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Autore: whitemushroom    29/11/2020    2 recensioni
Frammenti di una vita persa. Un uomo rinchiuso in un cristallo a causa di una maledizione, ed il tempo che scorre inesorabile. La mente ripercorre all'indietro la strada che lo ha condotto in quella situazione, perchè anche senza un corpo l'anima di un sacerdote può bruciare come la fiamma.
Storia partecipante all'undicesimo anniversario del mitico thexiiiorderforum
Prompt: #controllo
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sette giri di clessidra dopo la prima luce dell’alba: il suo carceriere è un uomo metodico.
L’oggetto fluttua davanti a lui, la sabbia azzurra che riflette i raggi del mattino come minuscoli frammenti di Echen.
I primi maghi entrano nella stanza per ripulire i resti degli esperimenti della notte precedente, ma nessuno osa avvicinarsi a lui; qualcuno lo fissa con curiosità, ma basta il suono secco dei passi del loro padrone per far loro abbassare la testa come dei cani.
Il necromante fa il suo ingresso nel laboratorio, e per il sacerdote ricomincia la battaglia.



“Freki, credi che anche stavolta dovremo fare rapporto al Gran Maestro?”
Querquen Whiteflame non aveva mai avuto il dispiacere di incontrare di persona il Gran Maestro Morsham della Torre (o delle Cripte, a seconda di chi raccontava la versione): un uomo di quel livello non scendeva di certo nelle ale di guarigione del Tempio, e del resto Querquen non aveva mai avuto molta voglia di mettere il naso fuori dalle sale operatorie. Talvolta gli era capitato di spedire dei sacerdoti più giovani alla Torre per rattoppare qualche mago che aveva messo troppa energia nei propri incantesimi, ma nessuno aveva mai avuto l’onore di incontrare il Gran Maestro, men che mai di rivolgergli la parola. Per questo motivo le parole di Arjen, il rumoroso strimpellatore, lo convinsero ad abbandonare per qualche minuto le pagine del suo libro.
“Suppongo di sì”.
Freki, la donna con due spade legate dietro la schiena, si avvicinò al parapetto dello zeppelin. La luce vivace del pomeriggio le illuminava i capelli chiarissimi, ma l’espressione sul suo viso non aveva nulla di luminoso. “Anche se sinceramente non capisco cosa possa volere ancora da noi”.
“Mi pare di capire che abbiate avuto l’occasione di conoscere il Gran Maestro” li interruppe Querquen poggiando il tomo su un tavolino con un tonfo secco per attirare l’attenzione di entrambi i suoi compagni di viaggio. Appoggiò il pennino tra le pagine, lasciandole bene aperte in modo che l’inchiostro si seccasse. “Che tipo è?”
“Il tipo con cui nessuno vuole avere molto a che fare”.
Freki ed Arjen.
Due membri della Guardia Imperiale: non certo dei soldati di fanteria qualsiasi, ma comunque non gente che trascorresse abitualmente il proprio tempo libero ai piani alti della Torre dei maghi. Una guerriera pacata e salda ed un ragazzo fin troppo appariscente per il suo presunto compito di spia, due persone adatte al massimo a scortare un vecchio sacerdote come lui, non ad attrarre lo sguardo dell’uomo più vicino all’Imperatore. Arjen, nonostante il vento fosse calato, smise di suonare e si avvolse il mantello intorno alle spalle. “Negli ultimi tempi abbiamo svolto delle missioni per suo conto. E nulla di pulito” sospirò.
Poi, abbassando la voce, si avvicinò alla sua compagna di viaggio. “Il Gran Maestro puzza di necromante”.
“Necromante?”
Fu il turno di Querquen sbuffare.
“Voi cantastorie tendete ad esagerare ogni volta che aprite bocca. Come se nei sotterranei della Torre vi sia un esercito di morti viventi pronto ad invadere la capitale” borbottò, poi riprese il tomo. Era chiaro che le sue due guardie del corpo non fossero persone con cui intrattenere discussioni di un certo livello. “Il Gran Maestro Morsham un necromante? Questa poi …”


