Anime & Manga > Love Live School Idol Project
Segui la storia  |       
Autore: AlessiaDettaAlex    11/12/2020    2 recensioni
[LLS!! Post-canon | KanaMari | presenza di OCs | è la storia di due amiche che si ritrovano dopo essersi perse di vista (di nuovo) | ed era una scusa per scrivere una fanfiction in cui Kanan e Mari flirtano incessantemente, ma a Los Angeles | uso intensivo di cliché e fluff, una spolverata di melodramma | 10 capitoli totali]
City of stars / Are you shining just for me? / City of stars / Never shined so brightly.
[“City of stars”, from La La Land]
«Fino a quando resti qui?» […]
«Settembre, probabilmente. Non sarà una toccata e fuga»
Un sorriso nuovo fiorì sul volto di Kanan, non previsto.
«Quindi rimani»
«Rimango»

[dal cap. 2]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kanan Matsuura, Mari Ohara, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
10. Un altro giorno di sole
 
When I am with you, there's no place I'd rather be
 
“Rather Be”, Clean Bandit ft. Jess Glynne
 
L’ennesimo bicchiere riempito di Dom Pérignon le passò davanti tintinnando, per poi essere portato direttamente alle labbra dell’uomo brizzolato che dialogava con suo padre. Sul buffet ricco di prodotti ittici si avventavano adolescenti di buona famiglia, vestiti di capi dalle firme lussuose, che parlavano del più e del meno; qualche ospite meno in vena stava a bordo piscina col suo Martini ghiacciato, a commentare la musica messa dal dj assoldato dal padrone di casa. La villa a Malibù in cui si svolgeva la festa era proprietà di un piuttosto giovane milionario originario della zona, noto alle famiglie potenti per il modo in cui ostentava le sue ricchezze con continui ricevimenti; la sua casa, parecchio grande, era il suo principale vanto e la faceva tirare a lucido dal suo staff con un’attenzione ossessiva: voci di corridoio sostenevano che la fissazione per la perfezione fosse conseguenza di una sorta di invidia per le residenze dei miliardari a Beverly Hills, nelle quali lui non riusciva mai a mettere piede. Gli Ohara, indaffarati com’erano, non amavano crogiolarsi troppo in questo tipo di divertimenti, tanto più in giorni di serrato lavoro; approfittando del fatto che Mari e sua madre avrebbero lasciato gli Stati Uniti entro pochi giorni, però, avevano deciso di accettare l’invito e concedersi un pomeriggio di libera convivialità, per salutare amici e colleghi imprenditori.
Mari intratteneva qualche conversazione, per lo più di cortesia, con un gruppetto di suoi coetanei, uomini e donne; gli argomenti che andavano per la maggiore erano il futuro e i progetti, ma erano trattati spesso con la leggerezza di chi sa di non aver bisogno di lavorare, per vivere; per molti di loro era anzi quasi un gioco, buono per riempire i vuoti lasciati dalla noia. Stancata dall’inerzia dei discorsi, Mari provò un paio di volte a virare su altri campi – le andava bene anche parlare di auto sportive di ultima generazione e viaggi in località da sogno, avendone una discreta esperienza – ma quasi tutti i ragazzi, con pochissime e deboli eccezioni, si mostravano poco ricettivi.
