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Autore: _Lightning_    15/12/2020    4 recensioni
Il beskar protegge da tutto ciò che viene scagliato a tutta forza contro un Mandaloriano; lascia lividi e contusioni, ma preserva la vita e permette di vedere un’altra battaglia. Sono i colpi subdoli, le lame nascoste che possono insinuarsi tra gli interstizi dell’armatura, ad essere pericolose, a colpire fulminee e recidere arterie, fiaccando il corpo.
[The Mandalorian S2x14 // Angst // Missing Moment // implied!CaraDin // Maritombola 11 - Prompt 18: Senso di colpa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Yoda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
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Contesto: S2X06 – La Tragedia
Genere: introspettivo, angst
Personaggi: Din Djarin, Cara Dune, il Bambino (menzionato)
Avvertimenti: One-shot, missing moment, implied!CaraDin
Evento: [Partecipa alla Maritombola 11 indetta da Lande di Fandom – Prompt n°18: senso di colpa – SFW]




Il mondo nel suo casco sta implodendo ed esplodendo al contempo.

Centimetro dopo centimetro, si ammassa al centro della sua testa e cresce, premendogli contro il cranio, rendendo il beskar una prigione inespugnabile. 
Non è mai stato quello, per lui. È sempre stato il suo rifugio, il suo porto sicuro schermato dal blu e dal rosso del visore, la sua personale barriera di sicurezza. Lo protegge, e protegge gli altri grazie a ciò che gli permette di sopportare.

Adesso lo sente cedere, tendersi sotto la pressione, ricoprirsi di crepe impossibili. Vorrebbe allargarne una per farla diminuire, un solo spiraglio per permettere al proprio cervello di respirare. Si rimprovera per quel pensiero lontano dalla Via, dall’unica strada che gli ha sempre permesso di mettere un piede davanti all’altro senza sentirsi schiacciare da quel mondo che adesso gli si accumula in testa.

Dov’è adesso, la Via? Se guarda in basso, vede solo i propri piedi posati sul terreno roccioso di Tython, troppo lenti mentre arrancano tra sterpaglie e sassi. Nessuna Via a guidarli, solo quell’unico filo teso tra lui stesso e l’ennesimo pezzo di sé che gli viene strappato via.


Il mondo implode ed esplode, come quel giorno lontano in uno scantinato buio, e vorrebbe di nuovo accucciarsi a terra e aspettare una mano tesa che lo aiuti ad uscirne – ma sa che stavolta non arriverà.

«Come sarebbe a dire, hanno il piccolo?»

Quelle parole perforano il caos turbinante di pensieri che ruotano attorno all’occhio del ciclone nella sua testa. Hanno il piccolo. Hanno Grogu, hanno suo figlio. Nessun pensiero riesce a sfuggire a quel vortice, e deve combattere la corrente per non lasciarsene risucchiare del tutto.

«Non sono arrivato in tempo,» risponde in automatico, la voce che riesce ad essere ancora impassibile, ma che varca a malapena la soglia di un sussurro roco.

Suona solo stanco, forse, stanco come le decine di ore di sonno perso annidate dietro ai suoi occhi. Ha provato a dormire, ma gli incubi che hanno attanagliato i suoi sogni sono bastati a farlo desistere dopo il primo tentativo. Non sa come si regga ancora in piedi, sa solo che non può crollare adesso.

Registra come al rallentatore Cara che si alza in piedi all’istante, più imponente di quanto l’abbia mai vista, l’ira che le ribolle negli occhi pronta a riversarsi al di fuori in torrenti furiosi, contro quell’ombra maligna che perseguita entrambi da quando hanno memoria, e continua a rubare e uccidere, e distruggere e rubare alle loro vite, un frammento alla volta.

«Non importa come sia successo. Dobbiamo muoverci; posso rintracciare Mayfeld dalla Crest e...»

Il suo cuore echeggia a vuoto, in un battito perso.

«La Crest non c’è più.»

È in quell’istante ridicolo, che la sua voce si rompe, gli si sgretola come cenere sotto la lingua. Il suo mondo continua a implodere attorno al volto atterrito del Bambino, che lo guarda come se lui potesse salvarlo semplicemente tendendo una mano – e la sua voce si rompe e spacca nel parlare di un ammasso inerte di ferraglia, a tradimento.

Ripensa agli insegnamenti della Tribù – quell’altra parte di sé inghiottita da tempo dal vortice – e vi trova una verità che non avrebbe mai voluto confermare: il beskar protegge da tutto ciò che viene scagliato a tutta forza contro un Mandaloriano; lascia lividi e contusioni, ma preserva la vita e permette di vedere un’altra battaglia. Sono i colpi subdoli, le lame nascoste che possono insinuarsi tra gli interstizi dell’armatura, ad essere pericolose, a colpire fulminee e recidere arterie, fiaccando il corpo.

Il Bambino è il colpo di blaster a bruciapelo al quale è sopravvissuto. Intontito, scombussolato, con troppe ossa rotte e il respiro mozzo, ma comunque in grado di arrancare e reagire, perché ha sempre saputo che avrebbero tentato di portarglielo via. Ha sempre saputo, in fondo alla sua anima, che avrebbe dovuto prepararsi, anche se nessun insegnamento e nessuna forza di volontà avrebbero mai potuto renderlo in grado di sopportare quella perdita. Quel senso di colpa che gli frattura il beskar.