La magia gli esplode dentro.
Querquen non ha più occhi da chiudere, né una testa da stringere tra le mani. Non ha più un corpo da oltre dieci anni, ma il dolore che ogni giorno il necromante gli infligge è dannatamente reale;
è diventato una parte di sé, e sa che non svanirà fino a quando l’uomo rimarrà in quella stanza. Sarebbe più facile cedergli tutto il proprio potere divino e cessare quell’agonia, ma Querquen non è arrivato ai confini del mondo per farsi controllare da quel bastardo. Sente l’energia diminuire, come se un animale gliel’afferrasse e gliela strappasse da quello che un tempo era il petto, ma bestemmiando tra i denti recupera abbastanza lucidità da richiamarla a sé. Morsham gli scaglia un incantesimo, ma stavolta per la furia gli passa oltre e sente uno degli esperimenti del laboratorio crollare a terra in un’esplosione di carne bruciata.
“Poco collaborante da vivo, poco collaborante in questo stato” mormora l’altro, ritirando velocemente le mani pallide sotto la lunga tunica. “Ma purtroppo per te, la tua energia mi occorre. E ti assicuro che so essere molto paziente”.
Se avesse una bocca, Querquen sentirebbe il fortissimo bisogno di sputargli in un occhio.



Non c’era un angolo del Tempio che non tremasse. Sacerdoti e sacerdotesse, scuri in volto, correvano da un piano all’altro senza sosta scambiandosi sguardi, balbettii, tutti suoni che Querquen non era abituato a sentire sulla soglia delle sue ale di guarigione. Gli ingressi, di solito gremiti dei pazienti dei malati venuti a chiedere notizie dei loro cari, erano stati fatti evacuare in fretta e furia da alcuni uomini della Guardia Imperiale. Di norma avrebbe sbattuto fuori quegli armigeri maleducati senza pensarci due volte, ma per una volta la loro azione di sgombero si stava rivelando vitale.
La situazione era fuori controllo.
I soldati stavano per bloccargli l’accesso, ma bastò un suo sguardo furibondo e un cenno ai ranghi della sua tunica per farlo passare tra mille scuse. Scese i gradini due a due mandando ai demoni più di un attendente che cercava di richiamare la sua attenzione; avrebbe volentieri scaraventato in un pozzo anche il sacerdote che gli si parò davanti all’area dei malati. “La Somma Sacerdotessa è dentro, Padre Whiteflame. Ha detto di non far entrare nessuno” mormorò, abbassando la testa. “Nemmeno lei”.
L’ultima affermazione lo bloccò a metà. “Perché?”
“La malattia del cristallo si sta dimostrando più contagiosa del previsto. Ha colpito persino il Gran Cavaliere, è da ieri sera che la Somma Sacerdotessa si è chiusa dentro con tutti gli infetti. Sta tentando un rituale e non vuole che nessuno di noi …”
“Cazzate”
Non aveva investigato presso la città di Fontescura per rimanere lì fuori come un accolito qualsiasi, e di certo non era ritornato illeso da un nido di demoni per fare anticamera quando la Somma Sacerdotessa rischiava la vita da sola senza nessuno di competente al suo fianco. Il suo posto in quanto responsabile delle ale di guarigione era lì dentro, e non diede una rispostaccia all’uomo davanti a lui soltanto perché una terza voce, più alta e forte delle loro due messe insieme, non irruppe nella stanza facendoli sobbalzare entrambi.
“Fatemi parlare con il Gran Cavaliere o la Somma Sacerdotessa. Subito”.
Pur non avendolo mai incontrato di persona fino a quel momento non ebbe difficoltà a riconoscere l’uomo che scese le scale in maniera teatrale, facendo scivolare l’ampia tunica rossa lungo i gradini mentre un manipolo di giovani maghi, chiaramente imbarazzati fino al midollo, tentava in ogni modo di seguirlo senza inciampare nei suoi lunghi vestiti. L’emblema dorato della Torre e lo sguardo in grado di congelare all’istante anche i soldati della Guardia rivelarono al sacerdote l’identità di Morsham, Gran Maestro della Torre. Il sacerdote alle sue spalle fece di corsa un passo indietro, ma Querquen aveva già avuto la sua dose di rotture di scatole annuale concentrata negli ultimi due giorni ed avrebbe volentieri polverizzato con una bestemmia la Torre e tutti i suoi occupanti. Andò incontro al mago con una profonda voglia di aprirgli la testa come un frutto maturo. “Come ben saprà, Gran Maestro, il Gran Cavaliere non è in condizione di vedere nessuno. La Somma Sacerdotessa Shael sta performando un rituale molto complesso e non sappiamo quando uscirà dalle ale di guarigione” sospirò tra sé, già immaginando la portata del problema imminente. “Fino a quel momento sono stato incaricato di farne le veci. Può parlare con me”.
Grazie al cielo il sacerdote alle sue spalle era troppo stupido per contraddirlo in pubblico, e da come Morsham lo stava scrutando era chiaro che non capisse assolutamente nulla delle gerarchie del Tempio.
Il mago lo fissò con lo stesso disprezzo che avrebbe rivolto ad un escremento di topo sul suo scranno, portandosi una mano alla barba perfettamente curata. In un istante gli tornarono in mente i commenti di Arjen e Freki a bordo dello zeppelin nemmeno qualche giorno addietro e per qualche motivo quegli occhi scuri assunsero un aspetto ancora più sinistro. “Sono venuto per denunciare un furto”.
“Esistono appositi centri di polizia per questi problemi. Senza dubbio più efficiente di un luogo dedicato alla cura della gente”.
“Se io subisco un furto, prete, esigo che il Gran Cavaliere in persona se ne occupi. Soprattutto perché il ladro è entrato nei miei appartamenti personali”.
Querquen ringraziò mentalmente il proprio controllo di sé. Ricordandosi di elencare mentalmente tutti gli attributi sulla professione chiaramente redditizia e promiscua della madre del Gran Maestro, il sacerdote cercò di mettere su l’espressione più conciliante che avesse. Quella che Arjen definiva più o meno con il termine truce. “Il Gran Cavaliere ha contratto il morbo del cristallo e non può uscire. Mi comunichi l’oggetto del furto e avrò cura di portargli la notizia”.
“Un quarto di cerchio di bronzo. Non è un oggetto magico, ma è qualcosa che mi appartiene ed esigo che il colpevole venga ritrovato al più presto”.
Il sacerdote era abbastanza convinto che se avesse preso il mago di peso e lo avesse lanciato ad infettarsi nelle ale dei malati almeno un paio dei suoi accoliti avrebbero organizzato una festa massiccia.
Tra sé e sé rimpianse che il fantomatico ladro non avesse svaligiato tutte le stanze del Gran Maestro.


