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Autore: Golden locks    02/12/2020    3 recensioni
Mello si risveglia su un pavimento tutto indolenzito, in un posto in cui non è mai stato prima. Non ha idea di dove si trovi nè tantomeno del perchè sia lì e di come ci sia arrivato. È intenzionato a scoprire tutto, ma non sa che lo attende una dolce, bellissima sorpresa.
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“Voglio sapere dove mi trovo” chiese senza tante cerimonie.
La donna arricciò le labbra e alzò nuovamente gli occhi al cielo.
“Questi novellini, tutti uguali. Lei è all'ufficio smistamento, giovanotto. Mi chiedo come sia arrivato qui così giovane e in queste condizioni” borbottò, per poi andarsene lanciandogli un'occhiata di disapprovazione e chiudersi di nuovo in una di quelle stanze.
“Grazie per la delucidazione, ora sì che mi è tutto più chiaro.”
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The last door


 

Mello si svegliò, malamente disteso su un duro e freddo pavimento. Aveva un cerchio alla testa senza precedenti che gli faceva pulsare le tempie, un sonno pazzesco e uno strano fastidio al petto, come se qualcuno glielo avesse compresso. Ma più che altro… era una sensazione che non aveva mai provato prima, quella al petto: non era proprio un dolore ma.. sì, più un fastidio, come lo strascico di un dolore vero e proprio molto, molto intenso.

Aprì lentamente le palpebre. Con la faccia puntata verso il basso e il naso schiacciato a terra, riusciva a vedere solo il verde smeraldo delle piastrelle del pavimento, non perfettamente lisce ma lucide. 

“Ma che cazzo...”

Sollevò la testa con fatica e si guardò attorno. Si trovava in una specie di saletta, o meglio di largo corridoio, in cui, alle pareti di un beige mesto, erano presenti delle grandi librerie contenenti quelli che sembravano raccoglitori zeppi di documenti da ufficio, una scrivania a cui non era seduto nessuno, che aveva l’aria di essere una postazione tipo banco informazioni e una semplice plafoniera al soffitto, che emanava una luce capace di illuminare tutto l'ambiente in modo uniforme ma un po’ triste. Da questo largo corridoio/saletta si accedeva a diverse porte, che al momento erano tutte chiuse. Sì, sembrava una specie di ufficio. Mello si sentì un po' confuso e aveva un sacco di interrogativi in mente. Ad esempio: che razza di posto era quello? Come c’era finito, lui, lì? Perché era steso sul pavimento dolorante? Non si ricordava nulla, ma certo una spiegazione doveva esserci.

Provò a mettersi seduto, con la testa che gli girava, e si mise le mani davanti agli occhi. Ok, ora che aveva alzato la testa dal pavimento si sentiva decisamente stordito.

“Porca puttana...” imprecò a denti stretti.

In quel momento, il ticchettio rapido di un paio di tacchi si avvicinò alle sue spalle.

“Non è possibile usare quel tipo di linguaggio, qui” lo rimproverò una donna tutta impettita di mezza età in tailleur verdone con un paio di tipici occhiali da segretaria acida e zitella e un’acconciatura alquanto retrò, mentre passava svelta davanti a lui con delle voluminose cartellette ricolme di fogli in mano. 

“Senta, ma dov…” Mello si interruppe, colto da una forte fitta alla testa.

La donna notò la sua espressione di dolore e sbuffò leggermente.

“Ah, accusa qualche dolore? Tipico... lei dev’essere uno di quelli…”

Eh? Mello si accigliò.

“Uno di quelli chi? Lei chi è, piuttosto?” le chiese Mello infastidito.

La donna scosse la testa e lo superò senza rispondergli.

“Hey!” la richiamò, ma inutilmente. 

La donna si era infilata in una della stanze a cui si accedeva dalla saletta e si era richiusa la porta alle spalle. Se avesse avuto la forza di farlo, si sarebbe subito alzato per rincorrerla e pretendere spiegazioni e, soprattutto, più rispetto, ma gli conveniva restare seduto un altro po’, se non voleva rischiare di rovinare al suolo. Comunque iniziava a incazzarsi seriamente. L’unica persona che aveva visto fino a quel momento lo trattava con sufficienza e se ne andava via così? 

