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Autore: Marti Lestrange    30/11/2020    6 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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THE HAUNTING OF HEYDON HALL

 

CAPITOLO QUATTRO

 

 

“Le fondamenta per una leggenda, 
sussurrata e sinistra, 
c’erano tutte.”
H. P. Lovecraft, Il colore dallo spazio

 

 

La grande stanza è silenziosa, immersa nella notte scura. Poche rade stelle illuminano il cielo e la luna è celata dietro colti di tempesta. I giorni trascorrono tutti uguali, qui alla grande casa. Uno dopo l’altro, dopo l’altro, dopo l’altro, in una sequela infinita fatta di eterni istanti e anni rapidi. Il tempo si dilata, si distende, si rannicchia su se stesso, non rimane mai lo stesso, cambia costantemente, mentre i cieli fuori mutano veloci, dal giorno alla notte, dalla notte al giorno, sole e luna, stelle e aurore, mentre io non mi muovo, rimango uguale a me stessa, cristallizzata in questo spazio fuori dallo spazio, in un tempo eterno. 

 

Solo quando gli studenti ritornano, allora comincio a muovere dapprima gli occhi, poi le dita, e da lì le braccia, fino alle gambe e ai piedi, mi disincastro dalla mia dimensione alzandomi a fatica dal letto nel quale affondo, e torno così a vagare, tra i corridoi e le sale, nelle stanze che un tempo erano deserte, negli anfratti nascosti dai quali osservo la vita scorrermi attraverso e al fianco, un giorno dopo l’altro, dopo l’altro, dopo l’altro. Ogni anno è sempre così: mi risveglio, mi alzo, cammino, e poi torno a dormire, e sogno, e oblio me stessa, per poi tornare a svegliarmi, alzarmi e camminare, così per anni e anni e anni, in un ciclo immutato e immutabile che è il mio purgatorio. 

 

Qualcosa cambia quando la vedo la prima volta. La attiro a me con un richiamo fatto di carne e sangue e ossa, e lei mi attira con la stessa forza, qualcosa che scorre attraverso di noi e che non conosco, che mi spaventa e mi sa di pace allo stesso tempo, qualcosa che non sento da tanto, troppo tempo. Ora la guardo dormire, nel piccolo letto nella grande stanza, accanto ad altre vite, mentre la sua anima pulsa rossa e io la posso vedere, mi chiama e mi parla, e non posso fare a meno di rispondere. E così la guardo tutta la notte, le resto accanto e conto i suoi respiri, e i battiti del cuore indomito che le rimbomba nel petto, e gli infinitesimali movimenti delle ciglia mentre sogna. 

 

Forse sogna di me? Forse sogna per me? Il suo nome mi rimbomba nella testa, sommerge tutto quanto, mi avvolge come un canto: Emma Nott.

 

🥀

 

Heydon Hall, Norfolk, 9 settembre 2023

James doveva ammettere che la prima settimana trascorsa a Heydon Hall non era stata poi così male. 

 

[LA PRIMA SETTIMANA]

 

Dopo l’incidente che aveva visto coinvolta Isabelle Williams, non era successo nulla degno di nota, o comunque nulla di insolito o strano. La ragazza era ancora in infermeria e, secondo quanto riferito da Pansy Parkinson durante un tè bevuto insieme a Lamb nella cucina del personale, stava seriamente tirando la corda, adducendo scuse su scuse, e inventandosi sempre nuovi malanni e malori, per non dover levare le tende dall’infermeria e cominciare la nuova routine della scuola. Lisa la guaritrice veniva a visitarla due volte al giorno, per il resto, era Pansy ad occuparsi di lei, arrivando a perdere la pazienza innumerevoli volte - James aveva capito che la pazienza non era la dote più spiccata della sua nuova collega. Ogni giorno, Isabelle stava male per qualcosa di nuovo, un mal di testa per colpa del quale non riusciva ad aprire gli occhi; una fotosensibilità eccessiva che aveva costretto Pansy a tirare tutte le tende e ad accendere solo un paio di candele; incubi notturni che avevano scomodato persino un luminare del San Mungo, che le aveva fatto esami accurati che si erano conclusi però in un buco nell’acqua, ché la paziente non aveva nulla che non andasse; crisi di pianto che scoppiavano nel bel mezzo della giornata e che scuotevano l’infermeria (e anche i nervi di Pansy). In un paio di occasioni, Isabelle aveva addirittura chiesto di lui, e Pansy le aveva risposto che non era opportuno avanzare richieste di quel tipo, ché James non era un suo amico o il suo fidanzato, ma un membro del personale della scuola, e con questo aveva chiuso il discorso, e Isabelle non aveva più detto nulla che lo riguardasse - per sua fortuna. Sentiva già le prese in giro di Emma Nott risuonargli nelle orecchie. 

 

[EMMA]

 

A proposito di Emma, la incrociava un sacco di volte nei corridoi e, anche se entrambi facevano finta di non vedersi ed evitarsi, era chiaro che i loro sguardi rimanevano incatenati un po’ troppo a lungo, per due che pretendevano di non conoscersi davanti agli altri, e poi finivano per farsi dei resoconti dettagliati quando in giro non c’era nessuno, nascosti in qualche anfratto buio e stretto. Durante quegli incontri che sapevano di illegalità e clandestinità, James non riusciva a sentirsi immune alla scarica di adrenalina che sentiva nella spina dorsale, così come al fascino che Emma incarnava per lui, che si manifestava in un vago prurito alle mani, ad un nodo nello stomaco pesante come una pietra e in un caldo decisamente fuori stagione, soprattutto nei freddi corridoi di Heydon Hall. E ritrovarsela davanti al viso, a pochissimi centimetri, stretti in qualche nicchia che una volta aveva forse ospitato una vecchia statua, l’uno di fronte all’altra, gli faceva girare la testa. Il suo lieve profumo gli rimaneva sotto il naso per ore, e il suo viso gli si stampava dietro le palpebre e non se ne andava neanche dopo essersi lavato la faccia con l’acqua fredda - gelata - ed essersi poi buttato a letto, sperando con tutto il cuore di addormentarsi. Sentiva nelle viscere come un richiamo animale, qualcosa che non aveva mai provato prima, un inusitato e inusuale desiderio di toccarla, di sfiorarle anche solo per sbaglio una spalla, di avvicinarlesi senza nemmeno accorgersene. Sapeva bene cosa voleva dire, non era né un cretino, né uno sprovveduto, ma cercava allo stesso tempo di reprimersi, e di darsi un tono. Lei era off-limits, per tutta una serie di ragioni, e una di queste, forse la più valida, era che lui rappresentava l’autorità, e lei era una studentessa. Per giunta, era figlia di Theodore Nott, e, cosa più importante, James non capiva esattamente cosa lei sentisse nei suoi confronti, anzi, pensava che non avrebbe mai potuto sentire nulla, che le sue pulsioni erano a senso unico e, al termine di quei contorti ragionamenti, finiva per sentirsi un vero stupido. 

