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Autore: moira78    04/12/2020    7 recensioni
Nella vita di William Albert Ardlay si sono susseguiti momenti dolci ma anche drammatici. Cresciuto pressoché in solitudine e nascosto al mondo, ha dovuto affrontare dure prove prima di trovare finalmente la felicità...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anthony Brown, William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments'
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Potete trovare una versione della canzone qui:
https://www.youtube.com/watch?v=gb8AGuD2uOI&feature=emb_logo
Qui, invece, la traduzione del testo dal gaelico all'italiano:
https://lyricstranslate.com/it/loch-lomond-il-lago-lomond.html


 
15 Luglio 1897
 
"By yon bonnie banks and by yon bonnie braes
Where the sun shines bright on Loch Lomond
Where we two have passed so many blithesome days
On the bonnie, bonnie banks of Loch Lomond
O ye'll take the high road and I'll take the low road
And I'll be in Scotland afore ye
But me and my true love will never meet again
On the bonnie, bonnie banks of Loch Lomond"
 
Albert rimase sulla porta, ascoltando la voce dolce di sua sorella Rosemary che cantava una vecchia canzone scozzese accarezzandosi il ventre prominente. Stette lì, incantato, con una mano poggiata sullo stipite, godendosi uno dei rari momenti accanto alla sua famiglia prima che il mondo esterno lo reclamasse. Quando la canzone finì, fece un respiro profondo, provando un misto di gioia e malinconia.

Rosemary alzò il volto su di lui e con l'altra mano gli fece cenno di avvicinarsi. Lui le sorrise, perdendosi in quegli occhi così simili ai suoi, limpidi e pieni di tenerezza. Entrò nella stanza dove regnava la penombra del pomeriggio che declinava verso la sera e la tenda bianca alla finestra si muoveva, agitata da un vento estivo piacevolmente caldo.

Lei sedeva su una sedia a dondolo, dove la immaginò quando avrebbe avuto quel bambino tra le braccia, cantando magari la stessa canzone.
Una madre che culla e addormenta il proprio bambino, quella che lui non aveva avuto.

"Mi piace molto quella canzone. Pensi che lui... o lei ti possa sentire?", chiese quando le fu davanti. La sorella gli pose una mano sul capo, in una carezza lieve e calda ricordandogli che, dopotutto, Rosemary gli aveva fatto sempre un po' da madre.

"Io penso di sì, piccolo Bert. E credo che se gli parli potrà riconoscere anche la voce di suo zio", disse abbassando lo sguardo come per incitarlo a farlo.
Albert provò un'emozione intensa a quel pensiero e si chiese se, dopotutto, sarebbe valso a qualcosa. Non poteva vedere i suoi coetanei. Non poteva vedere nessun altro bambino. Era una specie di fantasma che si sarebbe rivelato solo quando gli Ardlay avessero avuto bisogno di un capofamiglia maturo e ben istruito.

"Cosa c'è, fratello mio? Perché quell'aria triste?", gli domandò alzandogli gentilmente il viso con due dita.

Albert si rilassò al suo tocco. Nessuno lo accarezzava o lo toccava spesso, a parte talvolta la zia Elroy. Tutti erano troppo impegnati a preservare la sua identità e solo Rosemary sapeva quanto questo gli costasse: quando il loro padre era morto, gli aveva persino confessato che avrebbe preferito nascere uomo per assumersi lei quella responsabilità e alleggerirlo di quel fardello non richiesto.

"Ho paura che per quando potrò conoscere mio nipote non si ricorderà più della mia voce. Sarà cambiata...". Albert sapeva che a vent'anni e oltre non avrebbe certo avuto la stessa voce che aveva ora, a dieci.

Rosemary rise piano, scuotendo la testa: "Lo sai che farò sempre di tutto per farti avere contatti con me e con mio figlio. Di notte, se sarà necessario. Non dovremo per forza raccontargli la verità, ma ti giuro che finché vivrò tu sarai sempre il mio piccolo Bert, la mia famiglia, anche se dovessi stare lontano per mesi a studiare. Capito?".

I suoi occhi erano ridenti ma il tono era serio e Albert fu pervaso dalla stessa sensazione di benessere e calma che proveniva da lei.
"Grazie", poté solo rispondere, commosso da quelle parole.

Rosemary inclinò un po' la testa da un lato: "Perché non provi a cantare anche tu, per lui? O per lei...".

Albert spalancò gli occhi, vagamente spaventato: "Oh, no, io non potrei... prendo qualche lezione di piano ma non so cantare e poi non conosco le parole!".

