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Autore: Haruma    18/12/2020    2 recensioni
Era da circa un’oretta che Peeta stava vaneggiando dopo aver bevuto quasi un’intera bottiglia della sua preziosa scorta di liquore bianco, eppure non era ancora riuscito a capire il perché quel pomeriggio si era presentato senza alcun preavviso a casa sua.
[Qualche anno dopo il ritorno di Peeta al Distretto 12 || 7.175 parole]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Delly, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tra pezzetti di pane galleggianti'
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White liquor for the toasting


Haymitch

«Comunque questa cosa ha un sapore disgustoso, Haymitch» biascicò il ragazzo biondo aggiustandosi la protesi della gamba sinistra per stendersi sul divano mezzo sfasciato del suo mentore.
L’uomo accasciato sulla sua fidata poltrona lo fissò divertito.
Era da circa un’oretta che Peeta stava vaneggiando dopo aver bevuto quasi un’intera bottiglia della sua preziosa scorta di liquore bianco, eppure non era ancora riuscito a capire il perché quel pomeriggio si era presentato senza alcun preavviso a casa sua. Non che a Haymitch dispiacesse visto il cesto colmo di muffin ancora fumanti e focaccine di ogni tipo poggiato sul tavolo della cucina che faceva compagnia alla montagna di posate e piatti sporchi, ma era curioso.
«Guarda che l’alcool si offende, ha un cuore, sai?» gli rispose dopo aver preso un sorso dalla fiaschetta. «Allora me lo dici o no?» domandò per l’ennesima volta.
«E poi puzza» Peeta studiò con attenzione il bicchiere che aveva tra le mani. «E brucia un casino. Ma come fai a…» si  fermò per trovare il termine adatto da utilizzare «a sopportarlo nello stomaco?» sbuffò infine.
Haymitch si spostò una ciocca di capelli dagli occhi e cercò di non ridergli in faccia.
«Sei consapevole del fatto che oltre a lamentarti di quanto faccia schifo il mio liquore te lo stai contemporaneamente scolando tutto, sì?» lo rimbeccò ghignando. «E poi non eri quello che rifiutava ogni mia gentilissima proposta con “No, Haymitch, non mi posso permettere di essere pazzo e ubriaco”?» continuò a stuzzicarlo, tentando senza successo di imitare la sua voce dandole un tono tormentato e  patetico.
A volte il ragazzo gli dava l’impressione di aver ripreso lo stesso atteggiamento che aveva assunto nel periodo successivo all’annuncio della terza Edizione della Memoria. C’era una piccola variante però: faceva da allenatore spietato ed esigente solo ed esclusivamente a se stesso. Chissà se si godeva davvero a pieno la sua giovinezza concedendosi il lusso di non stare a preoccuparsi costantemente di quello che la parte corrotta della sua mente gli faceva vedere…
Con l’arrivo di Peeta al Distretto 12, si era ripromesso e gli aveva promesso di essere presente nella sua vita e in quella di Katniss ma solo in quel momento si domandò se avesse fallito o meno.
Avevano quasi ventisei anni ciascuno, era passato parecchio tempo eppure, vedendo Peeta in quello stato, si chiese se li avesse tenuti d’occhio sul serio o se quei due fossero cresciuti solo anagraficamente, senza dare alcuna svolta decisiva alle loro vite.
Stavano insieme almeno, quello lo aveva capito da un bel po’ ormai.
Dolcezza poteva fare la finta tonta quanto voleva ma era una bugiarda terribile – ancora non riusciva a comprendere come avessero fatto i capitolini a crederle guardandola nei suoi primi Hunger Games benché, doveva  ammetterlo, in alcuni punti lo aveva stupito – e Haymitch in qualche modo era sempre riuscito a decifrare i suoi pensieri. Il ragazzo invece si era rivelato parecchio enigmatico: era come suo solito gentile e buono, sarcastico e spiritoso, cucinava, dipingeva, stringeva o graffiava la sedia se un flashback lo colpiva, ma mai una volta si era tradito dicendo qualche parola di troppo o sembrando eccessivamente felice.
In effetti, sì, era stata Katniss a svelargli di loro due. Inconsciamente. Che principiante.
Una mattina, mentre facevano colazione tutti e tre e mentre Sae girava attorno ai fornelli come una matta e di tanto in tanto urlava minacce a quell’orribile bestia chiamata Ranuncolo, proprio Katniss, le cui caratteristiche principali erano essere acida e fredda, intrecciò senza la minima esitazione le proprie dita con quelle di Peeta iniziando a carezzargli lentamente la cicatrice che aveva sul dorso della mano e si avvicinò di qualche centimetro, sfiorandogli il braccio con la spalla.
Era ben consapevole del fatto che fossero strani nel loro modo di approcciarsi l’uno all’altra ma quel gesto lo meravigliò lo stesso, gli sembrò troppo intimo, pure per due che, da quando avevano diciassette anni, dormivano nello stesso letto appena ne avevano l’opportunità.
Quel giorno decise stranamente di non punzecchiarli e cercò in ogni maniera di trattenere i sorrisetti che la visione di entrambi, così tanto presi da se stessi da essere addirittura incuranti del loro mentore che li osservava, gli procurava. Era contento per i suoi ragazzi. Finalmente avevano accettato i propri sentimenti, specialmente Katniss, ed erano liberi da qualsiasi imposizione che li voleva insieme ma nel modo sbagliato.
Eppure… Stanno vivendo a pieno?, pensò posando lo sguardo sul figlio del fornaio che in quel preciso istante parlò facendolo quasi sussultare.
«E fa così tanto caldo» mugugnò, il viso immerso nel cuscino.
Haymitch rise sferzante nonostante cominciasse a preoccuparsi, «si può sapere allora perché sei venuto a bere?» continuò a ridere più forte non appena vide spuntare da sopra il cuscino il cipiglio contrariato del biondo. Anche i suoi capelli erano un totale disastro, aveva perso il conto di quante volte ci aveva passato nervosamente le mani da quando aveva varcato la soglia della sua abitazione. Più di una volta aveva avuto l’impressione che volesse strapparseli.
«Thom mi ha detto che l’alcool stordisce e allora ho deciso di provare. Ma non mi piace la sensazione e non è vero che non mi fa pensare. Mi ha mentito» disse frettolosamente nascondendo di nuovo la faccia nel guanciale.
«Lo reggi meglio del previsto – in effetti sei solo logorroico, ma reattivo» ghignò l’uomo facendogli l’occhiolino mezzo orgoglioso, dopodiché restarono senza spiccicare parola per un tempo che a Haymitch parve abbastanza lungo.