Sollevò le sopracciglia quando la vide tornare con un altro plico pieno di carte sottobraccio e un bicchiere d’acqua. Lei lo guardò con disappunto, posò il plico e il bicchiere sulla scrivania e tirò fuori da una tasca della giacca un blister di compresse. Gliene porse una, insieme all’acqua.

“Tenga, prenda questa. Vedrà che passerà tutto in un attimo.”

Mello le lanciò un’occhiata storta, a lei e alla sua pillola. La donna alzò gli occhi al soffitto, spazientita.

“Suvvia, si fidi. È solo un analgesico.”

Mello strinse le palpebre guardandola ancora diffidente, ma decise di accettare perché qualsiasi cosa era meglio di quel dolore martellante alla testa.

Afferrò il bicchiere d’acqua e la compressa e la mandò giù. Un secondo dopo il dolore sparì all’istante, come per magia. La donna si godette il cambiamento dell’espressione di Mello e sorrise sorniona.

“Va meglio?”

“Sì” fu costretto ad ammettere. Cazzo, quella pillola aveva qualcosa di miracoloso, non aveva mai provato un farmaco tanto efficace! C’era da diventare ricchi con quella roba. Comunque, c’era ancora da capire dove fosse finito e perché. Meglio chiederlo alla tipa prima che se ne andasse di nuovo.

“Voglio sapere dove mi trovo” chiese senza tante cerimonie.

Lei arricciò le labbra e alzò nuovamente gli occhi al cielo.

“Questi novellini, tutti uguali. Lei è all'ufficio smistamento, giovanotto. Mi chiedo come sia arrivato qui così giovane e in queste condizioni...” borbottò, per poi andarsene lanciandogli un'occhiata di disapprovazione e chiudersi di nuovo in una di quelle stanze.

“Grazie per la delucidazione, ora sì che mi è tutto più chiaro.”

Mello si alzò in piedi cautamente, un po' guardingo. Era in luogo sconosciuto e non sapeva se poteva fidarsi. Sulle porte non c'erano targhette, ma la donna aveva detto che si trovava all'ufficio smistamento, quindi la sua deduzione iniziale di essere in un qualche tipo di ufficio era corretta. Un uomo sulla cinquantina con una camicia azzurra, un gilet a fantasia, dei pantaloni beige e una specie di visiera sulla testa uscì da una delle porte e gli sorrise amabilmente.

“Oh, Mihael! Ciao, benvenuto!”

Cosa? Mihael? Quello era davvero troppo. Mello lo guardò minaccioso e gli si avvicinò rapidamente, afferrandolo per il colletto della camicia.

“Chi sei tu? Come fai a sapere il mio nome? Che razza di posto è questo?” ringhiò furente.

L'uomo alzò le mani in segno di resa.

“Mi-Mihael, stai tranquillo, ti prego! Non ti arrabbiare, d'accordo? Io sono solo un impiegato, ma se mi segui ti verrà spiegato tutto!”

Mello assottigliò le palpebre guardandolo fisso a pochi centimetri dal viso.

“Lo spero per te!” disse sprezzante mollandogli il colletto. “Come cazzo ci sono finito qui?”

“Mihael, ti prego di moderare il linguaggio...” gli disse a bassa voce, un po' esitante. “Sai, qui, certe parole non sono permesse...”

Era già la seconda volta in pochi minuti che glielo dicevano, ma cosa aveva detto di male? Mihael lo afferrò per la camicia ancora più forte mostrando i denti con rabbia. “Mi prendi per il culo?”

“N-no, no...ascolta, facciamo così, seguimi!”

Mello lo lasciò e l'uomo per poco non cadde a terra perdendo l’equilibrio.

“Umf. E va bene.”

L'impiegato sorrise tra sé e sé, cercando di non farsi vedere da Mello. 'Che caratterino...' 