Lei chiuse gli occhi e ricominciò a cantare dall'inizio: " By yon bonnie banks and by yon bonnie braes". Si fermò per guardarlo. "Ripeti con me", lo incitò senza perdere mai la musicalità della sua voce.

Lui eseguì, esitando ma riuscendo a mantenere ogni nota con la voce appena tremante.

" Where the sun shines bright on Loch Lomond", continuò imprimendo una leggera vibrazione che gli fece venire la pelle d'oca.

"Where the sun shines bright on Loch Lomond", ripeté, più sicuro di prima.

Mentre cantava assieme a sua sorella, lei gli prese una mano e se la posò sul ventre. Albert lo sfiorò con timore reverenziale, sussultando a metà di una frase quando avvertì un piccolo calcio. Scambiò con Rosemary un sorriso complice e continuarono la canzone fino alla fine, con la tenda che si gonfiava e si sgonfiava e il sospiro del vento che muoveva le ciocche bionde sul viso bello e rilassato di lei.

                                                                       ***
3 Aprile 1900
 
Le risate divertite di Rosemary e di Vincent, mescolate a quella argentina e più acuta di Anthony lo attirarono come la musica di una sirena. Aveva ancora sulla spalla la borsa da viaggio e le lunghe ore di treno con George lo avevano sfiancato, perché non aveva potuto dormire molto.

Eppure, nonostante la stanchezza, l'adrenalina e il desiderio di andare a trovare sua sorella e suo nipote furono più forti. Gli avrebbe anche fatto piacere rivedere suo cognato marinaio, dopo quasi un anno che era in viaggio.

Albert rimase in piedi al centro del corridoio, guardando in direzione di quella porta socchiusa e d'improvviso sussultò perché qualcuno gli aveva messo una mano sulla spalla.

Chiuse gli occhi, sconfitto.

Lo avevano scoperto e lo avrebbero spedito nella sua stanza, nell'ala più remota della villa dove nessuno poteva incontrarlo neanche per sbaglio.

"William, io vado dalla signora Elroy a riferire del nostro viaggio. Tu perché non vai a riposare un po'?", gli chiese una voce calda, indicando con il mento nella direzione che lui tanto bramava.

Le scale per i piani superiori erano dal lato opposto.

Albert sorrise a George, che aveva una luce brillante e quasi maliziosa negli occhi: "Grazie, George, penso che farò proprio così", disse pensando al regalo che aveva portato ad Anthony, grato di poterglielo consegnare di persona.

"Bene, uhm, direi che ci vorrà un'ora abbondante prima che le racconti per bene tutto. Credi ti sia sufficiente per riposarti?", chiese lisciandosi i baffi con fare pensoso.

"Sì, direi che va benone!", esclamò felice. "Grazie, George", aggiunse con un tono più basso.

"Di nulla, signorino William". E, con un leggero inchino, si congedò.

Albert camminò a passi rapidi fino alla porta e bussò leggermente, sporgendo la testa dentro: "È permesso?", domandò facendo voltare tre paia d'occhi.

Anthony dondolava allegramente su un cavalluccio a dondolo di legno, mentre Rosemary e Vincent erano in piedi accanto a lui, godendosi la sua gioia.
Sua sorella gli andò subito incontro per abbracciarlo e lui lasciò cadere la sacca a terra con un tonfo sordo: "Piccolo Bert, quanto mi sei mancato!", disse stringendolo forte. Albert poté sentire le sue lacrime sul collo e inghiottì il nodo che aveva in gola.

Neanche con Vincent l'aveva mai vista così felice quando era di ritorno e, comunque, secondo l'etichetta non poteva di certo salutare il marito in quel modo. Non davanti a tutti, perlomeno. Ma ora erano soli in quella stanza e suo cognato sorrideva commosso.

Albert accarezzò la schiena di Rosemary con affetto e le disse: "Su, ora basta piangere. Sono tornato per vederti sorridere, sai che mi piace il tuo sorriso".

Lei si scostò un poco, asciugandosi gli occhi: "Hai ragione, scusami. Accidenti, ma quanto sei cresciuto in pochi mesi! Ormai mi superi di parecchi centimetri!", rise guardandolo e facendolo arrossire.

Albert si grattò la testa, in imbarazzo: "Beh, ma qui c'è anche qualcun altro che è cresciuto tanto!", commentò riferendosi al piccolo Anthony che aveva smesso di dondolare e lo guardava con gli occhi sgranati: erano di un colore bellissimo, di un azzurro più intenso e brillante rispetto a quelli di sua sorella.

