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Autore: Cladzky    04/12/2020    0 recensioni
[Tetsuwan Atom (Astro Boy)]
Atom attende nel buio di un magazzino. Sembra che l'impresario ce l'abbia con lui, altrimenti non lo avrebbe chiuso lì dentro da solo. Forse non ha fatto un buon lavoro nell'arena, ma d'altro canto cos'altro poteva fare? Dopotutto è solo un bambino.
Una piccola espansione introspettiva sulle origini del personaggio, basate sul manga originale. Il racconto è il campo di prova per una riscrittura completa delle sue origini, ancora in corso. Un paio di OC appaiono.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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* * *

Sentì lo schioccare di una serratura, lo spalancare di una porta e poi una luce bianca lo investì. Non era così intensa come sembrava, ma fino ad allora era immerso completamente nel buio. I suoi occhi si erano talmente abituati all'oscurità che fu accecato per un momento. Poi un'ombra si allungò su di lui, posando sulla soglia, pugni sui fianchi. Di controluce non si poteva definire altro che un uomo con un cilindro in testa, ma Atom sapeva benissimo di chi si trattava. Non che gli stesse particolarmente simpatico ma in quella data circostanza non vedeva l'ora che tornasse. Atom non si mosse però, alzò solo un poco gli occhi oltre le ginocchia per prestargli attenzione, abbracciandosi le gambe premute sul petto. Ma la figura se ne stava lì e non diceva nulla. Atom volle parlare e sebbene non ne avesse il coraggio lo fece lo stesso, abbassando lo sguardo.

"Mi spiace di averti rovinato lo spettacolo…"

"Non darmi del tu, testa di latta" Tagliò corto l'altro, visibilmente arrabbiato, ma non furioso, lo era già stato abbastanza prima "Gli amici mi chiamano Hamegg, per te io sono il signor impresario".

Atom chiuse gli occhi e annuì. Non voleva innervosirlo ancora. Hamegg prese a camminare verso di lui, sentiva il ticchettio dei suoi tacchi avvicinarsi. Atom serrò sempre di più gli occhi e si strinse nella sua posizione fetale. Dopotutto aveva appena un anno di esistenza. Forse credeva che se non avesse potuto vedere Hamegg, Hamegg non avrebbe potuto vederlo. Ma il mondo non funzionava secondo la logica dei bambini. Il rumore di passi si fermò. Doveva sovrastarlo, perché da sotto le palpebre nemmeno un filo di luce si intravedeva più. Sentì poi un calore sulla sua fronte, come di una mano che si posa. Cominciò a tremare, sia per il freddo che per la paura.

"Atom, guardami" ordinò lui, ma gli parve, quasi, di sentire un tono di dolcezza nelle sue parole o forse era solo un sospirare stanco. Atom aprì gli occhi e si ritrovò davanti il bell'abito scuro di Hamegg. Alzò il mento fino a incrociare i suoi occhi. Nell'oscurità brillavano di una luce strana. Resse lo sguardo, ma tremò sempre di più. Hamegg prese a carezzargli i capelli, sebbene questi fossero una cupola piatta e liscia "Mi hai molto deluso oggi".

Atom si fece rosso. In quel momento Hamegg stava come assumendo una figura paterna ai suoi occhi e non gli piaceva affatto, né gli piaceva come gli passasse la mano sulla testa.
"Lo so" Singhiozzò lui a malapena udibile. Chinò il capo di lato, non di tanto, ma con uno scatto abbastanza deciso da far perdere la presa all’impresario e distogliere lo sguardo da lui “E mi dispiace, so che ci teneva molto e…”

"Sì, ci tenevo molto" Lo interruppe di nuovo Hamegg. Fece un passo indietro e prese a camminare avanti e indietro "Oggi era il giorno del tuo debutto e tu sei riuscito a rovinare tutto".

"Le ho già detto che mi dispiace…" Provò a supplicarlo a bassa voce.

"Non voglio le tue scuse!" Sbottò lui, voltandosi e sollevando  un pugno. Atom si mise le mani sulle orecchie e strinse le ginocchia l’una contro l’altra. Le punte dei suoi piedi si indicavano a vicenda. Non gli piaceva essere sgridato. Soprattutto non da Hamegg, perché di solito non si limitava a una ramanzina "Voglio solo che non si ripeta più, mi si sono spiegato bene? ".

Atom non rispose. Ormai Hamegg aveva perso la pazienza. Si tolse il cilindro e si passò un fazzoletto sulla fronte, come faceva sempre quando la giornata volgeva al termine. Evidentemente fuori si stava facendo buio, anche se mai quanto la stanza in cui si trovava.

"Ebbene? " Domandò di nuovo, indispettito.

"Posso uscire per favore?"

La domanda di Atom dovette snervare Hamegg più di quanto avesse creduto,  ma non lo diede subito a vedere. L’impresario si rigirò per un momento il cappello fra le mani prima di rispondergli, guardandogli bene in viso. Atom si rese conto solo all’ora che gli si stavano bagnando gli occhi. Se ne stropicciò uno mentre con l’altro guardava la fronte del suo proprietario alzarsi per la sorpresa per poi accigliarsi sempre di più. Si fece più indietro con la schiena nuda fino a toccare il calcestruzzo del muro polveroso alle sue spalle. Lasciò cadere le gambe oltre la cassa su cui sedeva, lasciandole penzolare nel vuoto, irrigidite dalla tensione, tenendole unite. Hamegg gli si fece nuovamente incontro e si pentì di aver abbandonato l’illusoria sicurezza della sua posizione fetale. Incassò la testa nelle spalle e arpionò la superficie della cassa sottostante con le unghie.