Condusse Mello in una stanza piuttosto lussuosa ed accogliente. Al centro, c'era un'imponente ed elegante scrivania bianca, sulla quale erano poggiati un fermacarte, dei documenti, un portapenne e tutte le varie cose che si trovano sulla scrivania di un ufficio. Alle spalle della scrivania c’era una libreria bianca colma di tomi e volumi di ogni tipo, a terra un tappeto candido e delle morbide tende bianche chiuse, dietro le quali c'era forse una finestra. Tutto bianco. Mello storse il naso. Lui amava i colori forti, intensi.Troppo candore gli dava sui nervi. 

“Accomodati qui” disse il tizio con la visiera indicandogli una sedia davanti la scrivania. “Adesso arriverà il mio superiore e ti spiegherà tutto.”

Mello non rispose, incrociò le braccia al petto e si stravaccò scomposto sulla sedia. 

“Hey nonnetto, avete del cioccolato?” gli gridò prima che l’uomo lo lasciasse solo.

“Ehm, no, mi dispiace” rispose l’impiegato che, temendo la reazione del ragazzo, richiuse la porta più in fretta possibile e si dileguò.

Mello aveva quasi esaurito la pazienza e, siccome questo misterioso superiore del nonnetto si faceva aspettare, per ingannare l'attesa si alzò e andò a guardare che libri fossero quelli sulla libreria. Con suo stupore notò che erano tutti scritti in una specie di alfabeto che non aveva mai visto, probabilmente appartenente a una lingua che non conosceva. Gli sembrò piuttosto strano, ma, annoiato, rinunciò. Provò ad aprire qualche cassetto ma erano tutti chiusi a chiave e lui non aveva voglia di mettersi a forzare le serrature. Che palle. Tornò a sedersi e sbuffò.

Dopo un paio di minuti circa, la porta si aprì ed entrò nella stanza un uomo alto e magro, molto curato e dall'aria sicura, i capelli brizzolati e vestito in modo distinto, con un completo di giacca e pantaloni grigio antracite, una camicia bianca e una cravatta grigio perla. 

“Ciao Mihael, benvenuto” gli disse mentre metteva in ordine un po' fogli sparsi sulla sua scrivania. 

Mello lo squadrò dalla testa ai piedi, con sospetto.

“Posso sapere come mai qui tutti conoscete il mio vero nome? Chi siete? Un'organizzazione criminale?”

L’uomo scosse la testa sorridendo rassicurante.

“Oh no, niente del genere, per carità. Non preoccuparti, non hai niente da temere. Ma qui la tua falsa identità non serve.”

“Già. Me ne sono accorto.”

“A breve ti verrà spiegato tutto. Come ti senti?”

Mihael lo guardò tagliente.

“Sto bene. Ma starei meglio se finalmente qualcuno si degnasse di dirmi dove sono.”

“Certo, hai ragione, sono qui per questo. Tu sei un tipo molto diretto eh? ma io ti conosco già.”

Lo conosceva già? Che fosse un amico di Watari e Roger?

L'uomo gli sorrise, pur vedendo che Mihael stava perdendo sempre più la pazienza.

“Ti trovi all'ufficio smistamento. Ti hanno già informato di questo, giusto?”

“Sì, fin qua c'ero. Ma che diamine sarebbe?” 

“È il luogo in cui le persone arrivano, dopo il passaggio.”

Mihael aggrottò la fronte.

 “Capisco la tua perplessità, è normale. All'inizio è così per tutti. Ora ti spiego meglio. Qui abbiamo modo di rivedere tutta la nostra vita dopo essere stati spogliati da ogni interesse personale, quindi possiamo rivalutare tutte le nostre azioni in modo del tutto puro. Stando a questa premessa, e in base a come risponderai, capiremo dove smistarti.” 

Smistarmi?”

“Sì, esattamente” rispose l'altro sorridendo tranquillamente.

Mihael si passò una mano tra i capelli, lo sguardo perso sul pavimento.

“Ma... il passaggio, allora...”

“Sì. È la morte. O, se vogliamo dirlo in altre parole, la fine della vita terrena” disse continuando a sorridere. Mihael alzò lo sguardo su di lui e si accorse che aveva assunto un atteggiamento molto professionale.