La Crest, invece, è la stilettata tra le costole che non aveva previsto, che gonfia martellante il flusso di dolore, rendendolo più copioso e acuendolo attraverso ogni nervo.

Ha perso famiglia, figlio e casa. Gli è rimasto solo quel metallo inerte ostinatamente attaccato alla pelle, che non gli riporterà indietro nulla di tutto ciò. Gli è rimasta una pallina di ferro incastrata nel petto.

Ha appena pronunciato quelle parole, che vede lo sgomento allargarsi sul volto di Cara, unito a un qualcosa che fa divampare una fitta d’umiliazione sul suo volto. Non vuole la sua pietà, non vuole parole di conforto vuote. Vuole fare irruzione su quell’incrociatore imperiale, riprendersi Grogu e squartare vivo Gideon da capo a piedi con la lancia in beskar, per poi guardarlo soffocare nel suo stesso sangue. 

Sente le vene incendiarsi al solo pensiero, riempiendolo di un furore antico, riverberante di canti di battaglia, vendette compiute e nemici annichiliti per aver osato sfiorare la famiglia di un Mandaloriano. È un richiamo potente, quello che gli risuona nelle orecchie, e sa che vi darà ascolto nel momento in cui sarà di fronte a Gideon – sa che potrebbe disseppellire una parte di se stesso che forse non ha mai visto la luce, ed è pronto a farlo con le proprie mani.

E al contempo vuole lasciar defluire via la rabbia, l’impotenza. e accogliere quella comprensione da parte di chi ha già perso tutto, ed è altrettanto disposto a tutto per evitare che accada ancora. Vorrebbe un singolo spiraglio d’aria nel suo mondo al collasso; per riprendere fiato, per alleviare la pressione all’interno del suo elmo e riconquistare il controllo dei propri pensieri.

Si ritrova a scuotere la testa, sentendola troppo pesante. Cara si accosta a lui e gli serra le mani sui gomiti in una stretta ferrea, quasi a infondergli una parte di sé – quella ancora ben piantata a terra, sul proprio pianeta, nonostante non esista più. Lo fissa negli occhi, trovandoli oltre il visore con una facilità disarmante.

E non pronuncia parole di conforto vuote, prive di vero significato: lascia che siano il silenzio e la vicinanza, a parlare al posto suo. Assieme allo sguardo bruciante di chi è altrettanto disposto a sporcarsi le mani e l’anima, pur di fare giustizia.

Din la fissa, e incamera un respiro che gli trema nei polmoni e rischia di fargli traboccare gli occhi umidi, non sa nemmeno da quanto. Ricaccia indietro le lacrime, delle estranee che non ha intenzione di accogliere finché potrà fare qualcosa. Il pianto è vessillo di rassegnazione, e lui non si sente ancora sconfitto, né rassegnato. Al contrario: si sente pronto a una guerra.

Grogu lo guarda, lo chiama dal centro della sua mente come se fosse rimasto incastonato lì, oltre che sotto al beskar, nel punto in cui ha conservato la pallina. Lo aspetta e sa di non essere solo, in quell’universo, sa che lui arriverà a salvarlo con la cieca convinzione con cui ogni figlio guarda i propri genitori, convinto che possano smuovere stelle e pianeti per loro. E nonostante siano separati da migliaia di anni luce, Din avverte quel filo sottile annodato attorno al cuore, che lo tira lieve ma insistente in un’unica direzione.

Ricambia la stretta di Cara e si àncora alle sue braccia, ritrovando la terra sotto ai piedi – la Via, forse. O forse qualcosa di ancor più ancestrale e profondo, che guida i passi di chiunque si sia trovato a camminare accanto a qualcun altro in quella Galassia.

Stringe con più forza Cara, quasi con disperazione. La sente lì, salda di fronte a lui, accanto a lui. E sente Grogu nella pallina che gli preme nel costato, quasi a volergli entrare nel petto. Riesce a percepire quell’anelito comune di speranza e la feroce, inarrestabile determinazione che si riversa nei flutti invisibili dell’universo.

Mhi solus tome, mhi solus dar’tome. Nessuno di loro è perduto, non ancora – né lo sarà mai.

E quello è l’unico pensiero che conta, prima della battaglia.

 





 



Note dell’Autrice:

Dovevo riequilibrare il fluff, ve l’avevo detto!
Giusto una robina nata di getto la scorsa settimana che ho ultimato ora, anche in luce degli ultimi sviluppi. Come abbiamo visto, Din era disposto veramente a tutto, per Grogu, e ho voluto accentuare come la sua sia stata una decisione conscia, anche se dettata dalla pura disperazione di un padre che rivuole il proprio figlio.

E niente, sappiate che Mhi solus tome, mhi solus dar’tome è una parte del voto matrimoniale mandaloriano, e vuol dire appunto "siamo una cosa sola insieme, siamo una cosa sola separati". Interpretate a vostra discrezione :P

La prossima flash è una massa d’angst coi controfiocchi, siete avvertiti.
Grazie a chi leggerà e/o vorrà lasciare un commento ♥

-Light-

   
 
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