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Autore: ShadeOfCool    14/12/2020    0 recensioni
Mentre suona per ore o per anni la stessa musica, io sono chiusa in questo spazio irreale, con un uomo che amo ma che non conosco. Che suoni per noi ancora un po', ci lasci amarci.
(Si consiglia di leggere la storia da un pc o dispositivo con cui si possano contemporaneamente tenere aperte due finestre).
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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E l’università? Come sta andando? Quanti esami pensi di dare entro marzo? Ma la tua facoltà? È come le altre? Voglio dire: sì, disegnate, pitturate, ma… poi si studia? 

 

Aveva detto l’una o le due? Cavolo, sicuro aveva detto l’una. E ora chi la sente…

 

Alternavo un’appassionata corsa olimpica per far presto, ad una leggiadra ma rapida danza accurata per evitare di cadere sulle mattonelle bagnate della città antica. 

 

Le porte sono tutte uguali e i gradini davanti alle porte anche quelli uguali e i rosoni delle chiese accanto alle porte con i gradini anche quelle tutte uguali, le maledette. Non lo troverò mai il maledettissimo ristorante maledetto. Ah, ecco, trovato.

 

Il posto era molto poco luminoso e anche male illuminato. Dei candelabri fluttuanti erano attaccati alle pareti, uno a circa due metri dall’altro e appena sopra la testa degli invitati, tutti rigorosamente in piedi per brindare agli sposi. 

 

“Lei non entra in chiesa, non è credente. Almeno così dice, ma io lo so che…”, così avrà detto Agnese - urlando per sovrastare la musica - a chiunque chiedesse.

 

Sì, è vero, non sono credente, non lo ero nemmeno prima. Sono fatti miei, non mi va di parlarne. 

Ma quella mattina, ecco, io semplicemente avevo staccato la sveglia e mi ero girata dall’altra parte. E la motivazione etica che avevo fornito all’imprevisto, mi aveva fatto guadagnare il perdono, nonché una certa interessante aura di mistero. 

 

Ma torniamo a noi, a loro… eccoli lì loro, con il vestito bianco e con quello nero… Cioè, lei bianco, lui nero. Sì, insomma, dai, loro. Eccoli.

G l i  s p o s i.

C’è chi nasce proprio per essere bravo a prendere gli applausi. E non importa che faccia l’attore, il giardiniere o il mantenuto, se li sa prendere e basta. Non c’è niente da fare. Ha la testa nella giusta inclinazione, il sorriso né troppo compiaciuto né fintamente umile, e le braccia, e le gambe, tutto al posto giusto. Oh, son bravi: punto. Veri attori.

 

Ma gli invitati Ah! Gli invitati sono un’altra cosa. Sono un pubblico vivo. Con il suo copione scritto senza saperlo, il pubblico è l’attore più bravo, perché è il più realistico. Mettiamo… Se durante il ricevimento una campana gigante cade sulla testa di un cameriere e lo uccide, l’attore sta fermo perché s’aspetta di tutto, e pensa pure di essere bravo - e lasciatemelo dire, non è poi così normale - ma il pubblico… il pubblico corre a vedere cosa è successo! Scatta una foto! Urla di spavento! Insomma, fa cose che si fanno davvero, che si devono fare, e le fa bene. 

 

Ragionevole quindi che, essendo io entrata dall’unica porta da cui potevo entrare e che, essendosi formato davanti a me un corridoio perfettamente diritto, sgombro di invitati, che conduceva direttamente al quadretto perfetto dei nuovi sposi, verso cui tutti erano voltati ad alzare i calici; il mio “porca puttana, scusate il ritardo” abbia fatto loro coreografare una ola perfetta - tifosi di tutto il mondo invidiosissimi - per darmi la giusta attenzione nel momento in cui meno lo desideravo.

 

Ed ecco che la sposa perse l’Oscar. 

 

“Prendi posto, siediti”, mi disse smontando il suo sorriso di cera.

Non avevo intenzione di fare altro. Sedermi. Uscire di scena, recuperare i miei polpacci persi per strada e chiedere in prestito dei polmoni nuovi. 

 

Ma certo che aveva detto all’una… mica si fanno pranzi alle due. O forse sì… boh.”

 

Ora non mi va di stare qua a raccontarvi cosa capita a chi non si presenta ai matrimoni col +1 (consorte, compagno, compagna, marito, moglie, partner di una notte etc. etc.), però lo sapete. Si finisce in quei tavoli con i quarantenni che non hanno trovato il lavoro dei sogni e vivono con i genitori, i gattari con i peli sui pantaloni che non hanno nessuno che dica loro “hey, scrollatina?”, le curiose ziette vedove over-qualsiasi età in cui non si venga invitati per costrizione… e tutta la bella compagnia. 

 

Quando stavo per fare l’occhiolino ad una vecchietta intenta nell’uncinetto: “Bella entrata”, mi fa lui, e mi allunga la sedia.

Subito penso: ha i capelli biondi e lunghi, e mi sembra di vedere solo questo. Barba, occhi, naso, niente. Solo i capelli ricordo. Mi sembra di conoscerlo. Non lo so.

 

Lo zio della sposa, che si diletta nell’arte del DJ-ismo, oltre a fare il dentista in una clinica privata, è tutto intento a scegliere la prossima canzone. Mi cresce nel petto il cinismo e la voglia di incontrare uno sguardo amico per riferire telepaticamente, con una leggerissima chiusura delle palpebre, “la solita musica da matrimoni, eh”. 

E invece inizia Piano man di Billy Joel e scopro di non essere tutta donna di latta ma anche un po’ leoncino piagnucolone.