"Come prego?" L’impresario si afferrò i fianchi, sbattendo ripetutamente la punta del piede a terra, come a trattenersi scaricando la rabbia sul pavimento. Il suono riecheggiava nel silenzio del magazzino. Non si sentiva neppure uno spiffero. Hamegg era nuovamente di fronte a lui, lo torreggiava, si piegava avanti con il busto per guardarlo meglio negli occhi, lisciandosi i baffetti. Atom esitò e piegò il mento sul petto. Hamegg glielo rialzò delicatamente poggiandogli sotto il solo dito indice, costringendolo a guardarlo negli occhi neri "Credo proprio di non aver capito. Puoi ripetere per favore?"

Atom sapeva che aveva capito benissimo, però aveva imparato, anzi, stava imparando a sue spese cosa significasse non ubbidire all’impresario, specie le poche volte che usava il “per favore”.

"Io volevo sapere se potessi uscire ora" Si morse la lingua e aggiunse "Signor impresario".

"Ma certo che puoi uscire ragazzo" Sorrise Hamegg. Atom fu sorpreso a dir poco e si spostò in avanti per sentire meglio. Si domandò se non stesse scherzando come al solito. Non sapeva mai quando poteva fidarsi di lui.

"Davvero?"

"Sicuro" Confermò Hamegg, chiudendo serenamente gli occhi, rizzandosi di nuovo e facendo un paio di passi indietro. Indicò la porta aperta in fondo alla grossa stanza. "Non sei più in castigo ragazzo".

Atom ebbe un’esclamazione di gioia e saltò giù dalla cassa. Per la contentezza non smise e continuò a saltellare sul posto, alternandosi fra una gamba e l’altra e stringendo i pugni vicino alle sue guance "Grazie mille signor impresario, mi spiace farla preoccupare così".

"Suvvia Atom, è normale per tutti ingranare male qui al circo all’inizio. Sono sicuro che mi riempirai di soddisfazioni in futuro" Detto questo Hamegg estrasse fuori un oggetto dalla forma a mezzaluna. Ne premette un pulsante e dal suo fondo ne partì un tubicino telescopico che toccò terra con un clangore metallico. Era diventato un bastone da passeggio pare. Ci si appoggiava con la mano sinistra e tese la destra ad Atom. Lui rimase spiazzato un momento, poi gliela strinse vigorosamente, forse troppo, mentre lo ricopriva di mille grazie. Quando si rese conto di stargli facendo male allentò la presa e si grattò il capo, abbassando lo sguardo ai suoi piedi, che avevano preso a grattarsi l’un l’altro.

"Mi spiace signor impresario, faccio ancora fatica a calibrare la mia forza. Me lo diceva sempre papà…"

Prima che potesse farsi malinconico al pensiero di Tenma, Hamegg accennò a un sorriso forzato. Poi fu lui a prenderlo per mano e portarlo verso l’uscita.

"Te l’ho già detto, non voglio che ti scusi. Voglio solo qualcosa da te d’ora in poi, carissimo Atom".

Sapeva benissimo a cosa si riferiva. Atom si sarebbe ritratto da lui se non lo stesse portando per mano via di lì. Hamegg continuò.

"Voglio che tu, d’ora in poi, faccia come ti dico e che tu combatta sul serio quando te lo chiedo, intesi?" Il sorriso di Hamegg, ora, al riflesso delle lampade elettriche del corridoio illuminato verso cui stavano andando, brillava di un bianco accecante, da orecchio a orecchio, da fargli vibrare i baffetti "La tua esibizione di oggi con Golem è stata davvero deludente. Se non ti fossi ripreso all’ultimo saresti stato tu ad essere distrutto, lo sai questo?".

"Sì" Sì che lo sapeva bene. Ma non riusciva a sentirsi felice al pensiero. Ora riusciva solo a pensare a che fine avesse fatto il povero Golem.

"E allora sarai un bambino ubbidiente da oggi in avanti?" Hamegg si fermò e si inginocchiò di fronte a lui, proprio mentre stavano raggiungendo la soglia luminosa. Sorrideva, ma era chiaro che non lo avrebbe fatto ancora a lungo. Atom avrebbe voluto dirgli che sì, avrebbe fatto tutto quello che voleva, che sarebbe stato un bravo bambino, ma sapeva anche che un bravo bambino non potesse mentire.

"Io non voglio combattere signor Hamegg".

L’impresario fu preso in contropiede per un momento. Poi il suo viso si contorse da un’ira cieca, uguale alla stessa maschera che aveva sul volto quando lo aveva fatto trascinare via dall’arena ore prima, dopo il suo scontro con Golem e chiuso nel magazzino. Hamegg strinse la presa sul suo polso e balzò di nuovo in piedi come una molla, trascinandosi dietro Atom e tenendolo appeso per aria, spaventato. Essendo alto solo un metro e venti gli parve di avere un abisso sotto i piedi.

"Pezzo d’idiota" Hamegg lo scosse forte, tenendolo sempre sollevato di fronte a sé come una bambola, stringendogli il polso. Atom gemette. Le sue articolazioni non erano ancora state riparate "Ma ti rendi conto di quanto vali? Con quanto ho speso è il minimo che tu possa fare per ripagarmi!"