Si avvicinò e salutò anche suo cognato, che era più abbronzato del solito: "Ti trovo bene, Albert e... oh, a proposito! Ho un regalo per te".

Lui, che si era accucciato davanti ad Anthony per scompigliargli i capelli con un sorriso, alzò lo sguardo verso Vincent e sbatté le palpebre: "Per me?", chiese stupito.

"Certo", ribatté lui allargando le braccia: "ma non aspettarti un cavallo a dondolo anche tu!", disse ridendo e uscendo dalla stanza dei giochi per andarlo a prendere.

Albert aprì la sua sacca da viaggio e ne tirò fuori un pacchettino: "Mi spiace, Rose, io non ho avuto molto tempo per fare compere e sono riuscito a prendere solo qualcosa per Anthony".

Lei lo guardò con un sorriso: "Sei stato molto dolce, grazie. Perché non glielo dai tu stesso?".

Annuì e si chinò di nuovo verso Anthony, porgendogli il pacchetto e sciogliendo il nodo del nastro per aiutarlo. Il bambino lo afferrò con le piccole mani paffute e si adoperò, nel suo modo goffo e inesperto, ad aprirlo finché, con un gran sorriso, ne tirò fuori una macchina in miniatura. Il piccolo fece un verso di gioia e saltò giù dal cavalluccio, cominciando a fare con le labbra il rumore di un'auto che viene messa in moto, strappando una risata sincera sia a lui che a Rosemary.

"Beh, direi che gli è piaciuta!", commentò lei sedendosi su una poltrona poco distante.

Albert la guardò con attenzione e si accorse che era impallidita: "Stai bene?", le domandò accigliandosi.

"Sì, tranquillo, tutto a posto. Sono solo un po' stanca. Il nostro Anthony è così vivace che alle volte è difficile stargli dietro".

Ma lui sapeva che non era solo per quello, così come sapeva che Rosemary cercava di farlo stare con le bambinaie il meno possibile: perché quello era il suo bambino e voleva crescerlo lei, soprattutto nei lunghi periodi in cui il padre era lontano.

"Hai visto il dottore, di recente?", domandò facendo un'ultima carezza ad Anthony prima di abbassarsi di fronte a sua sorella per guardarla in viso. Aveva le guance un po' scavate e le occhiaie più pronunciate di quando l'aveva lasciata.

Lei gli prese le mani: "Stai tranquillo, Bert, è tutto sotto controllo, il medico dice che devo solo riposare di più. Ma mi manca così tanto giocare con lui...", concluse lanciando uno sguardo malinconico al bambino, che ora correva sulle gambine malferme facendo volare la macchinina su una strada immaginaria col braccino proteso in alto.

Albert seguì il suo sguardo e fissò il nipote con un pallido sorriso: "Ti prego, Rose, abbi cura di te", le chiese stringendole a sua volta le mani.

Lei annuì e in quel momento rientrò Vincent: "Tesoro, tutto bene?", domandò quando la vide su una poltrona, aggrottando le sopracciglia.

Albert si scostò e sua sorella si alzò: "Oh, basta preoccuparvi per me! Dai, fammi vedere cosa hai regalato al mio fratellino", disse avvicinandosi al marito.

Il pacco era davvero grande e Albert si sentì quasi in imbarazzo: "Vincent, non dovevi...", cominciò.

"Non dire così, figliolo, sai che fai parte della famiglia e io ti voglio bene come a un fratello minore", dichiarò porgendoglielo.

Non accadeva molto spesso, ma di nuovo Albert avvertì quel calore familiare nel petto: sentirsi amato, accettato e trattato come pari equivaleva a rinascere ogni volta. L'incarto rivelò una cornamusa nuova di zecca.

Spalancò gli occhi, incredulo: "So che hai già quella che era di tuo padre, ma visto che ho navigato fino in Scozia non ho potuto resistere alla tentazione di comprartene una che fosse solo tua. E che provenisse dalla tua terra d'origine".

Albert era senza parole e sentì gli occhi inumidirsi, suo malgrado: "È... è bellissima, non so come ringraziarti", poté solo dire sbattendo le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.

Un tonfo seguito da un pianto gli indicò che Anthony aveva concluso la sua avventura con il nuovo gioco finendo a terra e i suoi genitori gli furono subito accanto.

Albert strinse la cornamusa al petto, approfittando di quel momento per ricomporsi. Li guardò, tutti e tre e d'improvviso si sentì di troppo.