Per un momento aveva creduto che il ragazzo del pane, spaventosamente immobile e disteso sul divano come un morto in una bara, si fosse addormentato. Aveva pensato di imitarlo e schiacciare un pisolino, ma dopo circa dieci minuti – non ne era sicuro, anche se gli erano davvero sembrati dieci minuti –, le oche che allevava e teneva sul retro della casa avevano iniziato a schiamazzare selvaggiamente facendolo sobbalzare. Dovevano aver visto qualche animale aggirarsi da quelle parti oppure quel felino maligno, abominio della natura e fracassatore di intere bottiglie di liquore che Katniss continuava cocciutamente a nutrire nonostante lo detestassero tutti eccetto Peeta.
Scosse la testa come a scacciare la sonnolenza e diede una rapida occhiata alla finestra alle sue spalle rendendosi così conto che era passato effettivamente parecchio da quando lui e il ragazzo avevano parlato.
Quanto aveva dormito?
«Sta già per calare il sole?» sussurrò mezzo intontito.
Sentì un piccolo fruscio provenire dal divano e, percependo uno sguardo insistente su di sé, girò il capo trovando gli occhi azzurri del giovane fissarlo seriamente.
C’era un che di tormentato nella sua espressione, ma non allo stesso modo di quando non riusciva a ricordare qualche particolare a causa del depistaggio.
«Vuole tostare il pane con me, Haymitch» proferì in un soffio Peeta, i riccioli dorati che gli cadevano sulla fronte, illuminati dalla fioca luce dei primi raggi del tramonto, sembravano stessero prendendo fuoco.
Il mentore ripose lentamente la sua fiaschetta sul tavolino cercando di assimilare meglio la frase che aveva sentito. Poteva giurare di aver visto per un attimo il labbro inferiore di Peeta fremere seppur impercettibilmente; era come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.
Haymitch si schiarì la gola e si sporse verso di lui, «e allora sei venuto a ubriacarti» disse cauto osservandolo attentamente.
«Sono solo brillo» borbottò il biondo incrociando le braccia al petto per niente intenzionato ad aggiungere  altro.
L’uomo poggiò tutto il peso delle spalle allo schienale della poltrona e fece un lungo sospiro. Le cose erano più complicate di come aveva previsto.
Gli propose di giocare a scacchi tanto per allentare la tensione venutasi a creare e provò a tenere a freno la lingua; non voleva di certo litigare con lui, non quando presumeva la sua situazione mentale non fosse delle più stabili.
Eppure chissà perché quel pomeriggio Peeta gli stava mangiando quasi tutti i pezzi dalla scacchiera, nemmeno stesse affrontando un novellino. Che l’alcool avesse un effetto rigenerante su di lui?
Piccolo bastardo, alzò gli occhi quando il ragazzo gli fece scacco matto per la prima volta dopo mesi. Gli bastò quella veloce occhiata per capire che Peeta stava per parlare e gli bastò un attimo per capire dove sarebbe andato a parare di lì a poco.
«Io non voglio che si leghi per la vita a un pazzo» sussurrò a denti stretti. Ecco, appunto.
Haymitch si bloccò di colpo, strinse il cavallo bianco tra le dita. «Quindi non vuoi sposarla» constatò atono posizionando poi una pedina sul proprio quadrato.
«No» chiosò tenendo il capo basso e passando lentamente il pollice sulla cicatrice del dorso della mano. «Sì che voglio invece!» sbottò dopo qualche secondo calciando un piede del tavolino facendo traballare la fiaschetta del mentore. «Ma no» sbuffò sonoramente raccogliendo il re e un pedone da terra.
«Non usare di nuovo la scusa del depistaggio» lo ammonì duramente ricevendo come risposta una specie di gemito strozzato da parte del giovane.
«Non capisco perché… lei… con me…» lo sentì mormorare in modo sconnesso.
«Sì, si starà certamente accontentando» disse ironico.
Se minuti prima si era trattenuto dal fare commenti irrisori proprio per non scatenare alcun diverbio, in quel momento sperava con tutto se stesso che Peeta reagisse mandandolo a quel paese, che si arrabbiasse furiosamente. Ma invece stette zitto, intento a controllarsi prima la scarpa, poi l’intera gamba sinistra.
«Potrebbe avere davvero di meglio» asserì con una calma disarmante. «Potrebbe stare con qualcuno che non è la copia fasulla di se stesso, qualcuno che non sia una nullità. Io non avrei problemi a farmi da parte» concluse passando lentamente un dito su una venatura del legno.
Haymitch si sentì stupido, quasi preso in giro. Possibile che stesse per affrontare quel discorso proprio con lui? Non avrebbe mai immaginato che dalla bocca di quel ragazzo uscissero parole tanto dure sul suo stesso conto.
Continuava a credere ostinatamente di non meritare niente. Come Katniss del resto. Ma se Haymitch riusciva a giustificare e a comprendere almeno in parte il perché la ragazza provasse determinati sentimenti, perché accusasse se stessa di essere la causa di ogni minima cosa, con Peeta proprio non ci riusciva. Era il migliore tra loro tre, tra tutti i settantacinque vincitori degli Hunger Games in effetti. Anzi, era sicuro Peeta Mellark fosse una delle poche persone migliori rimaste in tutta Panem.
Quelle cose che aveva detto su di sé non aveva di certo cominciato a pensarle dal depistaggio, né dai suoi primi giochi, avevano radici ben più profonde. Era cresciuto con la convinzione di essere un incapace.
«Ma si può sapere che razza di famiglia hai avuto tu?» disse esasperato, rendendosi conto solo dopo di aver toccato un tasto dolente. Di tutte le domande che avrebbe potuto fare, gli uscì la più scomoda, quella di cui conosceva già la risposta tra l’altro.
Il ragazzo lo guardò per un lungo minuto prima di parlare.
Haymitch non poté far a meno di notare quanto i suoi occhi si stessero facendo vacui, la mente sicuramente occupata da momenti poco piacevoli, e si sentì a disagio.
«Una di quella che preferisce lasciar vivere da solo un figlio in una casa vuota ed enorme anziché rischiare di far fallire la propria attività o perdere la propria clientela» disse sarcasticamente il biondo spostandosi dallo sgabello su cui si era seduto per giocare a scacchi e riprendendo calmo il suo posto sul divano.
Improvvisamente Haymitch si ritrovò catapultato nel passato, a quando al dodicesimo piano con attico del centro di addestramento, a tavola con lui, Peeta e Katniss litigavano innalzando spropositatamente le qualità dell’altro anziché le proprie.
