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Autore: crazy lion    04/12/2020    2 recensioni
È l'8 dicembre e Red e Furia, due gatti, sono sdraiati sul letto della loro padrona quando sentono dei rumori strani. Incuriositi, vanno a vedere di che si tratta. Scopriranno presto che, pur non essendo ancora Natale, vivranno comunque una mattinata felice.
Red e Furia sono i miei gatti e la scomparsa di Stella purtroppo è vera. Ha sconvolto loro due, ma anche me e tutta la mia famiglia.
I nomi degli umani sono inventati. Abbiamo umanizzato un po' i gatti, facendoli parlare e dando loro emozioni, ma senza snaturarli.
Storia stilata con Emmastory.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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BUON NATALE, FURIA E RED!

 
Eleonora si passò una mano sul viso e si tirò indietro una ciocca di capelli castani. Sedeva alla scrivania e lavorava con quell'oggetto strano di cui i due gatti distesi sul suo letto non sarebbero mai riusciti a capire l'utilità. Da quanto avevano compreso, però, nei momenti nei quali la padrona chiedeva loro se andava bene ciò che aveva scritto, quel coso le serviva per creare racconti. La ragazza scriveva anche fanfiction – Furia e Red non avevano idea di cosa fossero – e poesie, ogni tanto, o come le definiva lei, “parole in rima”. Non era da molto che aveva iniziato, con un'amica, una serie di racconti in cui erano loro i protagonisti.
"Ma perché non l'ha fatto prima quando c'era anche Stella?" si chiedeva Furia.
Al gatto grigio dispiaceva che la padrona non ci avesse pensato, sarebbe stato bello comparire in qualche storia assieme alla sorella e a lei avrebbe fatto piacere. Di certo non era per mancanza d’amore, però, dato che la ragazza aveva amato Stella più di se stessa e nel medesimo modo in cui lo faceva con lui e Red. Anzi, no, in realtà Eleonora ci aveva pensato eccome. Qualche anno prima aveva cominciato, sempre assieme a questa sua amica, addirittura una saga fantasy con lui e Stella, che era stata interrotta a causa dei tanti impegni e degli altri progetti di scrittura di entrambe.
"Non so se la riprenderò, ora che Stella è morta" gli aveva detto Eleonora i primi giorni dopo la scomparsa della micia, con gli occhi pieni di lacrime.
Furia le si era strusciato addosso, con il corpo e il muso, percependo il dolore che dilaniava il cuore e l’animo della ragazza, una sofferenza continua e simile a quella che provava lui. Grazie a quel contatto che le aveva fatto spuntare un lieve sorriso, Eleonora aveva deciso di ripensarci.
"Forse a Stella farebbe piacere. Magari la continuerò, va bene? Lo scrivo subito a Emma."
Furia, felice di essere riuscito a farle capire ciò che voleva dirle con quel semplice gesto, si era sentito subito meglio. Se Eleonora avesse scritto su di loro, lui avrebbe sentito la sorella più vicina e, forse, gli sarebbe mancata un po' di meno. Di sicuro questo avrebbe aiutato anche la ragazza a stare meglio.
Immerso in quei ricordi, il gatto si portò una zampa al petto e liberò un lungo miagolio pieno di dolore. Era quasi Natale, tutti ne parlavano in casa, ma quelle sarebbero state festività diverse e infelici.
Il primo Natale senza mia sorella, dopo quattro passati insieme.
Quel pensiero gli mozzò il respiro, ma lo fece ancora di più la consapevolezza che, da allora in avanti, sarebbe stato sempre così. Tutto era differente da quando lei non c’era più. Sarebbe risultato difficile abituarsi a quel modo diverso di vivere. Non solo per lui come gatto, ma anche per gli umani. Se il papà Carlo, la mamma Isabella e il fratello Giovanni avrebbero fatto di tutto per sembrare contenti, era sicuro che Eleonora non ne sarebbe stata in grado. E non lo diceva perché non credeva in lei, anzi. Ma la conosceva e sì, era convinto che la ragazza ci avrebbe provato, ma dato che non stava già bene, psicologicamente parlando – soffriva di una malattia che la rendeva spesso molto triste e a volte si agitava tantissimo, Furia non ricordava i nomi di quei problemi –, dopo la morte di Stella tutto ciò era peggiorato.
Ora, sdraiato ai piedi del suo letto, con il fratellino Red disteso vicino al cuscino, guardava la ragazza con gli occhi socchiusi.
 