Col passare delle ore Mari fu presa da una svogliatezza mista a rassegnazione, che la convinse a staccarsi dal gruppo degli eredi per cercare sua madre: la trovò a chiacchierare con una coppia leggermente più anziana, dallo sguardo intelligente e affabile. La donna accolse sua figlia nel crocchietto porgendole un bicchiere di champagne, ma lei rifiutò con un gesto secco della mano; si scambiarono inchini e strette cordiali. Mari stette poi ad ascoltarli parlare: indovinò dai loro sguardi che fossero persone straordinariamente genuine, come era raro trovarne in certi contesti. Provò subito una forte simpatia, che risultò vicendevole: i due, infatti, la scrutavano con ammirazione.
«Hai una ragazza davvero a modo, Junko, ed è bella come te. Se la signorina è d’accordo un giorno avrei piacere a farle conoscere mio figlio… ha qualche anno più di lei»
Di proposte estemporanee ne aveva sentite fin troppe, ragion per cui si accinse a rifiutarla nello stesso modo garbato di sempre; perlomeno in questo frangente fu rincuorata di immaginare che il ragazzo in questione, con simili genitori, non poteva essere un cattivo pretendente. Chissà, magari sarebbero potuti addirittura diventare amici.
«Mi permetto di rifiutare l’offerta, Mari attualmente è già impegnata»
La giovane guardò sua madre, che l’aveva anticipata nella risposta, con un’esplicita meraviglia. La donna fece trasparire un sorriso tenero, e la figlia avvertì il suo cuore scaldarsi. Questo era qualcosa che non avrebbe mai sperato di veder realizzarsi davanti ai suoi occhi: sua madre, una sua alleata.
«Dev’essere un ragazzo davvero fortunato!» commentò l’uomo, soppesando il diniego senza stupirsene.
Le due donne si scambiarono un altro sorriso complice, poi Mari fece un inchino di scuse.
«Credetemi, sono io quella fortunata»
Quando la gentile coppietta fu poi chiamata altrove, madre e figlia si ritrovarono sole. Mari scavava dentro di sé, alla ricerca affannosa di parole per ringraziarla; ma, non riuscendovi, si rese conto di quanto raramente parlasse con lei in toni diversi da quelli del litigio. Mentre era assorta in questi pensieri, la donna avvicinò le mani alla sua treccia e le sistemò tra le ciocche uno stelo fiorito di nontiscordardime rosa chiaro; in tempi passati lo faceva spesso: ogni occasione era buona per adornare la figlia come una nobildonna. Mari si rassettò la gonna lunga scuotendola con le dita, nel tentativo di distrarsi dallo strano impaccio che l’aveva colta.
«Grazie» disse a mezza voce, sperando che da quel nocciolo di significato si intuisse tutta l’ampiezza della sua gratitudine: che andava molto al di là dei fiori con cui l’aveva ornata.
Sua madre le accarezzò una guancia; i suoi occhi le confermarono che stavolta si erano capite perfettamente. La tortuosa strada verso il superamento dell’incomunicabilità era appena stata imboccata.
 
