Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Belarus    01/12/2020    0 recensioni
"Dall’alto dei suoi due metri e delle batoste prese nella sua breve vita, Kidd la osservò mordicchiarsi la bocca e un pensiero lo investì, facendogli lanciare di mal grazia la rivettatrice nel carrello degli attrezzi.
«Che si fottano loro e tutta la classe dirigente di Marijoa. Puoi stare da me.» annunciò serio, facendo scappare a Killer la saldatrice accesa di mano."

[AyaKiddAU con la simpatica collaborazione di Law in veste di vicino]
Storia partecipante{o quasi} al Writober2020 indetto su Fanwriter.it
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Cucciolo
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: Io li ho avuti questi orrendi, pedanti, pretenziosi animaletti in bit e ho trascorso giornate di dolore a causa loro, almeno finché non mi hanno rifilato due o tre trucchetti per non farli estinguere alla velocità dei dinosauri con il meteorite. Ma e dico ma, ho scoperto solo in un mio viaggio di qualche anno fa che in realtà il loro scopo era più nobile, istruttivo e sessista. I tamagotchi in Giappone sono per tutti, ti insegnano la cura al prossimo, ma alle ragazze insegnano ad avere prontezza con cuccioli o bambini… l’accoppiata mi ha inquietata per giorni, vi lascio immaginare e altrettanto è accaduto nella mia mente pensando a Kidd con uno di quegli affari in mano. Detto ciò, grazie a chi passa, legge e recensisce, mi scaldate il cuoricino~




#11. Cucciolo




Quando era rientrata non vi aveva badato più di tanto. Aveva trascorso quasi tutta la giornata in giro, dopo aver fatto, per pura e sconsiderata curiosità, un viaggio di un’ora in metro e aver preso la bellezza di ben tre autobus pur di raggiungere le colline che si trovavano a nord della città. La visita del complesso dei templi era stata piacevole, l’aveva rilassata e messa di buonumore e lo stesso poteva dire di quella della foresta sacra sul fiancone che scendeva sino al villaggio. Lì secondo quanto le avevano detto si rifornivano i monaci e a quel punto, dopo essere trascorso il tempo giusto per rimuginarci sopra, Aya si chiedeva di cosa si rifornissero dato che quell’unica via di abitazioni che chiamavano villaggio in realtà si era rivelata più che altro un’attrazione per turisti pronti a metter mano al portafogli. Lei non aveva portafogli né aveva avuto intenzione di spendere qualcosa, ma passeggiare lì era stato comunque bello e aveva avuto i suoi vantaggi in qualche modo. La donna che lavorava in uno dei ristoranti vicino alla fermata dei bus, un tipino ancora sulla cresta dell’onda cui nessuno osava ribattere neppure per errore tra gli avventori della zona, le aveva offerto una collaborazione momentanea dopo aver saputo che era in cerca di un lavoretto da sua figlia, una bimbetta tremenda almeno quanto sua madre con cui Aya aveva finito per fare amicizia all’istante. Le sarebbe piaciuto lavorare lì, con quell’aria gelida a farle pizzicare le guance e quei templi a pochi passi. Così era rimasta un po’ nei paraggi e un po’ era andata a zonzo per valutare quel colpo di fortuna, purtroppo però il buonsenso le aveva suggerito che le sarebbe costato ogni giorno un organo del proprio corpo soltanto per essere raggiunto con i mezzi e così aveva dovuto rinunciare. Si era resa conto dell’ora solo facendo la strada a ritroso, salendo sugli stessi bus che aveva preso all’andata e vedendo il sole sparire dietro le cime degli alberi e i cavi delle funivie. Quando finalmente era rientrata in casa, era già sera e la cena quasi sul punto d’esser pronta, per cui le era toccato far di corsa una doccia come se la stessero inseguendo perché di solito, se mancava il momento esatto per accaparrarsi il minimo indispensabile, il suo piatto finiva per rimanere vuoto o andare a qualcuno dei ragazzi di sotto in officina che era rimasto a dormire e dopo quella scarpinata, un tè o una busta di cibo pronto del conbini non le andava.
Così, ancora non perfettamente in ordine come avrebbe voluto prima di rilassarsi, aveva legato i capelli alla meglio e indossato qualcosa di comodo, agguantando il piatto che Killer le offriva dalla cucina senza pensarci due volte. Eppure quella cena, era stata più tranquilla del consueto e lo era stata per un’unica e semplicissima ragione: Kidd non si era messo a tavola.
Seduto sul divano, con una fascetta a tenergli su le ciocche rosse scarmigliate e una tuta pesante, aveva mangiato ciò che il suo migliore amico gli aveva poggiato accanto, sul bracciolo con tanto di birra, senza degnarli della minima considerazione. Aya lo aveva guardato stranita per un secondo, ma non si era fatta molte altre domande quando Killer, senza che lei avesse dovuto chiedere, le aveva svelato l’arcano.