"La prego, io…" Faceva fatica ad articolare le parole. Gli bruciava la spalla e quello sballottolare gli faceva venire il mal di testa "Io non voglio, non è giusto…"

Hamegg lasciò la presa, ma non gentilmente, lo sbatté per terra. Atterrò di faccia sul cemento e si prese il naso fra le mani, mentre la vista si annebbiava e la stanza gli girava attorno. Se avesse avuto sangue ora ne avrebbe piena la bocca. Tentò di strisciare via sui gomiti, ma subito il bastone metallico di Hamegg si abbatté sulla sua schiena, piantandoglisi fra le piccole scapole come un chiodo. Atom si lasciò fuggire un gridolino. Era appuntito. Non provò neppure più a muoversi, si morse il labbro e cominciò a piangere copiosamente, sbattendo i pugni per terra.

"”Non voglio, non voglio, non voglio”, certo che sei proprio il robot più viziato che abbia mai comprato" Hamegg si appoggiò con tutto il corpo sul bastone come fosse un parapetto. Quella puntura bruciava sempre di più. Atom smise di divincolarsi e non poté fare altro che poggiare la testa per terra e stringere i pugni dal dolore, tremando. Il suo corpo nudo non riusciva più a sopportare il pavimento gelido. Strinse i denti.

"Ti prego, mi stai facendo male…" Lo implorò.

"Come siamo delicati" Sghignazzò l’impresario "Avevo ragione, sei proprio un viziato. Non hai mai avuto un po’ di sana disciplina in vita tua piccolo Atom? Permettimi di illustrarti la questione allora. Qualora non te ne fossi reso conto tu appartieni a me. Ho firmato un contratto con il dottor Tenma, al quale tu appartenevi precedentemente, che mi ha concesso la tua possessione, nel quale vi era scritto nero su bianco che potevo usufruire di te in qualunque modo mi risultasse opportuno. E in questo momento mi risulta assai opportuno insegnarti una lezione che ti faccia capire chi comanda in questo circo".

Hamegg sollevò la punta del suo bastone dalla schiena di Atom, dove aveva quasi forato la sua pelle artificiale. Il bambino fece per rialzarsi, ma non gli fu dato il tempo. Hamegg aveva ritratto il tubo telescopico nuovamente dentro l’impugnatura a mezzaluna e ora l’aveva trasformata in qualcos’altro, a giudicare dagli strani rumori alle sue spalle. Atom si era appena messo a carponi che subito qualcosa lo colpì dietro la nuca e lo sbatté di nuovo sul cemento. Allo sbattere della mandibola sul pavimento gli parve che il suo circuito tattile stesse per impazzire dal dolore. Non rimase chinato con la faccia a terra per molto. Hamegg rialzò il proprio braccio destro, che impugnava saldamente la mezzaluna. Atom fu trascinato con essa. Si sentiva soffocare. Ora, dallo strano strumento, partiva un anello, che si era chiuso attorno alla sua gola. Hamegg impugnava la mezzaluna come una pistola, con lui alla fine della canna, preso per il collo. Provò a dibattersi, ma era troppo stanco e stordito per farlo efficacemente. Le sue gambe tremavano debolmente nell’aria. Hamegg prese a camminare per il magazzino.

"Mio dolce, tenero fiocco di neve" Disse con voce melliflua "Forse tu sarai anche stato cresciuto e amato uguale a un figlio umano fino a poco tempo fa, ma vedi, non è stata altra che un’eccezione la tua ed è ora che io ti mostri come stare al mondo".

"Hamegg… Signor impresario, la supplico, io… non respiro…"

"Certo che non respiri batuffolino, sei un maledetto robot, per quanto il tuo Geppetto ti abbia realizzato simile ad un uomo. E in quanto robot è ora che tu impari il tuo posto in società" Hamegg se la rideva. Atom si sentiva come se la testa si potesse staccare dal corpo, tanto quest’ultimo la tirava giù. La morsa dell’anello era decisamente troppo stretta. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti e udiva ovattate le parole del suo padrone. Infine si fermarono di scatto. "Ti sei guardato per bene attorno durante la tua permanenza nella sala del castigo, piccolino?"

Atom provò a scuotere la testa, ma non ci riusciva. Emise allora un mugugno che ricordava un “no”.

"Guarda bene di fronte a te allora" Atom non volle guardare davanti a sè. Quella stanza gli metteva i brividi. Hamegg gli afferrò la fronte e lo costrinse a farlo, sollevandogli lo sguardo. Di fronte a loro stava un pila strana di oggetti disposti in maniera disordinata. Una pila abbastanza larga per altro. C’erano volti, arti, pezzi che non riusciva a identificare. Non capiva. Poi vide il ciclopico occhio spento di Golem lì in mezzo.

"Questi" Borbottò "Questi sono tutti…

"Robot, mio caro, robot da buttare"

"Non potete farlo. Golem può essere riassemblato. Era simpatico, non può essere…

"Golem era un vecchio modello, troppo vecchio per combattere ancora ad alte prestazioni, per questo lo abbiamo scelto come avversario per il tuo debutto nel nostro circo. Può essere riparato, è vero, ma i suoi costi di manutenzione costavano sempre di più anno dopo anno. Golem era ormai un modello inutile capisci? Questa è stata la sua uscita di scena. E come ogni modello inutile va buttato via".

