alle superiori, dove aveva conosciuto il suo fidanzato, Alessandro, con cui stava insieme già da un anno.

Vedendo il fratello così disperato si preoccupò, si sedette sul letto e lo abbracciò.

“Che ti succede? Perché sei così disperato, dimmi la verità sta succedendo qualcosa a scuola?”

“Sono stanco, Alissa, non ne posso più di non essere italiano, perché devo essere diverso?”

La sorella lo osservò “Perché dici che non sei italiano, sei nato qui, studi qui, parli Italiano! Lasciali perdere! Non sei tu diverso, sono loro che sono dei cretini!”

“No, hanno ragione loro, in fondo noi non siamo veramente italiani e non lo saremo mai!”

Alissa si arrabbiò a quelle parole “Siamo italiani eccome, anzi Fiorentini e adesso te lo dimostro!”

Uscì dalla camera per rientrare qualche istante dopo, con in mano una lattina di Coca Cola da cui spuntava a fatica una cannuccia azzurra.

Yetunde la guardò senza capire.

Sua sorella gli porse la Coca Cola e domandò sorridendo “Questa cos'è?”

Il fratello capì e sorrise “Una Hoha Hola Hon la Hannuccia Horta Horta!”

“Appunto!” rise Alissa.

Yetunde si asciugò le lacrime, rise con lei e per quella sera la tristezza fu spazzata via.

Purtroppo però il giorno dopo le cose non erano andate meglio, i compagni lo avevano chiuso a chiave in bagno per ore, fino a quando la bidella non si era resa conto che qualcuno aveva rubato le chiavi dei bagni del piano terra e intuendo che doveva essere successo qualcosa era andata a controllare e lo aveva fatto uscire con le chiavi di riserva.

Per colpa di quello stupido scherzo aveva preso un tre in matematica, la professoressa Fibonacci si era convinta che si fosse nascosto per evitare l'interrogazione e aveva liquidato il suo racconto come una scusa “Neanche tanto originale!”.

Quella sera entrò in camera della sorella piangendo disperato.

Alissa cerco di risollevargli lo spirito come poteva, ma alla fine sbottò "Comincio a pensare che per far smettere quegli imbecilli ci vorrebbe l'aiuto del diavolo in persona!"

Yetunde rimase colpito da quella frase, gli aveva fatto fatto venire in mente che in una puntata delle Terrificanti avventure di Sabrina, la protagonista aveva costretto un demone a obbedire ai suoi comandi grazie a un incantesimo non troppo difficile da mettere in pratica.

Ci rimuginò sopra tutta la notte girandosi e rigirandosi nel letto finché la mattina prese una decisione, ci avrebbe provato!


Quel giorno, per la prima volta in vita sua, trovò il coraggio di fare forca1, si nascose in cantina e cominciò i preparativi per l'incantesimo.

Posizionò sul pavimento una serie di candele rosse avanzate dall'ultimo Natale e con il sale di un pacco rubato dalla dispensa disegnò un cerchio con dentro una stella a cinque punte.

Come sottofondo mise i Carmina Burana, a volume non troppo alto, per evitare che qualcuno del palazzo venisse a controllare.

Diede un'occhiata intorno per assicurarsi che tutto fosse in ordine e dopo aver preso un gran respiro iniziò a leggere da un foglietto alcune parole in latino rubacchiate alla bell'e meglio dal testo dell'incantesimo in latino recitato da Sabrina Spellman.

Per un po' non accade nulla e Yetunde stava per rinunciare, ma improvvisamente forse per un errore di pronuncia o forse perché qualcosa di vero c'era, i lati della stella si illuminarono di un intenso rosso carminio.

Yetunde si spaventò e cercò di interrompere il rito, ma si rese conto con terrore che non aveva più il controllo della sua bocca e la lingua e le labbra si muovevano senza che lui avesse più il potere di controllarle.

Continuò a ripetere le parole dell'incantesimo finché una enorme fiammata si sprigionò dalla stella fino quasi al soffitto e una voce sconosciuta e piuttosto irritata esclamò “Per la miseria boia, che cavolo succede?"

Subito dopo si sentì un tonfo e le fiamme furono sostituite da una fumata rosso sangue al centro della quale gli sembrò di scorgere una sagoma umana.