 
 
Red si era messo nella stessa posizione del fratello, visto che adorava imitarlo in tutto, con la testa girata verso la scrivania di fronte al letto e anche lui osservava Eleonora.
Chissà che belle storie stava scrivendo! Qualche volta, quando le leggeva loro, Red rimaneva affascinato dal suono melodioso della sua voce e delle parole che produceva. Non capiva tutto, ma gli sembrava molto brava. Tutti discutevano del Natale, che quell'anno avrebbero festeggiato da soli e non con i parenti, ma che cos'era esattamente? Red l'aveva chiesto a Furia, che gli aveva risposto che non lo sapeva, ma che in quel giorno ognuno era felice e succedevano cose belle anche per loro. Anzi, non solo il 25 dicembre, ma perfino le settimane precedenti. Red era consapevole del fatto che quel Natale sarebbe stato triste, ma per il momento preferiva non pensarci e lasciare spazio all'immaginazione. Chissà, forse i padroni avrebbero comprato dei giochi per lui e Furia, oppure qualche cibo goloso, o perdonato alcune marachelle soprattutto a lui, dato che era ancora un po' un cucciolo – avrebbe compiuto otto mesi il 15 – e che, come aveva sentito dire da Carlo, "A Natale siamo tutti più buoni". Secondo Giovanni, invece, quella era una "cazzata" e, anche se Red non aveva idea di cosa significasse, non doveva essere niente di bello. Quale che fosse la verità, non vedeva l'ora di scoprirla.
Ma un rumore lo distrasse dalle sue fantasticherie. La porta di casa si chiuse con un tonfo. Carlo – ne riconosceva il passo, ormai – camminò per il salotto e… Red non sentì più nulla, nonostante il suo udito fine. Stava per lamentarsi con l'uomo che l'aveva disturbato, quando ecco che i suoi passi echeggiarono ancora una volta per la sala, seguiti da un rumore diverso, come se avesse appoggiato per terra qualcosa. Red alzò la testa di scatto e drizzò le orecchie, come Furia, che però lo fece molto più lentamente.
"Fuf…" Il più piccolo si interruppe. Era Stella a chiamarlo Fufo e suo fratello stava ancora troppo male perché quel nomignolo non gli facesse alcun effetto. Meglio evitare, non voleva farlo soffrire ancora di più. Si schiarì la voce. "Furia, hai sentito? Cosa sarà stato?"
Il suo miagolio acuto riempì la stanza ed Eleonora si voltò e si alzò per accarezzarlo, ma lui la spinse via con una zampa.
"Non vuoi le coccole, gattino rosso? Oh, d’accordo, credevo di sì. Di solito quando miagoli in questo modo le richiedi sempre, anche quando non potrei fartene, ma ogni volta mi conquisti" gli disse, facendogli il solletico al pancino prima di tornare alla scrivania.
Il gattino ridacchiò.
"Hai finito di fare casino?" sbuffò Furia, ma poco dopo rise a sua volta. "Sì, ho sentito. Andiamo a vedere cos'è?"
Red, che non aspettava altro, saltò giù dal letto seguendo il fratello e, pieno d'aspettativa, corse per le scale a velocità impressionante, facendo a gara con Furia a chi arrivava per primo alla fine.
Vi giunsero insieme, andarono a mangiare in cucina e, tornati in salotto, si concentrarono su quanto stava succedendo. Carlo, con i capelli corti e castani appiccicati alla fronte per il sudore, aveva depositato uno scatolone sul pavimento e ora lo stava aprendo e tirava fuori altre scatole. I due gatti corsero subito ad annusare.
"Ragazzi, via! Non sono cose per voi" disse l’uomo con voce profonda, cercando di allontanarli con una mano.
"Papà, posso aiutarti?"
Eleonora era scesa e li aveva raggiunti.
"No, tranquilla. Siediti sul divano e fai la mamma, o la cat sitter, come vuoi" scherzò.
Forse, dato che la ragazza non vedeva, non poteva essere utile a Carlo in quel momento, pensarono i mici, ma di sicuro loro sarebbero stati dei validi aiutanti e avrebbero anche fatto compagnia a lei, che si era accomodata in poltrona, il suo posto preferito.
Red scese le scale che portavano in taverna e arrivò davanti allo studio di Carlo, dove ora si trovava Giovanni che stava parlando. Forse studiava, come faceva spesso, anche lui con una diavoleria simile a quella che aveva la sorella.
"Red, vieni su" lo richiamò la padrona. "Giovanni sta giocando online con i suoi amici, non disturbarlo."
Che cosa stava facendo lui? Giocando dove? Online? Che voleva dire? Il micio rosso non ci capì niente, ma per quanto fosse curioso e avrebbe voluto iniziare a miagolare per farsi aprire, obbedì.
"Vieni, Red, ora inizia il bello!” esclamò Furia. “Oggi è l’8 dicembre, gli umani non lavorano né studiano, e per tradizione la nostra famiglia fa una cosa."
“Cioè?”
“Ora lo vedrai.”
Il fratellino lo seguì, non fece abbastanza attenzione e rischiò di scivolare sul tappeto del salotto. Perse l'equilibrio, rovinando in terra e battendo la testolina proprio contro quella strana scatola di cartone.
“Accidenti, che dolore!" si lamentò.
Avrebbe potuto anche farlo con un tono più alto, in realtà non importava, l'unica cosa certa era che gli umani attorno a lui non avrebbero udito altro che i suoi miagolii.
Furia corse al suo fianco.
"Red! Cielo, stai bene?”
"Sì, o almeno credo. Ho preso una botta, nulla di serio. Guarda, cammino!"