 

[LA ROUTINE DI JAMES]

 

Quindi cercava di non pensarci e basta e di andare avanti con la sua routine, che ormai, dopo una settimana, si era ben consolidata. Ogni mattina si alzava, si cambiava, e faceva colazione con il resto del personale nella cucina privata - e la colazione la preparava Pansy, e c’era quindi sempre qualcosa di buono, a differenza della colazione che preparava Madama Pince per i ragazzi, povere anime. Dopo colazione, Pansy e Lamb si recavano a prendere gli studenti nei dormitori per scortarli a colazione, e James li attendeva in refettorio, dove poi aiutava i colleghi a distribuire i vassoi. Ormai si era abituato ai sussurri e ai pettegolezzi che giravano mentre lui faceva il suo lavoro, ed era inevitabilmente sotto gli occhi di tutti, in quelle occasioni, ma aveva imparato a fregarsene, e quasi non li sentiva più, i bisbigli che, nella maggior parte dei casi, si chiedevano come mai fosse finito lì. A distanza di una settimana, era arrivata voce che quella fosse la sua punizione per ciò che aveva combinato l’anno prima a Hogwarts. Aveva anche capito, però, che l’incidente con Jenkins gli aveva costruito attorno un’aura di rispettabilità e quasi di sacralità e ammirazione, da parte degli studenti di ogni età, che non perdevano occasione per fare qualche dispetto a Lamb o al vecchio signor Pince, ma che non si azzardavano ad alzare dito contro di lui. James, dal canto suo, era rimasto piacevolmente sorpreso da tutto ciò, e anche lusingato, e si era stupito doppiamente quando aveva capito che quella situazione non gli creava disagio o senso di colpa, ma orgoglio, del sano e puro e, neanche a dirlo, inaspettato orgoglio. Si ritrovava a domandarsi se non si stesse trasformando in un “ragazzaccio”, ma cercava di scacciare via quel pensiero, anche se lo faceva ghignare e non poco. Quindi, una volta finita la colazione, si recava nello studio del preside e prelevava lo scrigno con le bacchette, ed era compito suo distribuirle agli studenti poco prima che raggiungessero le rispettive aule per le lezioni. Durante la mattinata scortava le classi degli studenti più piccoli qua e là, da una lezione all’altra, e poi tutti si ritrovavano in refettorio per il pranzo. Durante il pomeriggio si ripeteva la routine delle lezioni, ma molto spesso veniva spedito in biblioteca, utilizzata anche come aula studio, dove gli toccava vigilare e stare attento che i ragazzi presenti rigassero dritto. Non era certo il compito più divertente del mondo, ma notava sempre con piacere e soddisfazione che in sua presenza gli studenti si comportavano bene. Infine, raccoglieva tutte le bacchette sulla porta del refettorio, prima che tutti andassero a cena. La serata si concludeva quasi sempre nella cucina del personale, quando Pansy si versava due generosi bicchieri di Firewhisky (era incredibile come quella donna reggesse l’alcol) uno dopo l’altro, e correggeva il tè di Lamb facendogli l’occhiolino. James si limitava invece ad una Burrobirra, non gli era mai piaciuto il gusto del whisky, e Pansy rideva del fatto che avevano cominciato a comprarle apposta per lui, “visto che era un bambino”. James si lasciava prendere in giro, scuotendo la testa in silenzio e sorridendo. Se ne stavano lì loro tre, per almeno un’oretta, a volte chiacchierando della giornata appena trascorsa, lagnandosi dei ragazzi, altre volte rimanendo in silenzio, ognuno immerso nei proprio vorticanti pensieri. 

 

[IL RICORDO DI CASA]

 

Era in quei momenti di silenzio che James pensava a casa sua, ai suoi fratelli, e a ciò che dovevano star facendo a Hogwarts in quei giorni. 

Lily gli aveva scritto, raccontandogli come stava e com’erano andati i primi giorni del nuovo anno - il suo quinto anno, per l’esattezza. Aveva mollato Alexander Baston1, con il quale aveva cominciato ad uscire l’anno prima, ché voleva concentrarsi sullo studio e sul Quidditch. Durante l’estate le era arrivata la spilla da Prefetto, e aveva preso quell’incarico davvero sul serio. Ginny ed Harry le avevano regalato un gufo nuovo, visto che era solita usare quello di Albus, per festeggiare, e si erano entrambi commossi (anche se solo suo padre aveva pianto, ovviamente), dichiarandosi fierissimi di Lily. Albus aveva fatto finta di vomitare e James aveva abbracciato la sorella, chiedendole come si sentisse all’idea di essere diventata Prefetto, a differenza dei suoi fratelli maggiori. Lily, in tutta risposta, aveva replicato che non si era minimamente stupita della cosa, considerati gli “elementi”, e tutti erano scoppiati a ridere allegramente (ed Harry aveva smesso di piangere, per loro fortuna). Inoltre, Rose era stata promossa a Capitano della squadra, per lo stupore generale di tutti, Alexander Baston compreso, che aveva scritto una lunga lettera a James in cui gli chiedeva come mai non lo avesse raccomandato per il ruolo, lui che era stato suo compagno così lungamente, e si domandava se avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato che potesse averlo offeso e bla bla bla, e James gli aveva risposto rassicurandolo che sì, era un amico, e tale sarebbe rimasto, ma che no, lui non aveva espresso nessuna preferenza, visto che la metà dei membri della squadra erano suoi parenti (anche se, a onor del vero, James aveva pensato che l’unico per il quale avrebbe mai potuto mettere una buona parola sarebbe stato Louis, ma anche Louis aveva finito Hogwarts, quindi niente). Come prima cosa, Rose aveva assicurato a Lily il posto da Cercatore che era stato di James senza nemmeno rifare i provini. Lily aveva aggiunto che invece li avrebbe fatti, com’era giusto, a dispetto di ciò che poteva dire la cugina. Infine, aveva allegato i “cari saluti” di Albus. Per Godric, quanto gli mancavano! 