Atom si sentì strattonare per il collo, Hamegg aveva tirato dietro di sé la strana mezzaluna. Poi la lanciò di nuovo di fronte, tirandosi dietro Atom. L’anello si staccò dalla canna. Il ragazzo fece un volo e atterrò in mezzo ai resti della pila, dolorosamente sulla schiena. Scivolò giù lungo l’accumulo di ferraglia fino a giungere ai piedi di Hamegg. Si teneva la testa fra le mani e continuava a singhiozzare disperato.

"Basta per favore, non ce la faccio più!" Gridò a occhi chiusi, le ciglia bagnate dalle lacrime. Forse era tutto un enorme incubo "Voglio uscire di qui, la prego!".

Rimase lì a lungo, nel silenzio del magazzino, cullato solo dai suoi stessi singhiozzi che rimbombavano sulle pareti in calcestruzzo nell’oscurità desolante. Hamegg scrollò le spalle. Poi, visto che se la sentiva, gli premette un tacco sulla tempia.

"Ogni macchina inutile ad un essere umano viene buttata. Così gira il mondo biscottino. Perché mantenere qualcosa che non può darti nulla in cambio? Tu uscirai di qui Atom, devi solo volerlo, ma non adesso. Ora è troppo presto, non avresti imparato nulla, quindi resterai in punizione ancora per un po’. Ripasserò più tardi e voglio che qualunque cosa io ti chieda tu mi risponda “Signorsì signor impresario”" Rigirò per bene il tacco sulla testa di Atom "Sono stato chiaro?".

"Ma io..." Mormorò piano il ragazzo.

"Tu cosa?"

"Io non voglio far del male a nessuno".

Hamegg si grattò il mento e rimosse il piede dalla sua tempia. Atom rimase steso in mezzo alla pila di rottami , mezzo sommerso, ancora troppo sgomento e dolorante per rialzarsi.

"Lo sai cosa ti attende se rifiuti di fare il tuo dovere. Possiamo dire che ci sei già dentro" A quelle parole Atom istintivamente cercò di scivolare via dal cumulo, ma era come muoversi nelle sabbie mobili, affondando sempre di più. Riuscì infine a mettersi a sedere, sebbene il suo bacino fosse coperto nelle cianfrusaglie. Si tastò la gola, gli faceva ancora male. Si rese conto allora che l’anello gli era rimasto serrato attorno al collo, stretto. Provò a grattarselo via, ma non c’era molto appiglio, era liscio e non c’era spazio fra la sua pelle e il metallo da tanto era stretto. Hamegg proseguì il suo discorso, voltandosi dall’altra parte. Atom poté vederlo, oltre la sua spalla, maneggiare di nuovo la mezzaluna, traendone fuori un’antenna. Doveva avere davvero molti usi "Ma se ti distruggessi, d’altronde, non ci ricaverei nulla per ora. Fortunatamente ho altri mezzi per convincerti a comportarti per bene".

"Che cos’è questo?" Atom continuava a cercare di strapparsi di dosso quello strano collare. Ma non aveva più molta energia, l’aveva usata in gran parte contro Golem "Che cosa mi hai messo?"

"Possiamo considerarlo un vaccino contro i bimbi disobbedienti" Hamegg giocherellava allegramente con l’antenna che aveva estratto "Vedilo come l’equivalente di una sculacciata".
Atom continuava a cercare di strapparlo. Forse a piena energia ci sarebbe riuscito. A piena energia sarebbe anche riuscito a buttare giù i muri in calcestruzzo a mani nude. Ma ora non ne era in grado.

"Ti prego, toglimelo, non mi piace affatto. Non c’è bisogno di farmi questo, lo sai che mi dispiace. Ti scongiuro Hamegg, farò quello che vuoi, offrimi una seconda possibilità e ti prometto che…"

Hamegg girò una manopola sulla sua mezzaluna. Una scarica elettrica attraversò liberamente il piccolo corpo di Atom. Si afferrò la gola, da dove aveva origine quel dolore, da quel collare strano. Perdette il controllo del proprio corpo e con esso l’equilibrio. Cadde in avanti, fuori dalla pila di rottami, riverso in terra, a contorcersi. Gli pareva di morire, non aveva mai sentito un dolore simile che gli si potesse tramettere in ogni suo singolo atomo. Fu preso dalle convulsioni una volta sul pavimento, fino a irrigidire completamente i suoi arti, protendendoli verso l’esterno e inarcando la schiena. In questo momento si reggeva con la nuca sul pavimento, i gomiti piantati a terra e i talloni, tremando, reggendo a malapena quella posizione a ponte. Il suo pianto era ancora più copioso. Non seppe come, ma dietro i denti stretti in un’espressione di dolore riuscì in un qualche modo a implorare pietà.

"B… Basta, non lo sopporto, basta!"

Hamegg girò la manopola nel verso opposto. Il dolore cessò di colpo e, come se fosse l’unica cosa a reggerlo, la schiena di Atom cadde nuovamente per terra. Aveva gli occhi sgranati, spenti, la bocca aperta e si sentiva odore di bruciato dalle sue giunture. Le mani, che prima stringevano l’aria come a volerla farla solida, avevano lasciato andare la loro presa sul nulla, aprendosi come quelle di un cadavere. Solo le sue gambe tremavano ancora.

