Capitolo
20
Sigyn
allungò la mano
verso la pergamena, facendo attenzione a non interrompere il contatto
visivo
con il principe di Asgard. La spingevano alla cautela
l’inevitabile e
straziante tensione che l’avvolgeva quando l’Ase
era vicino a lei, e il timore
di non comprendere a fondo perché Loki desiderasse
liberarla, infrangendo la
promessa fatta da Sigurdr al suo futuro, vero, carceriere.
Piegò
la bocca in una
leggera smorfia, indugiando nell’aprire il foglio che
sentiva, ruvido e poroso,
sotto i polpastrelli. “Perché?”
Loki si mise
più a suo
agio sulla sedia, poggiando le spalle sullo schienale. Il bel viso
affilato era
rischiarato dalla luce di una candela vicina e il riflesso del fuoco
dava, ai
suoi occhi chiarissimi, una sfumatura quasi cangiante e azzurrata, che
si
accentuò quando lui inclinò il capo, come per
guardarla meglio.
“Non
è chiaro il motivo? Temi
forse che possa chiederti qualcosa in cambio? Sei mia ospite, qui,
Sigyn,”
sorrise, calcando la voce su quella parola, ospite,
che, alle orecchie
dell’ancella, aveva lo stesso suono metallico di prigioniera
o schiava. “Sei
mia ospite,” ripeté, “ed è
compito mio e della mia famiglia
proteggerti.”
Le belle dita di
mago di
Loki iniziarono a tamburellare sul tavolo con distratta lentezza, in
attesa che
lei leggesse e reagisse.
Sigyn,
finalmente, aprì
la pergamena, valutandone il contenuto con attenzione. E, a mano a mano
che i
suoi occhi scorrevano le frasi appuntate con perizia e una bella grafia
corsiva, sentì montare, dentro di lei, qualcosa di
indefinibile, di nuovo,
perché tutto quello che circondava l’ingannatore
era fuori da ogni
incasellamento. Si trattava di sdegno e stupore e ammirazione, anche.
“Tu sei
pazzo,” disse infine, alzandosi in fretta e posando il
foglio, come se
scottasse.
“Me lo
dicono in molti,”
riconobbe il principe con un ghigno soddisfatto.
“Avrà
delle conseguenze.”
Lei scosse il capo, in un gesto energico di diniego. “Oltre a
essere folle
mette in pericolo la mia famiglia. Così il patto, qualunque
esso sia, verrà
infranto.”
“Ti
interessa?” Un lampo,
gelido come il tono assunto all’improvviso dalla sua voce,
attraversò gli occhi
di Loki. “Loro ti vendono e a te importa cosa gli
capiterà?”
Quella battuta
sferzante
la fece impallidire. L’Ase aveva ragione: la sua
considerazione era così
sincera e tagliente da sembrare un sibilo della sua coscienza.
“E tu
credi che Odino ti
consentirà di rischiare così tanto per
me?”
Il nome del
sovrano di
Asgard fece serrare la mascella diritta del principe. I suoi occhi
brillavano
d’ammirazione, quando parlava di suo padre.
L’inorgogliva l’idea di essere il
figlio di un simile capo, e desiderava ripercorrerne le orme per
rendere Ásaheimr
ancora più grande e prospera. Lui, che era insofferente a
qualsiasi regola e
trovava immensamente divertente aggirare divieti e imposizioni, subiva
il
carisma del re degli Æsir riconoscendone
l’autorità e l’intelligenza,
così come
riteneva di aver ereditato proprio dal genitore la sua astuzia
tagliente. Ma
Odino non era solamente un re accorto e lungimirante; nutriva
aspettative nei
confronti di tutti i suoi figli, che l’ingannatore, in quel
tempo, ambiva ancora
a soddisfare, a qualsiasi costo. Dopo, non più. Un giorno
avrebbe scoperto di
non aver mai avuto nelle sue vene il sangue di Padre Tutto, e gli
sforzi fatti
per compiacere il genitore adottivo gli sarebbero sembrati
nient’altro che una
farsa penosa, una bugia ignobile dentro cui era vissuto. Ma in quella
biblioteca,
davanti a Sigyn rossa in volto, Loki, ancora ignaro delle sue
ascendenze, si
limitò ad alzarsi rispondendole a tono.
“Per
la Scintilla.”
“Io
non ho visioni.”
“Non
sempre si tratta di
visioni. Alcune volte sono sensazioni.” Increspò
le labbra in un sorriso mesto
e appena accennato, che mise in risalto la ferita ancora fresca.