“Quindi io sarei... morto?” chiese più a sé stesso, tornando a perdere lo sguardo in un punto imprecisato.

L’uomo gli concesse un po’ di tempo. Mihael era visibilmente scosso, ma era una reazione perfettamente prevedibile e lui, che faceva quel mestiere da anni ormai, sapeva bene come comportarsi con le persone che arrivavano.

“Se sono morto, cos’è quel farmaco che mi avete dato?”

“Vedi, Mihael...” iniziò a spiegare  l’uomo con più tatto possibile, “ci sono due categorie di persone che arrivano qui da noi. Quelli che giungono dopo una morte naturale e quelli che, invece, hanno avuto una morte violenta.”

Mihael trattenne il fiato. Ricordò il camion, ricordò che aveva parcheggiato in una chiesa abbandonata, ricordò il suo piano e ricordò il terribile dolore al petto che l’aveva colpito improvvisamente facendolo accasciare sul volante, dopo cui non aveva visto più niente. Era stato poco dopo che si era ritrovato in quello strano posto. Ecco cosa voleva dire quella tizia con ‘lei dev’essere uno di quelli’. 

“Nel secondo caso” riprese, “spesso accade che le persone arrivano qui con qualche ammaccatura. Ecco a cosa serve quella compressa.” 

Mihael rimase qualche secondo in silenzio, con gli occhi sgranati.

“Adesso...che cosa succederà?” chiese Mihael con la voce spezzata.

“Niente di più di ciò che ti ho detto. Rivedrai alcuni episodi della tua vita e io ti farò alcune semplici domande a cui tu risponderai sinceramente. Qui, comunque, mentire non è possibile, quindi la sincerità sarà assicurata.”

Mihael lo guardava adesso con gli occhi sgranati, un po' incredulo a dire la verità.

“Ora mettiti comodo e guarda pure nello schermo di fronte a te.”

Gli fece cenno con la mano di girarsi in direzione del grande schermo che era apparso dietro le sue spalle. Mihael obbedì come un docile agnellino. Era troppo spiazzato persino per incazzarsi.

Sullo schermo, delle immagini cominciarono a scorrere davanti ai suoi occhi.

La Wammy's House...” sussurrò con nostalgia.

Si rivide nel video a strattonare un bambino per rubargli una tavoletta di cioccolata. Avrà avuto sì e no cinque o sei anni.

“Dimmi, Mihael” gli disse l'uomo serafico, “ti sembra giusto quello che hai fatto?”

“Ma ero solo un bambino, andiamo! Neanche me lo ricordavo questo episodio...”

“Per favore, rispondimi col cuore. Magari tu non ti rendevi conto delle conseguenze delle tue azioni, ma dobbiamo constatare se-”

Mihael si scattò in piedi, alzando la voce.

“Ma qui voi siete avvantaggiati, non è corretto!”

“Mihael. So che sei abituato a incutere timore negli altri, ma guarda che qui non hai alcun potere, quindi non ti scaldare tanto. È molto importante che tu mi risponda, anzi è fondamentale.” 

“Ma insomma cosa volete da me?”

“Noi?” l'uomo fece una piccola risata. “Noi non vogliamo niente, dobbiamo solo stabilire da che parte mandarti. Nulla di personale, solo normale amministrazione. È solo il nostro lavoro.”

Mihael, accigliato, si girò a guardare nuovamente le immagini. Vide Rick piangere sul pavimento, mentre lui si allontanava saltellando trionfante e soddisfatto con la cioccolata dell'altro in mano. Gli dispiacque per Rick. Se lo ricordava appena, ma in fondo era un bravo bambino. Solo un povero orfano come lui.

“No… non mi sembra giusto...”

“Capisco. Se avessi la possibilità, ora, di cambiare il tuo comportamento, lo rifaresti?”

“Beh… no… gliene chiederei un pezzo… oppure andrei da una delle istitutrici a chiedergli se ha una tavoletta anche per me...”

“Capisco. E come definiresti questo tuo comportamento?”

Mihael esitò un attimo.

“Credo di essere stato un po'... prepotente.”