Ridacchiò mentre si rimetteva in piedi. Scosse la testa un paio di volte e, anche se solo per qualche istante, gli parve di vedere una forte luce dritta davanti a sé, come i fari delle auto che passavano sfrecciando per la strada in cui viveva e che a volte si riflettevano nelle finestre, illuminando a giorno il salotto per brevi, brevissimi istanti. Legato a Eleonora tanto quanto il caro Furia, dormiva più con lei che in altre stanze della casa e, nonostante le poche volte in cui davvero era stato svegliato da quei fasci di luce, li ricordava ancora benissimo.
Una notte, non l'avrebbe mai dimenticato, aveva passato ore a sognare di snidare e acchiappare un topo che, terrorizzato, fuggiva da lui, riuscendo sempre a dileguarsi in tempo, e così coraggioso da voltarsi per farsi beffe del suo inseguitore, e poi, proprio sul più bello, eccola. Come al solito, una di quelle luci accecanti, che aveva notato perché Eleonora si era dimenticata di chiudere le imposte. Si era voltato di spalle, imprecando sottovoce prima di tornare a dormire, muovendo nel mentre la coda come una frusta. Dannati automobilisti. Che destinazione potevano avere a quell'ora della notte? Ignaro di cosa gli umani diversi dai suoi nascondessero, Red aveva preferito non farsi domande alle quali non avrebbe trovato risposta.
Ormai aveva ripreso a muoversi per il salotto, imitando fra un passo e l'altro, e al meglio delle sue possibilità, la tipica andatura barcollante dei pinguini. Accucciato in grembo a Isabella, una volta aveva guardato un documentario sull'argomento, ridacchiando di gusto, come la padrona d'altronde, nel pensare a quanto quegli animali somigliassero a piccoli camerieri. Divertita, quel giorno anche Eleonora si era messa a ridere, per poi sciogliersi come neve al sole davanti a una coppia che faceva i turni per covare le uova.
"Meno male, anche se dovresti fare più attenzione" commentò Furia, tirando un sospiro di sollievo.
"Ma io faccio attenzione, è il pavimento a essere scivoloso!" protestò il piccolo, con lo sguardo basso e il muso contorto in una smorfia di dolore e sfida insieme.
Tirò fuori gli artigli, desiderando infliggere al pavimento stesso il malessere che provava.
"Ehi, ehi, smettila adesso. Non è importante, ciò che conta è che stai bene."
Furia gli sorrise appena e gli si avvicinò. Gli sfiorò il muso con il proprio e, memore dell'amore della sua mamma gatta, leccò quella che seppur invisibile, gli parve una ferita.
"Guardate, si stanno leccando!" disse Isabella quando, seduta sul divano a leggere, fu distratta da quella scena e da un mormorio indistinto di fusa.
Sicuramente di Red, era ovvio, dato che, almeno a detta di Carlo, suo marito, a volte sembrava tanto un piccolo motoscafo.
"Davvero? Che carini!" commentò Eleonora, che pur non potendo vederli con i suoi veri occhi, si affidò a quelli del cuore.
Sapere di essere stata privata della vista alla nascita non doveva essere affatto bello, pensò Red. Non riusciva nemmeno a immaginare cosa provasse la ragazza. Aveva accettato del tutto la sua condizione, dato che non vedeva da sempre? Oppure a volte si arrabbiava e, in fondo al cuore, le restava una punta di sofferenza?
“Mi piacerebbe vedervi” mormorava ogni tanto a lui e a Furia, quindi forse era più vera la seconda ipotesi.
Ma se c’era una cosa di cui Red era sicuro era che con il tempo, cresciuta attorno a chi invece vedeva, Eleonora aveva imparato a fidarsi delle loro descrizioni di ciò che aveva attorno, così come del suo cuore e del resto dei propri sensi, che nel quotidiano la aiutavano a muoversi e destreggiarsi in un mondo pieno di vita.
"Sì, davvero. Altrimenti non te lo diremmo, non credi?" le fece notare il padre, che intanto si era spostato per dare spazio ai gatti, e nel mentre aveva mosso anche la scatola.
"Vero.”
Anche l'uomo ridacchiò piano.
Scuotendo di nuovo la testa, Red si disse che non capiva come mai gli umani trovassero tanto adorabile il fatto che due gatti si leccassero, ma a quanto pareva per loro era normale pensarla così. fece qualche lento giro su se stesso descrivendo cerchi perfetti, come se volesse rendere più soffice il tappeto, o forse addirittura il pavimento. Ormai lui e il fratello avevano smesso di leccarsi e di nuovo attratto dalla scatola di cartone, contro cui aveva sbattuto, il gattino fu vicino a strofinarsi gli occhi per l'incredulità. Era così grande, pesante, e peraltro era aperta e traboccava di oggetti che sembravano giocattoli, tutti diversi e colorati.  Perso in pensieri del genere, il micetto non ebbe occhi che per quella scatola, finché, distratto da Furia e dal suo sguardo fisso su un angolo del salotto, non ritornò con le zampe per terra.
"Ehi, va tutto bene?” chiese, la voce bassa per non essere udito che da lui.
Non che importasse davvero, gli umani non avrebbero sentito altro che un miagolio, ma stando a volte Eleonora era capace di interpretare i loro discorsi, quindi si trattava di una questione di rispetto per quello che oltre ad essere un fratello era anche un amico, e soprattutto per il suo dolore.
 