Era una delle situazioni più ridicole che aveva mai dovuto affrontare. Lo stavano esasperando con tutti quei complimenti a mo’ di frecciatine che si lanciavano contro arrabbiati. Avrebbe tanto voluto zittirli prima urlando loro: “Sì, ho capito che pensate che l’altro sia migliore, adesso piantatela!”, ma oltre a irritarlo, lo divertivano e si stavano rivelando per quello che erano realmente. Poi, per la prima volta, sentì nella voce di Peeta rabbia, tristezza e rassegnazione tutte insieme. Con l’intento di convincere Katniss di essere l’unica tra i due ad avere buone probabilità di vittoria, confessò come sua madre gli aveva detto addio. Che stronza infame. Che quella donna non fosse propriamente simpatica o gentile già quando erano entrambi giovani lo sapeva, ma non avrebbe mai pensato fosse diventata effettivamente arcigna come una strega. Quell’appellativo che si era conquistata negli anni le calzava a pennello.
Era affezionato a Peeta anche se non era bravo con le dimostrazioni, forse si era permesso di volergli davvero bene solo dopo che era riuscito a tirarlo fuori dalla prima arena insieme a Katniss.
Ricordava perfettamente come ogni mattino dopo quegli Hunger Games, quelli che Capitol City avevano definito il suo più grande successo dopo la propria vittoria, il ragazzo si presentava a casa sua con una pagnotta di pane caldo sottobraccio e un muffin al whisky minuziosamente incartato: col passo pesante e zoppicante, raggiungeva il tavolo da pranzo e riponeva lì tutto con cura, a volte rimaneva a chiacchierare per qualche oretta, altre cenava con lui. Era una compagnia piacevole perché era socievole e ironico, mai impiccione. E sapeva stare al suo posto.
Inizialmente non si capacitava del perché il figlio del fornaio si ostinasse ad andare lì a portargli tutto quel ben di Dio, men che meno perché si intrattenesse con lui, un ubriacone burbero che aveva addirittura scelto l’altro tributo, però poi comprese. Pur essendo amichevole e gentile con tutti, pur essendo attorniato da un sacco di coetanei, Peeta era comunque solo. In più era stato lasciato allo sbando da una famiglia che non si curava minimamente di lui. Le uniche persone che potevano capirlo erano la ragazza che lui era testardamente intenzionato a ignorare e il suo mentore nonché nuovo vicino.
In quel periodo durato circa sei mesi poteva affermare fossero diventati quasi amici.
Era stata la sua cattura e il suo successivo salvataggio però a cambiare il loro rapporto. Il non essere riuscito a recuperare anche lui dall’arena-orologio aveva fatto sentire Haymitch estremamente in colpa – non poteva nemmeno ubriacarsi per scacciare quel malessere –, vederlo depistato invece lo scosse nel profondo. Si trovava di fronte un adolescente malconcio e denutrito, ormai orfano e senza fratelli, completamente fuori di testa. Dopo essere venuto a conoscenza del fatto che Katniss si chiudeva negli armadietti del Tredici per estraniarsi da tutto e tutti, quello era stato il colpo di grazia decisivo.
L’aver assistito alla furia di Peeta che si avventava su Katniss per toglierle la vita, gli fece rendere conto di non essere migliore di quei due presidenti che si facevano la guerra per prevalere sull’altro. Dopotutto aveva usato i suoi vincitori per uno scopo più grande, per la Rivoluzione. Se Peeta era stato torturato, se non si fidava più di nessuno, se non ricordava più di essere innamorato della ragazza che a poco a poco lo aveva ricambiato e che, dopo essere stata strangolata, non era in grado di stare nella stessa stanza con lui senza provare dolore e rabbia, era esclusivamente colpa sua.
Andava a far visita a Peeta tutti i giorni e se possibile gli parlava nonostante il giovane non lo volesse né vedere né ascoltare, si sforzava di non irritarsi quando gli si rivolgeva unicamente per sputare cattiverie, si preoccupava delle sue condizioni fisiche e psicologiche e allo stesso tempo cercava di scoprire che cosa frullasse nella testa di Katniss che era addirittura più imprevedibile del ragazzo.
Fu da quel momento che cominciò a provare per Peeta lo stesso amore che forse avrebbe provato per un figlio, se solo ne avesse mai voluto uno.
«Smettila, lo sai bene che Katniss non starebbe con nessun altro a parte te» lo rimproverò. «Non ti lascerò mai più sprecare una mia bottiglia di liquore bianco se non quando sarò sicuro che sarai nelle condizioni per godertela, ti avviso» lo ammonì seriamente seppur dalla sua voce trasparisse una nota ironica.
«Te lo puoi tenere» bofonchiò allontanando il bicchiere dopo averlo comunque vuotato del suo contenuto.
«Sì, sì, come no» sogghignò.
Avevano passato i successivi dieci minuti in silenzio, a scrutarsi a vicenda, a ignorarsi, a giocherellare distrattamente con alcuni pezzi di arredamento che li circondavano, finché Peeta non decise che la stanza si era fatta troppo fredda e che bisognava riscaldarla.
Haymitch lo osservò destreggiarsi con i fiammiferi e dei ciocchi di ogni dimensione. Con pochi movimenti apparentemente semplici aveva alimentato le fiamme in un modo che a lui non era mai riuscito.
Non c’è che dire, è proprio il figlio di un fornaio, si ritrovò a pensare vedendo il fuoco bruciare i pezzi di legno nel camino.
«Quindi? Come la mettiamo?» gli chiese non appena il biondo si sedette.
«Come la mettiamo cosa?» domandò stranito alzando un sopracciglio.
«Non fare il finto tonto con me, non attacca» lo avvertì senza troppi giri di parole.
Il giovane pareva di nuovo voler cadere in uno stato di mutismo, ma Haymitch era più che intenzionato a non permetterglielo.
«Voglio la verità. So benissimo che c’è dell’altro» si passò la fiaschetta da una mano all’altra. «Che cos’è che ti tormenta?».
Peeta stava per controbattere ma dalla sua bocca uscì solo una specie di rantolo, deglutì rumorosamente e stette zitto per dei lunghi secondi prima di decidersi a parlare.
«Quello che mi preoccupa è che me lo abbia chiesto anche se non lo vuole veramente» disse piano col capo chino. «E se ascoltando Delly si fosse convinta di sposarmi pur non desiderandolo?» adesso stava guardando Haymitch quasi implorandolo con i suoi due grandi occhi azzurri spaventati.