L'uomo sorrise.

“D’accordo. Passiamo a un'altra scena adesso, va bene?”

Mihael annuì.

Stavolta si rivide mentre tirava un pallone da calcio in testa a un suo compagno durante una partita nel giardino dell'orfanotrofio. 

“Che mi dici di questa, Mihael?”

Mihael sbuffò infastidito.

“Sì, ok, gli ho tirato quel pallone apposta. Mi divertivo così, con cose stupide e mi piaceva fare i dispetti agli altri. Ma la mia vivacità era incontenibile e io stavo sempre chiuso lì dentro a studiare e ad essere sottoposto a test e prove e…” L’uomo lo guardava interessato. “So che non mi sono comportato tanto bene.”

“Capisco. Andiamo avanti. Ecco un altro episodio.”

L'uomo gli pose le stesse domande che gli aveva posto in precedenza e lui rispose, calmo. Andarono avanti così per un po', vagliando tutti gli episodi riguardanti la Wammy's House. Mihael rispose alle tante domande senza stancarsi, annoiarsi o spazientirsi, cosa che, in un'altra situazione, sarebbe sicuramente successa, finché l'uomo premette un pulsante su un telecomando.

“Adesso passiamo a un'altra fase della tua vita.”

Mihael temeva quel momento. Sapeva già cosa stava per vedere. Era il periodo in cui aveva fatto parte di quell'associazione criminale, ne era certo, era quello che era accaduto dopo che aveva lasciato l'orfanotrofio. Il volto dell'uomo era serio ma neutrale, non lasciava trasparire alcun tipo di giudizio morale su di lui, e questo lo fece sentire confortato.

“Osserva attentamente Mihael. Anche se sono certo che lo ricordi bene.”

Sullo schermo apparve il momento in cui era accanto al boss, e uno dei suoi scagnozzi premette un pulsante che fece esplodere un elicottero, al bordo del quale c'era un uomo. Mihael guardò nello schermo l'espressione di totale indifferenza che aveva avuto in quel frangente. Si sentì in difficoltà. Come avrebbe potuto giustificare di essere stato complice di quell'azione?

“Che mi dici, Mihael?”

“Non avevo altra scelta. È tutto ciò che posso dire a mia discolpa. Io ero tra quella gente solo per perseguire uno scopo preciso, anche se sapevo in cosa sarei stato coinvolto. Non provavo piacere a vedere delle vite umane stroncate in quel modo, semplicemente ne restavo fuori. La mia soddisfazione derivava solo dal vedere che i miei piani si attuavano con estrema precisione, ma non ho deciso io di fare esplodere quell'elicottero, e non potevo oppormi. Comunque... non ne sono particolarmente fiero.”

Riguardò anche i momenti in cui aveva commissionato a uno di quegli energumeni di fare fuori quasi tutti gli agenti della squadra investigativa di Near. Sentì un forte senso di colpa crescere dentro di sé, molto più forte di quello che era capace di provare mentre era in vita, come se lì la sua anima fosse più sensibile e più pura, quasi messa a nudo, ora che non era più preso e condizionato, per non dire guidato, dai suoi scopi, ma poteva giudicare le sue stesse azioni per ciò che realmente erano.

“È vero. Quegli omicidi li ho commissionati io. Facevano parte di una strategia” disse serio senza cercare di giustificarsi.

“Dimmi, Mihael. Se dovessi prendere questa decisione adesso, cioè se uccidere quegli agenti, lo rifaresti?”

“No” disse Mihael senza alcuna esitazione. “È stata una... bastardata, per indebolire il mio rivale. Non mi fa onore, lo so.”

L’uomo annuì, sempre senza lasciar trapelare alcunché.

Dopo un altro po' di domande e risposte, l'uomo premette ancora il pulsante sul telecomando.

E in quel momento sullo schermo apparve il bellissimo viso di Matt.

Matt…

Mihael si voltò preoccupato verso l'uomo.

“Matt? Cosa ho fatto a Matt?!” chiese Mihael stupito.

L'uomo non rispose e con un eloquente gesto della mano lo invitò a tornare a guardare lo schermo.