 

[MAGRE CONSOLAZIONI]

 

Ciò che rendeva sopportabile la permanenza a Heydon Hall era, inaspettatamente, il rapporto che stava costruendo con Lamb e con Pansy, che si erano rivelati gentili e disponibili, con lui, facendolo sentire a casa e tra amici. Certo, erano strambi, persone particolari e con la loro bella dose di stranezze, ma in fondo erano buoni - anche se Pansy celava una certa dose di spietatezza, al fondo degli occhi, glielo leggeva nello sguardo quando gli studenti la facevano dannare. Si era ripromesso di mandare una lettera a suo padre, sia per raccontargli come andavano le cose nel buco-di-culo del Norfolk, sia per chiedergli se si ricordasse di Pansy Parkinson, ma ancora non aveva trovato il tempo. 

Un’altra delle cose che amava era accompagnare gli studenti all’allenamento di Quidditch, che costituiva l’unica “ora d’aria” loro concessa durante tutto il semestre invernale. Lui si limitava a sedere ai lati del campo, in attesa che la sessione di volo terminasse, e intanto sognava di volare, osservava quei piccoli furfanti fare, a tratti svogliatamente, tutto ciò per cui lui avrebbe dato tutti i Galeoni in suo possesso per poter fare di nuovo, cioè salire su un manico di scopa e partire, volare con il vento tra i capelli e la pressione nelle orecchie, sotto la pioggia o nel sole, non importava, bastava solo volare. 

Una notizia inaspettatamente bella giunse proprio un sabato mattina, a poco più di una settimana dal suo arrivo a Heydon Hall. Pansy lo raggiunse in cucina e gli disse che il preside Corner voleva parlargli e di raggiungerlo nel suo studio. 

«Che cosa vuole?»

«Cosa posso saperne, io, cosa vuole da te», rispose Pansy borbottando e dandogli le spalle, mentre armeggiava con la teiera. James la guardò stranito e si congedò, diretto nell’ufficio del preside. Una volta davanti alla porta, si lisciò l’uniforme prima di bussare, come se fosse un timido studentello alle prime armi. Un «avanti» soffocato gli diede il permesso di entrare. 

 

[LA PROPOSTA - INDECENTE? - DI MICHAEL CORNER]

 

Appena messo piede nello studio, ciò che James vide fu solo fumo. Anzi, vapore. Vapore acqueo che vibrava nell’aria, sospeso davanti a lui come una nube. Tossicchiò. 

«Vieni avanti, James, non aver paura, è solo vapore», sentì la voce del preside arrivargli ovattata. Così chiuse la porta e fece qualche passo avanti alla cieca, rammentando vagamente gli eventuali ingombri scorti durante la sua prima e unica visita al preside, il giorno del suo arrivo a Heydon Hall. Gli occhiali appannati gli impedivano di vedere alcunché, così allungò le braccia davanti a sé e, quando finalmente poggiò le mani sullo schienale della poltroncina posta di fronte alla scrivania, tirò un sospiro di sollievo. A quel punto, sentì Corner borbottare qualcosa e il vapore si diradò all’improvviso, andandosi a raccogliere in una bottiglia sinuosa dal collo elaborato e dipinta di blu posta su un tavolino basso. James si asciugò gli occhiali nel bordo del maglione, e sbarrò gli occhi quando il preside gli apparve: indossava solo un paio di “mutandoni” bianchi, come quelli che gli uomini usavano nel 1800, era a petto e piedi nudi e stava in piedi su un tappetino blu. Il petto era ricoperto da stille di sudore e i capelli scuri erano bagnati. Nonostante l’aria da topo di biblioteca incallito, James potè constatare che l’uomo aveva un fisico asciutto e tonico, e scorse anche alcune cicatrici su un fianco, reminiscenze forse di un passato avventuroso occorso nelle sue esplorazioni della Cina. Tra le mani teneva uno spadone di foggia orientale, che si affrettò a posare non appena incontrò lo sguardo di James. Gli sorrise. 

«Spero di non averti spaventato, ragazzo!»

«No, affatto.»

«Ottimo, ottimo. Scusa un secondo.» Così dicendo si stiracchiò un paio di volte la schiena, avanti e indietro, facendola schioccare pericolosamente, e infine agguantò un asciugamano e se lo passò sui capelli e sul petto, lanciandolo poi da qualche parte dietro le sue spalle. 

«Se non faccio allenamento ogni mattina, poi sto male per tutto il giorno», spiegò raggiungendo la scrivania e sedendosi. James prese posto di fronte a lui, chiedendosi in quale gabbia di matti fosse finito. 

«Voleva parlarmi?»

«Ah, sì, giusto. Allora», cominciò, ma poi si perse guardandosi intorno alla ricerca di James non sapeva cosa. La scena comica si concluse quando Corner Appellò la sua vestaglia blu, e la indossò sopra il petto nudo. «Dicevamo… Ah, sì! Ti ho convocato nel mio studio perché ho una richiesta un po’… inusuale, diciamo, e imbarazzante, anche, da farti, ragazzo.»

James deglutì e immagini di lui a petto nudo e con i mutandoni, impegnato in qualche sessione di allenamento con il preside Corner, gli affollarono la mente. Cercò di scacciarle. 

«Come ben sai, è il professor Roberts ad occuparsi degli allenamenti di Quidditch», continuò Corner.

James annuì. Mikael Roberts2 era l’unico docente col quale avesse intrattenuto un qualche tipo di rapporto, per definirlo in qualche modo: si incontravano sempre quando James scortava i piccoli del primo e del secondo anno agli allenamenti di volo e l’uomo, alto e ben piazzato, scambiava sempre volentieri quattro chiacchiere con lui. Discorrevano più che altro di Quidditch, commentando con enfasi la stagione appena iniziata e le probabilità di una o dell’altra squadra di portarsi a casa il Trofeo Nazionale. Tutti gli altri docenti erano alla stregua di fantasmi: andavano e venivano da Heydon Hall silenziosi e frettolosi. Arrivavano in fretta la mattina e, con altrettanta fretta, se ne andavano la sera. Roberts era diverso.

«Purtroppo al professor Roberts è arrivata una sostanziosa offerta da una squadra, che non posso nominare per questioni di riservatezza, che gli ha proposto di unirsi al team dei preparatori atletici. Purtroppo per noi, ovviamente», specificò il preside incrociando le lunghe dita. «Siamo contenti oltre ogni ragione per il nostro caro Mikael, ma qui mi si pone davanti un urgente problema: come rimpiazzarlo?»

