Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Spica6277    18/12/2020    1 recensioni
Un assurdo flusso di coscienza, niente di più.
--
Bella solo di notte perché è nel buio che senti i sensi acuirsi, aspetti che il sole cali per ballare scalza sotto la luna, la ghiaia che scricchiola sotto i piedi e i capelli sciolti che si arrotolano nella luce lattea, la tua pelle di porcellana sembra più liscia, nelle mezze ombre nascondi le occhiaie di chi è insonne per i troppi pensieri in cui anneghi appena lasci che la mente vaghi sbrigliata dalla routine che ti tiene solitamente impegnata [...]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Notte


Bella solo di notte perché è nel buio che senti i sensi acuirsi, aspetti che il sole cali per ballare scalza sotto la luna, la ghiaia che scricchiola sotto i piedi e i capelli sciolti che si arrotolano nella luce lattea, la tua pelle di porcellana sembra più liscia, nelle mezze ombre nascondi le occhiaie di chi è insonne per i troppi pensieri in cui anneghi appena lasci che la mente vaghi sbrigliata dalla routine che ti tiene solitamente impegnata, le gambe lunghe e affusolate che tanto odi e ami al contempo, le braccia che si muovono libere, le dita in posizione da ballerina ed un sorriso estatico, gli occhi chiusi, le ciglia lunghe e truccate, sei come la fiamma di una candela che si sta spegnendo sopraffatta dagli eventi, tremoli al vento sottile ma freddo, una leggera pelle d’oca, sensazione di seta contro i vestiti come sulle lenzuola, il respiro affannoso e quell’espressione da angelo a cui sono state strappate le ali a forza di lacrime e pugnalate, soffochi sotto la pressione delle tue consapevolezze che non riesci ad abbattere, così istintiva eppure contenuta, elegante, delicata ma sensuale, con quel tocco di amarezza che fa sottintendere quanto tu sia cresciuta in fretta, fra braccia fredde, silenzio e solitudine, i muri bianchi quanto la pelle sui tuoi polsi, il davanzale di marmo freddo sotto le tue cosce, i piedi a penzoloni sull’asfalto, una canzone a fior di labbra e un’innocenza strappata dalla troppa curiosità, la ricerca di certezze che ami crearti per poterle sgretolare, assorbita da convinzioni che hai abbattuto nel tentativo di darti una libertà o una parvenza di indipendenza, forse una fuga da te stessa, un distacco da quello che sei stata e che sai di non poter raggiungere nuovamente, sfiori i tuoi ricordi attraverso fogli di carta che colano di grafite mista ad inchiostro, quello che hai perso sulla tua pelle e si è assorbito o è fuggito nello scarico di un lavandino, quando tu stessa eri la tua tela e il mondo poteva vedere senza capire, quando non riuscivi a contenere i pensieri, o forse la tensione, quando la noia aveva il sopravvento, occhi socchiusi, ti mordevi un labbro, il sapore dolce del sangue a cui non ti sei mai abituata ma che cerchi quando puoi, le pellicine strappate troppo in fondo e la carne che spuntava al limite delle cuticole, il rosso che spillava, il dolore, la promessa di non farlo più e il tuo talento nel mentire a te stessa e agli altri, la voglia di lasciarti affondare e la decisione di recuperare i tuoi stessi resti macilenti dai sacchi neri delle immondizie, un sorriso spento, uno sguardo che luccica negli occhi umidi nascosti dalle palpebre chiuse, non vuoi ammetterlo ma hai paura di lasciarti andare e non sai il motivo, o questo è quello che ti ripeti per giustificarti mentre cerchi di scappare dai limiti che ti autoimponi, le insicurezze ingiustificate, le spiegazioni autocensurate, esplori la tua stessa mente ma ti limiti alla superficie, la gratti con le unghie che non riesci più a far crescere, o forse non vuoi, è come scuotere la testa e sentire la confusione all’interno che rimbalza fra le pareti del cranio, una parete appena imbiancata e la traccia bavosa di una penna blu che si nasconde dietro lo strato di pittura fresco, le tue mani di bambina già affusolate, il tappo sul pavimento e una voce invisibile che ti giuda, non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima, l’unica costante è l’incapacità di dare spiegazioni e i ricordi che si sfumano, la gamba del tavolino segnata da tacche irregolari, la lama arrugginita dal tempo della forbicina che passa come burro sul compensato, il pane caldo da mangiare in