Il mentore però sapeva perfettamente che quella del ragazzo era solo paranoia causata dai suoi complessi d’inferiorità, perché negli anni era arrivato alla conclusione di avere un’unica certezza nella vita che, strano ma vero, non c’entrava nulla con l’alcool: Katniss Everdeen non avrebbe mai fatto una cosa se contro la sua volontà.
Avrebbe potuto tranquillamente mettere entrambe le mani sul fuoco, non si sarebbe bruciato. Quella cacciatrice scorbutica voleva davvero sposare Peeta Mellark.
«Oh, credimi. Lo desidera eccome» ghignò Haymitch. «Lungi da me permettermi di dire che conosco dolcezza meglio di te ma… la conosco meglio di te» schioccò la lingua.
Peeta lo guardò male per un attimo.
«Però–» proferì solo prima di essere interrotto dall’uomo che gli imprecò contro ormai spazientito.
Haymitch si alzò di scatto dalla sua poltrona provocandosi un lieve capogiro e andò dritto dritto verso il giovane. Ne aveva abbastanza.
«Lei non ha mai voluto sposarsi o avere una famiglia» asserì comunque Peeta sostenendo lo sguardo duro del suo mentore rimanendo sul divano.
«Non mi dirai che le hai risposto di no, vero?» lo minacciò puntandogli il dito della mano che ancora teneva stretta la fiaschetta piena di liquore.
«Cosa?» chiese allibito. «NO!» e a quel punto si alzò anche lui. «Non mi ha dato neanche il tempo di recepire il messaggio che è scappata via di casa!» gesticolò nervosamente mentre parlava.
Haymitch osservò il ragazzo prima di accasciarsi sfinito sul divano stringendo l’indice e il pollice sulla parte superiore del naso come per voler scacciare un forte mal di testa.
Voleva bene a quei due ma, specialmente da quando avevano capito che nascondere la loro relazione era controproducente, lo sfiancavano. Però erano talmente divertenti…
Stranamente si rilassò.
«Addirittura chiederti di sposarti…» disse dopo qualche secondo trattenendo uno sbuffo più simile a una risata. «Devi essere davvero bravo a letto allora per aver fatto fare un passo del genere a quella bisbetica» incontrò gli occhi di Peeta che di tutta risposta diventò paonazzo nel momento esatto in cui sentì quelle parole – le pupille contratte, piccole come spilli, il viso e le orecchie porpora in netto contrasto con i suoi capelli biondi e il maglioncino grigio che indossava, la bocca semiaperta… Più lo osservava, più non poteva fare a meno di ridere sguaiatamente.
Era difficile mettere in imbarazzo Peeta, forse quella era la prima volta che lo vedeva reagire in un modo tanto buffo. Per la prima volta il ragazzo non aveva il controllo delle sue emozioni sul suo corpo – depistaggio escluso.
«Non mi dire che sei a disagio» lo punzecchiò facendogli un sorrisetto sghembo.
«Smettila, Haymitch! Questi di certo non sono affari tuoi» gli urlò non riuscendo a guardarlo in faccia.
«E che avrò detto mai?» continuò con nonchalance poggiando la schiena al divano e intrecciando le dita dietro la testa.
«Non parlo di queste cose con i miei amici, figuriamoci con te» arretrò di alcuni passi fino ad arrivare alla poltrona completamente sfondata e rovinata che Haymitch non avrebbe mai buttato.
L’uomo scosse il capo ghignando pronto a intervenire ma Peeta aggiunse con tono ormai meno concitato e più serio: «Non che l’argomento sesso o nudità mi imbarazzi, ma non sono proprio il tipo che dice in giro fatti così intimi. E poi non si tratta solo di me, c’entra anche Katniss. Non parlerei mai di cosa faccio o non faccio con la mia ragazza».
Ogni santa volta che lo ascoltava, Haymitch si stupiva di scoprire quanto veramente fosse un tipo a posto. Qualsiasi suocero avrebbe desiderato un genero come lui. Ma che razza di persone erano i Mellark? E come fa lui a essere cresciuto così? Nessun genitore avrebbe dovuto denigrare un figlio simile.
Oddio, ma ha detto ‘la mia ragazza’! Non lo aveva mai sentito dire apertamente che fossero una coppia.
«Specialmente non parlerei di questo genere di cose con mio padre. Sarebbe decisamente troppo. Sai com’è…» concluse Peeta massaggiandosi il ginocchio della gamba sinistra che sicuramente aveva iniziato a dargli fastidio.
Oh.
Fu strano per il mentore apprendere l’effettivo significato di quelle ultime parole. Davvero il biondo gli aveva detto per la prima volta, anche se implicitamente, che lo considerava un padre?
Era una bella sensazione, doveva ammetterlo.
«Lascia stare, ho capito» gli sorrise prendendo un sorso di liquore. «E comunque, ti stavo prendendo in giro. Figurati se mi interessa sapere di come vi rotolate l’uno sull’altra. Ai miei incubi si aggiungerebbero anche le immagini di voi due e non è per niente allettante come cosa» prese un altro sorso dalla sua fiaschetta e, quando la agitò trovandola vuota, la poggiò sul tavolino.
Peeta gli lanciò un’ultima occhiata tra il glaciale e l’inquieto.
«Scusa se ho cominciato a stordirti con questi discorsi. Sarà perché sono ancora un po’ brillo» abbassò le palpebre per allontanare la frustrazione che sentiva crescere.
«Non avrei mai detto che saresti stato un brillo malinconico. Sembri più il tipo che ride senza un apparente motivo quando beve» constatò incrociando le gambe. «Allora, com’è andata realmente?» domandò attirando l’attenzione del giovane e fissandolo.
«Come ti ho raccontato» sospirò esasperato, sprofondando sempre di più nella poltrona.
«Non mi hai raccontato un bel niente» chiosò Haymitch tenendo ancora insistentemente lo sguardo sul ragazzo.
Peeta sbuffò quasi tentando di mantenere a freno il nervosismo, chiudendosi nelle spalle.
«Ha finito di fare colazione prima del solito e si è giustificata dicendomi che doveva procurarsi un bel po’ di selvaggina perché il tempo non sarà dei migliori nei prossimi giorni. Era vicina all’attaccapanni e si stava allacciando gli stivali mentre io la guardavo da seduto mangiando un biscotto» il mentore notò come il labbro inferiore del giovane aveva iniziato a tremare. «Dopo essersi sistemata il berretto, ha alzato gli occhi posandoli su di me per un tempo che mi è sembrato interminabile e ho sentito il bisogno di trattenere il respiro, non so perché. Poi le ho sorriso ed è stato in quel momento che mi ha detto: “mi piacerebbe tostare il pane con te, Peeta”» il biondo tirò un lunghissimo sospiro stringendo i pugni e concentrò il suo sguardo su un punto imprecisato sotto il tavolino.
