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Autore: CatherineC94    03/12/2020    4 recensioni
Tossisce ancora, guarda un’altra piccola foto che li ritrae tutti insieme e socchiude le palpebre stanco di vivere da solo, nella speranza di morire e rivedere qualcuno di tutti loro, almeno per scambiare qualche parola, Milly non riesce fino a tanto, anche se una volta ci ha provato a trasfigurarla. La stanza è squallida, lui odora di stantio, Milly finalmente sta mordicchiando la base della lunga barba grigia e Alberforth forse non respira più. Nessuno se ne cura, non è una novità.Questa storia partecipa al contest “Hold my Angst (Flash contest- Edite e Inedite)- Seconda edizione” indetto da BessieB sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aberforth Silente
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Questa storia partecipa al contest “Hold my Angst (Flash contest- Edite e Inedite)- Seconda edizione” indetto da BessieB sul forum di EFP.

 
Squallore esistenziale
 
«La solitudine non è vivere da soli,
 la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a
 qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi»
José Saramago


In cucina ci deve essere qualcosa andato a male, un forte odore rancido pervade l’aria; forse sono i rimasugli della cena di ieri, oppure è solo lui che da giorni non si muove da quella sedia.
Ormai il cuscino rattoppato ha preso la forma del suo didietro e la barba ha superato il gomito, non che la cosa gli dia qualche problema o noia. Per niente, preferisce che sia così in un certo senso anche se ad un certo punto ha messo in conto la possibilità che Milly, la sua tenera capretta, la potesse divorare famelica. L’ha scorto nei suoi piccoli occhietti maliziosi e l’ha sentita belare con i minuti denti gialli che si sono mossi vogliosi verso la sua barba.
«Che lo faccia pure!» ha pensato.
Una rogna in meno, però deve ammettere che la stupida barba è il minore dei mali, anzi, ci sono molti altri problemi. Uno è sempre uguale e non c’è risposta o soluzione se non la morte, quindi la domanda principale è perché non si sia mai degnata di fargli visita, come quando è andata da quell’altro stupido idiota che ha fatto un balzo dalla Torre di Astronomia.
Ride beffardo e con difficoltà, da tempo non riesce a respirare bene, ma il pensiero di suo fratello, il suo magnifico fratello, che vola come un ippogrifo imbizzarrito dalla sua adorata scuola lo diverte in modo macabro.
In un primo istante forse, ma poi si chiede che cosa ha provato e se fa male.
«Ovvio che fa male» si dice tra sé e sé, ma lui avrà sofferto?
Questo pensiero lo strazia, anche se non la dà a vedere e ha preferito per giorni passeggiare con Milly e bere come una spugna quando ha saputo l’accaduto, quasi come Mundungus Fletcher quando guadagna qualche galeone setacciando le fogne;  quell’ ignobile mucchio di stracci che ha provato a fregarlo anni orsono. Ah! Come se potesse dimenticare qualcosa, al contrario ha sempre mantenuto vivide le sue memorie senza tralasciare alcun dettaglio.
Quindi la sfumatura dei suoi occhi è una delle cose che non ha mai dimenticato, quel blu così chiaro che gli rammenta il cielo sereno nelle lunghe serate di giugno, quando il sole non vuole scomparire dietro i monti. Lei è lì, in quell’istante che dura per sempre e Alberforth prova a raggiungerla, allunga la mano ma nemmeno la sfiora, perché quasi fluttua sul mondo malvagio che l’ha trasfigurata in ciò che non è mai stata.

 
«Alb, ma tu pensi che dietro la montagna ci siano davvero i giganti?»
«Hai paura di loro?»
«No! Ma vorrei conoscerli».

 
Lei non li ha mai visti, i giganti sono in altre montagne come lei è in altre terre che non riesce a percepire. Ma lei è qua, lui la sente spesso e la rammenta nei piccoli particolari del volto che di tanto in tanto rimira nel dipinto.
Sorride.
«Che falsa» grugnisce grattandosi la testa.
Come può sorridere se ormai è ossa e polvere sotto terra? Quando ci pensa vorrebbe urlare dal dolore e prendere a calci qualsiasi cosa che trova davanti al suo cammino.
Lei è marcita sottoterra, mentre lui vive da anni e ne odia ogni secondo, ogni respiro che sta compiendo; avrebbe volentieri ceduto la vita per salvare la sua. Anche sua madre è morta, lei l’ha uccisa, oppure sono stati quei Babbani che non hanno avuto pietà di una giovane bambina inerme, che ha sempre amato passeggiare nel suo giardino.
Mostro.
L’hanno chiamata mostro, anche se i veri mostri sono loro.
Ma non gli importa molto di quei tre ignobili e sudici esseri umani, alla fine sono morti? Sono periti? Chi lo sa e nemmeno se lo chiede se ciò sia mai avvenuto.
«Bisogna saper perdonare» gli ha detto suo fratello, quel tizio col cervellone così grande che tutti ancora dopo anni lo ricordano senza sapere che in realtà lui è stato un ignobile essere distratto.
Ha perso gli anni più belli con lei e come uno stupido si è dedicato ad altro; ma in questo l’ha superato, perché non ha mai messo prima se stesso di lei e dei suoi meravigliosi occhi azzurri.
Il rimorso l’ha poi divorato, come ha detto quel ragazzo stupido che l’ha seguito fino alla fine, ma che ne ha mai saputo di rimorso? Avrebbe dovuto indossare i suoi panni, anche se avrebbe storto il naso perché odorano di marcio, come la sua stessa anima ignava.
Perdonare eh? Lui l’ha perdonato quel dannato idiota che ha ucciso sua sorella?
Si guarda le grandi mani nodose, sono ricoperte di cicatrici e forse c’è dell’unto che appartiene al grasso delle salsicce che ha arrostito qualche giorno prima.
Oppure sono state quelle mani che l’hanno ammazzata?
Probabile e mentre lo pensa tracanna qualcosa, per non rimanere lucido. Non si sa mai in effetti se essere consapevoli della propria pochezza nel mondo sia in qualche modo qualcosa di positivo, di terapeutico per ogni essere umano.
Si gratta ancora la testa.
Che deve perdonare?
Se stesso, si l’ha fatto anche se si farebbe divorare da qualche bestia feroce ma forse non proverebbe lo stesso dolore che ha patito quando ha visto la sua famiglia perire sotto i suoi occhi.
«La mamma dov’è andata Alb?»
«A fare una passeggiata con le capre»
«La sto aspettando da giorni, perché non vuole tornare?».