"Signor impresario prego. E comunque non mi servono a nulla le tue promesse ora. Ma apprezzo lo sforzo" Hamegg si abbassò, gli diede una schicchera sulla fronte e si allontanò. Atom lo seguì con lo sguardo. Provò a rialzarsi ma si sentiva così febbrile da potersi solo girare e poggiare sui gomiti, provò a sollevare una mano per fermarlo, ma non riuscì a tenerla tesa. Provò a parlare ma uscì solo una sospiro senza fiato. Hamegg aveva già raggiunto la soglia luminosa, l’unica via d’uscita di Atom nelle sue condizioni. L’impresario si voltò un’ultima volta a guardarlo.

"Me lo tolga per favore" Supplicò Atom lieve, finalmente riguadagnando un poco di voce, indicandosi il collare.

"Oh no, quello te lo tieni, almeno fino a che non imparerai a comportarti per bene".

"Mi comporterò bene, glielo prometto signore, mi faccia almeno uscire di qui".

"Non pensare di cavartela con le parole zuccherino" Sollevò un indice, agitandolo a destra e sinistra "Mi dimostrerai le tue buone intenzioni nell’arena la settimana prossima. Per ora resterai qui buono buono a riflettere sui tuoi errori e quanto sei stato maleducato nei confronti del tuo padrone".

"Ma io non ci arriverò alla settimana prossima. Ho bisogno di ricaricarmi adesso, non ho più energia".

"Neanche io ce ne ho da sprecare per un robot ingrato come te. Te la daremo quando non sarai più in castigo e ora lasciami tornare a lavoro, angioletto".

"Ho freddo signor impresario, sto gelando qui!" Gridò Atom, ma Hamegg non si voltò più e si richiuse la porta alle spalle, facendo ripiombare di nuovo la stanza nell’oscurità. Si udì la serratura chiudersi. Atom si raggomitolò su sé stesso, stringendosi le braccia al petto, coricato su un lato a guardare la pila di rottami. L’occhio enorme di Golem lo stava fissando. In quel momento invidiò lo stato di pace in cui doveva vivere. Rabbrividì di nuovo. Suo padre gli aveva spiegato, una volta, che se avesse avuto freddo avrebbe potuto disattivare il suo circuito tattile. Purtroppo non gli aveva mai spiegato come. Premette la faccia contro le ginocchia e continuò a piangere in mezzo al buio.

 
 
* * *
 
Dovettero passare ore. Non sapeva se fuori fosse giorno o notte, sapeva solo che faceva dannatamente freddo. Non era vero che il magazzino fosse completamente silenzioso. Si sentivano degli spifferi provenire da chissà dove. Era rimasto raggomitolato sul pavimento per un bel po’ dopo che Hamegg se n’era andato, a grattarsi il collare. Dopo chissà quanto si era rialzato. Gli faceva male camminare. Se si sforzava riusciva a sentire qualcos’altro oltre gli spifferi. Rumori di inservienti che camminavano su e giù per i corridoi della struttura o gli altri robot del circo in manutenzione nei loro depositi. Cosa avrebbe dato per essere insieme a loro. Scese un fulmine. Non che lui potesse vederne il lampo, ma il tuono gli giunse alle orecchie, anche se attutito dal calcestruzzo. Presto giunse anche lo scrosciare della pioggia. Ad Atom piacevano i fulmini, era davvero un peccato perderseli.

Provò ad aprire la porta in metallo. Ovviamente fu inamovibile e non aveva modo di forzarla visto quanto era debole ora. In più aveva promesso all’impresario di comportarsi bene, non sarebbe stato carino buttar giù la porta, anche se avesse potuto. Però non gli parve affatto di essere trattato bene a sua volta. Hamegg non lo abbracciava certo come faceva suo padre. A dire la verità anche il professor Tenma aveva smesso di farlo poco prima di venderlo. Forse era perché Hamegg aveva ragione, era un bambino maleducato. Era per questo che suo padre lo aveva venduto? Però non riusciva a capire cosa avesse fatto di male. Era tutto troppo complesso per lui.

Tastò i muri nel buio della stanza. Trovò un punto tiepido in mezzo al gelo, dietro un pannello di metallo. Dovevano esserci tubature del gas lì dietro. Prese un telone bianco che ricopriva una cassa lì vicino e se lo si avvolse intorno. Si fece una crisalide di stoffa dalla punta dei piedi alla punta del naso e si sedette, poggiando la schiena al pannello. Nel piegare il collo verso il basso udì una pressione dolorosa da parte del collare, su cui gli premeva la gola. Piegò allora la testa di lato. Così faceva meno male, ma, per quanto diminuisse, la pressione non spariva. Era fatto apposta per ricordargli costantemente la sua presenza.

Suo padre gli aveva insegnato a dormire, chiudendo gli occhi, abbassando la percezione del suo udito, lasciando che il suo corpo perdesse via via ogni sensazione e rilassando la mente. Tenma aveva anche detto che non era certo uguale a come un essere umano dormisse, ma gli permetteva comunque di lasciar scivolare via il tempo più in fretta fino al mattino dopo, con un consumo minimo di energia. Ma non ci riuscì. Non riusciva a rilassarsi, continuava a pensare. Gli mancava casa. Si avvolse ancora più stretto nel telone bianco, impolverato e sporco, fino a quando solo la sua fronte sporgeva fuori. Cominciava a scaldarsi finalmente, ma avrebbe preferito essere abbracciato da qualcuno. Realizzò tutto d’un colpo quanto solo si sentisse in quel momento. Avrebbe pianto ancora, ma la sua riserva d’acqua era finita e probabilmente Hamegg non gliene avrebbe data altra fino alla settimana prossima se faceva sul serio. Si piegò su sé stesso e prese a singhiozzare un pianto asciutto. Fu così che passò le ore seguenti, in mezzo all’odore di benzina del magazzino. Fuori continuava a piovere e sarebbe stato bellissimo essere sotto l’acqua.