«Videogioco, lo ha recuperato allo spaccio di Donquixote.»
«Oh.» si era limitata ad esclamare, proseguendo con la propria cena.
Per essere uno che ad una prima occhiata pareva dedito solo a risse, frequentazioni dubbie e incontri poco romantici in bar da mezzo berry, Kidd trascorreva il tempo libero in molti modi: adorava la musica, “tutta la buona musica” come diceva senza traccia di vergogna a prescindere dal genere in questione e alla prima occasione accendeva l’impianto che aveva modificato personalmente per ascoltarne un po’ insieme all’intero vicinato, perché mantenere le orecchie integre sino alla vecchiaia, non era una scelta contemplata; leggeva, stranamente, anche se erano per lo più letture settoriali le sue e spaziavano dalle ultime avanguardie di meccanica, al risultato di qualche sfida di Davy Back Fight andata male, sino ai risvolti meno politicamente corretti del Governo mondiale; poi c’erano le sue creazioni artistiche riciclate da qualche pezzo di ricambio, oggetti dall’utilità imprecisata e dubbia che servivano nei momenti meno probabili, quando si sfiorava l’orlo della disperazione per qualche catastrofe o un tracollo domestico e che lui fabbricava in mutande a colazione, sul pianerottolo, appena uscito dalla doccia o in camera propria all’una di notte per agevolare il sonno. E poi c’erano i videogiochi. Era bravissimo con i controller, ad Aya che si limitava per una scelta non propria solo a guardare, sembrava sempre che gli input venissero dalla sua testa piuttosto che dalle dita delle mani, aveva una sorta di dono naturale. Con i ragazzi dell’officina, ma soprattutto con Killer – ogni sera prima di dormire, perché era di rito – giocava con qualsiasi cosa, anche se i suoi preferiti erano gli sparatutto dato che in qualche contorta maniera lo rilassava sentire il frastuono dei caricatori e delle esplosioni. Scoprire quindi che non si era schiodato dal divano per smanettare con il suo nuovo acquisto, non la stupiva più di tanto, era l’euforia del momento.
In realtà avrebbe dovuto fiutare che qualcosa non andava poi così da copione, gli indizi in fondo c’erano, a partire da quel famigerato entusiasmo che avrebbe dovuto sfoggiare e che era piuttosto un ringhio basso, continuo, un po’ come quello di una belva inferocita, sino alle decine di aggeggi già fuori uso tra i cuscini del divano. Ma Aya il divano lo aveva guardato a malapena, quel tanto che serviva per sapere che c’era Kidd sopra e non sarebbe andata a dormire tanto presto e aveva continuato a cenare. Poi aveva aiutato Killer a togliere le cose dalla tavola e si era messa a rassettare la cucina, perché di quella parte si era offerta d’occuparsene lei, così da regalare al biondo una pausa ogni sera dopo aver preparato per tutti. Il punto era che Killer, la sua pausa l’aveva terminata da un pezzo: aveva guardato la tv, aveva fatto la doccia e l’aveva salutata per andarsene a letto e Kidd era ancora lì. E c’era rimasto per un’altra ora, finché allo scoccare della mezzanotte, neanche fosse uscito dal peggior libro di favole per bambine, era esploso in un ringhio frustrato da mettere i brividi e aveva lanciato il suo nuovo giocattolino contro il maxischermo che aveva piantato in salotto.
Terrorizzata, più dal rumore improvviso che dalla sua espressione – che certo comunque non era delle migliori del suo ampissimo repertorio – lo squadrò mentre se ne stava in piedi davanti al tavolinetto da caffè, puntando con astio la fonte delle sue pene serali: un ovetto color menta, con tanto di catenina per poterlo agganciare a zaini, giacche, portafogli, chiodi alle pareti e persino piloni della luce. Ovetto che per di più suonava e si lamentava…
«È un tamagotchi quello?» domandò stranita e vagamente inquietata.
Lo aveva visto giocare praticamente con tutto quello che c’era in commercio nelle sue serate games, ma quello, no, quello non se lo sarebbe mai sognata né tantomeno voleva cominciare quella sera. Perché era… insomma… haii, era… Kidd con un tamagotchi proprio no.
«È una trappola per soldi, ecco cosa! Sono ore che faccio di tutto e queste dannate bestiacce non fanno altro che crepare in continuazione! Gli do da mangiare e crepano, gli do da bere e crepano, ci gioco e crepano, ho pulito persino la loro merda e crepano! Si ammalano di fottutissime malattie inesistenti da un momento all’altro e crepano!» abbaiò fuori di sé in risposta, serrando i pugni come se avesse dovuto uccidere qualcuno.