 
 
Con la testa da un’altra parte, inizialmente Furia fissò il vuoto e non rispose, ma dopo un tempo che a entrambi parve indefinito, si riprese.
"C-come?" balbettò, colto alla sprovvista. "Sì, sì, certo, scusa, è che…"
Non ebbe il coraggio di finire quella frase.
"Sta’ tranquillo, non devi spiegarmi nulla che non vuoi" lo rassicurò l'altro, comprensivo.
"Grazie, Red" sussurrò il più grande, per poi sollevare una zampa e fingere di lavarsi il muso per non far vedere che piangeva.
Piangere era normale e salutare, ma ciò non significava che volesse farsi vedere dal fratellino. Poco prima aveva posato gli occhi sul tavolo del salotto, dove Isabella e Carlo tenevano ancora un piccolo vaso con dentro una bellissima orchidea. Un fiore ancora vivo, nonostante sua sorella fosse morta. Il tempo passava, in molti gli avevano detto che avrebbe guarito qualsiasi ferita, e nonostante apprezzasse il loro aiuto, non ci credeva. Non fino in fondo, almeno. Gli sembrava ancora di vedere Stella e ora la immaginava lì con loro, sdraiata sullo schienale della poltrona, sopra la sua coperta di pile preferita, e con gli occhi su quello stesso fiore, alla ricerca del momento perfetto per saltare e farla cadere per terra. Certo, Isabella si sarebbe arrabbiata, ma alla fine avrebbe ripulito, e cosa più importante, Stella si sarebbe divertita. Con quei pensieri in testa, il gatto rimase lì seduto senza dire una parola, e colto da un'improvvisa rabbia, prese a scuotere la coda come una frusta. L’avrebbe ripetuto all’infinito: non era giusto che sua sorella fosse stata investita da quell’auto, né che i padroni, viste le sue terribili condizioni, fossero stati costretti dalle circostanze a scegliere l’eutanasia. Com’era possibile morire così giovani? Stella aveva soltanto cinque anni! Pur non volendo essere cattivo, Furia si augurò che la signora che aveva investito Stella passasse un Natale orribile almeno la metà di quello che sarebbe stato il loro. E sì, non era una bella cosa da dire, c’era anche da considerare che la donna si era fermata subito accompagnando Isabella e Stella in clinica, ma comunque se avesse prestato più attenzione ora la gatta sarebbe stata lì, sana e felice. E invece no, perché a volte la vita faceva proprio schifo, Furia l’aveva imparato sulla sua pelle. Strinse i denti fino a farsi male per non pensare, per la milionesima volta in quei mesi, a cos’avrebbe fatto a quella donna se l’avesse incontrata. Non aveva mai ferito nessuno per vendetta e aveva sempre sentito i padroni dire, per quel che comprendeva dai loro discorsi, che gli animali non sanno cos’è l’odio, ma anche se era così, quel che provava ci si doveva avvicinare molto.
 