Il fumo si diradò fino a scomparire e Yetunde, le cui labbra si erano finalmente fermate, si ritrovò davanti una creatura con le corna e due grandi ali da pipistrello che lo guardò dritto negli occhi facendogli gelare il sangue nelle vene, aveva davvero richiamato un demone infernale sulla terra!

La creatura aveva i capelli ricci e una barba nera appena accennata, era seduta al centro del cerchio e aveva un'aria decisamente contrariata.

Yetunde fu colpito dai vestiti indossati dal demone, scarpe da ginnastica Nike, jeans e giubbotto da marinaio neri.

Per terra c'era un berretto da marinaio.

"Di, un po' moccioso, non mi dirai sul serio che sei stato tu a intrappolarmi in questo cerchio?" lo apostrofò il demone piuttosto irritato .

Yetunde aprì la bocca per rispondere ma non riuscì ad emettere alcun suono, era troppo terrorizzato!

"Senti ragazzino, non è che abbia molto tempo da perdere, ti dispiace rispondermi?" lo incalzò il demone raccogliendo il berretto da marinaio e alzandosi in piedi.

Yetunde notò che il demone non era molto alto e a dir la verità, una volta che ci si abituava a corna e ali, nemmeno tanto spaventoso.

"I...io, n… non pensavo… era solo un… un gioco!"

Il demone lo fissò allibito.

"Evocare demoni infernali non mi sembra tanto un bel gioco, ragazzino! E non mentirmi, sono un demone, lo sento quando qualcuno mi dice una menzogna, che accidenti pensavi di fare?"

Il ragazzino abbassò lo sguardo e due lacrime cominciarono a scorrere lungo le sue guance.

Il demone alzò gli occhi al cielo sbuffando "Adesso ci manca solo che ti metta a piangere! Senti, ti è andata bene che stavo passando io e non Razel, tanto per dire. Quindi facciamo così, tu ora apri questo stupido cerchio di sale, mi lasci libero e io farò finta che non sia successo niente, ok?"

Il ragazzino osservò stupito il demone "Davvero non puoi uscire dal cerchio?"

"A quanto pare no, quindi datti una mossa, prima che io mi arrabbi sul serio!"

Yetunde ci pensò su un pochino e poi disse deciso "No!"

"Cosa?" domandò allibito il demone.

"Senti ragazzino, parliamoci chiaro, sto cominciando ad innervosirmi! Liberami immediatamente o…!"

"O cosa? Sei imprigionato in quel cerchio senza poterne uscire fino a quando non decido io di liberarti!" rispose il ragazzino incrociando le braccia con aria trionfante.

Il demone ammutolì, poi un sorrisetto gli spuntò sul viso, quel piccolo umano cominciava a stargli simpatico.

"Guarda, guarda, il moccioso non è poi così frignosetto come sembrava, e va bene, quindi che cosa vuoi in cambio della mia libertà?" domandò divertito.

Yetunde esitò un attimo, poi ripensò a tutte le cattiverie che aveva subito da Marco e i suoi amici, si fece coraggio e disse" Voglio che mi aiuti a liberarmi di Marco e dei suoi stupidi amici, sono stufo dei loro scherzi!"

Il demone spalancò gli occhi e cominciò a ridere "Scusa, ma seriamente tra tutti i favori che potresti pretendere, l'unico che mi stai chiedendo di concederti è di poter dire a quattro fessacchiotti che se non la smettono chiami tuo cugino grande?"

"Non c'è nulla da ridere!" replicò offeso Yetunde.

Ma il demone non la smetteva di ridere.

"Ti ho detto di smetterla, perché vuoi umiliarmi anche tu?" urlò il ragazzino.

"Tu non sai cosa significa sentirsi accusare tutti i giorni di essere diverso, svegliarsi tutte le mattine con la paura di alzarsi dal letto perché sai che dovrai affrontare un altro giorno infernale!" terminò rabbioso sentendo di nuovo le lacrime rigargli le guance.

Il demone a quelle parole smise di ridere e si fece serio "Ti sbagli ragazzino, almeno da questo punto di vista posso capirti molto più di quanto pensi!" commentò malinconicamente.

"Allora aiutami!" lo pregò Yetunde.

Il demone sospirò "E va bene, ti aiuterò in cambio della mia libertà. A proposito, come ti chiami?"

"Yetunde! E tu?"

Il demone incrociò le braccia "Il mio nome è Azaele. Ora che ci siamo presentati, mi liberi o no?"