 

*(CONSIGLIATO VIVAMENTE: DA QUESTO MOMENTO IN POI ASCOLTARE QUESTA: https://www.youtube.com/watch?v=I4NSAaoT7r8)*

 

La vecchia dell’uncinetto si scopre magicamente essere la madre dello sposo - accipicchia, signora, la partecipazione attiva! - e si alza in piedi per andargli incontro e ballare con lui. La segue gran parte del mio allegro tavolo, così io posso mangiare i resti dell’abbuffata, avvenuta esattamente un’ora prima.

 

Lui non si alza. Rimane lì accanto e tira fuori un piccolo blocco note da giornalista. È un giornalista? Perchè voglio saperlo?

 

“Facciamo un gioco.”, credo mi dica. Non sono sicura lo dica a me, perché non mi guarda in faccia mentre lo dice. 

“Ti faccio delle domande e tu puoi rispondermi solo in maniera approssimativa o misteriosa. Lo scopo è scoprire chi sei.”

 

Eccolo, ce l’ho fatta. Mi sembrava che la mia calamita non funzionasse, ma ora sono più tranquilla: per questa sera ho acchiappato il mio mare di problemi fatto di carne, ossa e capelli biondi e lunghi.

 

“Tipo indovina chi.”

“Tipo indovina chi?”

“Sì, tipo indovina chi.”

“Boh, ok.”

 

Mi sento solleticare il dietro delle orecchie, come quando mi sento in imbarazzo perché parlo di sesso con i miei parenti. Incredibile che il mio corpo non voglia stabilire zone diverse di solletico in base al fatto che si parli di “imbarazzo per conversazione sul sesso con i parenti” oppure di “imbarazzo per situazione casuale fuori luogo e indisponente”.

 

“Ti do fastidio?”

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda.

 

“Devo rispondere in maniera approssimativa e misteriosa?”

 

Lui appunta qualcosa sul blocco. Scrive: le piace il sarcasmo.

 

“Lavori o studi?”

“E’ un modo subdolo per chiedere la mia età?”

 

Lui sorride. Forse a lui non piace il sarcasmo.

 

“Lavoro o università?”

“Università.”

 

Lo scrive.

 

“Facoltà?”

Sto per rispondere ma: “No, aspetta. Facciamo così. Di che colore potrebbe essere la tua facoltà?”

 

Ci penso.

 

“Blu. Molto blu, anche scuro. Ma banale.”

“Meno specifica. Banale non è un colore.”

 

Punta la penna ma non lo scrive.

 

“Ti va di ballare?”, dice.

“Ovviamente no.”

“Lo so.”

 

La canzone va avanti da lunghissimi minuti, forse da ore. Quant’è che sono qui? 

 

“Vuoi qualcosa all’uncinetto? La signora ci va giù pesante. Forse aveva dimenticato di comprare il regalo agli sposi e ora ci sta dando dentro con lo sferruzzamento, cavolo. Per sera puoi farti fare un cappottino nuovo.”

 

È volgare. Mi fa ridere.

 

Lui scrive sul blocco: ha un bel sorriso. 

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele. 

 

“Mi sembra di conoscerti”, dice. E questo mi spaventa.

“Lo stavo pensando anch’io.”

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele e lo faccio. La sua pelle mi fa venire voglia di piangere.

 

“Ci conosciamo.”

“Deve essere per forza così.”

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele e lo faccio. La sua pelle mi fa venire voglia di piangere. Ora si sente anche il suo profumo, che è quello di tutti gli uomini a cui non ho mai toccato le dita.

 

“Ora voglio ballare” dico, con poco fiato. Ma lui mi sente.

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele e lo faccio. La sua pelle mi fa venire voglia di piangere. Ora si sente anche il suo profumo, che è quello di tutti gli uomini a cui non ho mai toccato le dita. Quando muoviamo il primo passo in pista iniziamo a sollevarci da terra e i nostri corpi non hanno più peso.

 

“Perchè non parli più?”, gli chiedo. Ma non parla più.

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele e lo faccio. La sua pelle mi fa venire voglia di piangere. Ora si sente anche il suo profumo, che è quello di tutti gli uomini a cui non ho mai toccato le dita. Quando muoviamo il primo passo in pista iniziamo a sollevarci da terra e i nostri corpi non hanno più peso.

Non solo ci conosciamo, ma da qualche parte, in qualche tempo, ci siamo amati.

 

“Baciami, baciami un poco ma bene, perché devo andare.”

“Dove devi andare?”, piango.

 

Ha i capelli biondi e lunghi, forse anche la barba è bionda. Le sue dita sono lunghe e sottili. Voglio toccargliele e lo faccio. La sua pelle mi fa venire voglia di piangere. Ora si sente anche il suo profumo, che è quello di tutti gli uomini a cui non ho mai toccato le dita. Abbiamo mosso il primo passo in pista e abbiamo iniziato a sollevarci da terra e i nostri corpi hanno perso il loro peso.

Non solo ci conosciamo, ma da qualche parte, in qualche tempo, ci siamo amati. La musica neanche si sente più, gli invitati scomparsi, gli sposi al diavolo. Ci siamo solo noi, a mezz’aria. Allora perché proprio adesso dobbiamo finire?

 

“Ma perché deve essere così difficile?”

“Balla, balla, non ci pensare, balla e stringimi, sta per finire.”

 

Ha i capelli biondi e lunghi e poi non ricordo più. Perché non me lo ricordo? Era qualcosa sulla sua pelle e poi? Dov’è andato? Ma noi ci amavamo. Dov’è andato? E perché sono a letto? Certo dev’essere il suo letto. Certo che sì, deve esserlo. Devo solo aprire le finestre e fare entrare un po’ di luce. È sicuramente il suo letto. Profuma di lui.

 

Ma non lo è. 

È solo il mio.

E ci sono solo io.

   
 
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