Quel suo bisogno di avere una famiglia, di immergersi in quella complicità... quel desiderio di aver avuto anche lui una madre e un padre più presente...
Il suo era sempre in viaggio ed era morto giovane. Di sua madre gli rimanevano solo delle foto.

In quel preciso istante, mentre vedeva Vincent mettersi sulle spalle il piccolo Anthony e sua sorella ridere di gioia, giurò a se stesso che, quando avesse avuto una famiglia sua, sarebbe stato presente nonostante le responsabilità che lo aspettavano.

Forte di quella nuova convinzione, Albert cominciò a suonare la sua nuova cornamusa tra i sorrisi di sua sorella, suo cognato e quel cherubino che tanto amava anche lui.
 
                                                                       ***
10 Settembre 1902
 
Albert sentì bussare alla porta della propria stanza e fu subito sveglio. Non dormiva profondamente e tutti i suoi sensi erano all'erta, come se non fosse già accaduto il peggio. Come se Rosemary fosse ancora viva e gravemente malata e non l'avessero seppellita solo la mattina precedente.

Prese un respiro profondo e aprì la porta, confuso e stordito dal dolore e dalla stanchezza: all'inizio non vide nessuno, poi abbassò la testa e notò Anthony, con le manine strette a pugno sugli occhi, che piangeva sconsolato singhiozzando piano.

"Piccolo Anthony", mormorò con un nodo in gola.

Senza pensare e fare domande, lo prese in braccio e lo portò nella sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle e sedendo sul letto senza smettere di cullarlo come quando era neonato.

Ricordava ancora l'emozione, lo stupore e la trepidazione quando Rosemary glielo aveva messo tra le braccia per la prima volta: era così piccolo e indifeso, che aveva avuto paura di fargli male solo toccandolo. Sentire quel peso così leggero e caldo sul proprio petto gli aveva riempito il cuore: era il suo nipotino, un altro pezzetto della sua famiglia che lo avrebbe considerato come un essere umano e non come un fantoccio da plasmare.

Ora Anthony aveva quasi cinque anni e gli si aggrappò al pigiama piangendo lacrime che sembravano bruciargli la pelle attraverso il tessuto, facendogli sanguinare l'animo ancora ferito. Lui aveva perso la sua adorata sorella maggiore, ma quel bambino aveva perso la sua mamma.

"Piangi, piccolo Anthony, sfogati pure con me. Un giorno la ricorderai con dolcezza e il dolore sarà più sopportabile", gli sussurrò teneramente, carezzandogli i sottili capelli biondi.

Non sapeva come fosse scappato dalla sua stanza, di certo la sua tata si era ritirata vista l'ora tarda e Anthony doveva essersi risvegliato nel letto da solo, cercando la mamma che non c'era più. Il fatto che avesse pensato di andare da lui e non dalla zia Elroy lo colmò di orgoglio ma anche di tristezza: se solo non avesse dovuto nascondersi e stare per tanto tempo lontano da casa, gli sarebbe stato vicino e lo avrebbe consolato più spesso.

Invece, nonostante i buoni propositi di Rosemary, molte volte doveva guardare quel nipotino biondo e vivace correre con lei in giardino da dietro una finestra, con il desiderio ardente di rompere il vetro con un pugno e precipitarsi volando fino a loro.

"Cio Bet", lo chiamava le rare volte in cui s'incontravano. Ma più Anthony cresceva e diventava consapevole, più il Consiglio vegliava su Albert perché non lo incontrasse. Rosemary, testarda, continuava a cercare occasioni per stare loro tre, insieme, fosse anche solo per cogliere le rose.

Quel momento con lui fu quindi dolce e amaro. Strinse a sé il corpicino tremante del nipote, piangendo con lui in silenzio. Per la loro comune perdita. Per la lontananza che sarebbe venuta. Per quella reclusione forzata che li avrebbe presto divisi, ora che lei non c'era più.

"By yon bonnie banks and by yon bonnie braes. Where the sun shines bright on Loch Lomond", cominciò a cantare con voce rotta, senza smettere di cullarlo fra le sue braccia.
 
                                                                       ***
31 Agosto 1912
 
La notte era finalmente scesa e Albert camminava con passo stanco per i boschi di Lakewood, guidato solo dalla luce della luna. Il vento della sera prima si era attenuato ma, nonostante gli abiti pesanti, sentiva freddo fin dentro le ossa. Si arrotolò il lungo foulard ancora più stretto al collo e lo sentì aderire sulla barba folta.