“Il Ragnarok è
vicino ed è scritto che noi combatteremo fino alla morte, tutti.
Lo
sentirai arrivare nelle ossa, prima di noi: avvertirai il gelo e saprai
che è
il primo dei sette inverni predetti,” mormorò e
Sigyn si ritrovò a pensare che
doveva essere terribile, crescere con la consapevolezza che una
tragedia tramandata
di generazione in generazione segnerà, tra tutte, proprio le
nostre vite. Le
sembrò che le parole di Loki si insinuassero sotto il suo
abito, lambendole la
pelle con loro soffio gelato; provò un’ammirazione
calda e vischiosa di fronte
alla tracotanza con cui il giovane principe affrontava, a viso aperto,
l’ineluttabile destino che lo attendeva. Era audace e pronto
a incrociare le
armi durante il Ragnarok come per liberarla dalla sua maledizione. E,
in quel
preciso istante, comprese che il figlio di Odino voleva salvarla dal
suo
destino per mescolare insieme la propria gloria e quella di Asgard, per
sfruttare il suo potere e tenerla tra le braccia, come fosse un trofeo.
Intuì,
con lucida precisione, che il dramma personale del giovane e
spregiudicato
condottiero che le stava di fronte era
l’incapacità di accontentarsi di ciò
che
le Norne avevano filato per lui, l’ostinazione nel voler
essere l’unico
artefice del proprio destino, il solo in grado di dare voce alla sua
storia. Non
avrebbe accettato mai che salvarla non significava strapparla alla vita
contemplativa. Sigyn era e sarebbe rimasta un’ancella segnata
dalla Norne,
ceduta come ostaggio a un popolo di pirati. Loki la chiamava scintilla
e si
permetteva di farle doni splendidi e inopportuni, guardandola come
qualcosa di
prezioso, ma sembrava voler ignorare a tutti i costi che le parole
scritte
sulla pergamena appena letta rappresentavano un sentiero troppo stretto
e
insicuro, da percorrere. E, forse, la cosa peggiore era che anche lei
stava
cedendo alla menzogna che Loki si raccontava – le
raccontava. Solo in
questo modo poteva spiegarsi la ridda di sentimenti che
l’aveva avviluppata da
quando si era mostrata al banchetto con un abito appariscente addosso.
Agì
d’impulso, tentando di raddrizzare la stortura.
“Devo
restituirti
l’anello. È tuo. Fa parte di un tesoro spartito
– avrei dovuto dartelo prima
della tua partenza, ma mi sono accorta della tua sorpresa
troppo tardi,”
spiegò, incasellando in fretta una parola dietro
l’altra sotto lo sguardo
vigile e divertito di Loki.
“È
un gioiello da donna.
Credo doni più a te,” osservò
l’Ase. Lasciò correre lo sguardo sul suo collo
leggermente arrossato dall’imbarazzo, sulla scollatura
castigata, ma presente,
che arrivava fin quasi al seno, sul delicato polso di fata su cui
brillava il
monile che le aveva riparato, forse desiderandola o disegnando, nella
propria
mente, le curve nascoste del suo corpo che, sotto i vestiti, poteva
solo
immaginare. Deglutì impercettibilmente.
“S’intona anche con lui,” aggiunse,
indicando il bracciale. “La chiusura non ti ha più
dato problemi, spero.[1]”
“Non
posso comunque
tenerlo. Io sono un’ancella e un tuo ostaggio. I tuoi doni mi
mettono a
disagio,” spiegò. Solo alcune settimane prima
avrebbe detto mi offendono,
ma ora quelle due parole suonavano stonate e false. Se le avesse usate,
lui si
sarebbe accorto che mentiva, avrebbe colto la sua mancanza di
convinzione e
sarebbe stato peggio, pensò.
Di fronte al suo
contegno
severo, Loki s’irrigidì appena. La bocca
perennemente divertita assunse una piega
maliziosa e sarcastica, un bagliore lucente rese più
metallico il suo sguardo.
“E
perché mai? Che pensi
ci sia stato, tra noi, Sigyn?”
inquisì.
L’ancella
avvampò. “Lo
sai. È stato un sacrilegio, non avremmo
dovuto.”
Una luce
vittoriosa
brillò negli occhi dell’ingannatore. Lei era
coinvolta: non aveva osato negare
quel noi, anzi, l’aveva rafforzato. Scosse la testa,
avvicinandosi di un passo.