 
 
Il gattino gli sfilò davanti, e tornato a quell'ormai famosa scatola, notò qualcosa.
"Ehi, Furia! Furia!" chiamò, curioso e felice. "Ho indovinato, erano davvero giochi, guarda!"
Si strusciò contro le gambe di Carlo, che intanto aveva iniziato a svuotarla. Pur lasciandolo fare, continuò a miagolare per indicare al fratello quel metaforico tesoro, e colto alla sprovvista da tutto quel muoversi, l'uomo rischiò d'inciampare.
"Vuoi stare un po’ fermo? Altrimenti non riesco a passare, sai?" commentò, sforzandosi di trattenere una piccola risata.
"Ma tu hai una scatola di tesori! Non posso scoprirne almeno uno? Dai!" si lamentò il gattino in risposta, del tutto sordo a quella richiesta.
Ancora seduta sul divano, Eleonora assisteva a suo modo alla scena, e ridacchiando a propria volta, non riuscì a non sorridere.
"Papà, dagli un'occasione, vuole solo giocare!" gli disse, indicando come poteva l'amico a quattro zampe.
Esatto! Possibile che solo lei riesca a capirci? pensò in quel momento Red, che ripresosi dal suo piccolo incidente sul tappeto, ora voleva soltanto divertirsi.
"Oh, e va bene!" concesse allora Carlo, arrendendosi e posando a terra la scatola di cartone. Confusa, Isabella fece per avvicinarsi e sollevarla di nuovo ma la figlia, a poca distanza da lei, la fermò.
"No, no, mamma, aspetta. Vediamo cosa fanno."
Era strano a dirsi, ma non era la prima volta che si fermava a osservare i propri gatti e le loro abitudini, o almeno che lo facesse al meglio delle sue possibilità. Annuendo, Isabella restò lì dov'era e attese.
"Allora?" le chiese poco dopo la figlia, spinta dalla solita curiosità.
"Ancora niente, cara, dagli un attimo" le rispose il padre, rimasto come lei a godersi quella che in breve sarebbe stata una scena da ricordare.
"Evvai!” esclamò subito Red, parlando più con se stesso che con gli umani. "Furia, vieni, dai, così giochiamo!" riprovò, voltandosi a guardare il fratello.
Silenzioso come al solito, il gatto grigio non rispose, e al contrario rimase fermo, per poi sollevare appena una zampa da terra e stringersi nelle spalle.
"Fa’ pure, io non ho voglia" sembrò dire, lasciando che il piccoletto si divertisse a suo modo.
Stava crescendo, certo, ma sia dentro che secondo le veterinarie era ancora un cucciolo, e quale momento migliore per lasciare che sfogasse, giocando, tutta la sua energia? A quel pensiero, il gatto sorrise e, in silenzio, rimase a guardare quel piccolo terremoto scaricarsi. Sì, scaricarsi, come se fosse stato uno dei vecchi peluche della padrona, piccolo e a batterie.
"Sì! Che bello!" miagolò il più piccolo, indietreggiando di qualche passo e con la meraviglia negli occhi.
Poco dopo, il micetto prese la rincorsa, e spiato un nastrino colorato che penzolava da uno dei bordi, partì all'attacco.
Staccati, staccati! Dai, staccati! Pensò, impegnandosi fino allo spasimo per tirarlo fuori. Nonostante gli sforzi, però, non ci riuscì, o almeno non subito, finché Isabella, forse divertita, forse mossa a compassione, non decise di aiutarlo.
"Ecco fatto, cercavi questo, micino?" azzardò, tenendo quel nastro colorato fra le dita e muovendolo da una parte all'altra.
Red non seppe cosa fare. All'improvviso non capiva perché quel… coso lì, si muovesse proprio sopra di lui, e miagolando ancora, non chiese che lumi.
"Che stai facendo? È mio!" si lamentò, viziato come pochi.
Cercò di riacciuffarlo con una zampa, e pur senza volerlo, finì per graffiare. Colpita, Isabella ritirò la mano, poi lasciò andare il nastro, che finì in terra. Così, rimasto con il suo prezioso gioco, Red continuò a colpirlo con le zampe e tendergli finti agguati, non fermandosi neanche quando una parte di quest'ultimo gli si attorcigliò intorno alla coda. Era bello giocare in quel modo, fingere di dare la caccia a un serpente rosso e non nero come al solito, gli spiaceva solo che Furia non avesse voglia di unirsi a lui.
 