Teneva le spalle curve come se vi portasse sopra tutto il peso di un passato molto più lungo: in poco più di vent'anni di vita aveva perso praticamente ogni persona cara. I suoi genitori. Sua sorella. E ora, anche lui...

Alzò lo sguardo al cielo stellato, come se potesse scorgerlo lì e si chiese dove avrebbe trovato la forza per consolare Candy, quando si fossero di nuovo incontrati e lei avesse pianto fra le sue braccia. 

Con un grosso sospiro, Albert scorse finalmente in lontananza il mausoleo di famiglia. George aveva fatto in modo di lasciare aperto il cancello ma non lo vide nei paraggi. Con il cuore pesante, entrò per salutare Rosemary e chiederle perdono.

Il suo sorriso era eternamente congelato in quella foto sulla lapide e lui l'accarezzò con mani tremanti, sciogliendo la sciarpa per parlarle meglio: "Mi dispiace", disse con voce velata, "avrei dovuto proteggerlo e invece...". Credeva di aver pianto tutte le sue lacrime quella mattina in cui George lo aveva raggiunto nella sua capanna nel bosco per dargli la tragica notizia dell'incidente.

Invece, accecato dal rimorso e dal dolore, Albert lasciò che le lacrime penetrassero nei suoi baffi e nella lunga barba, inzuppandoli mentre singhiozzava piano. Non poté dire altro, solo chiederle mentalmente altre mille volte perdono per aver organizzato quella maledetta caccia alla volpe.

Quando uscì dal mausoleo per recarsi alla tomba di Anthony, una folata di vento gelido gli schiaffeggiò il viso bagnato come una punizione e lui lo accolse quasi con piacere.

Cadde in ginocchio sulla terra ancora fresca, fissando le date sulla croce come se stesse leggendo una bestemmia. Non si poteva morire a quindici anni.
Non così.

"Mi dispiace, piccolo Anthony, volevo solo che tu fossi felice. Avrei dato la mia vita al posto della tua", gemette chinando la testa, le lacrime che cadevano come gocce di pioggia sul terreno morbido.

Rimase così, a piangere e a scusarsi per un tempo indefinibile, fino a che non udì la voce di George dietro di sé: "Ora basta, signorino William. Non è colpa sua".

Finalmente alzò il viso, riprendendo fiato, tirando su col naso e asciugandosi la faccia con il braccio: "Non avrei dovuto organizzare una caccia, ma un ballo o qualcosa del genere. Semmai un giorno Candy lo venisse a sapere mi odierebbe, ne sono certo".

"Non dica assurdità. Si tratta di una tradizione di famiglia e lei ha solo seguito le regole".

Albert si alzò in piedi, la rabbia che lasciava il posto al dolore. Si volse a fronteggiarlo: "La tradizione! Le regole! La famiglia! Sai cosa ne penso, George? Che avrei preferito nascere povero e libero di stare con mia sorella e mio nipote più a lungo! E avere un padre che magari lavorasse nei campi ma mi crescesse senza l'obbligo di viaggiare di continuo!".

"Signorino William...", tentò lui facendo un passo nella sua direzione.

"Guardami, George! Sono costretto a piangere la morte di mio nipote di nascosto, in piena notte, non ho potuto nemmeno presenziare al suo funerale. E in nome di cosa, per l'amor di Dio? Del bene della famiglia?", quasi gridò, allargando le braccia in un gesto esasperato.

L'uomo che era stato come un padre per lui, allora, fece qualcosa di inaspettato: chiuse la distanza fra loro e lo strinse in un abbraccio. Non lo aveva mai fatto, neanche quando era morta Rosemary e lui era più giovane.

Tremando, Albert ricambiò quella stretta, sfogando il suo dolore fra quelle braccia salde e traendone quanta più forza poté. Non gli importava di vivere da solo, di rimanere lontano dai fasti e dalla ricchezza. Anzi, amava il senso di libertà che gli dava stare in mezzo alla natura, spostandosi e viaggiando come preferiva. Ma dover rinunciare ai suoi affetti più cari persino in momenti come quello lo lacerava ogni volta di più, scavando un solco profondo nel cuore.

Quando si sciolse dall'abbraccio, ringraziò George e si voltò per tornare alla capanna: "Resterò nei paraggi per un po'. Ho bisogno d'incontrare Candy, sarà devastata".