La creatura emana un verso disumano.
Ed umana lo era, almeno fino a qualche settimana prima.
L’Errante prova a divincolarsi, ed una maga perde la presa sull’incantesimo di costrizione. Cerca di recuperarlo al più presto, ma alla creatura basta poco. Con uno scintillio azzurro si libera dell’energia magica intorno ad essa e scatta contro la donna, le lunghe braccia scheletriche protese verso il petto di lei. La vittima scaglia un incantesimo, ma quello rimbalza contro la pelle cristallizzata dell’Errante e questo sembra dargli ancora più energia.
La afferra e la tira verso la parete, ma per Querquen è abbastanza.
Se c’è una cosa che ha imparato in quella decade di prigionia, è come controllare il potere divino bloccato nel suo “corpo”: un raggio di energia blu saetta contro l’Errante colpendolo alla testa e facendolo volare abbastanza lontano da permettere alla maga dai capelli neri di allontanarsi di qualche metro. Il mostro si rialza, spargendo frammenti di cristallo per mezzo laboratorio. Fa per colpirlo una seconda volta, ma con un gesto della mano sente Morsham convogliare tutta la sua energia divina nel proprio palmo e scagliarla a piena forza contro l’Errante.
Nonostante non abbia più occhi, anche Querquen riesce a sentire la luce moltiplicarsi per l’intera stanza grazie alla potenza del necromante, e quando l’atmosfera nel laboratorio si dirada si accorge che della creatura non c’è più traccia a parte una manciata di schegge. Così come della giovane accolita.
“Alla fine ottengo sempre ciò che mi occorre” borbotta l’uomo con la barba, la magia ancora sfrigolante lungo le sue mani.