Mihael rivide i tanti episodi in cui lo aveva insultato o aveva scherzato con lui pesantemente e per la prima volta notava bene l'espressione dell'amico, come se adesso potesse vederla con occhi diversi o come se, adesso, l'espressione di Matt fosse diversa. Le immagini stavano mostrando a Mihael la reale espressione di Matt, quella del suo cuore.

“Ma...io scherzavo, lui lo sapeva...”

“Sai quante volte l'hai ferito, scherzando?

“Ma... io... non credevo...” 

“Beh, lui non te lo faceva notare, ma ogni volta che gli dicevi qualche parola di quel genere, qui sentivamo distintamente un piccolo crack nel suo cuore.”

“Un...crack...?”

“Sì, Mihael… proprio così.”

Gli occhi di Mihael divennero lucidi. Quello era un colpo basso. Era rimasto calmo tutto il tempo, anche riguardando le peggiori bassezze che aveva commesso, tutti i suoi crimini e le sue malefatte, ed era rimasto serio e calmo, assumendosi tutte le sue responsabilità, ma non poteva restare indifferente davanti a quello. Abbassò la testa e chiuse gli occhi, lasciando uscire tra le sue ciglia dorate una lacrima.

Matt...mi dispiace.”

L'incontro durò ancora per poco, poi l'uomo finalmente lo congedò.

“Molto bene Mihael. Ho raccolto tutte le informazioni di cui avevo bisogno per completare il tuo profilo. Adesso porterò tutto alla commissione.” La commissione? “Non ci impiegheremo molto, non preoccuparti. Nel frattempo tu, per favore, accomodati in sala d'attesa.” disse sfoderando un sorriso rassicurante.

“Va-va bene.”

L'uomo si alzò e lo condusse nella saletta in cui aveva visto passare la donna antipatica e lo fece entrare in una piccola stanzetta. Mihael si sedette su una poltroncina e poco dopo fu proprio la donna antipatica ad entrare con una delle sue cartellette sotto il braccio.




 

“Eccomi qui, cari colleghi. Ho appena finito il colloquio con Mihael.”

L’uomo entrò in una sala riunioni con un grande tavolo ovale, attorno al quale erano seduti i membri della commissione. Ognuno di loro aveva davanti un dossier con su scritto ‘MIHAEL KEEHL’ e l’uomo provvide a consegnare loro un altro foglio, con i risultati del colloquio, che fu subito visionato da tutti.

“Questo è un caso complicato…” rifletté un uomo dai capelli rossicci con le mani congiunte davanti al viso. 

“Se lo chiedete a me, quel ragazzo ha davvero esagerato in vita” sentenziò una donna.  

“Ma Rose cara, pensaci, si è pentito!”

“Sarah, mi stupisco di te! Ma avete visto cosa ha combinato?”

“John, ti prego, diglielo anche tu.” riprese Sarah. “Io credo che Mihael sia un bravo ragazzo infondo.”

“Beh sì, dal colloquio è venuto fuori un sincero pentimento per le sue azioni” confermò John, ovvero l’uomo che aveva fatto il colloquio a Mihael.

“Ecco, vedi mia cara? Jacques, tu cosa ne pensi?”

“Io penso che abbiano ragione John e Sarah.”

“E tu Kamal, cosa ne pensi?” insistette Sarah.

“Anche io sono d'accordo con loro” spiegò conciso l’uomo con il turbante sul capo.

“Dunque siamo tutti d'accordo, tranne Rose” concluse John. “Come sapete ci serve l'unanimità per decretare la decisione, quindi Rose, ti prego di riconsiderare la tua posizione.”

Sarah la guardò speranzosa. “Dai cara… è arrivato qui così giovane… ed è un così bel ragazzo.”

Rose lanciò un’occhiataccia a Sarah che voleva dire più o meno non capisco cosa possa entrarci il fatto che sia un bel ragazzo!

“Vi prego, non aggiungetemi più alla commissione quando ci sono casi come questo!” disse infine stizzita.