“L’anello è un insignificante
regalo,” spiegò, allargando le braccia,
“l’omaggio
di un guerriero in partenza a una ragazza carina, prima di una
battaglia. È
un’usanza a cui tu hai dato un’importanza ridicola.”
Sigyn strinse le
labbra,
colpita dal feroce sarcasmo di Loki, che le rinfacciava il suo non
sapere nulla
del mondo e sviliva le sue rimostranze accampando gesti scaramantici
che, a
ogni buon conto, non avevano sortito l’effetto sperato.
“Anche
il resto è insignificante?”
l’incalzò.
“Ci
siamo baciati, Sigyn.”
Il ghigno trattenuto di Loki si allargò in una smorfia
sagace e soddisfatta. “Possibile
che tu non riesca nemmeno a dirlo?”
le sibilò. “È stato solo uno sciocco
bacio, dato, scusa se mi ripeto, prima di
una battaglia. Forse abbiamo offeso gli Antenati, ma ti assicuro che equivale
a niente. Non ci siamo compromessi, stai
tranquilla.”
“Per
te è un gioco, un
divertimento? Hai oltraggiato un’ancella per
l’ebbrezza di una trasgressione?”
“Sfidare
gli antenati non
significa amare te. Ho commesso un sacrilegio
– ero mortalmente curioso
di sapere che si prova, a baciare una di voi. Non
c’è nient’altro. La scintilla
serve a me, serve ad Asgard.”
Mentiva, e lo
stava
facendo con forza, con studiata consapevolezza e il preciso intento di
ferirla.
E questo nonostante il profumo di lei gli offuscasse i sensi, il suo
sguardo
s’incatenasse, ostinato, sulla pelle bianca e morbida che il
vestito lasciava
scoperta. Seno che avrebbe voluto denudare, baciare, percorrere con la
lingua
finché Sigyn non lo avesse supplicato di entrare dentro di
lei. Ma quella,
decise, era solo passione, accentuata dall’aura di
intoccabilità che circondava
la Scintilla. Se fosse stata una qualunque, dopo averla presa,
l’avrebbe
dimenticata – ma non lo era. E questo, Sigyn, non poteva
saperlo.
Livida in volto
e con le
labbra serrate, raccolse le gonne chiare e
s’incamminò verso l’uscita della
biblioteca, offesa come giovane donna e come ancella. Nel suo modo di
nascondere l’orgoglio ferito e nello sdegnoso silenzio di cui
lo fece oggetto,
Loki riconobbe i tratti della principessa: era così fiera
che baciarla si
trasformava, di nuovo, in una necessità, in un bisogno che
le tenebre notturne dovevano
rendere attuabile. L’intercettò in
prossimità delle sue stanze, grazie a una
delle molte scorciatoie che l’Ase conosceva da quando era
bambino e che lei,
invece, ignorava. Sigyn sussultò, trovandoselo davanti
all’improvviso. Ed era
bella, con gli occhi sgranati dalla sorpresa, la bocca che a stento
tratteneva
un’esclamazione stupita, l’ira che le imporporava
le guance. Era bella, sì, e
la spinse contro la parete, costringendola a sollevare il viso e
lambendole le
labbra con le sue, in un bacio che era una carezza sfrontata e leggera,
un
assaggio audace, famelico come la stretta in cui Sigyn si
lasciò imprigionare.
Lo maledisse, tra un bacio e un altro, lo insultò e
provò persino a graffiarlo,
ma alla fine si aggrappò a lui e i graffi divennero carezze
dolenti, che già
sapevano di rimpianto e di rinuncia.
“Ho
temuto che mi
portassero la notizia della tua morte,” gli
bisbigliò, sfiorandogli i capelli
scuri che gli lambivano la nuca.
Loki non
rispose. La
ferita gli bruciava ancora e non vedeva il fondo dell’abisso
in cui stava
precipitando mentre teneva quella ragazza stretta contro il suo corpo.