Una strana idea cominciò a farsi largo nel cervello di James, ma la cacciò via, ché non voleva illudersi con falsi entusiasmi e rocamboleschi scenari e visioni. 

«L’anno scolastico è già iniziato e non saprei davvero dove andare a sbattere la testa, ora come ora. Quindi quello che ti chiedo, e che mi mette in imbarazzo perché davvero mi sento un approfittatore, è: ti andrebbe di sostituire il professor Roberts come insegnante di volo, James? Non te lo chiederei se non fossi disperato.»

James si limitò a guardare l’uomo di fronte a sé, mentre quel piccolo pensiero martellante gli esplose finalmente in testa, e centinaia di fuochi d’artificio gli scoppiarono davanti agli occhi, accecandolo ma riempiendolo di una gioia così sottile e pura, come non ne provava da tempo. Lui, insegnante di volo. Sarebbe tornato a volare. 

«Posso pensarci?»

La sua risposta sotto forma di domanda sembrò spiazzare Michael Corner, che aggrottò le sopracciglia, leggermente confuso. 

James sorrise e non seppe trattenersi oltre. «Sto scherzando, ovviamente. Accetto volentieri, se può aiutarla in questo momento di stallo», si affrettò ad aggiungere, ché non voleva suonare come un ingrato. 

Il viso di Corner si aprì in un sorriso. «Questo è il mio ragazzo!» esclamò. «Sapevo che non mi avresti detto di no.»

«C’è solo una cosa che mi sento in dovere di specificare.»

«Tutto quello che vuoi, ovvio.»

«Non mi è permesso giocare a Quidditch. Nel senso che per tutto il corso dello scorso anno scolastico la scopa mi è stata requisita e sono stato rimpiazzato nella squadra… insomma, non mi era permesso giocare.»

Corner agitò una mano con noncuranza. «Mio caro, lo hai detto tu stesso: non ti era. Era. Nel passato. Per quanto mi riguarda, qui non sei a Hogwarts, e d’altronde non ci sei più in ogni caso, ti sei diplomato, quindi puoi benissimo giocare a Quidditch, non c’è nessuna regola che lo vieti qui a Heydon Hall. Infine, io detengo l’autorità entro questi confini, e io decido e dispongo come mi pare e piace.» Il suo sembrava un discorso definitivo, così James annuì. Per un momento aveva avuto paura che quella brillante e nuova prospettiva che gli si era dipanata davanti fosse sul punto di crollare miseramente, come un castello di carte, solo per via della sua “punizione”. E invece Michael Corner sembrava essergli venuto in aiuto, ancora una volta. Non credeva alla sua fortuna. 

«Quindi siamo d’accordo? Mi farai questo favore?»

James annuì nuovamente e con enfasi. «Con piacere.»

«Ottimo!» esclamò Corner battendo le mani. «Inizierai martedì. Ti farò avere il calendario delle lezioni di Roberts. Ah, ovviamente è inteso che non verrai pagato, credo che questo sia chiaro.»

«Certamente, chiarissimo.»

«Inoltre, dovrò parlare con Madama Pince per riorganizzare i tuoi impegni come inserviente, si capisce che non potrai essere a disposizione come prima, ora che hai un nuovo compito, e anche più importante degli altri.»

«Sono sicuro che troveremo un modo per organizzare il lavoro.»

«Lo penso anche io, sì sì, senz’altro. Ora non voglio trattenerti oltre ed è quasi ora di pranzo. Darò l’annuncio del nuovo incarico questa sera a cena.»

Suonò come un congedo, così James si alzò, salutò e uscì. Fuori dall’ufficio, si sfogò saltellando sul posto, gridando silenzioso e godendosi quel bellissimo momento di infinita felicità. 

 

🥀

 

«Archie?»

«La mia risposta è no, Emma.»

 

[EMMA PERSEGUITA ARCHIE]

 

Calò il silenzio, mentre Emma spostava la sua sedia più vicina a quella di Archie. Tyler assisteva alla scena ridendo sotto i baffi. 

«Archie? Lo sai che sei il mio migliore amico, vero?»

«Stai cercando di corrompermi? Guarda che l’ho capito.»

Emma gli sorrise sbattendo le ciglia.

«Lo sai che questa tecnica degli occhioni non funziona, no? Sono gay.»

Emma alzò gli occhi al cielo. «Lo so, scemo. Stavo cercando di impietosirti.»

«Aaaaaaaah», esclamò Archie battendosi la fronte con una mano. «Sembravi tutto tranne che pietosa, lasciatelo dire.»

«Uffa, Archie, ma come sei noioso!»

«Non sono noioso, sono solo prudente. E dovresti esserlo anche tu.»

«Effettivamente ti sei un po’ rammollito, Archie Fletcher», intervenne Tyler sorseggiando dal suo bicchiere. 

Archie gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Stanne fuori, Ty. Non sai di che parli, tu non ci sei stato.»

Tyler alzò le mani in segno di resa e si appoggiò allo schienale della sua sedia, le braccia incrociate sul petto, divertito. Si voleva godere lo spettacolo comodamente.   

«Avresti dovuto immaginare che dal momento che mi avresti detto che eri stato nell’ala proibita, allora mi sarebbe venuta voglia di andarci, quindi è tutta colpa tua», disse Emma, risoluta. 

Quel pomeriggio, Archie le aveva raccontato che, l’anno scorso, era stato chiuso nell’ala proibita da Drake Flitt e i suoi scagnozzi. Nel cuore della notte, lo avevano imbavagliato e preso per le mani e per i piedi e trasportato fino all’ala ovest e scaricato come un pacco postale, da solo, al buio, insieme al fantasma della Dama di Heydon Hall. Aveva aggiunto che quella era entrata nel triste novero delle nottate più brutte della sua vita. Ovviamente Emma non aveva resistito al fargli domande ma Archie era stato piuttosto vago, come se davvero conservasse un ricordo turbato di ciò che era successo. Emma non metteva in dubbio che fosse stata una brutta esperienza, visto che si trattava di un vero e proprio atto di bullismo perpetrato da Flitt e la sua cricca di delinquenti, ma ovviamente non credeva a tutta la parte sul soprannaturale. In ogni caso, la stuzzicava il pensiero di avventurarsi in quelle sale, solo per verificare di persona la sua teoria, cioè che non ci fosse nessun fantasma maledetto, in quella casa, e fosse tutto frutto della suggestione dei singoli. Archie non era d’accordo, sia con l’idea di comprovare la teoria di Emma, ma soprattutto con la prospettiva di tornare là. 