Verso sera Mari ebbe il permesso di lasciare il ricevimento per incontrare Kanan un’ultima volta. Lei si trovava da poco a Malibù, accompagnata da un orgoglioso Zachary, e l’accolse col suo caratteristico sorrisone affettuoso e gioviale; Mari, accostandosi, prese in mano i lembi della gonna e fece un inchino aristocratico, davanti al quale l’altra rispose mimando il gesto con una mezza risata; poi Kanan le porse il braccio e attese che lei vi si aggrappasse.
Passeggiarono insieme, chiacchierando sommessamente, fino a una delle spiaggette nascoste tra le rocce; l’oceano rombava fiero a qualche metro di distanza: era quello il luogo dove tutto, per loro, iniziava e finiva sempre. La sabbia fine scricchiolava piano sotto i loro i piedi nudi. L’umidità accumulata durante il giorno si alzava sotto forma di foschia all’orizzonte, mescolando le tonalità di cielo e mare; l’aria era ferma. Stettero un po’ in piedi, immerse nella pace, a guardare in direzione di casa.
«Sai, credo che mia madre ti abbia già accettata» cominciò a un tratto Mari.
«Accettata nel senso che se lo fa andar bene pur di non rivedermi protestare in hotel, oppure...»
«Accettata per davvero, you silly
«Sul serio? Non pensavo di poterla convincere tanto presto»
«Nemmeno io»
«Ti ringrazio»
Scoppiarono a ridere: il suono fu assorbito dall’aria umida, come se l’oceano stesso avesse voluto mantenere la riservatezza su quel momento privato; e poi ricaddero nel silenzio. Kanan infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini.
«E ti ringrazio anche di questi giorni... di quest’estate insieme»
Mari portò i palmi ai fianchi, risoluta.
«Guarda che ce ne saranno altri, Kanan... anzi! Quando tornerò in Italia ti chiamerò tutte le sere, così ci raccontiamo com’è andata la giornata!»
«Avremo due fusi orari diversi, lo sai, vero?»
«E allora io ti chiamo alle sette di mattina prima che tu vada a dormire… tanto le lezioni iniziano alle nove, ho tempo. No problem
Kanan inarcò un sopracciglio, ridendo.
«Persino negli Stati Uniti il tuo inglese mi sembra fuori luogo»
«Non cambiare argomento! Allora, io mi sveglio presto e ti chiamo, ci stai?»
«Ci sto, ci sto»
Siccome la risposta suonava ugualmente un po’ scettica, Mari non mollò la presa.
«Me l’hai promesso, Kanan!»
La voce ferma, gli occhi dorati incatenati nei suoi, improvvisamente privi di voglia di scherzare.
«Cosa?»
«Che stavolta non mi avresti lasciata mai più andare»
L’altra rimase interdetta un attimo, quasi frastornata. Fece scivolare gli occhi sulla sabbia, alla ricerca inquieta di parole.
«Giusto...»
Si girò verso il mare, camminando in direzione della riva a passi lenti, per fermarsi dove le prime onde si infrangevano. Mari incrociò i polsi dietro la schiena, inclinando leggermente la testa alla sua reazione incomprensibile.
«So che non sarà facile perché saremo comunque lontane… pesa anche a me andarmene. Mi è sempre pesato dividerci»
Vide Kanan alzare la testa alle prime stelle della sera, senza risponderle. La brezza di terra cominciò a soffiare alle loro spalle, smuovendo finalmente l’aria statica del tramonto.
«La prossima volta che ci rivedremo sarà a Natale, quando torneremo a casa… vero?»
«Sì. Ma se devo dirti la verità… se c’è una cosa che ho capito quest’estate è che mi sento già a casa quando sono con te, Kanan»
L’altra sfilò la sinistra dalla tasca, ma tenne la destra ben fissa al suo posto. Parve indugiare, pensierosa, su qualche cosa; poi si voltò verso Mari, portando con sé visibile negli occhi una determinazione nuova.
«Allora quando finirai l’università vieni a vivere con me»
Mari pietrificò sul posto. Kanan avanzava piano verso di lei, ostentando una sicurezza che non aveva, se non altro perché la sua ragazza si era già facilmente accorta di come le tremasse la mano visibile.
«Se lo vorrai anche tu torneremo in Giappone e cercheremo casa insieme. Non ti posso promettere una vita piena di feste e avventure spettacolari, come potrebbe dartela uno qualunque della fila di ragazzi che chiedono la tua mano… io dopotutto sono solo un vecchio testardo, come dici sempre tu. Ma se davvero vuoi stare con me posso prometterti che anche se dovrai viaggiare, avrai sempre un posto in cui tornare: ogni volta che tu partirai io resterò ad aspettarti. Anche per me, Mari, casa è dove sei tu»