Padre
Tutto non avrebbe mai approvato. Era impossibile che tollerasse un
simile
sacrilegio; se i suoi corvi maledetti non gli si erano ancora posati
sulle spalle
per raccontargli delle sue malefatte, era solo perché
attendevano che la sua
colpa s’ingigantisse. Desiderare un’ancella non era
vietato, sebbene
sconveniente, baciarla una volta, forse, nemmeno, considerate le
attenuanti che
senz’altro Loki poteva addurre, ma reiterare
nell’errore era imperdonabile. Non
ci sarebbero state scuse da sostenere, né un piano logico da
difendere. E il
trono di Asgard, ambito da sempre, poteva andare a un principe che si
era
macchiato di un simile atto egoistico? Che se ne infischiava delle
leggi che
lui stesso doveva proteggere e garantire per un piacere effimero e
personale –
per una ragazza dagli occhi grigi colmi di lacrime fieramente
trattenute tra le
ciglia scure, per il suo corpo flessuoso premuto dolorosamente contro
il suo? Non
significa niente, si disse lasciandola andare, ma quelle tre
parole, in
gola, avevano un sapore strano e aspro, diverso da quello, dolce, che
gli era
rimasto sulle labbra.
Thor riconobbe
Loki dal
passo. Svelto, deciso, sottilmente nervoso. Si voltò
asciugandosi con un
braccio la fronte e puntandogli contro una scure.
“Che
te ne pare, fratello?”
L’ingannatore
assottigliò
le palpebre, concentrandosi sul filo della lama, sulla
particolarità dell’elsa.
“Una splendida ascia, non c’è che
dire.”
Il primo figlio
di Odino
annuì soddisfatto. “Con quello sfregio non ti si
può guardare. Pensavo ti
avrebbe potuto migliorare o rendere più interessante, ma no.
Il più bello, tra
di noi, resto sempre io,” decise, sfoggiando un sorriso
sornione.
“Scherzi?
Le donne lo
ameranno.” Loki spostò la sua attenzione sulle
altre belle armi presenti nella
sala. In particolare, s’interessò a un pugnale
affilatissimo, il cui acciaio
pareva mandare bagliori azzurri. Lo prese in mano valutandone il peso e
il
bilanciamento, indeciso se valesse o meno la pena di inserirlo nella
sua
collezione personale.
“No,
fratello. È solo che
gli fai tenerezza.”
Di fronte alla
battuta,
il mago inarcò un sopracciglio, fintamente offeso.
“Devo trasformarti di nuovo
in un rospo, Thor?”
“Attento,
fratellino:
anche da rospo posso romperti le ossa con Mjollnir.” Il tonante sorrideva
ancora, ma il suo tono aveva
assunto una spiacevole nota metallica, simile a quella che avrebbe
avuto un
comandante nei confronti di un subalterno. Loki la registrò,
assimilandone il
significato profondo, intuendo il messaggio sotteso di Thor –
io sono il
maggiore, tra di noi, il primogenito; stringo tra le mani la reliquia
più
potente di tutta Asgard. E tu, invece?
Ci fu un momento
in cui in
cui due fratelli si fissarono negli occhi, consci che la mossa
successiva, a
prescindere da chi l’avrebbe intrapresa, sarebbe stata
determinante per
allargare o chiudere la crepa sotto cui ribolliva il magma della loro
disarmonia: in battaglia erano talmente affiatati da suscitare invidia
sia
negli avversari che negli alleati, perché bastava loro uno
sguardo per capirsi.
La loro complicità quasi leggendaria aveva condotto Asgard
alla vittoria
innumerevoli volte, eppure, chi frequentava il palazzo di Asgard non
poteva
ignorare anche l’altro: che i figli di Odino possedevano un
temperamento focoso
e fiero non solo in guerra, ma anche nelle sale del potere. Si
scontravano
spesso, litigando ferocemente spesso per delle sciocchezze su cui si
impuntavano per orgoglio, per non cedere all’altro la
parvenza di una resa, per
stabilire, costantemente, chi fosse più degno
dell’altro. Anche in quel
momento, la frase di Thor avrebbe potuto scatenare l’ennesima
lite e
risvegliare lo spirito tempestoso di Loki, ma così non fu.
Il tonante allungò
una mano verso il fratello, dandogli una pacca sulla spalla con brusco
affetto;
il mago, dal canto suo, rispose rilassando leggermente i muscoli
già tesi. Per
quella volta, la tensione si era sciolta nello scherzo, ma Asgard non
sarebbe
stata sempre altrettanto fortunata; e questo, Loki e Thor avrebbero
dovuto
intuirlo o riconoscerlo o, ancora, prevederlo – sentirlo
nelle ossa, nelle vene
e nel sangue. Ma non era il momento. Avvenne qualcos’altro,
invece. Il dio del
tuono ritenne che la silenziosa pace appena stipulata valesse una
confessione.