Il ragazzino esitò un po' impaurito, ma poi pensò che il demone aveva fatto un patto e non poteva mentire, così passò la punta di un piede sul cerchio di sale per aprirlo.

Il demone fece un passo fuori dal cerchio lo afferrò per la maglietta e lo spinse contro il muro "Dimmi ragazzino, i tuoi genitori non ti hanno insegnato che dei cattivi non ci si deve fidare?" sibilò contro il viso terrorizzato di Yetunde che cominciò ad ansimare.

Il demone, che tutto sommato non era poi così cattivo come voleva fargli credere, se ne accorse e si preoccupò, temendo di provocargli un colpo al cuore lo lasciò andare e spalancò le ali.

"Per questa volta te la cavi ragazzino, ringrazia che ho impegni più urgenti che portarmi un moccioso all'Inferno, ma la prossima volta pensaci bene prima di fare una fesseria del genere, potresti incontrare qualcuno molto più cattivo di me!"

"Aspetta, avevi promesso di aiutarmi!" esclamò Yetunde.

Il demone alzò un sopracciglio "Nel caso non lo avessi ancora capito, ti ho mentito!"

Yetunde lasciò andare le braccia lungo il corpo e cominciò a piangere silenziosamente.

Azaele si sentì un po' in colpa, quel ragazzino gli era simpatico e in fondo era vero, si stava rimangiando la promessa appena fatta e poi a dirla tutta non sopportava i bulli, anche all'Inferno ce n'erano in abbondanza.

"E va bene, facciamo una cosa veloce però, ti ho già detto che non ho molto tempo da perdere!"


#


"Eccoli, sono loro!" disse Yetunde indicando Marco e gli altri che se ne stavano seduti a chiacchierare sulle scale davanti all'entrata della scuola.

“Come pensavo, sono solo quattro mocciosi!” pensò Azaele che si era reso visibile solo per Yetunde, sbuffò annoiato ma ormai aveva dato la sua parola.

In quel momento passò la ragazzina con i capelli rossi, Marco e gli altri visto che non c'erano altre vittime da prendere di mira, rivolsero subito la loro attenzione su di lei.

Uno di loro le diede una spinta e le fece cadere lo zaino che si aprì sparpagliando libri e quaderni a terra, i ragazzi si gettarono su libri e quaderni minacciando di strapparli in mille pezzi e ridendo divertiti. La ragazzina cercava disperatamente di recuperare i quaderni, ma più cercava di strapparli dalle mani dei ragazzi e più loro li sollevavano sopra le loro teste ridendo.

Yetunde infuriato si rivolse ad Azaele "Perché non fai niente? Aiutala!"

Azaele gli rispose facendo spallucce "Non è una cosa che mi riguarda né posso intervenire, io ho fatto un patto con te, non con la ragazzina!"

"Ma non possiamo permettere che continuino!"

Allora aiutala tu, no?" rispose Azaele come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Il piccolo umano lo fissò un po' deluso "Non sei di molto aiuto!"

Azaele alzò le spalle e aprì le braccia come per dire "Che posso farci?"

Yetunde scosse la stessa e si precipitò in aiuto della ragazzina "Piantatela, siete solo dei gran cretini!"

Marco si voltò e gli rivolse un sorriso sprezzante "Ragazzi, è tornato Africa! Stavolta non te la cavi con una secchiata d'acqua!"

Yetunde capì che era meglio dileguarsi e cominciò a correre inseguito dai bulletti.

Azaele volò dietro ai ragazzi urlando "Yetunde se non mi chiedi aiuto non posso intervenire!"

Yetunde continuò a correre, svoltò in una strada senza uscita e quando arrivò al termine del vicolo si girò e si piegò ansimante poggiando una mano su un ginocchio e l'altra su un fianco.

Marco e gli altri lo raggiunsero minacciosi.

"Ti sei fregato da solo, Africa!" sogghignò Marco.

Yetunde alzò il viso, rivolse un largo sorriso ai suoi avversari ed esclamò "Aiutami, Azaele!"

Marco e gli altri lo guardarono senza capire.

Una voce allegra fece voltare i quattro bulletti "Quattro contro uno é un po' da codardi non trovate?"

I ragazzi si ritrovarono ad osservare un adulto sulla trentina, vestito di nero e con un berretto da marinaio in testa.

Marco assunse un'espressione battagliera e gli rispose "Non so chi sei, ma é meglio se ti levi dai piedi, questi non sono fatti tuoi!"