Arrivata davanti a lei si inginocchiò su una gamba, sulla sabbia morbida. Solo a questo punto si rese conto dell’irrazionale istintività di quella decisione: lei in ginocchio in pantaloncini e canotta, Mari già inesorabilmente in lacrime, una promessa piuttosto vaga e fatta con due anni di anticipo. Pura follia da romanzo rosa! Con una giusta dose di cinismo, Dia avrebbe avuto certamente da ridire; ma ormai che c’era, convenne che fosse stupido tirarsi indietro.
«Diciamo che se avessi un anello sarebbe probabilmente il momento di dartelo, ma ammetto che è stato un po’ improvviso» rise per spezzare l’imbarazzo, estraendo dalla tasca destra il ciondolo a forma di delfino che aveva comprato a Venice Beach, «per ora posso offrirti solo questo, come promessa»
Prese la mano di Mari e pose il piccolo oggetto sul suo palmo, che poi coprì col suo, ancora tremante.
«Mari… vuoi passare tutta la vita insieme a me?»
Non aveva mai sopportato vederla piangere, soprattutto se sapeva di esserne la causa; dato il contesto, però, Kanan trovò che almeno stavolta fosse un buon segno. Con la mano libera, Mari si asciugò le guance e gli occhi; poi si portò le dita al collo per sfilare il proprio ciondolo dalla catenella d’argento: mostrando un sorriso ancora un po’ deformato dal pianto, lo pose in mano a Kanan, scambiandolo col suo.
«Assolutamente sì!»
Il volto di Kanan si allargò in un sorriso di pura gioia: balzò in piedi, l’afferrò per la vita e l’abbracciò con ardore; Mari si aggrappò alle sue spalle, stringendo tra le dita il tessuto leggero della canotta. Indugiarono nell’abbraccio più a lungo di quel che avevano programmato, ma Kanan non sentiva comunque nessun bisogno di separarsi da lei; esaurite ormai le energie dopo lo sforzo di rimanere tutta d’un pezzo, si arrese definitivamente alla gravità: le braccia blandamente appoggiate sui fianchi di Mari e la testa abbandonata sulla spalla, con un lungo sospiro. Suo malgrado, si accorse di stare ancora tremando.
«Dammi il tempo di ammucchiare risparmi e tra due anni faccio una proposta seria con un anello serio» dichiarò alla fine, mentre l’altra le accarezzava la schiena affettuosamente.
Mari alzò la testa, invitando Kanan a fare lo stesso: poi si sporse fino a incontrare le sue labbra, in un bacio di pochi secondi, carico di tenerezza.
«Non ne hai bisogno. Sceglierei te anche se ti proponessi vestita da tricheco»
Risero entrambe, sciolte dalla tensione. Kanan prese il volto di lei tra le mani e le lasciò un altro rapido bacio. Mari non dava segni di averne mai abbastanza: rimaneva attaccata alle spalle di Kanan con tutta la determinazione di cui era capace; e lei, da parte sua, godeva della rassicurazione della sua vicinanza.
Passò ancora un altro minuto prima che Kanan si decidesse a riscuotersi; quando ebbe raccolto la forza sufficiente, strofinò affettuosamente i fianchi della sua ragazza per invitarla a spostarsi.
«Che ne dici, andiamo a farci un’ultima passeggiata?»
Mari annuì, ma non la lasciò prima di essersi accostata alle sue labbra un’altra volta.
Percorsero a ritroso, mano nella mano, la strada dell’andata fino alla villa del milionario di Malibù. Un tetto di stelle luccicanti ricopriva la campagna, assorta; la strada semideserta conduceva a un ampio parcheggio costellato di macchine costose, appartenenti agli illustri ospiti del ricevimento. Qui, poco prima di separarsi, Mari sfilò dalla sua treccia un singolo fiore di nontiscordardime: con gesti misurati lo portò sopra l’orecchio di Kanan, intrecciandolo meticolosamente tra le sue ciocche, raggiante sotto lo sguardo rapito dell’amata. I loro occhi si cercavano e si evitavano, in un goffo tentativo di rimandare di minuto in minuto il momento della separazione. Kanan accarezzò piano le sue braccia, facendo scorrere le mani verso i suoi polsi e poi tra le sue dita, come per registrare nella memoria quell’ultima percezione fisica. Senza dirsi altro, alla fine, si strinsero nuovamente in un lungo abbraccio: l’ultimo che si sarebbero potute scambiare prima di parecchio tempo.
 