«Avrei dovuto immaginare che sei curiosa come una scimmia, carina», protestò Archie alzando gli occhi al cielo. «Perché non ci vai con il tuo partner in crime, piuttosto?»

«Chi, Potter?»

«Ah-ah, vedo che hai pensato subito a lui, la cosa mi fa gongolare e non poco», rispose Archie guardandola furbescamente. 

Emma gli diede uno spintone e scosse la testa. 

«Okay, non vuoi replicare perché ho colto nel segno, perfetto, vado avanti e ripeto: perché non ci vai con Potter? Da quanto ne so, si dice in giro che sia in possesso di un Mantello dell’Invisibilità», aggiunse abbassando la voce, «che era stato di suo padre.»

Emma alzò le sopracciglia. «Davvero? Be’, ci farebbe comodo, in questo caso, ma no, ti ricordo che James potrebbe denunciarmi al preside e non ho voglia di vedere mio padre piombare qui domani, non so se rendo l’idea.»

«Certo, certo. Allora vacci con Tyler.»

Quest’ultimo si mosse sulla sua sedia, a disagio. «Non tiratemi in mezzo, per favore. Io lì non ci metto piede.»

«Scherzavo, non ti ci manderei mai, tesoro», disse Archie sporgendosi verso il fidanzato e baciandolo teneramente. 

«Bene, allora è deciso: andiamo noi», disse Emma.

«Okay, okay, va bene, hai vinto», esclamò Archie sbuffando. 

Emma sorrise, soddisfatta. Lo aveva preso per sfinimento, ed era davvero contenta, ma anche elettrizzata all’idea di dimostrare ad Archie prima, e al mondo poi, che aveva ragione lei. 

 

🥀

 

[AVVENTURA NOTTURNA]

 

Aspettarono che tutti dormissero. Emma indossò il cardigan sopra il pigiama e si infilò le scarpe e sgattaiolò fuori, silenziosa. Senza bacchetta a illuminare il buio, era dura camminare nella notte, ma le alte finestre di Heydon Hall facevano entrare la luce della luna e delle stelle e così Emma riuscì a raggiungere la hall senza particolari inconvenienti. Archie l’aspettava nascosto in una nicchia, dietro una statua di Apollo, e la chiamò a bassa voce per farle capire che era già lì. 

«Mi sto schiantando per la paura», esordì.

«Smettila di fare il fifone», rispose Emma trascinandolo fuori. 

Si guardarono intorno e siccome non c’era nulla tranne il buio della notte a circondarli, tenendo Archie per mano per evitare che battesse in ritirata, Emma si diresse al corridoio che conduceva all’ala ovest. Non aveva paura del buio, non ne aveva mai avuta, neanche da bambina, a differenza dei suoi fratelli. Era dell’idea che le persone ne fossero terrorizzate solo perché, al buio, i contorni delle cose assumevano strani e grotteschi contorni, ma pensava che, sostanzialmente, rimanessero invariate, tali e quali a com’erano durante il giorno. A tutto ciò si sommava la paura dell’ignoto, di ciò che ti attende oltre la soglia che demarca il reale e l’irreale, ma Emma aveva una mente troppo razionale per soccombere a tale paura, e sfidava la coltre di buio a testa alta, avventurandosi al suo interno a passo fermo. E così fece quella notte. Tirandosi dietro Archie, sempre più riluttante e recalcitrante, giunse al fondo del corridoio, dove si ergeva la porta che delimitava l’ala proibita. Ovviamente era chiusa, dettaglio che però Archie si era dimenticato di specificare. O forse no? Forse non se n’era dimenticato, ma l’aveva omesso di proposito. 

«Archie», ringhiò Emma a bassa voce. «La porta è chiusa, tu ne sai qualcosa?»

«Chiusa? Oh, no, certo che no. Quando Flitt e company mi ci hanno portato era aperta.»

«Secondo me lo hai fatto apposta, invece. Tu sapevi che era chiusa.»

«Insomma, Emma, penso che abbiamo ricevuto la nostra bella dose di terrore, per questa notte, non trovi? Torniamocene a letto.»

«Io non ho visto nessun terrore, signor cagasotto», protestò lei. 

«Cagasotto? Che infamia!»

«Lumos!»

Si voltarono entrambi al suono di una terza voce che arrivò alle loro orecchie da dietro le loro spalle. Archie quasi gridò ed Emma gli mise una mano sulla bocca per zittirlo. 

La luce di una bacchetta fluttuava letteralmente a mezz’aria e, nel mezzo secondo che Emma impiegò per formulare un pensiero, quel pensiero le comparve davanti agli occhi: James Sirius Potter, che apparve da sotto il suo famoso Mantello dell’Invisibilità, la bacchetta illuminata stretta in pugno. 

 

[OH-OH]

 

«—eims?» bofonchiò Archie da sotto la mano di Emma, che ancora gliela premeva sulla bocca. 

«James?» esclamò lei. «Cosa ci fai, qui?»

«Ti conviene liberarlo prima che ti morda», rispose quindi James indicandole Archie. 

Emma allora liberò il suo amico e si beccò un’occhiataccia indispettita prima di tornare a guardare il nuovo arrivato.  «Allora? Ci hai seguito, vero?»

Il ragazzo annuì. «Vi ho sentito parlare, dopo cena, mentre tornavate nei vostri dormitori.»

«Stai cominciando a diventare inquietante, Potter.»

«Ho solo un buon udito. E mi trovavo nel posto giusto, al momento giusto.»

«Come sono contento di vederti!» esclamò Archie affiancandolo. «Emma mi stava tenendo in ostaggio.»

«Archie!» protestò Emma. Guardò James. «Non è vero, ovviamente, eravamo qui di comune accordo.»

James annuì. «Sì, lo so. Pensavate di entrare, vero?» e indicò la porta chiusa alle loro spalle. 

Archie scosse la testa nell’esatto momento in cui Emma annuì. James spostò lo sguardo da uno all’altra, confuso. E così Emma dovette ammettere il suo desiderio di visitare l’ala proibita e di aver chiesto ad Archie di accompagnarla, ché voleva dimostrargli che non c’era nessun fantasma incazzato, là dentro, ma solo polvere e probabilmente ragni. 

«Allora, facciamo così», propose James. «Tu Archie te ne torni a letto, e io farò finta di non averti visto, d’accordo?»