Udì dopo chissà quanto tempo la serratura della porta schioccare, poi un filo di luce, di nuovo, invase la stanza. Non ne fu investito, ma solo a guardare il corridoio illuminato gli facevano male gli occhi. Stavolta due figure si elevarono sulla soglia. Letteralmente, perché nessuna delle due toccava terra. Le guardò per un momento con la coda dell’occhio, poi li chiuse entrambi, come a pretendere di dormire. Le sentì avanzare, riempiendo l’aria con un ronzio leggero nel loro levitare, ma, dato l’estremo silenzio a cui era stato sottoposto poco prima, gli parve insopportabile.

"Atom" Lo chiamò una delle due figure. L’altra non parlava "Fatti vedere, sono io, Roku".

Atom si scrollò un poco dal torpore. Aveva riconosciuto la voce. Roku era uno dei tanti robot inservienti che si aggiravano per il circo. Hamegg, appena lo aveva comprato, aveva affidato a Roku il compito di introdurlo al nuovo ambiente, fargli da guida insomma.

"Sono qui" Mormorò a bassa voce Atom, cercando di togliersi dall’impaccio del telone in cui si era avvolto, col solo risultato di aggrovigliarvisi sempre di più. Roku girò la sua testa di centoottanta gradi, lo vide e gli si fece incontro, attraversando il cono di luce che partiva dalla porta aperta e tagliava in due la stanza, riflettendo sulla sua superficie bianco latte. Il ronzio del suo motore si fece più forte e in un attimo attraversò la stanza, gli fu accanto, frenandosi nell’aria e sollevando per un momento in avanti, per il rinculo, la solida crinolina, che costituiva la sua parte inferiore. Si piegò su di lui e i suoi occhi neri lo fissarono, preoccupati, si sarebbe potuto dire, ma non ce n’era modo, vista la mancanza di espressioni facciali, ma Atom era sicuro che lo fossero.

"Hai freddo?" Chiese Roku.

Atom si limitò a fare un cenno con il capo.

"Non togliertelo allora" Aggiunse il robot perlaceo. Gli fasciò di nuovo il telone addosso che aveva tentato di levarsi e lo sollevò da terra, prendendolo fra le braccia, stringendolo saldo con tutte e sei le dita. Se lo pose sul petto, all’altezza del motore, caldo e lo cullò "Stai meglio ora?".

Atom annuì di nuovo, socchiudendo gli occhi. Roku era sempre stato stranamente materno nei suoi confronti sin da quando era stato portato lì. Non sapeva il motivo, ma era grato di trovarsi in seno a lui in quel momento. Diede poi un’occhiata oltre le spalle di Roku, verso la seconda figura. Era un altro robot, ancora meno umanoide, rossastro e da un corpo sospeso nell’aria che ricordava una clessidra distorta in avanti e terminava in basso da una punta affusolata. Privo di gambe, le sue braccia erano staccate dal resto del corpo, ma ciononostante seguivano le sue spalle per un legame invisibile, così come la sua testa, che non era affatto una, ma due, e che a dirla tutta non somigliavano a teste, ma bocce di vetro che fluttuavano sopra un collo uncinato. Parevano due grossi occhi da rana. Di tanto in tanto delle scariche elettriche passavano fra le due sfere. Ricordava di averlo già visto in giro per il circo, ma non aveva idea di chi fosse. Il robot sinuoso si approcciò presto a loro due. Roku si voltò verso di lui.

"Atom" Lo presentò Roku "Questo è Tesura".

Tesura non disse nulla e Atom fece lo stesso, osservando con timore la nuova comparsa. Gli metteva un’ansia strana addosso ma si trattenne dal voltarsi. Dopotutto non sarebbe stato educato. Non aveva idea se Tesura lo stesse guardando a sua volta, perché non aveva idea se avesse degli occhi o meno.

"È lui che si occupa di allenare i robot del nostro circo. Vorrebbe parlarti un momento".

Atom era stanco di problemi e questo aveva tutta l’aria di esserne un altro. Voleva solo avere un minuto di serenità. Ma non poteva fare altrimenti che ascoltare.

"Atom" Cominciò Tesura. La sua voce uscì gracchiante, come quella di una radio disturbata, il contrario di quella setosa di Roku "Volevo parlare del tuo combattimento con Golem di ieri sera".

Ne fu sorpreso. Era sicuro di essere rimasto in castigo ben più di un giorno. "Hamegg dice che non è andato bene" Mormorò, forse già intuendo dove volesse andare a parare.
"No, non è andato bene per niente" Confermò Tesura. Non con un tono arrabbiato, più infastidito "Golem è morto in una maniera orribile e tu ne sei responsabile".
Nonostante il tono appena contrariato, le parole di Tesura colpirono forte. Affondò il volto nel telone, nascondendo la bocca e, se avesse potuto, tutto sé stesso.
"Mi spiace di averlo ucciso" Biascicò. Stava per mettersi di nuovo a singhiozzare.