"Sono certo che la sua presenza le sarà di estremo conforto", rispose l'uomo con voce roca. "Si faccia coraggio anche per lei, signorino William".

"Non chiamarmi signorino William, George. Mi siete rimasti solo tu e la zia Elroy, che non vedrò per chissà quanto tempo", disse con aria stanca.

Non attese una sua risposta e fece la strada a ritroso verso il bosco pensando che, se non fosse stata una notte così rigida, forse avrebbe dormito direttamente sull'erba. Il silenzio e l'oscurità lo avvolsero, ancor più penetranti quando la luna si nascose dietro una coltre di nuvole.

"By yon bonnie banks and by yon bonnie braes. Where the sun shines bright on Loch Lomond", cantò a bassa voce dedicando quella melodia alle due persone più importanti della sua vita che non c'erano più. Mentre cantava, pensò a Candy, quella ragazzina così dolce e spensierata eppure così forte che lo affascinava tanto. Era come avere una sorellina minore da proteggere e lui lo avrebbe fatto.

Perché ora lei era la sua famiglia e le sarebbe sempre stato accanto, anche se da lontano.

Con quella nuova prospettiva nella mente, raggiunse la sua capanna, dove Poupee e gli altri animali sembravano quasi attendere il suo ritorno. Prima di chiudersi la porta alle spalle con un cigolio, scorse la luna uscire da dietro le nuvole e dedicargli uno dei suoi pallidi raggi.

In mezzo a tanta sofferenza, col cuore ancora gonfio di lacrime e l'animo spezzato, Albert sorrise alla speranza che cominciava a scaldarlo. Una speranza di nome Candy.

                                                                                                                    ***

6 Maggio 1920

"By yon bonnie banks and by yon bonnie braes. Where the sun shines bright on Loch Lomond". Gli occhi azzurri cominciarono a chiudersi lentamente, man mano che proseguiva la canzone e il pianto divenne un mormorio indistinto di piccoli versi che gli fecero provare un moto di tenerezza.

Albert si strinse William Anthony al petto e gli sembrò così piccolo tra le sue lunghe braccia che controllò più volte che il suo nasino punteggiato di lentiggini fosse nella posizione giusta per respirare bene.

Sedette sul letto con gesti lenti e calcolati, sperando di non svegliarlo e appoggiò la schiena sulla testiera, allungando le gambe per cercare una posizione più comoda.

Quando si voltò, alla sua destra un altro paio d'occhi, verdi come smeraldi, lo stavano osservando: "Mi spiace, ti ho svegliata".

"Adoro quando canti quella canzone", mormorò Candy stirando le membra. "Che ore sono?".

"Le tre e mezza", sbadigliò lui poggiando la testa sul cuscino che aveva posizionato dietro la nuca.

Candy fece un verso stupito: "Quasi 4 ore dall'ultima poppata. E io ero così stanca che non l'ho neanche sentito", ribatté sbadigliando a sua volta.

"Tesoro, sei sicura che non vuoi che chiediamo aiuto a una bambinaia? So che ne abbiamo parlato e anche a me piace l'idea di averlo qui con noi, ma tu sei così stanca...", tentò lanciando un'altra occhiata al visino addormentato.

"Oh, anche tu sei stanco, Albert, e io voglio allattare personalmente il nostro bambino. Non sarò l'unica madre del mondo a perdere qualche ora di sonno. Piuttosto, tu potresti dormire in un'altra stanza", propose.

Albert scosse la testa: "No, Candy, quando ti ho detto che sarei stato un padre presente intendevo proprio questo. Starò accanto al mio bambino e lo cullerò quando ne avrà bisogno. E dormirò con mia moglie anche se deve allattarlo tutta la notte".

Il sorriso che gli regalò Candy e il respiro regolare di suo figlio furono tutto ciò di cui aveva bisogno. Albert rifletté, ancora una volta, che se non avesse incontrato quella ragazzina su una collina tanti anni prima, oggi forse non sarebbe stato così felice e completo.

Con delicatezza, pose il bambino sul letto tra di loro e cercò una posizione più comoda. Sapeva che, in caso di bisogno, Candy non avrebbe dovuto far altro che porgergli il seno per farlo riaddormentare. E lui gli avrebbe cantato la sua ninna nanna speciale.

Quella che, una volta, la sua adorata sorella Rosemary gli aveva insegnato.

Quella che ora avrebbe cullato l'essere che più amava al mondo assieme a sua moglie.

Con questi pensieri, sentendosi finalmente in pace, William Albert Ardlay si addormentò. 
 
   
 
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