Due ragazze camminavano a passi lenti sulla battigia; respiravano a pieni polmoni l’aria impregnata di salsedine, quell’atmosfera carica tipica di una giornata nuova che incomincia, ai piedi dell’oceano. La più grande si fermò e dette una pacca sulla schiena alla giovane, con fare fraterno.
«Allora Kanan, oggi lezione di surf. Non guardare come fanno questi incapaci in California, ti insegno io la tecnica genuina»
«Agli ordini»
«Mi raccomando seguimi passo dopo passo. So che non hai alcun problema con l’acqua, ma non vorrei ti facessi male: domani dobbiamo portare quelli del corso a dieci metri di profondità, mi serve la mia assistente tutta intera e operativa»
«Sì, tranquilla, non serve fare tante storie, Nicole…»
L'amica la rimproverò con lo sguardo di sufficienza che indossava ogni qual volta si andava contro il suo proprio giudizio; quindi allungò una mano verso la collega e le scompigliò i capelli sciolti, ancora perfettamente asciutti.
«Tu dammi retta. La tavola è pronta?»
«Prontissima!» rispose Kanan sollevandola un poco per mostrargliela, in tutti i suoi due metri e venti di splendore, decorata a fiamme azzurre su fondo bianco. Una gentile e gradita concessione del negozio del Centro.
«Ok, io vado a testare le onde, quando hai finito di prepararti raggiungimi»
Nicole la salutò col gesto del capitano e fece qualche saltello di riscaldamento all’indietro, verso la riva assolata e ruggente; nel voltarsi, però, batté la sua tavola sulle spalle di una signora latinoamericana che passeggiava, scatenando una rissa verbale - metà in spagnolo, metà in inglese - davanti a cui Kanan non poté trattenere delle genuine risate.
Sulla battigia camminavano, mescolate, persone di ogni etnia e nazionalità: messicani, afroamericani, latinos, asiatici, europei di ogni generazione; e poi ricercatori, imprenditori, contadini, camerieri, ricchi e poveri, provenienti da tutti gli stati della federazione; alcuni arrivavano senza un soldo per cercare fortuna, altri accorrevano per studiare o per cambiare vita. Sin dai tempi della caccia all’oro nella baia di San Francisco, fino al sorgere del grande cinema di Hollywood, la California brillava come un faro di speranza per chiunque vi giungesse: era la patria dorata di sognatori e folli, da qualsiasi luogo questi provenissero. Era una cosa che l’aveva sempre affascinata.
Col borsone ancora in spalla e la tavola sottobraccio, venne a un tratto distratta dal rombo di un aereo di linea; alzò lo sguardo verso il velivolo dalla livrea argentata, splendente sotto i raggi del sole del nuovo giorno. La mano andò istintivamente a stringere il ciondolo stellato di Mari, appeso alla cerniera del suo borsone. Rimase per un po’ così, con gli occhi sollevati e le dita ferme intorno al pegno della promessa, anche quando l’aereo fu completamente scomparso dal suo orizzonte.
«Dai, Kanan, muoviti però!»
Sorrise e lasciò cadere sulla sabbia il suo borsone; vi sistemò dentro maglietta e pantaloncini e poi ammucchiò il tutto accanto agli averi di Nicole. Con pochi gesti rapidi si legò i capelli al solito modo, sfilandosi l’elastico dal polso. Quando fu pronta, fece un cenno d’assenso alla sua collega ed eseguì un breve stretching delle spalle e del busto; in un paio di saltelli fu a riva. Il mare rombava, Kanan ne avvertiva il potente richiamo fin dentro le viscere, come quando era piccola: quel rimestio le raccontava da sempre storie intessute di presente, passato e futuro; e la invitava ad abbandonarsi nel suo abbraccio. Inspirò a fondo.
Lanciò la tavola da surf davanti a sé e si tuffò tra le onde, riunendosi con l’oceano.