 
Perché non vuole tornare?  Le avrebbe tanto voluto dire: «Perché è sottoterra sorellina mia, morta con gli occhi chiusi e la bocca cucita per l’eternità»; ma non l’ha mai fatto, invece ha continuato fino alla fine a proteggerla per quanto rozzo ed insulso è stato.
Milly si avvicina, forse ha fame.
Prende un tozzo di pane scampato dalla muffa e glielo lancia.
«Mangia, almeno tu fammi morire prima non come hanno fatto gli altri» la rimbrotta.
Sembra che abbia capito e trangugia il misero ed agreste pasto con profonda voracità, senza tralasciare nemmeno un boccone.
«Brava, attaccati alla vita. Fallo, non come tutti loro che se ne sono andati. Lo stupido idiota si è sacrificato anche per gli altri! Ah!» esclama gracchiando.
Già, suo fratello che ha tessuto più tele di un ragno, ha deciso di dare la propria vita così da poter salvare la vita di tutti gli altri; si ricorda che l’ha anche obbligato a fare parte di quel manipolo di eroi, che sono la maggior parte morti da secoli ormai.
Hanno mai pensato a chi hanno lasciato qua? Da soli? Seduti sulle sedie che sono ormai sformate e logore?
No, hanno deciso di fare gli eroi, i dannati nomi che sono sulle lapidi gli ricordano anzi a tutti coloro che li hanno persi, rammentano l’incommensurabile solitudine che devono patire a causa della loro voglia di essere eroi.
Grazie, davvero, il mondo li ringrazia.
Ma Alberforth è solo, sua madre è morta, suo padre è morto, Ariana è morta, Albus è morto. Lui no, ancora esiste e Milly sta mangiucchiando l’orlo della sua veste distrutta dal tempo e dalle intemperie.
Dentro non ha niente più che possa funzionare, non ha un cuore ad esempio.
Ma a cosa può servire il cuore in un mondo così oscuro e folle, che decide di privarti ogni momento di qualsiasi cosa che può renderti felice non lo sa nemmeno lui. Si, lui ha sempre adorato le capre, va bene, ancora ha Milly ma ha amato moltissimo i suoi genitori; il suo sorriso primitivo e frugale ha vissuto per la loro felicità. Poi ha compreso che c’è sua sorella, il suo bene più grande è quindi ha fatto di tutto per accudirla e proteggerla, al meglio delle sue aspettative; Milly è rimasta anche in quel caso, ma lui ha da sempre preferito Ariana, perché lei è la luce dei suoi occhi stanchi. Ha amato molto anche suo fratello, che da sempre ha ammirato per la sua immensa bravura ma che si è dileguato nel mondo e che quando ha capito di aver sprecato la sua famiglia,  ha deciso di dedicarsi agli altri, per redimersi in un certo senso.
La comunità magica ringrazia da sempre, lo sa e ha delle targhe in salotto.
Polvere su polvere, cenere su cenere.
«La mamma ha deciso di andare in un mondo migliore, migliore di questo squallore».
«Come può essere migliore se non ci siamo tutti?».
Lo pensa davvero che quel posto sia migliore, ma non ha avuto ancora il privilegio di poter prendere parte a quel luogo così bello che tutti descrivono. Ma forse la porta è sbarrata, non è stato molto gentile con il prossimo e ha detto sempre quello che gli è passato in testa, sinceramente; ripensandoci è stato brutale a volte, ma a chi importa.
A chi?
 «Ti vedo stanco, che hai fatto alla mano?»
«Niente di che, un granello di sabbia a confronto di ciò che serve»
«Che hai mangiato un libro di Antiche Rune? Parli ad enigmi, dannazione!»
«Versami un po’ di Idromele, questa sera la voglio passare qua, domani sarò in viaggio»
«Nemmeno  mi prendo la briga di chiederti dove»
« Verso il mare, con Harry»
« Vedi di non annegare».
 
Tossisce ancora, guarda un’altra piccola foto che li ritrae tutti insieme e socchiude le palpebre stanco di vivere da solo, nella speranza di morire e rivedere qualcuno di tutti loro, almeno per scambiare qualche parola, Milly non riesce fino a tanto, anche se una volta ci ha provato a trasfigurarla.
La stanza è squallida, lui odora di stantio, Milly finalmente sta mordicchiando la base della lunga barba grigia e Alberforth forse non respira più.
Nessuno se ne cura, non è una novità.
 
 
 
Note.
Questa storia è nata da una serata di pioggia, acqua che scorre sui vetri e tanti pensieri in testa. Ringrazio mia sorella, come sempre lei sa.  Questa storia partecipa al contest indetto da BessieB, “Hold my angst” che ringrazio davvero, perché diciamocelo di questo genere non ne abbiamo mai abbastanza. Se vi lasciate qualche opinione, spero vi piaccia!
 
   
 
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