 
 
Andando alla ricerca di conforto, ora il micio più grande si era sistemato sul divano, proprio accanto a Eleonora e non in grembo a lei, nonostante gli piacesse. Sempre in silenzio, continuò a osservare il fratellino nei suoi giochi, mentre Carlo e Isabella, ancora in piedi e indaffarati, stavano lavorando per fare quello che ricordava chiamarsi albero di Natale. Almeno nel loro caso, oltre che di decorare si parlava anche di costruirlo, dato che, sempre a detta degli umani, ne esistevano anche di finti, che in quanto tali andavano montati come mobili, poi riempiti di palline colorate, nastrini, luci e altri addobbi e "piantati", c'era da dirlo, in casa.
Che cosa strana si ritrovò a pensare il gatto.
Perché non ne usavano uno vero? Ecologia? Amore per la natura? Forse un misto delle due cose? Non ne era sicuro, ma se quello era il caso, allora perché non dimenticare l'abete e sostituirlo con un'altra pianta? In quanto gatto non aveva mai mostrato troppo interesse per le tradizioni degli umani, però se per loro erano importanti, lui era contento. Sarebbe stato bello avere Stella accanto, ma quell'anno il destino aveva avuto altri piani e, nonostante lo scorrere del tempo, non riusciva a smettere di pensarci. Come poteva? Si trattava di sua sorella, l'unica degli altri gatti nella cucciolata d'origine con cui avesse avuto il piacere e la fortuna di vivere, e se n'era andata. Non sarebbe mai più tornata indietro, una parte di lui lo sapeva, ma un'altra era in costante disaccordo, convinta che un giorno, in qualche modo, in qualche forma, lei sarebbe corsa da lui anche solo per un breve saluto. A dirla tutta era già successo, quando dopo un temporale nel cuore della notte, aveva visto una nuvola e poco dopo anche un arcobaleno. La sua parte razionale gli diceva che no, non poteva essere sua sorella ma soltanto il normale decorso di ogni cosa naturale. Tuttavia lui, fiducioso, continuava a credere. Perché voleva.
Ad ogni modo, pensieri e fede o meno, il tempo continuò a scorrere, e ormai vicino ad addormentarsi sul divano di casa, Furia fu svegliato da un suono delicato. Confuso, credette di sognare, e anche quando si stiracchiò velocemente, per non perdere altro tempo e indagare a dovere, lo sentì ancora. Una sorta di campanella. Stando ai suoi ricordi, la famiglia di Eleonora non ne aveva mai avuto una, ma chi lo sapeva, forse la madre Isabella si era lasciata ispirare da una delle tante serie televisive che seguiva, o forse dai campanellini attaccati al collo dei coniglietti sempre visti in televisione, nonostante quella pubblicità, o spot, come a volte sentiva dire, andasse in onda soltanto nel periodo pasquale, e a quanto pareva aveva deciso di usarla per richiamare i suoi familiari. Strano, sì, ma efficace, come un'amica aveva detto a Eleonora. Al momento stavano vivendo il periodo natalizio, ma la campanella aveva comunque un suo uso e un significato, perfetta per segnalare l'ora dei pasti. Così, drizzando le orecchie, scese dal divano. Dopo tanto lavoro, gli umani avevano eretto e decorato quell'ormai famoso albero natalizio.
Se Red aveva deciso di riposare sul divano, Furia aveva invece scelto la poltrona. Grande e comoda ma, almeno questo era il pensiero del gatto, tutta sua. Era quella la nota positiva del dover dormire su una poltrona, proprio il solo fatto di non doverla condividere. E poi era comunque in salotto, così che se al risveglio avesse voluto tornare a giocare, avrebbe potuto farlo senza attraversare un intero corridoio. Ormai era ora di pranzo, aveva fame, e inoltre era curioso di scoprire cosa avrebbero mangiato i padroni. In silenzio come al solito, arrivò senza far notare la sua presenza, per poi rendersi visibile con un solo miagolio.
"Ci sono anch'io, e ho fame."
"Certo, Reddino, aspetta" fu svelta a rispondergli Eleonora, alzandosi da tavola e sollevando, anche se con un po’ di fatica, il sacco dei croccantini.
Poco prima di farlo, però, si piegò in avanti, fino a toccare con un dito la ciotola dell'amico gatto, constatando così che era vuota. E poi, lentamente, iniziò a versare. In breve, il ticchettio delle crocchette contro il piatto di carta riempì l'aria, finché, toccando con la mano libera, capì che era ora di fermarsi.
 