“Ma cara,” disse Sarah, “cosa pensi che possa fare, ormai, Mihael? E poi, una volta giunto qui, si è reso conto anche lui dei suoi sbagli. Io so che ti ricrederai. Non essere severa. So che hai un cuore d’oro.”

“Inoltre, Rose,” intervenne John, “vorrei farti notare che il ragazzo ha sacrificato la propria vita per salvarne molte altre. Come sai ciò aggiunge 1500 punti alla sua valutazione. È un bonus che non ci capita spesso di utilizzare, non trovi? È un’azione eroica, molto rara da riscontrare nei nostri dossier. Quindi credo che in questo caso, anche senza il tuo benestare, Mihael abbia raggiunto il punteggio per passare, ma saremmo molto più lieti se tu potessi....”

Rose si strinse le braccia al petto accigliata, ricevendo un'occhiata amichevole e affettuosa da Sarah. 

“Rose grida sempre allo scandalo” bisbigliò Jacques a Kamal, il quale cercò di trattenere una risata.

“Dai su, so che in fondo lo vuoi anche tu” continuò Sarah.

“Il perdono, Rose, il perdono…” le ricordò John. “Bisogna saper perdonare chi sbaglia, soprattutto se si pente.  È questo quello che ci ripetono sempre al corso di formazione, ricordi?”

Rose si agitò leggermente sulla sedia, e la sua espressione si addolcì. 

“E va bene… avete ragione. Avete anche il mio benestare” concluse Rose.


 


 

“Signor Keehl?”

Mihael balzò in piedi dalla sedia su cui gli sembrava di essere rimasto seduto per ore.

“Sì, sono io.”

La donna che sembrava una segretaria, quella che aveva incontrato prima, estrasse un foglio da una cartelletta con su il suo nome e glielo porse.

“Prenda, questo è suo.”

Mihael prese il foglio e lo guardò attentamente. C'erano delle scritte incomprensibili nella stessa strana lingua dei libri nell’ufficio bianco del colloquio, ma poteva vedere chiaramente un timbro, stampato con inchiostro verde, su cui c'era scritto, banalmente in inglese, “PASSATO.”

Mihael alzò lo sguardo sulla donna, un po’ confuso.

“Ma adesso dove devo andare?”

“Venga, prego.” gli disse arcigna, con un gesto della mano che lo invitava ad andarle dietro.

Mihael uscì dalla stanzetta per tornare nel corridoio in cui si era risvegliato e ciò che vide gli fece cadere il foglio dalle mani.

“Matt!”

Matt, stupito che qualcuno in quel luogo lo chiamasse “Matt” e non “Mail” si girò verso di lui, ma aveva già riconosciuto la sua voce.

“Mels! Ci sei anche tu?”

I due ragazzi si abbracciarono come se non si vedessero da mesi, felici come mai prima e si scambiarono un bacio appassionato, quasi disperato. Dopo essersi tenuti stretti, le loro labbra si staccarono e sciolsero l’abbraccio, restando però vicini, Mail con le mani sui fianchi di Mihael, Mihael con le mani appoggiate sugli avambracci di Mail.

Dopo i primi istanti di felicità, Mihael realizzò una cosa terribile. La macchina di Mail trapassata da molti colpi di arma da fuoco. Mail era morto per colpa sua. Fu colto da un lieve panico e un tremendo senso di colpa. Una lacrima gli scivolò su una guancia, limpida e trasparente.

“Matty… perdonami… tu non dovresti essere qui… Matty...io…”

Lo sguardo di Mail si addolcì.

“Hey, Mels. Sta tranquillo. Siamo di nuovo insieme. È questo quello che conta.”

“No, no, Matty! Tu non dovresti essere qui, eri così giovane! Quei vigliacchi ti hanno sparato senza che potessi difenderti, non è giusto! Ed è solo colpa mia!”

Mail lo zittì con un bacio. Poi lo guardò negli occhi, con amore.

“Shhh. Zitto, amore mio. Non è colpa tua, tu non potevi prevederlo. E poi... credi che avrei voluto restare lì, senza di te?”

“Matty! Perdonami! Ti fatto soffrire tanto! Perdonami per tutto!