 
 







 
Note finali
Ok, chi vuole il capitolo extra ambientato due anni dopo in cui Kanan si ripropone vestita da Uchicchi?? Nessuno? Ah ok
Starei qui ore a parlarvi delle feste dei milionari e di quanto siano ingenue le promesse di “matrimonio” fatte con due anni di anticipo (Dio solo sa quanto desidero vederle semplicemente INSIEME E FELICI PER SEMPRE), ma ne lascio disquisire voi e passo al blocco dei ringraziamenti & ispirazioni (ossessivamente preparato e scritto già da almeno 5 mesi, come più o meno tutto in questa long)
 


Ringraziamenti & ispirazioni:

☼ Primo fra tutti il musical “La La Land”, che mi ha dato il la (ah ah) e l’idea madre, con la sua atmosfera sognatrice/romantica e che ho subito deciso dovesse caratterizzare anche questa storia.

☼ Dozzine di video su youtube che mi hanno dato la conoscenza pur sommaria dei luoghi; i vari “walking in Hollywood Blvd”, “4K driving from Santa Monica to sticazzi” (corsivo mio) che mi hanno accompagnato nel lavoro meticoloso di ricerca. Sono certa di essere lontanissima dalla realtà dei luoghi, perché per dire di conoscerli bisogna viverci: è stato comunque il mio povero e testardo tentativo.

☼ La one shot “Driving” di euphowolf su AO3 per l’idea del road trip di Kanan e Mari, che lei/lui però ha svolto in maniera magistrale (leggetela), al contrario del mio ben più pallido tentativo. Più in generale, ho un debito mentale immenso nei confronti di una ventina di storie su AO3 che hanno trattato la coppia: un serbatoio di suggestioni da cui ho attinto a piene mani.

☼ Ho preso ispirazione anche da moltissime fanart. Grazie soprattutto al Michelangelo delle KanaMari, Pito (@pito_sh su Twitter), che in combo con “La La Land”, ha dato il via a questa storia con un disegno in particolare.

♫ Le canzoni che facevano da apripista ai capitoli; hanno contribuito all’atmosfera un po’ spensierata che volevo si avvertisse anche nei capitoli più drammatici, dato che ho scelto in maggioranza tutte orecchiabili canzoni estive. Curiosità: se questa storia fosse un film, “These Days” sarebbe la traccia principale della colonna sonora, per ragioni di testo e musica. Grazie, estate 2018! *si rimette sconsolata la mascherina chirurgica*

☼ I lettori, i recensori, i miei sostenitori nel lavoro di stesura, tutti quelli che hanno creduto in me (sembra assurdo ma c’è una persona che riesce a incarnare tutte le categorie citate, ciao _Alcor, grazie di avermi dato idee e aiuti pratici e spirituali); chi ha “solo” letto e recensito; chi ha “solo” letto senza recensire. Siete tutti importanti. Inoltre ringrazio anche Haruka_Lisbet_Tenou (nickname su EFP) per essersi prestata a farmi da beta reader generale, dandomi preziosi pareri su come ho condotto la narrazione!

 In generale poi questa storia è la mia confessione d’amore alla “città delle stelle”, Los Angeles. No, non ci sono mai stata; sì, mi sono innamorata lo stesso. Volevo che la città trasparisse controluce e accompagnasse le nostre protagoniste in ogni capitolo con la sua presenza, esattamente come fa in “La La Land”. Mi auguro di esserci riuscita!
 
Lo so cosa state pensando: sembrano degli esagerati ringraziamenti di laurea per una banale fanfiction, ma è letteralmente la seconda long che concludo in tutta la mia vita. La prima l’ho finita non ironicamente ben 9 anni fa. E sapete quante ne ho cominciate e abbandonate in questo lasso di tempo? Troppe. Per questo sono davvero felice!
Che altro dire? Di base le ore di ricerca/studio/fantasticheria hanno superato di gran lunga quelle della stesura; per questo probabilmente, alla fine della fiera, ciò che mi rimarrà tra le mani (prodotto finale a parte, più o meno riuscito) è il bel ricordo di quel modo particolare che questa storia ha avuto di accompagnarmi per due anni tra le mie vicende quotidiane. E del modo in cui, contestualmente, ho imparato un metodo di lavoro serio che sono certa mi sarà utile per tutta la vita.
E come al solito, long live KanaMari!
Grazie di aver letto e buon Natale!
Alex
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Love Live School Idol Project / Vai alla pagina dell'autore: AlessiaDettaAlex