"No, tu non l’hai ucciso, è proprio questo il punto".

"No?" Fu tutto quello che riuscì a dire, confuso.

"No Atom. Se lo avessi fatto non avrei nulla da dirti, dopotutto è questo il nostro lavoro. Quando solchiamo l’arena siamo perfettamente consci che nessuno di noi ha nulla di personale nel distruggere l’avversario, eseguiamo solo quello che ci viene detto. Ma tu non hai ucciso Golem, hai lasciato che fosse Hamegg a farlo per te. E questa noi la consideriamo da vigliacchi".

"Ma di cosa stai parlando?" Atom si alzò di scatto, togliendosi il telone di dosso, che finì in terra. Provò a saltare giù, ma Roku lo strinse forte alla vita e lo tenne stretto a sé, nonostante il suo divincolarsi, pregandolo di calmarsi. Lo fece e fu riappoggiato a terra, dove rimase sconcertato e a pugni chiusi. Roku lo teneva saldo per le spalle, in maniera affettuosa, ma anche per assicurarsi che non avesse un altro scatto.

"Atom, lavoro in questo circo da almeno cinque anni, il che è molto per un robot" Proseguì Tesura, impassibile alla scenata di prima, puntandogli un dito contro "Quindi farai meglio ad ascoltarmi. So riconoscere un incontro truccato quando ne vedo uno e quello di ieri sera ne era un esempio lampante. Pensaci: Hamegg ha fatto una spesa non indifferente per acquistarti dal dottor Tenma, convinto di avere fra le mani il miglior gladiatore che avesse mai posseduto. E tu certamente sei il modello più avanzato fra tutti noi Atom, le tue capacità surclassano le nostre messe insieme. Ma alla gran serata del tuo debutto di ieri ecco che salta fuori la verità. Davanti al pubblico divertito, il nuovo acquisto di Hamegg non si rivela altro che per quello che è: Un bambino in lacrime, troppo spaventato per usare i suoi centomila cavalli motori per difendersi da Golem, vecchia stella del nostro circo, che lo insegue per tutta l’arena. Uno spettacolo grottesco, non certo qualcosa che qualcuno pagherebbe un biglietto per vedere. E credi che forse che Hamegg ti avrebbe lasciato morire davanti a tutti? Sarebbe stato troppo pietoso vedere qualcuno di così adorabile venire fatto a pezzi, nonostante si tratti di un robot come noi altri. E pensa ancora un po’, potente Atom: Dopo aver passato tutto l’incontro a evitare di venire calpestato, ecco che ai primi, miseri colpi che riesci ad assestare, Golem cade stecchito. Un bestione di dieci metri, più anziano di me, messo a terra e buttato via al primo incontro con un bamboccio".

Atom non poté fare a meno che guardare nuovamente l’occhio di Golem in mezzo alla pila di rottami. Sembrava gli stesse guardando l’anima.

"Atom" Riprese Tesura "tu sei costato troppo ad Hamegg e puoi fargli guadagnare molto di più. Golem invece era obsoleto, non rendeva più bene come un tempo. Quanto credi che fosse difficile per Hamegg scegliere chi di voi due sarebbe sopravvissuto?".

"Ma come avrebbe fatto?" Chiese confuso Atom "Non mi sembra che abbia fatto nulla per…" Non trovava le parole, così come la risposta.

"Che cos’hai sul collo?" Roku si era abbassato quasi a toccare il suolo, per osservare meglio lo strano anello che lo cingeva alla gola. Lui se lo grattò, come se gli prudesse.

"Non lo so, me lo ha applicato Hamegg quando è passato prima".

"Stamattina?".

"Sì, credo fosse mattina".

Anche Tesura si inarcò in avanti, protendendo le dita verso la sua gola, come incuriosito. Atom fece per arretrare, ma si trovò bloccato da Roku che lo cingeva ancora per le spalle.

"Non temere" Mormorò il robot bianco latte, confortandolo con la sua voce calda "Vogliamo solo aiutarti".

Ma Atom non si sentì comunque più rilassato. Tesura tastò il collare con le sue dita tozze e cilindriche. Al tatto le scintille fra le sue due sfere aumentarono di intensità.

"Tu ti chiedi come abbia fatto, Atom" Esclamò il robot rossastro "Ora lo sai, perché anche tu ora porti la stessa maledizione di Golem".

Roku cinse in un abbraccio protettivo Atom "Intendi dire che ora anche lui…"

"Sì" Completò la frase Tesura, rimettendosi dritto "Ora anche lui ha istallato un limitatore".

L’abbraccio di Roku si fece più stretto, quasi doloroso. Atom prese a spaventarsi.

"Che cos’è un limitatore?" Chiese. Il suo viso intanto si era fatto paonazzo. I pigmenti sotto la sua pelle artificiale imitavano alla perfezione il rossore umano, ma il terrore era sincero. Qualunque cosa dovesse essere questo limitatore aveva ucciso Golem e non voleva assolutamente fare la sua stessa fine.