Dolore non era la parola corretta.
Buio, forse. Ma non era nemmeno l’oscurità il problema.
Lo sguardo in lacrime di Arjen, più probabile.
Il ricordo si frammentò in mille pezzi, come una luce riflessa da un cristallo di Echen. Perché era l’Echen ad aver causato tutto quello. L’Echen e l’Imperatore.
Sì, l’ultima cosa di cui aveva memoria era la sala dell’Imperatore che andava in pezzi, il bastardo che puntava la spada proprio nella sua direzione mentre blocchi di soffitto intarsiato crollavano tra di loro, nascondendogli gli ultimi istanti di Freki dalla vista.
Freki.
Cosa le era successo?
Altri pensieri, altri frammenti.
Almeno Arjen era riuscito a scappare. Non si sarebbe mai perdonato il contrario, avevano studiato insieme l’incantesimo di Teleport proprio per quello.
In quell’oscurità provò ad ispirare, ma non entrò nemmeno un sospiro d’aria nei suoi polmoni.
Non se li sentiva i polmoni.
Così come le mani, che provò a portare al petto senza successo, come se nemmeno una fibra del suo corpo avesse le forze di contrarsi e rispondere al suo controllo. Forse nel crollo la sua spina dorsale era andata distrutta, ma non era una questione di sensibilità corporea.
Il buio oltre lui sembrava filtrato da una superficie lucida, azzurra, come se vi fosse qualcosa tra lui e le macerie del palazzo.
Poi qualcosa si mosse sopra di lui; un prima fenditura, poi una seconda, come se tutto intorno a lui si aprisse. Provò a spostarsi, ma ancora una volta non aveva più nulla di quello che un tempo era stato il suo corpo; sentì qualcosa, un contatto tutt’intorno a lui, e venne sollevato da lì sotto come se non avesse peso.
La luce del giorno si fece strada, insieme alla consapevolezza di non avere più nulla di umano. Qualunque incantesimo gli avesse scagliato l’Imperatore lo aveva reso più simile ad un cristallo che ad una persona, una gemma in grado di stare nel palmo della mano che lo aveva appena liberato dai detriti.
Il problema fu che quella mano aveva un volto, ed il sorriso al di sopra della barba perfettamente curata raggelò il suo animo.


Anni. Quanti?
Talvolta il colore dei capelli della Somma Sacerdotessa gli sfugge alla memoria. O il suono della sua voce, non sempre nei suoi ricordi è alto come dovrebbe.
A venti ha smesso di contare il sorgere del sole.
Persino il suo corpo mortale ha smesso di mancargli, talvolta gli sembra che anche la sua anima si sia trasformata in un cristallo come il resto dei suoi arti.
Stavolta il nuovo Errante che hanno portato nel laboratorio non riesce nemmeno a sollevare la testa: Morsham incanala il suo potere senza più incontrare alcuna resistenza e lo disintegra in meno di un battito di ciglia e lo rimette sul piedistallo prima ancora che ciò che resta del suo spirito possa provare a lottare. Sente le proprie forze divine assorbite dalle mura stesse della Torre dei maghi, tutto ciò che era il suo essere mescolato con gli ingranaggi, i circoli e le macchine che riempiono i cento e più piani dell’edificio.
Ha concesso al necromante la vittoria. Non avrebbe voluto, eppure la pazienza del suo nemico ha avuto la meglio.
Ma Freki direbbe che arrendersi non vuol dire perdere.
Vuol dire trovare un’altra via, perché solo gli idioti combattono battaglie che non possono vincere. Questo di lei lo ricorda bene.
La maga dai capelli rossi canticchia mentre resta per ultima a pulire il laboratorio; Querquen ormai da diversi mesi si è accorto dei suoi sguardi diversi dagli altri, da come porge gli alambicchi al suo signore con dei gesti sicuri, accorti, diversi dalle mani tremanti che anche i maghi più avanti negli anni rivolgono al necromante.
Si prodiga sempre per fare l’ultimo turno, quello che tutti gli altri scansano ben volentieri ripromettendosi di ricambiarle il favore mentre lei accetta con un sorriso caldo ed un gesto grazioso della mano. E una volta chiusa la porta alle spalle la donna spolvera le fiale e cancella i circuiti ormai scarichi, ma Querquen sa degli sguardi che rivolge al suo cristallo ed alle rune che impediscono a chiunque non sia Morsham di toccarlo. Sa benissimo del taccuino che tiene nascosto sotto la tunica, a cui ogni giorno aggiunge un glifo.
Una piccola variabile sfuggita al controllo del suo carceriere, ben nascosta tra un frusciare rosso di vesti ed un sorriso sommesso.
Ha concesso al nemico il proprio potere, ma sa che gli ingranaggi del tempo hanno ripreso a scorrere per una strada che ancora non riesce a vedere dove condurrà.
Eleanor.
La giovane maga si chiama Eleanor.
  
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