Mihael gli gettò le braccia al collo e Mail gli accarezzò amorevolmente la schiena.

“Te l’ho detto. Non importa, è tutto passato, adesso. Voglio solo stare con te, l'ho sempre desiderato più di ogni altra cosa. Non ha importanza dove” gli sussurrò all’orecchio.

Mihael poggiò la testa sulla spalla di Mail e pian piano si calmò. Dopo qualche minuto di quel dolce abbraccio, sollevò la testa e guardò Mail nei suoi bellissimi occhi azzurri scintillanti di gioia e il suo sorriso lo convinse che Mail fosse davvero felice di essere con lui, persino lì. Si sentì talmente felice. L'amore che Mail povava per lui era sopravvissuto a tutto, davvero a tutto. Anche alla morte. Rassicurato dal più dolce dei pensieri, sentì di aver ritrovato un po' di buonumore e fu vinto dalla curiosità.

“Hanno fatto il colloquio anche a te?”

“Il colloquio? Ah sì, certo. È stato figo.”

“Quanto è durato?”

“Mah, circa un quarto d'ora, credo. Il tuo?”

“Ah. Il mio… circa cinque ore.”

Mail scrollò le spalle.

“Poco male. L'importante è avere questo tra le mani.” affermò fiero esibendo lo stesso identico foglio che era caduto a Mihael.

“Signor Keehl…” lo riprese la segretaria che passava da lì in quel momento “guardi che il foglio che ha lasciato cadere è molto importante. È la sua chiave per il paradiso. Va bene che possiamo sempre stamparne un'altra copia, ma abbiamo già abbastanza lavoro qui, quindi cerchi di stare più attento!”

Mihael, sentito il rimprovero, si staccò dalle braccia di Matt, e asciugandosi una lacrima col dorso della mano, sorrise e si chinò a raccogliere il foglio.

“Paradiso? Uno come me?”

“Così ha deciso la commissione e la commissione non sbaglia mai. Quindi dev’esserselo meritato.”

“Beh, grazie” disse alla donna, che fece a entrambi un piccolo cenno con la testa.

“Venite prego.  È il momento di uscire dalla porta.”

“La porta?”

“Sì. L’ultima porta. L'ultima che varcherete.”

La donna indicò ai due ragazzi la fine del corridoio, nella quale erano presenti due usci sulla stessa parete, uno a destra e uno a sinistra.

“La vostra è quella di destra. Non sbagliate, per carità! altrimenti ci vorranno un sacco di scartoffie per tirarvi fuori da lì!”

Mail scoppiò a ridere e spalancò energicamente la porta giusta. Si vedeva un bellissimo luogo, talmente bello e celestiale da essere indescrivibile a parole, come una specie di enorme giardino sulle nuvole. Li investì un tenue fascio di luce bianca. Una sensazione di pace e benessere assoluti pervase Mail e Mihael, come un soffio di vento tiepido che ti scalda una fredda giornata invernale.

“Potete andare insieme” disse infine la donna, mostrando addirittura un sorrisino.

Matt si voltò verso Mihael.

“Sei pronto, Mels?”

Mihael annuì.

“Con te, sempre.”

Mihael e Mail si guardarono felici, si presero per mano e oltrepassarono la soglia meravigliosa del paradiso, che li avrebbe portati alla beatitudine eterna. Insieme.


 

 

Note dall’autrice:

Ciao a tutti! Questa è una storiella che ho scritto all'incirca un annetto fa. Giaceva nella cartella delle os da tanto, così ho deciso di revisionarla e pubblicarla. Una piccola precisazione: il motivo per cui passo dal chiamare Mello Mihael, da un certo punto della storia  in poi, è che quando Mihael capisce che il suo nome falso non gli serve più a niente, esso perde la sua funzione ed è un po' come se anche se nella sua testa smettesse di avere un senso, così ho smesso di utilizzarlo anche io. Non si tratta di un errore dunque, ma non sapevo con certezza se si fosse capito, quindi lo specifico qui :)

Grazie per aver letto, spero che questa piccola shottina vi sia piaciuta, se vi va lasciatemi un parere!



 

  
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