 
 
Quel giorno, forse a causa della festa, Furia ne era sicuro, gli umani mangiarono pasta al forno e zampone e legumi conosciuti come lenticchie, che sempre secondo una delle tante tradizioni umane, avrebbero portato ricchezza alla famiglia che le avesse consumate. La ragazza tornò al suo posto, cercò le posate tastando il tavolo.
"Alla tua destra, Eleonora, attenta" l'avvisò il padre, bofonchiando a bocca piena.
"Papà! E poi dici a me!" sbottò Giovanni nel sentirlo, la voce rovinata dalla stanchezza.
Di solito non succedeva, ma forse aveva un raffreddore o qualcosa di simile, e l'intera famiglia ci sperava, non quel dannato virus di cui molto, troppo spesso parlavano le notizie.
"Che ho fatto?" azzardò l'uomo, confuso.
"Ha ragione, Carlo. Ne parliamo tanto ai ragazzi, e poi proprio tu parli a bocca piena?" lo rimbeccò la moglie, dando manforte al figlio.
Colpito e affondato, era il caso di dirlo, l'uomo lasciò andare la sua forchetta per alzare le mani in segno di resa, e mandato giù il primo boccone, si limitò a rispondere:
"Scusatemi."
Il pranzo proseguì nel silenzio generale, spezzato soltanto dal brusio della televisione accesa. Per distrarsi dalle notizie di quella dannata malattia, la famiglia stava seguendo una fra le tante serie televisive, e di scena in scena, i quattro non riuscivano a staccare gli occhi dallo schermo. La storia seguiva ogni volta un caso diverso, ma i veri protagonisti erano tanto le vittime quanto i due investigatori, colleghi da tempo, e nonostante nessuno dei due volesse ammetterlo, innamorati l'uno dell'altra. Decisamente interessato, Carlo non esitò ad alzare di qualche tacca il volume della televisione, ma prima che potesse farlo, un rumore assordante li colse tutti di sorpresa.
"Che è stato?" esclamò Isabella, spaventata. Senza aggiungere altro, Giovanni fu il primo ad alzarsi, e fatti pochi passi, si ritrovò in salotto. Davanti ai suoi occhi, un vero sfacelo.
 
 
 
Dopo essersi svegliati dal loro riposino pomeridiano, che Furia era tornato a fare dopo il pasto, lui e Red si erano presto stancati di quel silenzio e, annoiati, avevano deciso di alarsi.
“E se giocassimo con qualcosa?” aveva chiesto il più piccolo al fratello, sperando stavolta in una risposta positiva.
L’altro aveva sorriso e accettato, non volendo farlo stare male e ammettendo a se stesso che quelle decorazioni erano molto interessanti. Avevano immerso musi e zampe nelle scatole , mosso palline, nastri, qualche pigna e riso come matti, facendo rotolare le varie decorazioni per terra, piano per non farsi udire sopra la televisione del salotto, a volume fortunatamente un po’ alto in modo da permettere agli umani di seguire la serie senza problemi, toccando e annusando senza sosta. Red si era anche infilato nell’albero come Furia gli aveva suggerito.
“Sei sicuro che posso?”
“Ma sì! Io sono troppo grande, ormai, mi farei male, ma tu sei piccolo, goditelo finché puoi. Io e Stella lo facevamo sempre.”
Prendendo la rincorsa, il gattino non se l’era fatto ripetere due volte, saltando su uno dei rami più bassi e avventurandosi fra quelli e le decorazioni, che si erano mosse al suo passaggio. L’albero aveva un profumo particolare, forte, non naturale, se così si poteva dire, ma a lui era piaciuto.
“Wow, è bellissimo qui!” aveva esclamato, continuando a muoversi piano e allungando una zampa per buttare giù una delle palline più grosse, su un ramo basso, che finì a terra con un rumore secco.
“Che ti avevo detto?”
Poco dopo, però, Red si era mosso di scatto per afferrare un nastro appeso più in alto e, all’improvviso, si era sentito cadere, facendo appena in tempo a saltare giù e a precipitarsi il più lontano possibile dall’albero che era rovinato a terra.
“Che disastro” aveva sussurrato, con il fiatone e il cuore in tumulto per lo spavento. Aveva trratto un lungo respiro per riprendere fiato. “Ma magari non se ne accorgono.”
Non avrebbe voluto essere sgridato da nessuno. Aveva solo voluto giocare, non era stata sua intenzione rendere triste o brutta quella giornata per i padroni.
“Come fanno a non rendersene conto?” ridacchiò Furia, per divertimento e senza volerlo prendere in giro.
Quando Giovanni entrò in salotto, A Red si mozzò il respiro.
Oh oh, mi sa che l’ho fatta grossa!
 