Archie lo guardò, stupito ma anche grato. «Posso? Senza punizione?»

«Senza punizione. Ovviamente, dovessi imbatterti in qualcun altro dei miei colleghi, allora saranno cavoli tuoi.»

«Si capisce», convenne l’altro annuendo risoluto.

«Smamma, forza, prima che cambi idea.»

«Vi lascio soli, piccioncini», pigolò Archie affrettandosi a sgattaiolare via. 

Emma lo guardò allontanarsi a labbra strette. Il giorno dopo lo avrebbe strigliato per averla lasciata sola con Potter in piena notte. E parlando di Potter: cosa credeva di fare? «Cosa credi di fare?» gli chiese quindi.

«Noi entriamo, no?» rispose James scrollando le spalle. Emma lo guardò ad occhi sbarrati, stupita dalla sua intraprendenza, mentre l’aggirava, scostandola leggermente e con garbo toccandole un braccio, per fermarsi di fronte alla porta chiusa. 

«È chiusa a chiave», gli disse poggiando una mano, quasi senza accorgersene, laddove James l’aveva appena toccata. 

«Dimentichi che ho questa», le fece notare lui alzando la bacchetta. La puntò contro la serratura della porta e borbottò «Alohomora», ed Emma osservò il pesante portone in legno a due battenti schiudersi davanti a loro. 

James le fece l’occhiolino. «Visto?»

«È un incantesimo piuttosto banale, Potter, lo avrei fatto anche io se solo avessi avuto la bacchetta», disse lei incrociando le braccia al petto. 

James alzò gli occhi al cielo e poi raccolse da terra il mantello. Lo nascose in una nicchia accanto alla porta, che ospitava la statua di un puttino alato, e tornò a guardarla. 

«Prima le signore», e le indicò la porta aperta. Emma scosse la testa, divertita, e fece un passo avanti. 

 

[L’ALA OVEST]

 

Ciò che li accolse oltre la soglia era un’ampia sala, che si espandeva nella notte e si spingeva fino alle finestre sul lato corto. La luce della luna filtrava dalla fila di finestre alla loro sinistra e, unita a quella della bacchetta di James, dava loro un’idea abbastanza chiara di ciò che li circondava. Era una specie di salotto privato, a giudicare dai mobili coperti da lenzuola bianche che affollavano il pavimento. C’era un caminetto, nel quale erano cresciute delle giunchiglie e dove si apriva una grossa ragnatela argentata e, sulla mensola sopra di esso, erano poggiate delle foto incorniciate. Emma ne prese una in mano ma solo per constatare che il vetro era rotto e questo impediva di vedere in faccia i soggetti della fotografia contenuta nella cornice, e così per tutte le altre sistemate sulla mensola bianca di polvere. Così la rimise al suo posto, tornando a guardarsi intorno. Una scala a chiocciola in ferro battuto conduceva al piano di sopra ed Emma si sporse per lanciare un’occhiata attraverso il vano scuro e buio, ma ovviamente non si vedeva nulla, a parte la notte. 

James le camminava a fianco, tenendo alta la bacchetta per fare luce, silenzioso come un gatto. Arrivarono al fondo della sala e scoprirono che le finestre si aprivano come una porta e conducevano in una sorta di giardino d’inverno verandato, dove si affollavano piante di ogni tipo e dimensione e colore. Alcune erano morte da anni, mentre altre, sorprendentemente, resistevano nel tempo. 

«Meglio non entrare, qui», disse solo James. «Non sappiamo quanto sia vasta la veranda, potrebbero averla stregata e rischieremmo di perderci, al buio.»

«Ci possiamo tornare di giorno?» gli chiese Emma poggiandogli una mano sul braccio. 

James lanciò un’occhiata rapida alla sua mano e poi tornò a guardarla in viso. Annuì. «Forse. Se fai la brava», ghignò.

Emma alzò gli occhi al cielo. James la stupì prendendole la mano e, ancora più a sorpresa, baciandogliela. Lei lo guardò con gli occhi sbarrati, immobile. Non sapeva cosa fare e cosa dire davanti a quel gesto tanto inusitato e sorprendente. 

«E questo per che cos’era?» gli chiese alla fine sorridendo.

James scrollò le spalle. «Per niente. Mi andava.»

La lasciò davanti alla portafinestra e si allontanò. Emma si girò a guardarlo e rimase immobile per un altro istante prima di corrergli dietro. 

 

[L’EFFETTO DI JAMES SIRIUS SU EMMA]

 

Stare accanto a James la mandava in confusione, e questo era un dato di fatto. Sentiva come una sorta di elettricità statica percorrerla da capo a piedi, pervadendole le membra e annebbiandole la mente. Quando si sfioravano per sbaglio, stretti in qualche anfratto della casa, intenti ad aggiornarsi sulle ultime novità e i pettegolezzi che giravano per la scuola, Emma tratteneva il respiro, e una forza catalizzatrice la spingeva a cercare un contatto, e allora diventava impavida, gli toccava un braccio o una spalla, gli si avvicinava così da sentire su di sé il suo respiro caldo, e di nuovo quel profumo che non le dava né pace né tregua, e tornava a tormentarla nel cuore della notte, quando non riusciva a dormire e il pensiero di James la rendeva ancora più inquieta. Si sentiva davvero una stupida, a provare quelle cose per Potter, ma si divertiva a tenere la bacchetta dalla parte del manico e a stuzzicarlo in tanti modi diversi. A volte le reazioni di James trovavano una conferma, altre volte, come in quell’occasione, la lasciavano spiazzata e sorpresa. 

Lo raggiunse e insieme scoperchiarono un divano e una grossa nuvola di polvere li fece tossire. Il lenzuolo grigio, che una volta doveva essere stato bianco, ricadde a terra, ed Emma accarezzò la stoffa del divano, che nonostante il tempo sembrava quasi nuovo, come se fosse stato utilizzato ben poco prima di essere coperto. 

«Sembra quasi che non ci abbia vissuto nessuno, qui», constatò James dando voce ai suoi stessi pensieri. 

Emma annuì. «Stavo pensando la stessa cosa. La stoffa del divano è praticamente nuova.»

Uno scricchiolio e un tonfo li fecero sobbalzare e si ritrovarono spalla a spalla, James con la bacchetta sollevata, in guardia contro la notte. La portafinestra che avevano aperto poco prima si era richiusa con un tonfo sordo ed entrambi sospirarono, rilassando i nervi tesi.