"Un limitatore" Spiegò paziente Tesura, levitando più lontano "Agisce direttamente sul cervello elettronico. Chiunque lo controlli può trasmettere scariche di varie intensità per disturbare ogni nostra funzione, fino a portare alla distruzione cerebrale di chi lo indossa. Questo è quello che è accaduto a Golem ieri sera. Alla prima occasione Hamegg ti ha regalato la vittoria, bruciando i suoi circuiti. Era morto ancora prima di toccare terra".

"Questo…" Atom si sentì le gambe molli. Sarebbe caduto se Roku non lo avesse sorretto "Questo è orribile".

"È uso nel circo istallarne uno a tutti i robot considerati pericolosi. E tu, Atom, lo sei diventato".

"No, io non voglio fare del male a nessuno" Gridò lui, agitando i pugni, sbiancando "Non sono pericoloso, si sbagliano! Devono togliermi questa trappola!"

"Proprio perché ti rifiuti all’ordine di combattere tu sei pericoloso per il circo ed è il loro modo per spronarti a comportarti come vogliono loro. Atom, io sono venuto qui per due ragioni. La prima è per dirti che la morte di Golem è stata una pagliacciata, indegna per un robot del suo calibro. Se tu lo avessi combattuto sarebbe morto con maggiore dignità. La seconda è un ammonimento e voglio che tu te lo ficchi in testa. So che sei stato cresciuto da una famiglia umana come uno di loro, come un figlio. Ma tu non sei umano e questa recita non poteva durare per sempre. Tu sei un robot come tutti noi Atom e voglio che tu la smetta di comportarti come il bambino che non sei e impari a stare al mondo, un mondo dove gli umani non saranno tuoi eguali ma padroni e quegli umani vogliono che tu combatta in quell’arena per il loro divertimento. La morte di Golem è stata una tragedia è la stessa cosa capiterà a te se ti rifiuti ancora di combattere" Tesura fluttuò verso la porta "Questo è tutto quello che avevo da dire".

Se ne andò e li lasciò soli. Roku lo guardò sparire oltre la soglia, poi diresse l’attenzione ad Atom. Abbracciava la sua crinolina rigida con tutte le sue forze, premendogli contro la faccia. Voleva scomparire.

"È stata una giornata pesante, non è vero?" E dicendo questo lo raccolse da terra. Subito Atom gli gettò le braccia al collo e nascose il viso sul suo petto. Roku gli carezzò i capelli neri "Ma è tutto finito per oggi. Domani, vedrai, le cose potranno sempre andare meglio. Hai fatto quello che potevi, hai sofferto quello che dovevi, ma ora basta Atom, adesso è ora di andare a nanna, che ne dici?"

Se avesse potuto gli avrebbe sorriso, ma non aveva bocca. Si diresse verso l’uscita, con lui in braccio. Atom schiuse un attimo gli occhi.

"Non sono più in castigo?" Chiese stanco.

"No Atom, te l’ho detto, è tutto finito".

"Non è finita. Sono ancora qui" Roku non replicò. Si limitò solo a fermare la mano che gli carezzava la testa "Non voglio morire Roku".

"Non succederà" Lo rassicurò il robot perlaceo. Avevano varcato la soglia. Il corridoio era troppo luminoso per gli occhi di Atom, così li richiuse sotto le lunghe ciglia "Devi solo fare come ti dicono".

"Ma io non voglio fare come mi dicono. Non voglio uccidere, sento che è sbagliato".

"Non è sbagliato. Sono gli umani a chiedertelo, è il tuo lavoro".

La voce del bambino andava sempre più somigliando a un respiro leggero. Anche la sua stretta al collo di Roku andava allentandosi.

"Voglio tornare a casa, Roku".

"Ora è questa casa tua".

"Mi manca mio padre".

"Tuo padre non ti vuole più. Ti ha venduto Atom".

"Mi manca comunque. Mi manca la mia vecchia vita. Vorrei che tutto tornasse come prima" Parlava lentamente. Aveva completamente lasciato andare la sua stretta al collo di Roku e si distese lungo le sue braccia. Al contrario Roku se lo premette più forte a sé.

"Anch’io vorrei che tutto tornasse come prima Tobio".

Atom non rispose. Ormai si era addormentato. Roku prese a cullarlo, mentre lo portava a riparare. Una meccanica ninna nanna vibrò nell’aria dei corridoi quella notte.
 

* * *
 
La storia non è altro che un'espansione su quanto viene raccontato nel manga (più specificatamente in Atom Konjaku Monogatari, saga realizzata nel 1967 come finale della prima serie animata e che canonizza ufficialmente le origini del personaggio, arrivata da poco in Italia). Prende piede nel periodo che Atom passa nel circuito di combattimenti fra robot organizzato nel circo di Hamegg, dopo essere stato venduto dal suo creatore, il dottor Tenma. Ancora più specificatamente subito dopo il primo incontro che sostiene, dove si rifiuta di uccidere l'avversario. Due personaggi originali appaiono nella storia, Roku e Tesura, che avranno un ruolo maggiormente sviscerato nella versione definitiva.

L'opera è solo un campo di prova per un progetto più grande, una totale riscrittura coerente e coesiva della genesi di Atom, per togliermi lo sfizio di realizzare quella sua evoluzione caratteriale da bambino innocente a paladino dei diritti dei robot che nessuna delle versioni è riuscita a darmi. Ognuno ha le sue ossessioni, per quanto posso nasconderlo Tetsuwan Atom è la mia e questa è di fatto una mia lettera d'amore a una delle più importanti opere che abbia letto.
   
 
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