L'uomo sorrise divertito "Uh, che paura! Il piccolo codardo mi sta minacciando!"

Marco fece un cenno ai suoi amici che circondarono Azaele, uno di loro tirò fuori un coltellino svedese, lo aprì e lo tese minaccioso verso Azaele che a quella vista strabuzzò gli occhi e non riuscì a trattenere una risata fragorosa “Moccioso, sul serio pensi di avere una qualche parvenza di dignità con quell'aggeggio ridicolo in mano?"

"Quell'aggeggio fa più male di quello che pensi, stronzo, e lascia dei bei ricordini sulla pelle!" lo ammonì Marco.

Azaele non era tipo da offendersi facilmente, ma sentirsi chiamare stronzo da un bulletto di tredici anni lo irritò non poco.

"Sai una cosa stronzetto, tu e i tuoi amici mi avete già stancato, vi consiglio di piantarla di tormentare Yetunde o chiunque altro non faccia parte del vostro piccolo circolo di imbecilli o ve ne farò pentire amaramente!"

Marco gli rise in faccia “Sarai anche un adulto ma noi siamo in quattro come pensi di farci pentire?"

"Portandovi con me all'Inferno!"

"Che gran cazzata!" commentò Marco ridendo e dando una manata ad uno dei suoi amici per fargli capire che doveva ridere, al che anche gli altri ragazzini si unirono alla risata.

Ma la risata si strozzò loro in gola quando dalla schiena di Azaele spuntarono un paio di ali nere da pipistrello, ai lati del suo cappello apparvero due corna e le pupille divennero completamente rosse.

Il demone sorrise mostrando quattro canini da lupo e commentò con una voce profonda che non aveva più molto di umano "Vi avevo avvertito!"

I bulletti iniziarono a correre, ma Azaele in un battito d'ali li raggiunse, afferrò Marco per un braccio e lo spinse contro il muro.

Il ragazzo urlò terrorizzato quando il demone avvicinò il viso così tanto al suo naso da fargli sentire l'odore di zolfo emesso dal suo respiro.

"Ora non ridi più, stronzetto?" sogghignò Azaele crudelmente.

"Lasciami, lasciami andare, per favore!" pregò il ragazzo terrorizzato.

"Perché dovrei?" ringhiò il demone.

"Ti prego, ti prometto che lascerò in pace Yetunde e tutti gli altri!" lo supplicò Marco piangendo.

"Oh, adesso piangi? Bé, e troppo tardi moccioso, hai perso la tua occasione, vedrai che l'Inferno ti piacerà, ci sono una sacco di codardi come te!" sibilò stringendo gli artigli intorno alle spalle del ragazzo che cercò inutilmente di divincolarsi urlando disperato che non avrebbe tormentato mai più nessuno e che per favore non lo portasse all'Inferno.

Ma il demone non si lasciò impietosire, batté un piede sul marciapiede provocando delle scintille dalle quali cominciarono a svilupparsi delle lingue di fuoco sempre più alte.

"Noooo!" urlò Marco terrorizzato.

"Azaele, ti prego, lascialo andare!".

La voce ferma di Yetunde fece voltare Azaele che lo osservò con aria dubbiosa.

"Ne sei sicuro?"

Il ragazzino annuì "Credo che abbia imparato la lezione!"

"Ok!" rispose Azaele lasciando andare Marco che non appena si sentì libero scappò via come una lepre.

Il demone e il ragazzino rimasero in silenzio finché Marco sparì dalla loro vista svoltando l'angolo.

"Lo avresti portato davvero all'Inferno con te?" domandò Yetunde.

Azaele che, a parte per le ali, aveva ripreso il suo aspetto umano, sorrise.

"L'Inferno non è posto per i tredicenni, neanche per dei fessacchiotti come quei quattro bulletti!"

“Allora tutte quelle scintille, l'odore di zolfo e tutto il resto servivano solo a spaventarlo?”

“Un vero performer deve saper creare la giusta atmosfera quando interpreta una parte, non credi?” ammise Azaele strizzandogli l'occhio.

"Non mi sembri tanto cattivo, per essere un demone!" commentò Yetunde sorridendo.

"Non so se posso considerarlo un complimento!" ridacchiò Azaele.