L’uomo sul divano rimase a bocca aperta, quasi shockato – per un istante aveva creduto di essersi trovato anche lui ad assistere a quella scena.
«È scappata chiudendosi velocemente la porta alle spalle senza darmi il tempo di rispondere e lasciandomi da solo come un coglione, col biscotto a mezz’aria che poi ho fatto cadere nella tazza del tè che ancora non avevo bevuto perché era bollente. Mi sono ustionato la mano, ho sporcato dappertutto e Ranuncolo ha cominciato a dare i numeri correndo di qua e di là non appena mi sono alzato di scatto dal dolore. Un disastro» riprese fiato quasi non avesse più aria nei polmoni scompigliandosi i capelli.
Peeta alzò il capo dopo qualche secondo e fu allora che Haymitch vide come i suoi occhi azzurri si facevano sempre più lucidi, le mani si muovevano frenetiche su e giù strofinando il tessuto dei pantaloni e come si mordeva il labbro inferiore. Sembrava stesse per scoppiare in lacrime.
«E io adesso non so che fare, Haymitch. Certo che voglio tostare il pane con Katniss!» gracchiò, la voce rotta dal pianto. «Credo sia stata la prima cosa che ho desiderato fare con lei da quando l’ho vista per la prima volta in assoluto. Ma poi penso che forse cerca solo di accontentarmi, che forse ha sentito dire da Delly che io sono sempre stato propenso a sposarmi e che quindi ha deciso tutto istintivamente, convincendo testardamente se stessa a fare questo passo solo per non privarmi di qualcosa che alla fine ho sempre voluto. Be’, io non voglio se lei non vuole» ora tirava su col naso tentando in ogni modo possibile di respirare regolarmente e di trattenere i singhiozzi. «E se poi quando torna dai boschi dovesse rimangiarsi tutto?».
I suoi due vincitori erano proprio intricati come un labirinto. Lo erano stati già prima che partecipassero alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games ma, dopo due arene, lo stress post-traumatico e gli incubi, un’instabilità mentale, un depistaggio e la guerra, lo erano diventati ancora di più. Quando erano insieme poi, il loro essere incasinati si rifletteva anche sull’altro, a volte positivamente e altre negativamente, ed era allora che diventavano qualcosa di inconcepibile. Era difficile descrivere nello specifico Katniss o Peeta e ancora più complesso era parlare del loro rapporto.
Forse era anche per quello che gli piacevano.
Inizialmente Haymitch non si spiegò perché Katniss fosse fuggita subito dopo aver detto una cosa tanto importante a Peeta ma poi capì, come se avesse avuto un lampo di genio, e fu certo di essere nel giusto. Dopotutto la conosceva meglio delle sue tasche.
Forse non aveva intenzione di dirglielo così dal nulla. Aver dato voce ai suoi pensieri l’aveva imbarazzata e fatta piombare nel panico totale – ah, che testa matta, Haymitch avrebbe pagato oro per vedere la sua faccia –, dopodiché si era di sicuro resa conto del tipo di situazione in cui si era ficcata e, da brava diplomatica qual era, era arrivata alla conclusione che l’unico modo per affrontarla era non affrontarla affatto. E se l’era data a gambe. Forse stava ancora aspettando di escogitare un piano migliore.
Oddio, che incapace, pensò Haymitch ghignando tra sé e sé. Non si era nemmeno preoccupata del caos in cui sarebbe sprofondato Peeta. Oh, che idiota che è se ha pensato che il suo ragazzo sarebbe rimasto impassibile di fronte a una dichiarazione del genere.
«È indubbiamente una cretina» affermò di punto in bianco e alzandosi in piedi per sgranchirsi le ossa. Si avvicinò al giovane che lo guardava smarrito e gli assestò una bella pacca sulla spalla. «Vediamo un po’ che ha preparato di buono oggi il mio panettiere di fiducia dopo essere stato lasciato a scervellarsi da solo dalla sua futura mogliettina», quasi gli si gelò il sangue nelle vene al pronunciare quell’ultima parola. «Mogliettina» la ripeté lentamente come se l’avesse voluta assaporare e digrignò i denti. Troppo strano.
«Tu sfotti ma sai che, se dovessimo mai sposarci, Katniss vorrà che sia tu ad accompagnarci al Palazzo di Giustizia, vero, papino?» si alzò anche Peeta restituendo al mentore la stessa pacca sulla spalla che aveva ricevuto. «E anche io» precisò.
«Cosa?» Haymitch si voltò di scatto, l’espressione mezza esterrefatta sul volto, per poi incontrare gli occhi cristallini del ragazzo del pane ancora leggermente rossi. «PAPINO?!» urlò allibito rigirandosi velocemente e raggiungendo il tavolo della cucina intenzionato a mangiare un muffin.
Sentì Peeta che lo stava seguendo ridere di gusto per la prima volta dopo parecchio tempo e sorrise soddisfatto prima di addentare il dolcetto al caffè e rhum ancora caldo. Le sue papille gustative cantarono.
Altro che bravo a letto, questa se lo vuole sposare perché cucina da Dio.
«Quindi è questo che hai fatto tutta la giornata? Ti sei tenuto occupato così?» gli domandò masticando rumorosamente e indicando il cesto tra varie pile di stoviglie sporche.
«In parte» mormorò Peeta mentre cercava di ordinare tutto il soqquadro che c’era in cucina. «Cavolo, Haymitch» sibilò, «cosa sarebbe questa roba?» sbottò schifato quando vide una specie di poltiglia dall’aspetto e dall’odore nauseabondo in un piatto.
Il mentore allungò il collo incuriosito per guardare che sconvolgeva tanto il giovane e fece un suono che parve una specie di esclamazione mista a un mugugno – quei muffin erano una delle cose più deliziose che avesse mai provato, li avrebbe terminati in pochissimi minuti se fossero stati ancora sotto il suo naso, non riusciva a non rimpinzarsi lo stomaco con un altro appena finiva il precedente.
«Credo sia tacchino o quaglia – non ricordo bene che stessi mangiando quel giorno – mentre non so assolutamente cosa sia quella salsina lì vicino» disse senza scomporsi minimamente ma anzi, addentando ancora più voracemente quello che ormai era il terzo dolcetto.