«Comincio a pensare che Archie abbia ragione…» disse James. «Questo posto è inquietante.»

«Non ti ci mettere anche tu, per favore», sbuffò lei spintonandolo. 

James le sorrise mordendosi un labbro ed Emma distolse in fretta lo sguardo, schiarendosi la voce. Doveva cercare di mantenere la calma. Datti un contegno, Emma, è solo Potter, pensò. James Potter, per Salazar.

Si avvicinò alla scala mentre James era impegnato a curiosare sotto un altro lenzuolo. Lanciò di nuovo un’occhiata al vano buio che si apriva là sopra e poi salì qualche gradino. La scala vacillò e scricchiolò, ma le sembrò abbastanza stabile da permetterle di salire. 

«Cosa stai facendo?» sentì la voce di James arrivarle da sotto.

Si girò a guardarlo. «Sto salendo, no?»

«Emma, no—»

 

[EMMA FA DI TESTA SUA]

 

Ma lei ovviamente lo ignorò. Salì quasi di corsa i restanti gradini, mentre tutta la scala ondeggiava sotto di lei, ma sbucò al piano di sopra sana e salva. Tossì per via della polvere, e si rese conto che era più buio rispetto al piano di sotto, lì la luce della luna non arrivava, filtrata da qualcosa che le impediva ogni accesso. Sentì la scala scricchiolare di nuovo e, dopo pochi secondi, James spuntò accanto a lei e portò la luce. 

«Cosa credevi di fare?» esclamò quasi gridando. «Avresti potuto farti male, la scala avrebbe potuto cedere…»

«Ma non ha ceduto», replicò Emma. «O sbaglio?»

«Ti è andata bene. Non sappiamo da quanti anni stia qui ad arrugginire.» James sembrava proprio sconvolto, e spaventato. 

«James, ehi», disse Emma afferrandogli un braccio. Non era riuscita a farne a meno, di toccarlo di nuovo. Lo sentì tremare sotto la sua presa. «Sto bene, vedi? Hai ragione, ho fatto una cazzata, ma ormai è fatta ed è andata bene.»

James annuì, ma sembrava ancora adombrato. Lei lo lasciò andare e si voltò per guardarsi intorno. L’ambiente era vasto quasi quanto il piano di sotto, e ogni singola superficie era ricoperta di polvere, spessa e bianca. Le finestre che affacciavano sul parco erano interamente ricoperte di rovi, ed erano quelli che impedivano alla luce da fuori di penetrare all’interno. 

«Rose», constatò Emma. Sua madre le faceva crescere in giardino, a casa Nott, erano la sua passione da sempre, da che Emma ne aveva memoria. E, quando era ora, le coglieva e le metteva in un vaso e il loro odore dolciastro pervadeva sempre il salotto per giorni e giorni. Era un po’ l’odore della sua infanzia, di giorni spensierati e selvaggi trascorsi sull’Isola di Wight3 e nella sua campagna. 

 

[LA CAMERA DA LETTO INQUIETANTE]

 

«Questa doveva essere la camera da letto padronale, a giudicare dai dettagli», disse James avvicinandosi al letto. Non era stato coperto da un lenzuolo, a differenza dei divani, e la struttura in legno marrone del baldacchino era bianca di polvere, così come la vecchia coperta rosa e i cuscini. Su uno di essi si notava ancora il solco della testa di chi doveva averci dormito, anni addietro, per l’ultima volta, ed Emma rabbrividì quasi senza volerlo. Okay, forse non c’erano i fantasmi, ma senz’altro era tutto davvero inquietante, James aveva ragione. 

Poco distante dal letto stava un tavolino da toilette con specchiera, con tanto di poltroncina per sedersi ancora posizionata lì di fronte. Emma si avvicinò, incuriosita da tutti quei cassettini che l’attiravano come una calamita. Si sedette e tossì leggermente. Tutta quella polvere la stava mettendo a dura prova e doveva avere il pigiama sporchissimo, ma non se ne curò. Sul ripiano in legno erano ancora poggiati dei gioielli e alcune boccette che dovevano contenere del profumo e altri trucchi. Sentì James avvicinarsi e, dallo specchio, lo vide in piedi dietro di lei. Si sentì in qualche modo rassicurata dalla sua presenza e così allungò una mano ad aprire il primo cassetto. Ne aprì alcuni prima di trovare il fascio di lettere. Erano parecchie, le buste ingiallite e sgualcite dal tempo, ma ancora in discreto stato, visto che probabilmente il cassetto le aveva preservate dall’aria che avrebbe potuto consumare la pergamena. Erano chiuse con un nastro rosa antico e c’erano dei fiori secchi - delle rose, di nuovo delle rose - infilate nel fiocco. 

«Lettere?» chiese James.

«Ah-ah», confermò Emma. «A quanto sembra, lettere d’amore», e gli indicò il nastro e i fiori. «Forse di chi abitava a Heydon Hall in passato. Sono rimaste qui tutti questi anni.»

«Le lettere della signora di Heydon Hall?» azzardò James. 

Una corrente d’aria fredda penetrò nella stanza ed Emma rabbrividì. Sentirono una porta sbattere di sotto e James si avvicinò alla scala per lanciare un’occhiata. In quel momento, Emma alzò il viso e, dietro di lei, un volto di donna urlante, i lunghi capelli neri ai lati del viso, comparve per un istante riflesso nello specchio. La ragazza cacciò un urlo e si alzò di scatto, lasciando cadere le lettere a terra. James la raggiunse subito.

 

[COSA VEDE EMMA?]

 

«Cosa c’è?»

«Ho visto…» cominciò lei indicando lo specchio. Ovviamente ciò che aveva intravisto era già scomparso ed Emma, inevitabilmente, si chiese se non si fosse immaginata tutto quanto. Era facile lasciarsi tentare dalla suggestione, in quelle stanze buie e pregne di ricordi antichi di persone che non c’erano più. «Non lo so cos’ho visto», concluse scuotendo la testa con forza, come a voler cacciare via quell’immagine, il viso martoriato dalla morte e dal dolore, quel grido espressivo e terribile che ne deformava i tratti, la bocca aperta e il buio che conteneva, i capelli che ne contornavano il viso come una coltre scura e mortifera. Rabbrividì. 

«Emma?» chiese James prendendola per le spalle. Lei riaprì gli occhi e lo guardò. Ora era in piedi di fronte a lei, gli occhiali leggermente storti sul naso, e le loro fronti quasi si sfioravano. Erano quasi alti uguali ed Emma poteva guardarlo negli occhi. «Cos’hai visto nello specchio?»