salotto la domenica mattina e l’entusiasmo nel trasgredire alle piccole regole quotidiane, ti arrampichi su un mobile e sfogli un libro che non avresti dovuto trovare senza davvero capirne il senso, non conosci ancora il mondo che descrive, il rosso e il nero e il grigio e le sfumature e la scritta bianca, spicca contro i colori più accesi, la polvere che si accumula in un sottile strato, la coperta che sfiora il pavimento mentre ti raggomitoli trattenendo il fiato, l’incredulità e lo spavento di aver oltrepassato qualche barriera fra sogno e realtà, una lucina azzurra che si spegne al minimo rumore nel corridoio, cominci a vivere nell’invisibilità del buio in cui coccoli le domande più sbagliate, le risposte che solo più tardi ti saprai dare e nascondere nella penombra di una finestra aperta da cui entra solo uno sbuffo di brezza autunnale, il calore dei respiri che si fondono ogni volta come la prima, le pagine sfiorate e l’acre odore di anni e carta ingiallita su scaffali in bilico, una parete di legno sottile sull’orlo delle scale, la luce dorata del piano di sotto e i tuoi passi nascosti dalla voce di una donna con un volto preso in prestito, l’azzurro del fanale che punta contro il bianco dell’arco intorno alla statuetta di una madonna scalza, come te, che cammini in punta di piedi lungo i corridoi rivestiti di parquet o linoleum, una maniglia che schiocca, una che sospira e una che cigola, le stanze che racchiudono le tue notti confuse, più o meno spazio in cui allungare il tuo corpo cresciuto a ritmo irregolare come i battiti di un cuore che ormai è stanco di pulsare e chiede solo un minuto di riposo, uno solo, in cui lasciare da parte ogni responsabilità che ti sei presa e non sai mantenere, intrecci delle piccole ciocche così che il tempo possa scioglierle assieme ai rimorsi di un passato che tanto vale lasciarsi alle spalle, perché è solo quando il petto di qualcun altro si alza ed abbassa che ti senti davvero viva, hai rinunciato alla pretesa di essere libera e ti graffi nervosamente la clavicola sinistra, le labbra morbide di un ricordo che sfioravano le tue ferite infettandole nuovamente, un ringraziamento deglutito senza mormorare una risposta, buffo come un anno sembri allo stesso tempo così vicino e così lontano, appannato dal fumo di una sigaretta nascosta fra le pieghe di un muretto nella speranza di tornare dove canti senza timore di essere sentita, ascoltando il grido di dolore registrato di chi ha avuto il coraggio – o forse la follia – di andare oltre i confini che tu invece hai deciso di delineare per proteggerti dal tuo autocontrollo friabile solo quando ti fa comodo, lo schifo che si riversa in cotonelle e struccante e riemerge ogni aspetto di te che vuoi negare, quello che lasci scorrere lungo quelle dita che tutti continuano a definire da pianista ma che sono solo pallidi fantasmi illuminati da uno schermo, non ti arrendi al buonsenso e alla stanchezza finché non riesci più ad opporre resistenza, rime confuse e che non apprezzi davvero di sottofondo, un pensiero fisso nella mente e la consapevolezza di non somigliare a te stessa mentre scappi da quelli che scambi per incubi.

Dove sei finita?

Forse sei ancora in quella casa troppo fredda e rotoli fra giocattoli invecchiati di nascosto, forse ti accucci nei fiocchi di pelo di gatto disseminati per il pavimento, forse sei in un cuore che hai spezzato e che lotta per pulsare trascinandosi di giorno in giorno. L’unica cosa certa è che la tua mente non segue il tuo corpo che, ricco delle sue imperfezioni, rotola lontano dalla tua coscienza su un divano sfondato, un campo di sterpaglie, una strada asfaltata sbriciolata di buche, un letto troppo piccolo, perfezionando l’unica cosa che ti rimane da offrire ad un mondo per cui non hai più nulla, nel limite delle tue possibilità hai sempre cercato di rubarti da sola le prime esperienze così da non sorprenderti al momento sbagliato, ammettilo, e non ti resta che la cosa più effimera che svanirà a sua volta in un battito di ciglia, in un sospiro rubato chiedendo il permesso, offri il collo al boia e ai baci e ai morsi e aspetti la tua fine. Una sola buona notte e sei cenere dimenticata sparsa al vento. Musica e silenzio.

Cadi…



Settembre 2017

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Spica6277