Peeta gli rivolse un’occhiata severa e non riuscì a nascondere l’espressione disgustata che stava assumendo il suo viso man mano che studiava sempre più attentamente cosa c’era non solo sulla tavola ma tutt’intorno.
«E, di grazia, quando sarebbe stata l’ultima volta che hai dato una pulita a questo posto?» chiese accennando all’intera stanza con un movimento secco del capo.
Haymitch lo scrutò bene notando come il biondo incrociava le braccia al petto e poggiava lentamente la schiena a una credenza, attendendo.
Oh, no. Pure la ramanzina no. Non me la merito.
Alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente, «se non mi sbaglio tre giorni fa o forse quattro», si portò una mano al fianco in un gesto di pura sfida.
«Come sei riuscito in soli quattro giorni a rendere questa cucina uno schifo totale?!» lo guardò sbigottito. «Vedi qua quanto lerciume» indicò il lavabo stracolmo di vari contenitori, stoviglie unte e pezzi di cibo che stavano andando a male.
L’uomo di tutta risposta scrollò le spalle e afferrò una focaccina al formaggio. Okay che con gli anni e dopo numerose strigliate da parte di Peeta e di Katniss aveva iniziato a tenere se stesso e casa sua in uno stato più decoroso, ma che c’era di male nel lasciarsi un po’ andare ogni tanto? Nonostante tutto, sapeva bene che dare voce ai suoi pensieri significava dare inizio a una discussione infinita con il giovane. Decise di giocarsi la carta del menefreghista – era consapevole non fosse la migliore strategia da attuare in quel caso, ma era sempre meglio che rispondere in qualsiasi altro modo.
Peeta si passò una mano tra i capelli e sospirò, «ascolta, che ne dici se adesso io e te diamo una sistemata a questo disastro?» propose sconsolato.
Stava per raggiungere la penisola della cucina sulla quale c’erano delle pentole e alcune bottiglie vuote quando si sentì suonare il campanello.
Haymitch alzò un sopracciglio stranito e si voltò verso l’ampio corridoio che portava all’entrata. Nessuno bussava per farsi aprire e ancora meno gente usava il campanello.
Diede un’occhiata veloce al ragazzo che lo seguì rimanendo dietro di lui di pochissimi passi.
Quando aprì la porta principale, oltre a percepire il freddo quasi gelido che lo investiva da capo a piedi, sentì Peeta trattenere il respiro per un secondo.
«Buon pomeriggio, signor Abernathy» trillò la giovane bionda che si ritrovò di fronte. «Anzi no, buonasera» si corresse sorridendo raggiante.
Erano quasi tre anni che la maggiore dei Cartwright era ritornata al Distretto 12, eppure non c’era giorno in cui non era tremendamente vivace. Che aveva da essere sempre così briosa? Haymitch si era chiesto più volte se per caso assumesse delle sostanze stupefacenti per mantenere sempre, perennemente quell’aria così incredibilmente allegra ma poi si era arreso nel constatare che quella era la sua vera natura.
Delly Cartwright era pimpante al limite della sopportazione. Lei sì che era la persona più stramba che avesse mai incontrato.
«Mi scusi se la disturbo ma cercav–  oh! ECCOTI!» balzò improvvisamente in avanti in direzione di Peeta che si era avvicinato di più alla soglia della porta.
Haymitch si rese conto dell’espressione indecifrabile sul volto del ragazzo che aveva spostato lentamente lo sguardo dall’amica a Katniss irrigidendosi di colpo per poi ritornare immediatamente su Delly.
Il mentore allora decise di concentrare tutta la sua attenzione sulla mora che se ne stava cautamente a debita distanza, col capo basso e le mani nelle tasche della giacca da caccia logora. Continuava a calciare un pezzo di ghiaccio e neve come se fosse la cosa più interessante mai esistita sulla faccia della Terra.
La osservò insistentemente. Voleva entrare nella sua testa per poter capire e leggere la sua mente. Peccato non esistesse la telepatia, avrebbe tanto voluto comunicare con lei senza il bisogno di fare una cosa tanto seccante come dare aria alla bocca. Che cavolo combini?, pensò fissandola intensamente, si può sapere perché incasini sempre tutto?
Trasalì sorpreso quando gli occhi della ragazza incontrarono i suoi. Gli sembrò quasi di specchiarsi: grigio nel grigio, collisione tra due tempeste di diversa intensità.
Inarcò le sopracciglia come a chiederle perché si trovasse sull’uscio di casa sua e notò come il viso di Katniss stesse iniziando ad assumere un cipiglio interrogativo.
Oh, pensi che io non sappia niente di tutta questa storia, dolcezza? E magari pure che non sappia perché te la sei svignata in men che non si dica?
«Credo sia ora che vi parliate» sentenziò Delly indicando entrambi i ragazzi che in quel momento facevano di tutto per ignorarsi. «Senza interruzioni» terminò mettendo le mani sui fianchi.
«Io sto con la biondina» rispose subito Haymitch facendo largo per far passare le due giovani e fulminò con lo sguardo Peeta che aveva tutta l’intenzione di iniziare a protestare. E, qualcuno ce ne scampi!, lui era più che in grado di portare avanti un discorso del genere.
Finalmente c’era una persona che ragionava in quel distretto. La ragazza Cartwright poteva sembrare pure una petulante biondina perennemente gioiosa ma era autoritaria abbastanza da costringere quei testoni dei suoi vincitori a chiarire una volta per tutte. Dopotutto era stata fondamentale per Peeta nel Distretto 13; se non fosse stato per lei, il depistaggio sarebbe stato più complicato da affrontare.
Guardava in lontananza Peeta e Katniss che parlavano tra di loro e sorrideva soddisfatta ogni volta che sembravano essere d’accordo su ciò che dicevano.
Non avrebbe mai immaginato fosse talmente discreta. Credeva piuttosto che si sarebbe intromessa senza dare ai due la possibilità di ragionare con calma, ma invece se ne stava composta e silenziosa ad ascoltare solo di tanto in tanto.
Haymitch le propose una tazza di tè che lei si offrì ben volentieri di preparare. Quando misero piede in cucina, si scusò leggermente imbarazzato per il disordine e maledisse tra sé e sé Peeta e il karma. Si appuntò di dare una sistemata il prima possibile.