 
 
A terra c’erano scatole su scatole di cartone ormai vuote, decorazioni inutilizzate abbandonate ovunque sul pavimento, stesso discorso per le palline, i nastrini, alcune pigne e statuette, incluso un angioletto di ceramica, che dopo la caduta da uno dei rami dell'albero, si ritrovava senza più le sue piccole ali. Provando pena per quella semplice statuina, il ragazzo la raccolse. Come il resto degli addobbi, anche l'albero lì sul pavimento, come abbattuto.
"Mamma, papà!" chiamò. "Red ha combinato un casino!"
"Come? Non è possibile, l'ho lasciato lì che dormiva!" esclamò Eleonora, ancora seduta a bere un bicchier d'acqua.
Mentre Furia andò vicino a Eleonora miagolando per farle capire che non aveva combinato niente, o che perlomeno non c’entrava con l’albero, Red era ancora impegnato a litigare con uno di i rami finti, staccatosi durante quella sorta di abbattimento.
"Red! Santo cielo, che ti è preso? Buon Dio, sei molto meglio quando dormi!" urlò Isabella, indignata.
"Ha ragione, cosetto, avresti potuto farti male" intervenne Furia, miagolando al suo indirizzo.
"E non dargli ragione, tu!" lo rimbrottò la donna, tutt'altro che impressionata.
Colto alla sprovvista, il gatto si ridusse al silenzio e, tornato al divano, sperò di riuscire a farsi piccolo piccolo e sparire, così da non essere più sgridato. Mossa a compassione, Eleonora gli si avvicinò e, sedendosi con lui, lo accarezzò, per poi alzarsi, sollevarlo piano e invitarlo a stare in braccio.
"Non ti voglio fare niente” lo rassicurò, dato che Furia era già scattato sull’attenti, spinendo con le zampe per scendere. Si comportava sempre così quando qualcuno lo prendeva, anche se era lei a farlo, soprattutto in stanze che non fossero la camera della ragazza, l’unica nella quale si era sempre sentito tranquillo e al sicuro, nonostante fosse certo dell’amore degli altri componenti della famiglia. “Non avete fatto niente, micio. È stato solo un incidente, d'accordo? Nient'altro."
"Sei sicura?" parve chiederle lui, strusciando la testa contro il suo palmo aperto.
"Su, sta’ tranquillo. Rifaremo tutto noi, tu e Red rilassatevi, eh?"
Gli regalò altre carezze. Lasciandola fare, il micio diede inizio a una sinfonia di fusa e, dopo un'ora passata a ricostruire quell'ormai famoso albero, l'intera famiglia ebbe una sola frase da dedicare a entrambi i gatti di casa.
“Buon Natale, Furia e Red!”
Non era il 25, ma che importava? L’albero era stato una sorta di regalo, dal punto di vista dei due mici, un gioco nuovo, e farlo aveva reso tutti felici, proprio come se quel giorno fosse già arrivato. Gli umani sapevano che incidenti del genere sarebbero accaduti ancora, era inevitabile. Li avrebbero affrontati uno alla volta. I sei decisero di godersi il momento finché sarebbe durato, accendendo poco dopo le luci dell’albero per illuminarlo, mentre un sorriso sincero spuntava sui volti degli umani, anche su quello di Eleonora e i loro cuori, anche quelli dei gatti, battevano forte per quello che, forse, poteva definirsi un piccolo momento di felicità dopo tanta sofferenza.
 
 
 
NOTE:
1. io ed Emmastory abbiamo davvero iniziato una saga fantasy con protagonisti Furia e Stella, qualche anno fa. Speriamo di riuscire a portarla avanti con il nuovo anno, dato che mi piacerebbe continuarla come omaggio alla mia gatta e, un giorno, di pubblicarla sul suo profilo.
2. I problemi di Eleonora ai quali si riferisce Furia sono la depressione e l’ansia, dei quali soffro anche io e che curo da anni.
3. Mio fratello pensa sul serio che a Natale non è vero che siamo tutti più buoni.
   
 
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