«Una donna», soffiò lei. «Una donna orribile.»

Vide James deglutire. «La dama di Heydon Hall? Era lei?»

«Come faccio a sapere se era lei, Jamie? Non ho mica una sua foto in tasca.»

Si rese conto di averlo appena chiamato “Jamie”, e anche lui. Le sorrise. «Jamie, eh?»

Lei scosse la testa, spazientita ma in fondo divertita. «Mi è scappato, non abituartici. Potter

«Va bene, è ora di andarcene di qui. Per stanotte abbiamo visto abbastanza.»

Stavano per scendere quando Emma si ricordò delle lettere, così tornò indietro e le raccolse da terra. Lanciò un’ultima occhiata guardinga nello specchio, ma non vide più nulla. Con ancora maggior convinzione, pensò che si fosse solo immaginata tutto quanto e che si fosse trattato di uno stupido scherzo generato dalla sua immaginazione, dai racconti di Archie e dal clima che si respirava in quelle sale. Mentre scendevano la scala, l’ultima cosa che Emma vide fu una fila di ragni che si rifugiava sotto la specchiera.

 

🥀

 

«Sei sicura di stare bene?» le chiese di nuovo James.

«Sto bene, papà.»

 

[JAMES FA IL CAVALIERE]

 

Lui ed Emma si erano appartati in una delle loro fidate nicchie, a pochi passi dal dormitorio femminile. James aveva riaccompagnato la ragazza, nascosti sotto il Mantello dell’Invisibilità per non essere scoperti. L’ultima volta che aveva usato il Mantello con qualcuno era stato con sua cugina Rose, che era più bassa di Emma ed occupava meno posto. Ora si erano ritrovati a dover dividere un esiguo spazio, e sentirla stretta al fianco lo aveva provato. Si era sfilato il Mantello con un sospiro di sollievo, una volta al sicuro nella nicchia. Erano di nuovo uno di fronte all’altra, e sentiva Emma tremare leggermente per il freddo della notte. Le puntò addosso la bacchetta e un fiotto di aria calda uscì dalla sua punta. La vide guardarlo sorpresa e le sorrise. 

«Corri a letto, stai morendo di freddo.»

«Prima voglio sapere se hai intenzione di denunciarmi a Corner.»

James scosse la testa. «Se avessi voluto denunciarti a Corner ti avrei riaccompagnata subito al dormitorio, mica sarei venuto in esplorazione con te, zuccona.»

«Zuccona? Non osare, Potter.»

«Mi piaceva di più Jamie.»

Si sorrisero. Emma scosse la testa. «Non tirare la corda, ragazzo. Ricordati che sono una studentessa, sei tu a trovarti in una posizione di potere, qui.»

«Oh, no, non credo proprio, signorina», protestò James ridendo. «Qui c’è solo una persona che tiene le briglie.»

Si guardarono per un istante, durante il quale James sentì lo stomaco accartocciarsi. Durante tutta la loro avventura notturna, non aveva desiderato altro che sentire Emma accanto a sé, e di sentirla sotto le mani, ma ovviamente si era trattenuto, quel tanto che era stato capace. Quando l’aveva vista salire quella maledetta scala, la testa gli era esplosa. Le era andato dietro e, quando l’aveva vista, incolume e solo un po’ sporca di polvere, avrebbe tanto voluto abbracciarla e baciarla con ardore, ma si era trattenuto, com’era giusto e conveniente. Si era solo molto arrabbiato con lei per aver rischiato il collo. 

 

[DI NUOVO VICINI]

 

Alla luce fioca della bacchetta, notò uno sbaffo di polvere scura sulla sua guancia e allungò un dito per rimuoverlo. Sembrava quasi che Emma avesse trattenuto il respiro, ma non potè esserne certo. 

«Ho rimosso le prove del nostro misfatto», disse solo. «Buonanotte, Emma.»

Lei annuì, e vide il suo petto rilassarsi, quasi come se avesse davvero trattenuto il respiro per un istante. 

«Buonanotte, Jamie.»

 



Note.

1. Alexander Baston: figlio di Oliver; personaggio di mia invenzione
2. Mikael Roberts: personaggio di mia invenzione
3. Isola di Wight: dove ho idealmente collocato casa Nott; isola a sud dell’Inghilterra

 

Ciao a tutti e ben ritrovati qui con questo nuovo capitolo di The Haunting, che spero vi sia piaciuto! Io non vedevo l’ora di farvelo leggere perché entriamo davvero nel vivo della storia, Emma e James si avventurano nell’ala proibita, scoprono delle lettere e, soprattutto, Emma vede qualcosa di sconvolgente, qualcosa che lei si rifiuta di accettare ma che in qualche modo sarà l’inizio di ciò che avverrà da qui in poi. In tanti avete speculato sui ragni, e vorrei rassicurarvi tutti escludendo eventuali implicazioni legate alla Camera dei Segreti e al Basilisco, non si tratta di nulla del genere, ma solo di un modo di rappresentare il fantasma di Heydon Hall. Avrei potuto utilizzare anche i pipistrelli, per esempio, ma era decisamente poco pratico, all’interno di una casa. James ed Emma riflettono anche sul loro “rapporto” e su ciò che sentono l’uno per l’altra, e sono contenta che vi siano piaciuti molto, nello scorso capitolo, questa era un’altra cosa per la quale ero in ansia, ma insomma, è andata bene, e questa “premiata ditta” vi accompagnerà per tutto il corso della narrazione. Vi sta piacendo molto anche Archie e davvero ne sono contenta, si merita molto amore, lui. Su Izzy ci sono pareri contrastanti e sono curiosa di leggere come si evolverà la cosa. Riguardo invece il fantasma e la misteriosa dama di Heydon Hall, non posso ovviamente dire nulla 🔮 Vi anticipo che nel prossimo capitolo si svelerà un altro tassello della storia, assisteremo al primo allenamento di Quidditch di Emma con il “professor Potter” (rido al pensiero) e, ovviamente, taccio su ciò che accadrà in seguito 👀

 

Colgo l’occasione per ringraziare tutti voi, per le vostre belle parole, per i lettori silenziosi, per tutti i visitatori (sono tantissimi, non me lo aspettavo) e per l’entusiasmo che avete riservato a questa storia ♥︎ 

 

Vi lascio il mieo contatto, per chi volesse aggiungermi: Instagram

 

A lunedì prossimo, Marti 🐍

   
 
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