Sedette paziente quando lei cominciò ad armeggiare ai fornelli e, osservandola aprire alcuni stipiti, iniziò a pensare e a scoprirsi sempre più sorpreso del fatto che il Distretto 12 si stesse popolando di giovani sempre meno arrabbiati o scostanti come lo erano stati quelli della sua generazione. Katniss e Peeta non erano i soli a desiderare pace e tranquillità, non erano gli unici a voler crescere al meglio nonostante tutto. Anche la biondina era intenzionata a rimboccarsi le maniche. Stava tentando di riaprire l’attività dei genitori, così come quel Thom che, grazie all’aiuto di sempre più gente, aveva cominciato a ricostruire il distretto e aveva persino proposto a Peeta un progetto per una nuova panetteria. Non era lui poi quello che si doveva sposare proprio con la figlia dei Cartwright?
Anche loro due erano una coppia bizzarra: lui calmo e silenzioso, lei festosa e cinguettante.
Accennò a una specie di sorriso quando realizzò. Da qualche annetto c’erano sempre più unioni tra le poche persone del Giacimento con le ancora più poche persone della zona mercantile. Quando era più giovane, matrimoni del genere erano più unici che rari.
«Che dice, signor Abernathy, andiamo a portarlo anche a Katniss e Peeta?» lo chiamò Delly svegliandolo da quel flusso di coscienza.
Annuì solamente, alzandosi dalla sedia e prendendole il vassoio dalle mani che sembrava abbastanza pesante.
«Ehm» si schiarì la voce mentre camminava piano per il corridoio per non far traballare le porcellane. «Grazie per essere loro amica» disse lanciandole uno sguardo con la coda dell’occhio.
«Oh, non ce n’è bis–» fece per iniziare lei.
«No, parlo sul serio. Anche per… sai, la tua collaborazione al Tredici. Per Peeta e quindi anche per Katniss» la interruppe, stranamente intenzionato a esprimere la sua gratitudine. «Davvero pochi lo avrebbero fatto – è stato difficile addirittura per Katniss all’inizio» concluse.
Quando arrivarono in salone alzò istintivamente gli angoli della bocca. Che l’avanzare degli anni lo stesse facendo diventare un vecchio sensibile?
Si stavano baciando.
Non era affatto un bacio passionale, gli diede più l’impressione che fosse uno di quelli che servono a suggellare qualcosa, a promettere, un bacio sentito. Guardò come le mani di Katniss erano posate sulle guance di Peeta e come le braccia di lui erano strette attorno alla vita di lei sorprendendosi. Non li aveva mai visti baciarsi prima, non senza telecamere – erano sempre così misurati nelle loro dimostrazioni d’affetto, specialmente quando c’era altra gente. Eppure era comunque così chiaro quello che c’era tra loro.
«Sono belli, vero?» sussurrò Delly che si trovava accanto a lui, leggermente alzata in punta di piedi.
Haymitch allora rise e si avvicinò al tavolino vicino al divano, facendo così sobbalzare i suoi vincitori che si allontanarono l’uno dall’altra rossi in volto.
«Oh, suvvia! Avete fatto di peggio in diretta nazionale» poggiò attentamente il vassoio. «Dico bene, biondina?» si voltò facendo l’occhiolino a Delly che non riuscì a trattenere una lieve risata.
«Da’ qua, Haymitch!» scattò Katniss strappandogli la teiera dalla mani e rivolgendogli la miglior occhiataccia che gli avesse mai fatto.
«Bene, dolcezza, vedo con piacere che ti è ritornata la voce. Com’è andata la giornata?» le sorrise accattivante beccandosi un calcio ben assestato un po’ più su della caviglia. «Carina come al solito» si trascinò sulla poltrona sprofondandoci dentro.
Fu allora che Peeta iniziò a ridere quasi rischiando di farsi andare di traverso il tè. Sembrava finalmente aver ripreso la sua solita luce ed era sereno come non lo vedeva da anni.
«Tu, fattelo dire, oggi hai sfiorato picchi di lunaticità incredibili» si rivolse al ragazzo guardandolo stranito e sorseggiando rumorosamente dalla sua tazza. «Biondina, non restare lì impalata. Serviti e accomodati» indicò a Delly l’altra poltrona presente nella stanza.
Lei rizzò la schiena lanciando un’occhiata a Peeta, come per chiedergli l’ennesimo permesso, che le accennò di sedersi sorridendole e porgendole il tè.
«Grazie, fratellino» gli mormorò all’orecchio carezzandogli premurosamente una spalla.
«Grazie a te» sussurrò lui passando due zollette di zucchero a lei e quattro a Katniss che soffiava sulla bevanda cercando di farla raffreddare.
Il mentore osservò silenziosamente la scena provando una certa tranquillità che poche volte gli era successo di sentire. Per un attimo dimenticò di aver partecipato agli Hunger Games, dimenticò addirittura che quei ragazzi non facevano effettivamente parte della sua vera famiglia, quella che parecchi anni prima era stata sterminata per punirlo.
«E allora?» domandò poi curioso di saperne di più. Vide Katniss trasalire non appena pronunciò quella frase, stringersi nella giacca da caccia e giocherellare con l’estremità della sua treccia sfatta.
Peeta lo guardò interrogativo ma sempre con lo stesso sorrisetto che non aveva abbandonato le sue labbra da quando Haymitch e Delly avevano raggiunto il salone.
Eccolo lì, talmente contento che anche un cieco si accorgerebbe che la loro discussione è andata più che bene, pensò irridente ma più felice di quanto si aspettasse. Se non temesse una gomitata nelle costole da quell’acidona, andrebbe in questo stesso momento a urlarlo all’intero distretto.
Ricambiò il sorriso fregandosene di apparire come un sentimentalone mezzo rimbambito e posò il suo sguardo su Katniss, aspettando fosse lei a rispondere.
«Dolcezza?» la chiamò prima di prendere un altro sorso di tè. Scrutando la sua figura minuta, ebbe quasi l’impressione di riuscire ad ascoltare le maledizioni che lei gli stava lanciando e ghignò nella sua direzione. Katniss gli rivolse un’occhiata implorante: “Non me lo far dire, per favore”, gli stava sicuramente chiedendo silenziosamente.
«Come se non fosse già abbastanza ovvio» alzò allora le spalle con finta aria noncurante posando la tazza vuota sul tavolino.
«Cosa è ovvio?» domandò Peeta in maniera del tutto candida, facendo quasi strozzare la ragazza accanto a lui che finì solo per tossicchiare, colta in fallo. Nonostante fosse estremamente sveglio, Peeta sembrava non aver afferrato assolutamente nulla della loro conversazione visiva di poco prima. Forse era troppo impegnato a esibire quel sorriso da completo ebete con la testa tra le nuvole.
«Sì, cosa?» si sporse Delly incuriosita. «Se mi è permesso sapere, naturalmente» contenne il suo entusiasmo iniziale raddrizzandosi composta sulla poltrona.