“La
tua sacerdotessina
mi ha chiesto di te, mentre eri via,” confessò.
“Aveva due occhioni spaventati…”
Per tutta
risposta, Loki
arricciò le labbra in una smorfia scontenta.
“Spero che l’abbia fatto solo con
te,” sibilò caustico.
“Da
quando sono qui, non
ha fatto altro che passare tutto il suo tempo in biblioteca e a
pregare.”
Il mago
incrociò le braccia
dietro la schiena e gonfiò il petto. “Non dovevi
tenerla d’occhio per me. Non
te l’ho chiesto.”
“No,”
riconobbe il dio
del tuono. “Per questo l’ho fatto.
Perché non me l’hai chiesto.
E, se
fosse stata meno interessante, mi avresti obbligato a farlo e non ti
saresti
limitato a me. No, fratello,” insistette. “Avresti
coinvolto Sif e i guerrieri
e chiunque altro.”
“Se
non l’ho fatto,” si
difese Loki a denti stretti, “è perché
ho ritenuto che non ce ne fosse bisogno,
evidentemente.”
“Evidentemente,
pensi di
poterla gestire da solo.”
A questa
considerazione,
l’ingannatore si animò e sorrise, sfoggiando il
suo ghigno furbo e ancora
sofferente. Girò attorno al fratello come se fosse in
procinto di interrogare
un imputato per estorcergli qualche confessione. “E cosa
sto gestendo,
di grazia?”
Ma il primo
figlio di
Odino era immune alle strategie intimidatorie dell’altro. Per
lui Loki era il
primo amico che avesse mai avuto, il compagno di giochi di una vita
intera, l’insopportabile
braccio destro che a volte parlava decisamente troppo. Tranne quando
doveva,
come in quel momento. “Dimmelo tu.
Perché sei qui? Tutto quello che fai,
ultimamente, è legato a quella ragazza.”
“Da
quanto non c’erano
scintille, ad Asgard?”
“La
verità, Loki. O
qualcosa di abbastanza vicino, magari.” La voce di Thor aveva
assunto una nota scocciata,
adesso.
Il dio degli
inganni
assottigliò le palpebre e si fermò.
“Altrimenti?”
“Verrà
il momento in cui,
qualsiasi cosa passi per quella tua testaccia, mi chiederai
aiuto.”
Loki
restò in silenzio un
istante, quasi volesse assorbire completamente il senso della
predizione del
fratello. Che stava cadendo, come tutte le volte,
nella sua rete, evitandogli
il fastidio di doversi abbassare a invocare il suo ausilio.
“Interessante,”
osservò infine, leccandosi la cicatrice dolorante.
“Dovrei spartire con te
fortuna e gloria?”
A quelle due
parole, Thor
figlio di Odino impallidì e dubitò della
sanità mentale dell’altro. “Allora
è
così. Vuoi liberarla?”
Il piccolo
Balder non sentì
una sola parola di quello che si dissero i suoi fratelli maggiori. Dal
punto in
cui si trovava non riusciva a udirli, ma se si fosse avvicinato troppo,
Thor e
Loki lo avrebbero scoperto e si sarebbero assicurati di non essere
più spiati. E
così, a lui sarebbe stata preclusa la sua
attività preferita su tutte:
osservarli e fantasticare sul giorno in cui anche lui avrebbe preso
parte ai
loro conciliaboli: sarebbe intervenuto con fierezza e intelligenza,
stupendoli
entrambi. E Thor e Loki si sarebbero trovati assolutamente
d’accordo con lui,
lodandolo per la sua chiaroveggenza e lungimiranza. Era un sogno a
occhi aperti,
che non si sarebbe mai realizzato: i suoi fratelli raramente erano
totalmente d’accordo
su qualcosa, ma avrebbero convenuto entrambi, sempre,
che lui, Balder,
era troppo giovane o ingenuo o inadatto per seguirli. Ma questo, il
giovane
principino non poteva immaginarlo: s’incantava ammirando le
movenze fluide e
sempre un filo circospette di Loki, a cui la ferita fresca sul volto
regalava un’aria
selvaggia e un po’ piratesca, e desiderava possedere la
sbalorditiva forza di
Thor e la sua muscolatura potente e guizzante. Si chiese se stessero
parlando
della sua amica Sigyn.