"Bene, ho rispettato il nostro patto, é ora che io vada! Prima però voglio che tu rifletta su una cosa importante. Salta su!" propose Azaele inginocchiandosi per permettere a Yetunde di salirgli sulla schiena.

Il ragazzino lo guardò un po' titubante e poi decise di fidarsi.

“Stringiti bene!” lo ammonì il demone alzandosi in volo.

"Maremma, che figata!" esclamò Yetunde sporgendosi dalle schiena di Azaele e osservando Firenze dall'alto.

"Vedi di non sporgerti ragazzino, non è il caso che ti vedano svolazzare!" lo sgridò Azaele.

Arrivato sopra Piazza della Signoria, Azaele atterrò sulla torre di Palazzo Vecchio e indicò la gente che attraversava la piazza camminando svelta.

"Guarda quelle persone che attraversano Piazza della Signoria, da quassù sembrano tutte uguali no? Eppure se ti avvicini ognuna di quelle persone è diversa dalle altre, è proprio questo il bello dell'individualità, capisci? Siamo tutti uguali ma anche tutti diversi. Ricordatelo la prossima volta che ti sentirai dire che sei diverso e ricordati anche che vedere gli altri tutti uguali o tutti diversi dipende solo dal punto di vista di chi guarda!"

“Ok, me lo ricorderò!” rispose il ragazzino un po' triste, aveva capito che per Azaele era ora di andare via ed era un po' dispiaciuto.

Il demone sorrise, accarezzò una guancia di Yetunde e si alzò in volo “Ciao ragazzino, stammi bene!”

“Ciao Azaele” lo salutò Yetunde.

Guardò il demone allontanarsi fino a che non riusci più a vederlo, quindi tornò a osservare la piazza.

Mentre rifletteva sulle parole di quello strano amico infernale improvvisamente un pensiero gli attraversò la mente "Porca miseria! E adesso come scendo da quassù?"


#


"Yetunde!" chiamò la ragazzina dai capelli rossi.

Il ragazzino si voltò e sorrise a Cathrine.

La ragazzina con i capelli rossi dopo l'incidente con Marco e la sua banda aveva cercato Yetunde per ringraziarlo, avevano iniziato a chiacchierare e a fare amicizia e così aveva scoperto che Cathrine era in Italia da poco, che suo padre era Anglo-Italiano e sua madre Irlandese e che lei a volte si sentiva un po' sola perché ancora non era riuscita a farsi degli amici.

Yetunde le aveva proposto timidamente di fare merenda insieme la mattina dopo e la ragazzina era arrossita un po', ma aveva accettato.

Si sedettero su una panchina nel cortile della scuola e tirarono fuori le rispettive merende.

Cathrine aprì una Coca Cola e prima di offrirla a Yetunde prese una cannuccia dal suo zaino, si accorse che era un po' corta, provò a usarla lo stesso ma la cannuccia quasi sparì dentro la lattina.

Yetunde rise ed esclamò allegramente "Maremma maiala, la tua Hoha Hola ha davvero una Hannuccia Horta Horta!"

Cathrine rise e commentò "Ahahah, voi Fiorentini avete un accento troppo bello! Lo adoro!"

Yetunde la osservò sorpreso, era la prima volta che qualcuno lo definiva Fiorentino, poi pensò che Cathrine era Irlandese, ricordò le parole di Azaele e sorrise.




Questa storia è stata ispirata dal prompt Una Coca-Cola Con La Cannuccia Corta Corta suggerito da Carme93, che ringrazio.

Spero che il modo in cui ho sviluppato la sua proposta possa soddisfare, se non del tutto, almeno in parte le sue aspettative.


Yetunde e Cathrine sono ispirati ai personaggi che appaiono nel brano di Lorenzo e Michele Baglioni, anch'esso indicato da Carme93 e di cui in apertura ho riportato un estratto del testo e il link per chi volesse ascoltarlo.

Azaele, protagonista della mia long “Un diavolo a Roma” appare qui come guest star (chissà poi che ci faceva a Firenze?).


L'incantesimo che Yetunde ruba a Sabrina Spellman per dominare un demone è una mia invenzione, almeno credo, non mi pare infatti che Sabrina abbia mai costretto un demone a obbedirle.

L'idea di Azaele imprigionato nel cerchio di sale invece è spudoratamente rubata alla puntata in cui Sabrina imprigiona suo padre Lucifero nello stesso modo.



Nota 1: fare forca, marinare la scuola






   
 
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