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Autore: Sia_    14/12/2020    5 recensioni
“Ehm.”
“Potrei riempirci intere celle con tutti i tuoi ehm qui e ehm là.”
“Ci metteresti un’infinità di tempo, non essere sciocco.”
Alastor sorrise, “Abbiamo tempo.”
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alastor Moody, Dolores Umbridge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A LadyPalma, perché è diventata tantissimo in così poco.
Ti voglio bene.

 

(Non) Abbiamo tempo

 

Dolores, a detta dei pochi che davvero la conoscevano bene, aveva la strana mania di camminare come se tutto le fosse dovuto: a passo spedito e accigliata, quando entrava in una stanza ne diventava la regina e nessuno, complice il suo portamento, aveva l’ardire di torglierle il trono. 

Se l’ero conquistato, tutto quel potere. 

Non era sempre stata così, no, la sua infanzia e la sua adolescenza erano costellate di paure senza fine: a quindici anni non si sarebbe mai azzardata a camminare con la stessa audacia, non se ad inseguirla c’erano le voci dei suoi compagni di scuola che le dicevano quando inadeguata in realtà fosse. Brutta, antipatica, pareva un rospo. 

Rospo, rospo, rospo erano i sussurri che continuavano ad aleggiare per i corridoi al suo arrivo. 

E se ora, i pochi che la conoscevano bene, la descrivevano per la sua forza di spirito, era solo perché quei pochi l’avevano conosciuta da una certa età in poi e della sua anima, in fin dei conti, ne sapevano proprio poco. Credevano di aver scrutato ogni sfumatura di quel completo rosa confetto, di aver contato ogni singolo gatto appeso alla parete e che quello fosse abbastanza per essere esperti in materia. 

Dolores era molto di più: certamente prendeva il tè ogni giorno alla stessa ora, con lo stesso quantitativo di zucchero e con la stessa espressione soddisfatta, ma nessuno sapeva che era un’abitudine, un atteggiamento fotocopiato dalla madre, che aveva scelto di abbandonare tanti anni prima e di cui non le rimaneva altro che il ricordo di una donna mediocre che, a differenza sua, non aveva mai raggiunto niente. Niente, proprio niente: neanche un marito le era rimasto, era semplicemente scivolata via dall’esistenza senza farsi mai più sentire. 

Un lavoro e una posizione rispettabile Dolores li aveva raggiunti da sola: se li era guadagnati con i denti e con le unghie, trasformando quei sussurri in silenzi. 

 

Solo uno non smetteva di parlare. 

Riempiva i vuoti di taglienti frecciatine. 

Infastidiva i suoi sogni di grandezza con sentimenti senza senso. 

 

Era lui l’unico che poteva dire di conoscerla, non del tutto, nessuno sarebbe mai stato in grado di farlo, ma Malocchio era stato il primo ad avvicinarsi così tanto all’essenza del suo cuore. S’era preso tanti di quei permessi che Dolores era arrivata ad odiarlo, così come l’aveva amato.
L’aveva odiato per la sua irriverenza, che uguagliava quella della Umbridge nella stessa vomitevole maniera. 

L’aveva odiato per la franchezza, che spesso lei stessa aveva usato come arma per difendersi. E nonostante tutti i tagli che s’erano fatti, tornavano sempre a baciarsi con desiderio, come se fossero due lati di una stessa moneta. S’appartenevano, ma erano allo stesso tempo così diversi: Dolores si comportava in un certo modo per l’odio che provava per il mondo, Alastor era quello che era perché di odio ne aveva visto fin troppo. Pensava che magari, se c’avesse provato abbastanza, sarebbe stato in grado di salvarla dall’oblio che altri le avevano dipinto addosso. Non poteva salvarla però, non quando l’odio lei glielo vomitava addosso e nascondeva i veri sentimenti sotto strati di vestiti rosati. 

Bambolina” la chiamava e lei l’odiava, “Vieni qui.” le diceva e lei s’allontanava: non si sarebbe piegata per nessuno. Così era Alastor che andava, di tanto in tanto, per dimostrarle che valeva la pena fare qualche passo. E lì danzavano, c’erano sere in cui persino avevano riso. Sere in cui davvero s’erano amati. 

Mettevano da parte le cose brutte e Dolores, nelle sue braccia, brutta non si sentiva più.

 

Ehm.”

“Potrei riempirci intere celle con tutti i tuoi ehm qui e ehm là.”

“Ci metteresti un’infinità di tempo, non essere sciocco.”

Alastor sorrise, “Abbiamo tempo.”

 

E di tempo Alastor ne aveva davvero tra un inseguimento e l’altro: rischiava la vita ogni giorno, ma aveva tempo.

Dolores odiava che lui trovasse il tempo, perché lei non lo concedeva a sé stessa, figurarsi trovarlo per qualcun’altro. Il tempo era lavoro e il lavoro era potere. 

Un lavoro e una posizione rispettabile Dolores li aveva raggiunti da sola: Alastor era stato un imprevisto, un qualcosa in più che l’aveva rallentata. E l’odiava, perché le imponeva di scegliere, la faceva assomigliare a sua madre: tutta quell’incertezza l’aveva detestata in passato e non la sopportava adesso. Odiava essere come sua madre, per quanto implicitamente molti suoi comportamenti provenissero proprio da quella sua parte babbana.

 

“Tempo?” chiese, “Non ho tempo per te.” 

C’era odio nella sua voce. 

No?” 

 

Lo odiava, perché lo amava. 

Lo odiava, perché non si sentiva brutta

Lo odiava, perché Alastor le aveva mostrato l’altra parte del mondo. 

Lo odiava, perché nell’altra parte del mondo lei non riusciva a camminare con la stessa sicurezza. Lei, nell’altra parte del mondo, tornava ad essere senza scudi come a quindici anni. 

Lo amava. 

Lo amava tanto da farsi male. 

Lo odiava, perché lo amava tanto da farsi male: non ne aveva il tempo.

 

No.”

 

Non so cosa sia questa storia: è un becero tentativo di fare un regalo ad una persona a cui voglio un mondo di bene. Sono incredibili le magie che un rapporto può fare: sto scrivendo di Dolores e di Alastor, una coppia che ho imparato ad amare così tanto e che mi ghiaccia il cuore. Volevo che, per una volta, Martina potesse leggerli come facciamo noi quando pubblica una storia; non posso essere lei, solo lei li rende alla perfezione: andate qui se volete una Dolores/Alastor con i fiocchi. 
La mia è una copia, una pennellata del dipinto che tiene nella sua casa: è così grezza che ti chiedo scusa, se li ho rovinati. Smetto di blaterare: ti voglio bene, voglio che tu lo sappia. E ti voglio bene per quello che sei, per la tua forza e la tua bravura e il tuo modo leggero di essermi amica. 
Spero di averti fatto sorridere e che questa storia sia piaciuta anche a chi è arrivato fin qui, 
Sia 

 
   
 
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