Haymitch osservò per l’ennesima volta la mora sogghignando e facendole l’occhiolino compiaciuto.
«‘Cosa’, dite?» cominciò misterioso incrociando le gambe. «Be’, ecc–» venne interrotto subito bruscamente.
«Che io voglio sposare Peeta!» urlò Katniss con tutto il fiato che aveva in corpo completamente bordeaux in viso.
L’uomo si passò una mano tra i capelli divertito da tutta quella situazione e dalla foga che la giovane aveva avuto e iniziò a ridere sguaiatamente. Più guardava le facce sbigottite e sconvolte di quei giovani che non si aspettavano di certo tutto quello che era successo in così pochi secondi, più si scopriva incapace di trattenere addirittura le lacrime.
«Non posso credere che lo hai detto davvero ad alta voce» pronunciò appena riprese a respirare regolarmente sfottendola.
«È tutta colpa tua» sibilò a denti stretti Katniss coprendosi la faccia con le mani, imbarazzata più che mai.
Delly le rivolse uno sguardo comprensivo che però non riusciva a celare minimamente la contentezza che provava mentre Peeta circondò con un braccio la schiena di Katniss – che nascose il volto nel suo maglione – e poggiò il mento sopra la sua testa carezzandole una spalla.
«Non sei tu quella che deve imbarazzarsi qui» le mormorò dolcemente consolandola. «Piuttosto sono io quello che oggi ha dato di matto dopo essersi scolato mezza bottiglia di liquore di Haymitch» ridacchiò stringendola di più. «Oppure Haymitch stesso che non ha avuto nemmeno un po’ di buonsenso o decenza di non portare Delly in quello schifo di cucina, non trovi?» le chiese guardando però con un sorrisetto sghembo il mentore che sussultò di colpo e voltò immediatamente il capo sentendosi in soggezione.
Katniss alzò gli occhi grigi incontrando quelli azzurri di Peeta e rise lievemente rincuorata dalle sue parole.
«Per la cronaca» sbottò Haymitch ancora nervoso, «ti sei bevuto più della metà della bottiglia del mio preziosissimo alcool» borbottò giocherellando con una ciocca dei suoi capelli scuri per scacciare il disagio in cui l’aveva fatto piombare il giovane.





Haruma's back in town pt. 2

Rieccomi di nuovo, questa volta con una one-shot decisamente troppo lunga che appartiene alla raccolta di storie Tra pezzetti di pane galleggianti che ho scritto anni fa (e che sicuramente avrà bisogno di una bella revisione) – mi piace l’idea che ci sia una specie di filo conduttore che collega una fanfiction a un’altra.
Sono sincera, avevo intenzione di scrivere tutt’altro ma il risultato non mi dispiace affatto, lo ammetto.
Inizio col spiegare perché la prima parola dopo il titolo è proprio  ‘Haymitch’.
Nonostante questa storia sia in  terza persona, i pensieri in corsivo, l’introspezione e la narrazione appartengono a lui.
Non era di certo quello il mio intento ma poi, durante la scrittura, mi sono detta “perché non farla in Haymitch POV?”. Però più andavo avanti, più mi rendevo conto che mi sarebbe piaciuto tantissimo raccontare anche di Katniss e Peeta. Ho tuttora voglia di scrivere anche i loro due punti di vista – finché non concluderò anche quelli, questa rimarrà un’unica one-shot.
Comuuunque, in poche parole quel ‘Haymitch’ sta a contrassegnare il suo POV – i prossimi capitoli (perché li scriverò, dovessero passare anche cento anni) saranno contrassegnati da ‘Peeta’ e ‘Katniss’.
Sono una breakballs incredibilmente prolissa e quindi mi sembra doveroso raccontare il perché ho deciso di scrivere ciò che avete letto.
Dunque, volevo a tutti i costi che Peeta andasse a bere da Haymitch (quando il mentore dice: ‘[…] non eri quello che rifiutava ogni mia gentilissima proposta con “No, Haymitch, non mi posso permettere di essere pazzo e ubriaco”?’, mi ispiro alla mia raccolta che alla fine dà voce al mio headcanon – credo che Peeta sia proprio il tipo che potrebbe avere paura di eventuali complicazioni alla sua situazione mentale a causa dell’alcool) però ci ho messo un po’ a decidere perché avesse  preso una decisione del genere di punto in bianco.
Non so perché ma ho sempre pensato a Katniss che chiede a Peeta di sposarlo, mai il contrario. Il Peeta Mellark di Suzanne Collins è quel meraviglioso personaggio che non sta mai col fiato sul collo di Katniss, che rinuncerebbe a fare determinate cose per lei. Perché quindi non scrivere di un Peeta che – anche spaventato da quello che è diventato a causa del depistaggio – non chiederebbe mai a lei di sposarlo solo per non metterla in difficoltà e perché è convinto fermamente che lei non voglia?
L’idea, poi, che sia Katniss a fare una proposta del genere mi piace tantissimo. Non volevo renderla una femminist icon e badass che ha lei le redini in mano, affatto. Semplicemente credo che il solo fatto che sia lei a fare un passo del genere sia più d’impatto – d’altronde è Katniss quella che è sempre stata restia a sposarsi e ad avere una famiglia a causa degli Hunger Games. (Mi sa che mi soffermerò di più su questo punto quando scriverò il suo punto di vista).
Il rapporto tra Haymitch e Peeta. BE’... penso di essere stata abbastanza chiara nella one-shot (in più non vorrei dilungarmi oltre perché altrimenti farei meglio a pubblicare un testo critico su THG).
Dico solo che per me Haymitch Abernathy è uno dei migliori personaggi di THG, terzo solo a Peeta (che è il primo in assoluto – e non solo di The Hunger Games) e Katniss (che è la seconda), e potrei iniziare una crociata contro chiunque parli male di lui.
ADORO letteralmente il rapporto che ha con i suoi due vincitori e infatti cerco sempre di approfondirlo nelle mie ff.
Altra cosa.
Nel mio headcanon Delly torna al Dodici insieme a fratello minore qualche anno dopo l'arrivo dei primi abitanti e dopo un po’ si innamora di Thom (ho in mente di scrivere altre storie e magari di trattare anche loro due perché sì, ormai sono ferma nella mia decisione :D).
Bene, mi sa che è meglio se me ne torno da dove sono venuta e la chiudo qui.
Grazie a chiunque abbia letto, recensito, messo tra i preferiti, seguiti e ricordati questa one-shot.
Spero stiate tutti bene,
un forte abbraccio (almeno quelli virtuali si possono dare)
   
 
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