Cosa che in effetti, da quanto raccontava, aveva già fatto ripetutamente e Aya non se ne stupiva poi tanto. Per quanto i comandi di quel gioco fossero basilari, da quanto ne sapeva era difficilissimo far superare a quei “cuccioli alieni” la pubertà per arrivare all’età adulta, erano un concentrato di sventure in bit.
Oltrepassato comunque il trauma della scoperta, beh, le venne da ridere, ma si controllò appena in tempo, giusto per non aggiungere altro all’espressione di seria offesa morale che Kidd stava sbandierando ai quattro venti nel centro del salotto e per un moto genuino di empatia nei suoi confronti.
«… hai provato a fare tutto insieme?» azzardò dalla soglia della cucina, vedendolo finalmente girarsi con un’espressione indecifrabile.
«In ordine intendo.» aggiunse. Quantomeno per dargli un indizio perché sembrava seriamente confuso.
Non aveva mai giocato con nulla di simile, ai suoi genitori non sarebbe mai piaciuta l’idea che potesse essere lei ad occuparsi di qualcun altro, lo avrebbero di certo ritenuto denigrante e offensivo nei confronti del buon nome di famiglia, per cui non era un’esperta in materia, ma neanche Kidd che se ne intendeva sembrava poi così tanto sintonizzato sul pezzo.
«Eh?» sbottò infatti, guardandola come se avesse avanzato chissà quale assurda ipotesi.
Evidentemente gli stava sfuggendo un concetto fondamentale, la base del gioco.
«Lo scopo credo sia accudirlo, crescerlo. Come faresti con un cucciolo, se lo rimpinzi di roba e basta non gli fa bene. Temo sia naturale che si ammali.» suppose e sul viso di Kidd si delineò una smorfia imprecisata.
«Vinco se lo cresco.» ripeté quasi in trance, un sopracciglio inesistente sollevato e l’altro no.
Dalla soglia e già in pigiama, Aya annuì in silenzio con la tazza in mano.
Le sfuggiva il nesso dietro la salute tanto cagionevole di esseri che presumibilmente erano stati spediti sulla terra da chissà quale galassia lontana anni luce da loro, ma neanche in merito a quello era preparata e in ogni caso, chiunque avesse progettato quegli affari pensando di educare un bambino alla cura del prossimo, di certo non aveva tenuto in considerazione Kidd.
«Ah! Fanculo!» lamentò scocciato dopo aver assimilato la spiegazione, calciando via uno degli ovetti che giacevano anche tra i suoi piedi per schiantarlo in un altro angolo dell’appartamento.
E Aya ebbe l’assoluta certezza che lì, oltre la mezzanotte di quel giorno, si stava chiudendo definitivamente la parentesi tamagotchi di Kidd, della quale avrebbero un po’ tutti fatto a meno volentieri, compresi quei poveri alieni. Eppure, nonostante quell’evidente ed ovvio sviluppo, rimase comunque basita quando lo vide ficcarsi una mano in tasca per tirarne fuori un altro di color lavanda e lanciarglielo con il tatto che lo contraddistingueva, minacciando di farlo finire immerso nel tè della tazza o peggio di far finire il tè addosso a lei.
«Dove vai?» s’informò, tenendo l’uovo già accesso nella mano libera, mentre Kidd imboccava il corridoio di mezzo metro scarso che lo divideva dal bagno e dalla sua camera da letto con passo pesante.
«È roba da donne, mi sono rotto. Badaci tu, vado a dormire.» la liquidò.
«Mi stai mollando il tuo tamagotchi?!»
«È come avere un cucciolo, dagli qualcosa e mettilo a letto. Ci ho pensato io tutto il giorno, tocca a te.» se ne lavò del tutto le mani, rigirandole la frittata con una tale indifferenza da lasciarla ammutolita.
Sola, ad eccezion fatta dell’uovo che le aveva appena mollato, rimase a fissare il vuoto creatosi di fronte a sé senza sapere davvero che fare o come reagire. Aveva avuto – sebbene di sua iniziativa – una giornata troppo lunga per andar dietro alle trovate di Kidd o battibeccarci e a quell’ora non sarebbe comunque stato corretto nei confronti di Killer. Decise quindi di posare la tazza nel lavabo vuoto e soprassedere, avrebbe riordinato quel caos di pulcini tumulati alla meglio e poi si sarebbe messa a dormire, più o meno come stava per fare Kidd in quel preciso moment-
«Cos’hai da suonare adesso?» mormorò tra sé, osservando l’uovo color lavanda, da cui proveniva un suono leggero, ma deciso.
Si era schiuso, bene… ma quando?! Chi gli aveva detto nulla? Insomma, avrebbe prima dovuto premere qualcosa lei, no? Decidere di cominciare quantomeno a giocare. E aveva già fame poi? Quella a terra era…
«Oh kami, no…» biascicò afflitta, accasciandosi tra i cuscini al posto che era stato di Kidd.
Chiunque avesse inventato quel gioco era un mostro.




  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Belarus