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Autore: Shireith    03/12/2020    3 recensioni
Shiho suona per Shinichi finché non fa caldissimo, poi di nuovo freddo – un freddo che t’entra nelle ossa e pare voglia spezzarle.
Musician!AU sconclusionata perché non ci sono abbastanza AU su questi due e bisogna pur rimediare.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Spartito senza tempo


Yeah, I've been dancing with the devil
I love that he pretends to care


 
 
 Foglie fiammeggianti che si staccano dai rami e si disperdono danzando nell’aria sono tutto ciò che vede quando getta lo sguardo al di là della vetrata – tutto il resto è grigio, bianco, nero. Nere sono le note che spiccano sullo spartito bianco, neri sono i tasti che spiccano sugli altri bianchi.
 Shiho li suonerebbe, ma non ci riesce; non vuole. Forse perché ha paura.
 Sbatte più volte le ciglia – grigio, bianco, nero. Colori spenti, ma pur sempre colori.
Li vede.
 
 L’archetto sfiora appena le corde, pare voglia solleticarle fino a farle ridere.
 È una musica, però, che non ride affatto. Non parla di belle cose perché il tempo in cui le ha conosciute è ormai lontano, inafferrabile.
 Shiho avverte solo dolore in quelle note; urlano, stridono sul cuore come metallo su metallo. Il violino soffre e l’anima di chi lo sta maneggiando è più nera del carbone, più fragile delle foglie secche che si sbriciolano sotto le suole delle scarpe.
 Quando l’ultima nota si estingue nell’aria, triste e solitaria come il pianto di un orfano in fasce, Shiho vede il violinista strisciare lontano da tutti. Ritorna poco dopo, con abiti diversi, e lei pare l’unica a riconoscerlo.
 Gli si avvicina. «Avete suonato bene.»
 È un tono formale, quasi distaccato, che però ha qualcosa di diverso dal solito. Nessuno dei due se ne rende conto – lui perché non la conosce; lei perché è così complessa che dopotutto non si conosce neanche da sola.
 Lui sbuffa. «Decentemente, direi.»
 «Sì, siete un po’ arrugginito, ve lo concedo. Eravate un bravo violinista, però, quando ancora era la vostra professione.»
 Non riesce a nascondere lo stupore che gli scivola sul volto. È raro strappare a un uomo come lui una simile reazione, ma Shiho non può saperlo.
 «Perché dite che lo facevo per professione?»
Perché dite? chiede l’uomo, non come lo sapete? – è furbo. Shiho, però, non ha bisogno di ulteriori conferme.
 «Non sono una spettatrice qualunque.»
 «C’era da aspettarselo, da una pianista.»
 È Shiho, questa volta, a esitare. Assottiglia gli occhi, inseguendo una deduzione che non corre in suo aiuto.
 «Non siete l’unica ad avere spirito d’osservazione.»
 «Suppongo di no, signor...?»
 «Kudo. Shinichi Kudo.»
 Parlano finché la gola non implora pietà, quella notte.
 
 E parlano ancora, si conoscono da quando il rosso degli alberi diventa bianco fino a quando il bianco non sparisce e i ciliegi sono in fiore.
 I momenti per loro, loro soltanto, sono sporadici, preziosi, e indescrivibili come la musica di cui vivono.
 
 Mani da pianista, lunghe e affusolate, gli setacciano il petto con una delicatezza che sembra quasi paura – di romperlo – e Shinichi sta al gioco. La lascia fare, lascia che le sue mani scendano verso il basso con lentezza estenuante, e non protesta quando il piacere si palesa anche a voce.
 Shiho, lei è un gioiello, una sinfonia dimenticata che solo Shinichi può ascoltare. Al passaggio dei suoi polpastrelli la schiena si tende come una corda di violino e i suoi gemiti sono più rari dei suoi sorrisi, e proprio per questo li brama come se non ci fosse un domani.
 Dell’atto gli piace la frenesia, quella quasi disperazione con cui si cercano tra le coperte nell’intimità che tiene lontane le domande di amici e famigliari – quel che ne rimane.
 Shinichi sa che Shiho è sola al mondo, gliel’ha confessato mentre, dopo, condividono un letto tra racconti e segreti. Non è bravo come lei a toccare i tasti giusti, ma ha imparato a farlo – a conoscerla, a capire i suoi silenzi più enigmatici di mille parole.
 Sa, ad esempio, che si è laureata in biochimica per sentirsi più vicina ai genitori scienziati, ma che alla fine una parte di lei ha ceduto alla musica in nome di quegli anni della sua infanzia in cui sua madre l’ha introdotta al pianoforte.
 
 «Suonerai per me?» le chiede una di quelle notti – ha toccato il tasto sbagliato.
 Ma Shiho non sa rispondere no.
 «Finché me lo chiederai.»
Finché potrò.
 
 Shiho suona per Shinichi finché non fa caldissimo, poi di nuovo freddo – un freddo che t’entra nelle ossa e pare voglia spezzarle.
 
 Un giorno, presto, il mondo si tinge ancora una volta di bianco ed è tutto quello che vede, fiocchi di neve che quasi si confondono col grigio chiaro del cielo e che si sciolgono timidamente prima di toccar terra.
 Vede bianco, Shiho – presto vedrà nero.
 Quando lo dice a Shinichi (non può nasconderglielo, non più), lui non sa come reagire. Prima stenta a crederci, poi stringe i pugni e si tortura le labbra.
 «Perché non me l’hai detto prima?»
 «Perché non pensavo sarebbe successo… questo.»
Noi – loro che si sono conosciuti nella miseria, quando Shiho aveva appena ricevuto la notizia che le avrebbe cambiato la vita per sempre e Shinichi aveva visto uomini innocenti morire e altri colpevoli farla franca sotto gli occhi di una giustizia impotente.
 Entrambi erano rotti, con l’anima piena di tagli, amareggiati da una nuova realtà che li aveva travolti come uno schiaffo in viso.
 «Suonerai per me?»
Suonerai per me quando io non potrò più?
 «Finché me lo chiederai.»
Finché avrò vita.
   
 
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