Nelle settimane
in cui Asgard
era stata in guerra, lei gli aveva chiesto più o meno
giornalmente notizie e
informazioni ulteriori rispetto a quelle che giravano per il palazzo,
certa che
lui, in quanto membro della famiglia reale, captasse qualche dettaglio
in più
sulle gesta belliche dell’ultima guerra di Odino. Il modo in
cui si torceva le
mani quando aspettava che le rispondesse sembrava quasi suggerire che
dubitasse
della certa vittoria degli Æsir. E lui, Balder, di fronte
alla sua paura, si
era sentito grande come i suoi fratelli e le aveva spiegato quanto
Asgard fosse
invincibile, i suoi guerrieri più forti degli altri e Loki e
Thor più abili e
spietati di tutti. Sigyn ascoltava con attenzione i suoi ragionamenti e
spesso,
curiosa, gli faceva delle domande, finché, passato un tempo
per Balder sempre
troppo breve, alle prime avvisaglie che il sole stava tramontando, lei
si
alzava rassettando la gonna chiara e gli annunciava che doveva tornare
a
servire gli Antenati. Si allontanava sorridendogli, ma il suo sorriso
era tirato
e pareva forzato. Il giorno in cui era giunta la notizia che Loki era
stato
catturato, Sigyn era rimasta ad ascoltare Balder finché il
cielo non si era
fatto completamente nero, dimenticandosi completamente del consueto
appuntamento
serale. Quando, infine, si era alzata per andarsene, era pallida e
nervosa. Rimase
così per giorni e giorni – settimane. Continuava
ad andare da Balder per avere delle
novità, ma mentre il ragazzino parlava, spesso sembrava
distratta e sovrappensiero,
arrivando a porgli domande che avevano già avuto risposta e
che riascoltava annuendo
con la testa, le sopracciglia corrugate sul bel viso pallido. La
sbadataggine
non svanì del tutto nemmeno con l’annuncio del
ritorno di Loki. Sigyn era fisicamente
presente, ma distante con lo sguardo e con i pensieri, le dita che
carezzavano,
irrequiete, il bracciale che teneva sempre al polso.
Padre Tutto
pensò che
aveva bisogno di un corno del migliore idromele. Con un cenno,
ordinò al servitore
silenzioso e immobile che attendeva i suoi comandi, di portargli
qualcosa proveniente
dalla sua riserva personale. Nell’attesa,
tamburellerò con le dita sul tavolo
in noce, in un gesto distratto che Loki aveva osservato e imitato fino
al punto
di farlo suo. Huginn e Munin gli gracchiavano, da giorni, le stesse
notizie.
Odino avrebbe voluto ignorarli, fingere di non sapere, oppure tornare
indietro al
tempo in cui le forze non abbandonavano, ogni giorno di più,
il suo corpo ormai
stanco, che nemmeno le mele di Idunn potevano riportare
all’antica vigoria. All’epoca,
Thor e Loki erano bambini scalmanati e gestibili. I loro desideri e
impulsi non
coinvolgevano Asgard e il trono cui ambivano era ancora una chimera
lontana, un
obiettivo più vicino al sogno che alla realtà. Ma
più il tempo passava, più il
sovrano di Asgard doveva fare i conti con alcune scelte antiche che
avevano avuto
risvolti inaspettati. Una su tutti gli lacerava il cuore. Una che
Frigga conosceva
e su cui non si esprimeva più – aveva detto, a suo
tempo, cosa pensava della
questione e che significasse, per lei, la scelta fatta da suo marito.
Care
Lettrici e cari Lettori del mio cuore,
Eccomi
tornata dopo “solo” due settimane ♥
avete visto che
miglioro??? Colpa dei miei bei piccioni ♥. Il prossimo
aggiornamento è
sicuramente il 42 di Accordo – perdonatemi, ma devo
rileggermi gli ultimi tre
capitoli per far quadrare tutto.
Ringrazio
chi ha listato, recensito o semplicemente letto
questa storia (se non l’avete fatto, ricordatevi che Babbo
Natale vi guarda e
che a Natale siamo tutti più buoni): a
parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti
i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre
e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate
alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una
mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a
ispirarvi o
peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui né altrove (peggio
mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim,
su Loki o
su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è
uno scherzo.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si
lovva (e spero voi lovviate me).
Vostra,
Shilyss
[1]
Come forse ricorderete, negli scorsi capitoli Loki ha riparato un
gioiello di
famiglia di Sigyn, un braccialetto. Le ha, in seguito, regalato con un
trucco
un anello. L’anello è quello che lei
porterà via con sé nel Tempio.